[Lab16] Tempesta
Posted: Tue Feb 04, 2025 7:10 pm
È una notte buia e tempestosa perché a certe storie non si addicono chiar di luna e grilli canterini. Molto meglio scrosci che picchiano sui vetri e schiaffeggiano le fronde, lampi e boati minacciosi.
E poi vento, che spalanca la finestra, manda all’aria carte e documenti e fa sbattere l’anta così forte che i vetri scricchiolano mentre la pioggia irrompe a bagnare il pavimento.
Padre Anselmo si precipita, si china a raccogliere, ma più fogli riesce ad afferrare, più gliene scivolano di nuovo a terra. Si ferma e alza gli occhi al cielo: «Vuoi dirmi qualcosa, vero?»
«Che se non chiude, tanto vale uscire a fare una passeggiata» fa una voce alle sue spalle.
Suor Clelia. Massiccia, il corpo e il volto scolpito da anni di missioni nelle favelas brasiliane, non fosse stato per gli scherzi delle coronarie se ne starebbe ancora lì, «Quello è il mio posto, che ci faccio tra marmi e parquet?» brontola immusonita quando crede che nessuno la senta.
Poggia il vassoio sulla scrivania, chiude la finestra, si ferma a guardare lo sfacelo sparso per terra e poi padre Anselmo, che intanto è crollato sulla sedia dietro la scrivania.
«Ha un aspetto orribile» gli fa scuotendo la testa. Poi si china, afferra bracciate di carte e le svalanga sul divanetto di fronte alla libreria. «Domando e dico a che le serviranno mai…»
«No, lasci stare» fa Anselmo. Dà un’occhiata al vassoio: «Non è un po’ presto per la colazione?»
«Presto, tardi, che cambia? A cena non ha toccato cibo, tanto vale far finta che sia cominciato un altro giorno.»
«Non ho fame.»
«Non importa. Pensi che sia una medicina.»
L’altro sospira, prende un cornetto, lo tuffa nel caffellatte, lo addenta e mestamente comincia a masticare.
Suor Clelia scosta la poltroncina davanti alla scrivania, si siede e incrocia le braccia: «Dunque?»
«Dunque cosa?»
«Che succede?»
«Piove e fa freddo.»
Lei tace, lo fissa e aspetta con la faccia che dice: «Tanto prima o poi me lo dici.»
E infatti: «Aldo. Ormai non gli resta molto.»
«Avrebbe potuto restare con lui. Andarsene con un amico che ti tiene la mano può essere…»
L’altro scuote la testa: «Non ha voluto.»
Lei annuisce, stringe le labbra, guarda il bricco di caffè e la tazzina accanto ai cornetti: «Permette?»
«Ma certo. Ha portato per due, perché me lo chiede?»
«Comunque non me la bevo.»
«La capisco, questo non è caffè. È una vera schifezza.»
«L’ho fatto con l’orzo ed è buonissimo» fa lei stizzita. «In ogni caso, intendevo il motivo.»
«E me lo chiedo pure io: perché l’orzo?»
«Per le sue coronarie.»
«Che le hanno fatto di male?»
«Intendevo il motivo per cui è ridotto uno straccio». Beve un sorso, fa una smorfia e posa la tazzina.
«Buonissimo, eh?»
«Ottimo» fa lei con la faccia impunita. «Dicevo, che Aldo sia arrivato alla fine, purtroppo non è una sorpresa. Tuttavia non è un motivo sufficiente per ridursi in questo stato. Non lei.»
Padre Anselmo si stringe nelle spalle, sceglie un altro cornetto dal piattino e mestamente gli fa fare la stessa fine del primo.
Mastica, sospira e alla fine: «È un guaio, suor Clelia. Un guaio grosso.»
«Più che altro una cosa molto triste» dice lei scrutando il cornetto superstite. «Poveri ragazzi. Intendo Elena, la figlia di Aldo, e Tommaso, proprio alla vigilia delle nozze. Adesso dovranno…».
«Taccia, per l’amor di Dio taccia!» grida Anselmo.
«D’accordo, taccio» fa lei interdetta. «Ciò non toglie che quei ragazzi si amano e avrebbero voluto…»
«No, no!» urla l’altro.
«Perché no? Che c’è di male?»
«Tutto, tutto! Lei non può capire!»
«E se non me lo dice…»
«Non posso!»
«Io non posso capire, lei non può parlare, guardi che siamo messi male.»
Anselmo scuote la testa: «Ci sono delle regole.»
«Certo, tutti dobbiamo rispettare le regole.»
«Perché sono promesse. E senza quelle ci perderemmo.»
«Ma sì, ovvio.»
«Perché siamo piccoli e infinitamente deboli.»
«Certo, le regole. Dunque sono quelle che le tolgono il sonno.»
«No, vede, la regola in sé andrebbe pure bene… È, come dire?… È l’argomento a cui si applica…»
«Eminenza, sono le cinque del mattino, abbia pietà.»
Anselmo si passa le mani sulla faccia e poi le ferma sulla bocca, come a bloccare le parole che potrebbero uscirne. Chiude gli occhi, li riapre, tira un gran respiro: «Cosa farebbe se fosse a conoscenza di un segreto che non può essere svelato?»
«Beh, se fossi prete e mi fosse stato rivelato in confessione, il sigillo mi imporrebbe il silenzio.»
«Ma se rispettando il sigillo permettesse un sacrilegio ancora più grande?»
«Quanto più grande?»
«Molto.»
«E tacendo me ne renderei complice. Ho capito bene?»
«Perfettamente.»
«Pregherei, eminenza, perché il Signore m’illumini.»
«Ma l’ho già fatto, che crede?»
«E come è andata? L’ha illuminata?»
«Come un faro, tanto forte da restarne accecato!»
«Eh no, così non si vede un tubo.»
«Ah, l’angoscia, il tormento!» dice l’altro con voce rotta. Si prende la testa tra le mani, le apre, tira su il mento, alza gli occhi al cielo: «Mio Dio perché? Perché mi metti di fronte a una prova così grande? Perché?»
Allora pure Suor Clelia alza gli occhi al cielo, ma come a dire: «Abbi pazienza, è fatto così» e poi a padre Anselmo: «Perché forse pure Lui ne ha abbastanza di tutti questi piagnistei.»
L’altro sgrana gli occhi, apre la bocca con un’espressione che vorrebbe essere indignata, ma che somiglia di più allo stupore di un calcio nel sedere.
Lei finge di non accorgersene: «Insomma, eminenza, qual è il punto?» dice con tono raddolcito.
«Non è un punto, no! È una lama di rasoio sospesa sull’abisso e io ci devo camminare sopra.»
«Ah, bene.»
«Ma come bene? Male, anzi malissimo! Sono a un bivio Suor Clelia, un bivio estremo. Infrangere il sigillo e rivelare tutto oppure tacere? Nel primo caso significherebbe distruggere un progetto di vita, l’identità stessa di quanti ne verrebbero travolti, e non solo la loro, ma di tutti quelli che li amano. Un intero mondo di affetti, di cure e dedizioni crollerebbe e dalle macerie non si salverebbe nulla.»
«E questo non va bene.»
«Oppure rispettare la regola. Tacere. E col silenzio perpetrare un castello di menzogne sacrileghe e permettere che vi si costruiscano sopra altre vite, ingannevoli e scellerate quanto la prima. Negare la verità, la conoscenza, la consapevolezza e, per rispettare una regola, calpestare tutte le altre.»
«Eh sì, Un bel casino.»
«Come scusi?»
«No, niente, continui.»
«In sostanza, qualsiasi cosa decida di fare, sarà comunque una catastrofe.»
«Beh, come ho detto, il problema è complesso e comprendo il suo tormento. Tuttavia…»
«Tuttavia?»
«Se c’è una soluzione, perché preoccuparsi? Se invece una soluzione non c’è, e mi pare questo il caso, perché preoccuparsi?»
«E chi l’avrebbe detto?»
«Oh un mucchio di gente, guardi, da Aristotele a Confucio, tutti d’accordo.»
«E queste sarebbero le perle di saggezza millenaria?»
Suor Clelia si stringe nelle spalle: «L’ha detto lei: qualsiasi cosa sarà comunque catastrofe. Tanto vale giocarsela a testa o croce.»
«Ma che dice! Le pare questione da risolvere con una monetina?»
«Magari no, però il sigillo le impone il silenzio e dunque lei si trova tra l’incudine e il martello. Proprio come una monetina che sta per essere spiaccicata.»
Un’altra folata spalanca la finestra, sbatte, scompiglia, squaderna di nuovo a terra i pochi fogli ch’erano rimasti al loro posto e quelli sistemati sul divanetto. Padre Anselmo li fissa desolato, poi dà un’occhiata fuori: «Dunque dovrei parlare.»
«Allora parli» fa suor Clelia alzandosi per andare a chiudere.
«Ma non posso, non posso!»
«In questo caso le resta solo una cosa da fare» dice l’altra, di nuovo china a raccattare carte.
«Davvero? Quale?»
«Arrovellarsi. Eh sì, mi creda, è la cosa migliore. Lei si mette lì a rimuginare come la centrifuga di una lavatrice, ha presente? Rimugina e si arrovella, si arrovella e rimugina e vedrà che all’improvviso le sarà tutto chiaro.»
«Ma è già tutto chiaro: non c’è soluzione!»
«Beh, una catastrofe sarà pure meno catastrofica dell’altra.»
A questo punto Padre Anselmo fissa suor Clelia. Alla fronte aggrottata adesso si è aggiunto uno strizzamento d’occhi e un lieve dondolio del capo, come rovistasse tra le parole cercando quello che nascondono davvero. Poi la rivelazione: «Si sta prendendo gioco di me!» sbotta.
«Non mi permetterei mai, eminenza» dice lei. Si siede, prende il bricco e riempie la tazzina.
«Oh, sì invece! È più che evidente.»
«E perché mai? Solo perché si sta comportando come un pretino alla prima messa? Solo perché finge di non saperlo?»
«Ma cosa dovrei sapere? Cosa!»
«Lei è stanco e confuso. Sono giorni che va e viene dal capezzale di quel poveretto, dovrebbe riposare.»
«Non cambi discorso. Cosa dovrei sapere?»
Ed è allora che suor Clelia si alza, poggia le mani sulla scrivania e si sporge con un’espressione che induce padre Anselmo a schiacciarsi contro lo schienale: «Che le scelte hanno un prezzo, monsignore» lo dice lentamente, scandendo ogni parola. «Che si paga in termini di colpa e rimorso.»
«Ma questo riguarda le scelte sbagliate.»
«Ah sì? E quali sarebbero le scelte giuste, eh? Me lo sa dire? C’era anche lei in Kenia, e dovrebbe ricordare che laggiù non si partorisce come in una clinica svizzera. Anche allora dovemmo scegliere. Far nascere un orfano o salvare la madre e perdere il piccolo? Salvammo la madre, ma solo perché altrimenti gli orfani sarebbero stati cinque. E l’epidemia di Ebola in Nigeria? Non può averla dimenticata. Morivano soffrendo come bestie, imploravano aiuto. E noi a chi somministrammo le ultime dosi di farmaco? Ai più deboli? No, a quelli che avevano maggiori probabilità di farcela. Come le definirebbe queste scelte, monsignore? Ma soprattutto, come si collocano rispetto alle sue tanto amate regole?»
Anselmo tace a occhi bassi, mentre suor Clelia continua a raccogliere carte e faldoni. E la tempesta a ululare dietro i vetri. «Colpa e rimorso. È questo il prezzo. Sempre» dice impilando i documenti sul divanetto. «Perché l’innocenza non è di questo mondo.» Si gira, lo guarda: «E adesso mi dica che non lo sapeva.»
«Non ce la posso fare» dice Anselmo con la testa tra le mani. «Non stavolta.»
«E che avrebbe di diverso questa?»
«Lei non può sapere come mi sento.»
«Oh, sì invece. Si sente una merda.»
A queste parole Anselmo drizza la schiena come l’avessero schiaffeggiato: «Suor Clelia!»
Lei si gira di scatto: «Suor Clelia un corno! Troppo comodo credersi una merda. Eh sì, perché da quelle non ci si aspetta niente. Niente si chiede e molto si perdona perché sono deboli, inadeguate. Incapaci persino di cadere, perché a terra ci hanno sempre vissuto e solo così lo riconoscono, quello straccio di vita che gli è toccato. Ma quali sono le merde, quelle vere, quelle condannate ad esserlo per sempre? E no, mi spiace, ma lei non è nella lista. Soprattutto non è qui per questo.»
«Ma cosa? Chi l’autorizza a…»
«Le dico solo un nome: Marcus. Aveva solo quindici anni e il coltello con cui aveva sgozzato il padre ancora in tasca. L’aveva usato per salvare la madre e la sorellina e poi è venuto da lei. Se lo ricorda?»
«È passato tanto tempo.»
«Non così tanto, eminenza. Era un assassino, giovane, ma pur sempre un assassino e lei avrebbe potuto fare un mucchio di cose, e tutte secondo le regole. Invece no, l’ha tenuto qui.»
«Parlargli, suor Clelia. Ascoltarlo. Non lo aveva mai fatto nessuno. Prendere un po’ di tempo sperando di convincerlo a fare la cosa giusta. Lui, non io al posto suo.»
«Esatto!» fa l’altra con una gran manata sulla scrivania. «È questo il punto: lei ha rischiato perché fosse lui a scegliere. Perché sapeva che è solo così che si salvano le persone.»
Anselmo annuisce desolato: «Sì, l’ho fatto. Ero giovane…»
«E coraggioso, eminenza. Quella volta, come molte altre, lei non si è tirato indietro. Ha infranto le regole e ha aggiunto il carico a quelli che già portava sulla coscienza. Una merda non l’avrebbe fatto.»
«Stavolta però è diverso.»
«Lo è sempre, lo sa benissimo. Come sa che non serve portare la salvezza dove c’è già. È la tenebra che ha bisogno di luce.»
«Ma io la tenebra ce l’ho nel cuore.»
«E quei ragazzi si amano.»
«Non lo dica, per l’amor di Dio non lo dica!»
«E lei non si nasconda dietro le regole!»
«Ma lei non può sapere, non può nemmeno immaginare…»
A quel punto suor Clelia si avvicina, poggia di nuovo le mani sulla scrivania e di nuovo si sporge: «Ne è sicuro, eminenza?»
«Certo che sono…Un momento, mi sta dicendo…»
«Niente di importante. Solo che ho conosciuto Maria Brunori.»
«La madre di Tommaso!»
«Proprio lei. Una ragazza madre come ce ne sono tante, innamorata dell’uomo sbagliato come succede a tante. L’ho incontrata quando era senza casa e senza lavoro, appena Aldo Chiambrelli, il suo caro amico Aldo, ha saputo che era incinta. Di lui, monsignore, non di altri.»
«Dunque lei sa!»
«E cosa cambia? Tormento, distruzione e sacrilegio dovrebbero essere ancora al loro posto. O no?»
«Ma si rende conto? Quei due ragazzi non possono sposarsi! Sono…»
«Innamorati, monsignore! E mi creda, per quanto mi sforzi, il male non riesco a trovarlo. Forse perché sta da un’altra parte.»
Tacciono. Suor Clelia ricomincia a radunare le carte. Il vento scuote i rami, sibila tra le fessure, fa scricchiolare gli infissi come volesse a tutti i costi entrare.
In quel momento suona il telefono.
«Elena!» fa padre Anselmo. Ascolta, chiude gli occhi annuisce: «Certo» dice in un sussurro. Annuisce ancora, aggrotta la fronte. Poi mette giù. «Aldo se n’è andato.»
«Che il Signore lo accolga e gli dia pace» dice suor Clelia. «Come sta?»
«Come vuole che stia? Era un amico.»
«Non lei, Elena.»
«Addolorata, ovviamente. E confusa. Dice che…»
«Che?»
«Dice che rimandare le nozze dopotutto non è un male. Che potrebbe essere un’occasione per riflettere. E poi ha aggiunto una cosa che non mi aspettavo: “Perché mi sono accorta di amare moltissimo Tommaso, come un fratello. Ma credo che l’amore sia un’altra cosa.” Sì, ha detto proprio così.»
Suor Clelia chiude gli occhi e fa un gran respiro, qualcosa tra il sollievo e la gratitudine, poi si gira verso la finestra: «Guardi, la tempesta si è placata.»
Anselmo si alza, la raggiunge: «Si sta facendo giorno.»
E tutti e due restano a guardare il nero che a poco a poco impallidisce, si inchina al rosso, al viola, al rosa e finalmente all’oro che fiammeggia sontuoso tra gli alberi.
Sorridono, con gli occhi sgranati come due bambini davanti a una magia.
«Ha mai visto qualcosa di più bello?» dice lei.
Anselmo scuote appena testa e con le dita si asciuga qualcosa che gli colava dagli occhi: «Mi ha perdonato» sussurra.
«Sì. Lo fa sempre.»
Lui tira un gran sospiro e poi: «Che dice? Potrebbe essere l’ora di un caffè. Uno vero però.»
Lei lo guarda. Il sorriso le è rimasto in faccia, pure se vorrebbe fare il broncio: «Non se lo meriterebbe, ma glielo faccio lo stesso.» Prende il vassoio, si avvia.
E lascia Anselmo a meditare su coronarie e caffeina, regole e coraggio, salvezza e dannazione. E su quel senso di consolazione e rimpianto insieme che gli pesa un poco nel petto, più o meno dalle parti del cuore.
Una sensazione strana davvero.
Come di occasione persa.
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E poi vento, che spalanca la finestra, manda all’aria carte e documenti e fa sbattere l’anta così forte che i vetri scricchiolano mentre la pioggia irrompe a bagnare il pavimento.
Padre Anselmo si precipita, si china a raccogliere, ma più fogli riesce ad afferrare, più gliene scivolano di nuovo a terra. Si ferma e alza gli occhi al cielo: «Vuoi dirmi qualcosa, vero?»
«Che se non chiude, tanto vale uscire a fare una passeggiata» fa una voce alle sue spalle.
Suor Clelia. Massiccia, il corpo e il volto scolpito da anni di missioni nelle favelas brasiliane, non fosse stato per gli scherzi delle coronarie se ne starebbe ancora lì, «Quello è il mio posto, che ci faccio tra marmi e parquet?» brontola immusonita quando crede che nessuno la senta.
Poggia il vassoio sulla scrivania, chiude la finestra, si ferma a guardare lo sfacelo sparso per terra e poi padre Anselmo, che intanto è crollato sulla sedia dietro la scrivania.
«Ha un aspetto orribile» gli fa scuotendo la testa. Poi si china, afferra bracciate di carte e le svalanga sul divanetto di fronte alla libreria. «Domando e dico a che le serviranno mai…»
«No, lasci stare» fa Anselmo. Dà un’occhiata al vassoio: «Non è un po’ presto per la colazione?»
«Presto, tardi, che cambia? A cena non ha toccato cibo, tanto vale far finta che sia cominciato un altro giorno.»
«Non ho fame.»
«Non importa. Pensi che sia una medicina.»
L’altro sospira, prende un cornetto, lo tuffa nel caffellatte, lo addenta e mestamente comincia a masticare.
Suor Clelia scosta la poltroncina davanti alla scrivania, si siede e incrocia le braccia: «Dunque?»
«Dunque cosa?»
«Che succede?»
«Piove e fa freddo.»
Lei tace, lo fissa e aspetta con la faccia che dice: «Tanto prima o poi me lo dici.»
E infatti: «Aldo. Ormai non gli resta molto.»
«Avrebbe potuto restare con lui. Andarsene con un amico che ti tiene la mano può essere…»
L’altro scuote la testa: «Non ha voluto.»
Lei annuisce, stringe le labbra, guarda il bricco di caffè e la tazzina accanto ai cornetti: «Permette?»
«Ma certo. Ha portato per due, perché me lo chiede?»
«Comunque non me la bevo.»
«La capisco, questo non è caffè. È una vera schifezza.»
«L’ho fatto con l’orzo ed è buonissimo» fa lei stizzita. «In ogni caso, intendevo il motivo.»
«E me lo chiedo pure io: perché l’orzo?»
«Per le sue coronarie.»
«Che le hanno fatto di male?»
«Intendevo il motivo per cui è ridotto uno straccio». Beve un sorso, fa una smorfia e posa la tazzina.
«Buonissimo, eh?»
«Ottimo» fa lei con la faccia impunita. «Dicevo, che Aldo sia arrivato alla fine, purtroppo non è una sorpresa. Tuttavia non è un motivo sufficiente per ridursi in questo stato. Non lei.»
Padre Anselmo si stringe nelle spalle, sceglie un altro cornetto dal piattino e mestamente gli fa fare la stessa fine del primo.
Mastica, sospira e alla fine: «È un guaio, suor Clelia. Un guaio grosso.»
«Più che altro una cosa molto triste» dice lei scrutando il cornetto superstite. «Poveri ragazzi. Intendo Elena, la figlia di Aldo, e Tommaso, proprio alla vigilia delle nozze. Adesso dovranno…».
«Taccia, per l’amor di Dio taccia!» grida Anselmo.
«D’accordo, taccio» fa lei interdetta. «Ciò non toglie che quei ragazzi si amano e avrebbero voluto…»
«No, no!» urla l’altro.
«Perché no? Che c’è di male?»
«Tutto, tutto! Lei non può capire!»
«E se non me lo dice…»
«Non posso!»
«Io non posso capire, lei non può parlare, guardi che siamo messi male.»
Anselmo scuote la testa: «Ci sono delle regole.»
«Certo, tutti dobbiamo rispettare le regole.»
«Perché sono promesse. E senza quelle ci perderemmo.»
«Ma sì, ovvio.»
«Perché siamo piccoli e infinitamente deboli.»
«Certo, le regole. Dunque sono quelle che le tolgono il sonno.»
«No, vede, la regola in sé andrebbe pure bene… È, come dire?… È l’argomento a cui si applica…»
«Eminenza, sono le cinque del mattino, abbia pietà.»
Anselmo si passa le mani sulla faccia e poi le ferma sulla bocca, come a bloccare le parole che potrebbero uscirne. Chiude gli occhi, li riapre, tira un gran respiro: «Cosa farebbe se fosse a conoscenza di un segreto che non può essere svelato?»
«Beh, se fossi prete e mi fosse stato rivelato in confessione, il sigillo mi imporrebbe il silenzio.»
«Ma se rispettando il sigillo permettesse un sacrilegio ancora più grande?»
«Quanto più grande?»
«Molto.»
«E tacendo me ne renderei complice. Ho capito bene?»
«Perfettamente.»
«Pregherei, eminenza, perché il Signore m’illumini.»
«Ma l’ho già fatto, che crede?»
«E come è andata? L’ha illuminata?»
«Come un faro, tanto forte da restarne accecato!»
«Eh no, così non si vede un tubo.»
«Ah, l’angoscia, il tormento!» dice l’altro con voce rotta. Si prende la testa tra le mani, le apre, tira su il mento, alza gli occhi al cielo: «Mio Dio perché? Perché mi metti di fronte a una prova così grande? Perché?»
Allora pure Suor Clelia alza gli occhi al cielo, ma come a dire: «Abbi pazienza, è fatto così» e poi a padre Anselmo: «Perché forse pure Lui ne ha abbastanza di tutti questi piagnistei.»
L’altro sgrana gli occhi, apre la bocca con un’espressione che vorrebbe essere indignata, ma che somiglia di più allo stupore di un calcio nel sedere.
Lei finge di non accorgersene: «Insomma, eminenza, qual è il punto?» dice con tono raddolcito.
«Non è un punto, no! È una lama di rasoio sospesa sull’abisso e io ci devo camminare sopra.»
«Ah, bene.»
«Ma come bene? Male, anzi malissimo! Sono a un bivio Suor Clelia, un bivio estremo. Infrangere il sigillo e rivelare tutto oppure tacere? Nel primo caso significherebbe distruggere un progetto di vita, l’identità stessa di quanti ne verrebbero travolti, e non solo la loro, ma di tutti quelli che li amano. Un intero mondo di affetti, di cure e dedizioni crollerebbe e dalle macerie non si salverebbe nulla.»
«E questo non va bene.»
«Oppure rispettare la regola. Tacere. E col silenzio perpetrare un castello di menzogne sacrileghe e permettere che vi si costruiscano sopra altre vite, ingannevoli e scellerate quanto la prima. Negare la verità, la conoscenza, la consapevolezza e, per rispettare una regola, calpestare tutte le altre.»
«Eh sì, Un bel casino.»
«Come scusi?»
«No, niente, continui.»
«In sostanza, qualsiasi cosa decida di fare, sarà comunque una catastrofe.»
«Beh, come ho detto, il problema è complesso e comprendo il suo tormento. Tuttavia…»
«Tuttavia?»
«Se c’è una soluzione, perché preoccuparsi? Se invece una soluzione non c’è, e mi pare questo il caso, perché preoccuparsi?»
«E chi l’avrebbe detto?»
«Oh un mucchio di gente, guardi, da Aristotele a Confucio, tutti d’accordo.»
«E queste sarebbero le perle di saggezza millenaria?»
Suor Clelia si stringe nelle spalle: «L’ha detto lei: qualsiasi cosa sarà comunque catastrofe. Tanto vale giocarsela a testa o croce.»
«Ma che dice! Le pare questione da risolvere con una monetina?»
«Magari no, però il sigillo le impone il silenzio e dunque lei si trova tra l’incudine e il martello. Proprio come una monetina che sta per essere spiaccicata.»
Un’altra folata spalanca la finestra, sbatte, scompiglia, squaderna di nuovo a terra i pochi fogli ch’erano rimasti al loro posto e quelli sistemati sul divanetto. Padre Anselmo li fissa desolato, poi dà un’occhiata fuori: «Dunque dovrei parlare.»
«Allora parli» fa suor Clelia alzandosi per andare a chiudere.
«Ma non posso, non posso!»
«In questo caso le resta solo una cosa da fare» dice l’altra, di nuovo china a raccattare carte.
«Davvero? Quale?»
«Arrovellarsi. Eh sì, mi creda, è la cosa migliore. Lei si mette lì a rimuginare come la centrifuga di una lavatrice, ha presente? Rimugina e si arrovella, si arrovella e rimugina e vedrà che all’improvviso le sarà tutto chiaro.»
«Ma è già tutto chiaro: non c’è soluzione!»
«Beh, una catastrofe sarà pure meno catastrofica dell’altra.»
A questo punto Padre Anselmo fissa suor Clelia. Alla fronte aggrottata adesso si è aggiunto uno strizzamento d’occhi e un lieve dondolio del capo, come rovistasse tra le parole cercando quello che nascondono davvero. Poi la rivelazione: «Si sta prendendo gioco di me!» sbotta.
«Non mi permetterei mai, eminenza» dice lei. Si siede, prende il bricco e riempie la tazzina.
«Oh, sì invece! È più che evidente.»
«E perché mai? Solo perché si sta comportando come un pretino alla prima messa? Solo perché finge di non saperlo?»
«Ma cosa dovrei sapere? Cosa!»
«Lei è stanco e confuso. Sono giorni che va e viene dal capezzale di quel poveretto, dovrebbe riposare.»
«Non cambi discorso. Cosa dovrei sapere?»
Ed è allora che suor Clelia si alza, poggia le mani sulla scrivania e si sporge con un’espressione che induce padre Anselmo a schiacciarsi contro lo schienale: «Che le scelte hanno un prezzo, monsignore» lo dice lentamente, scandendo ogni parola. «Che si paga in termini di colpa e rimorso.»
«Ma questo riguarda le scelte sbagliate.»
«Ah sì? E quali sarebbero le scelte giuste, eh? Me lo sa dire? C’era anche lei in Kenia, e dovrebbe ricordare che laggiù non si partorisce come in una clinica svizzera. Anche allora dovemmo scegliere. Far nascere un orfano o salvare la madre e perdere il piccolo? Salvammo la madre, ma solo perché altrimenti gli orfani sarebbero stati cinque. E l’epidemia di Ebola in Nigeria? Non può averla dimenticata. Morivano soffrendo come bestie, imploravano aiuto. E noi a chi somministrammo le ultime dosi di farmaco? Ai più deboli? No, a quelli che avevano maggiori probabilità di farcela. Come le definirebbe queste scelte, monsignore? Ma soprattutto, come si collocano rispetto alle sue tanto amate regole?»
Anselmo tace a occhi bassi, mentre suor Clelia continua a raccogliere carte e faldoni. E la tempesta a ululare dietro i vetri. «Colpa e rimorso. È questo il prezzo. Sempre» dice impilando i documenti sul divanetto. «Perché l’innocenza non è di questo mondo.» Si gira, lo guarda: «E adesso mi dica che non lo sapeva.»
«Non ce la posso fare» dice Anselmo con la testa tra le mani. «Non stavolta.»
«E che avrebbe di diverso questa?»
«Lei non può sapere come mi sento.»
«Oh, sì invece. Si sente una merda.»
A queste parole Anselmo drizza la schiena come l’avessero schiaffeggiato: «Suor Clelia!»
Lei si gira di scatto: «Suor Clelia un corno! Troppo comodo credersi una merda. Eh sì, perché da quelle non ci si aspetta niente. Niente si chiede e molto si perdona perché sono deboli, inadeguate. Incapaci persino di cadere, perché a terra ci hanno sempre vissuto e solo così lo riconoscono, quello straccio di vita che gli è toccato. Ma quali sono le merde, quelle vere, quelle condannate ad esserlo per sempre? E no, mi spiace, ma lei non è nella lista. Soprattutto non è qui per questo.»
«Ma cosa? Chi l’autorizza a…»
«Le dico solo un nome: Marcus. Aveva solo quindici anni e il coltello con cui aveva sgozzato il padre ancora in tasca. L’aveva usato per salvare la madre e la sorellina e poi è venuto da lei. Se lo ricorda?»
«È passato tanto tempo.»
«Non così tanto, eminenza. Era un assassino, giovane, ma pur sempre un assassino e lei avrebbe potuto fare un mucchio di cose, e tutte secondo le regole. Invece no, l’ha tenuto qui.»
«Parlargli, suor Clelia. Ascoltarlo. Non lo aveva mai fatto nessuno. Prendere un po’ di tempo sperando di convincerlo a fare la cosa giusta. Lui, non io al posto suo.»
«Esatto!» fa l’altra con una gran manata sulla scrivania. «È questo il punto: lei ha rischiato perché fosse lui a scegliere. Perché sapeva che è solo così che si salvano le persone.»
Anselmo annuisce desolato: «Sì, l’ho fatto. Ero giovane…»
«E coraggioso, eminenza. Quella volta, come molte altre, lei non si è tirato indietro. Ha infranto le regole e ha aggiunto il carico a quelli che già portava sulla coscienza. Una merda non l’avrebbe fatto.»
«Stavolta però è diverso.»
«Lo è sempre, lo sa benissimo. Come sa che non serve portare la salvezza dove c’è già. È la tenebra che ha bisogno di luce.»
«Ma io la tenebra ce l’ho nel cuore.»
«E quei ragazzi si amano.»
«Non lo dica, per l’amor di Dio non lo dica!»
«E lei non si nasconda dietro le regole!»
«Ma lei non può sapere, non può nemmeno immaginare…»
A quel punto suor Clelia si avvicina, poggia di nuovo le mani sulla scrivania e di nuovo si sporge: «Ne è sicuro, eminenza?»
«Certo che sono…Un momento, mi sta dicendo…»
«Niente di importante. Solo che ho conosciuto Maria Brunori.»
«La madre di Tommaso!»
«Proprio lei. Una ragazza madre come ce ne sono tante, innamorata dell’uomo sbagliato come succede a tante. L’ho incontrata quando era senza casa e senza lavoro, appena Aldo Chiambrelli, il suo caro amico Aldo, ha saputo che era incinta. Di lui, monsignore, non di altri.»
«Dunque lei sa!»
«E cosa cambia? Tormento, distruzione e sacrilegio dovrebbero essere ancora al loro posto. O no?»
«Ma si rende conto? Quei due ragazzi non possono sposarsi! Sono…»
«Innamorati, monsignore! E mi creda, per quanto mi sforzi, il male non riesco a trovarlo. Forse perché sta da un’altra parte.»
Tacciono. Suor Clelia ricomincia a radunare le carte. Il vento scuote i rami, sibila tra le fessure, fa scricchiolare gli infissi come volesse a tutti i costi entrare.
In quel momento suona il telefono.
«Elena!» fa padre Anselmo. Ascolta, chiude gli occhi annuisce: «Certo» dice in un sussurro. Annuisce ancora, aggrotta la fronte. Poi mette giù. «Aldo se n’è andato.»
«Che il Signore lo accolga e gli dia pace» dice suor Clelia. «Come sta?»
«Come vuole che stia? Era un amico.»
«Non lei, Elena.»
«Addolorata, ovviamente. E confusa. Dice che…»
«Che?»
«Dice che rimandare le nozze dopotutto non è un male. Che potrebbe essere un’occasione per riflettere. E poi ha aggiunto una cosa che non mi aspettavo: “Perché mi sono accorta di amare moltissimo Tommaso, come un fratello. Ma credo che l’amore sia un’altra cosa.” Sì, ha detto proprio così.»
Suor Clelia chiude gli occhi e fa un gran respiro, qualcosa tra il sollievo e la gratitudine, poi si gira verso la finestra: «Guardi, la tempesta si è placata.»
Anselmo si alza, la raggiunge: «Si sta facendo giorno.»
E tutti e due restano a guardare il nero che a poco a poco impallidisce, si inchina al rosso, al viola, al rosa e finalmente all’oro che fiammeggia sontuoso tra gli alberi.
Sorridono, con gli occhi sgranati come due bambini davanti a una magia.
«Ha mai visto qualcosa di più bello?» dice lei.
Anselmo scuote appena testa e con le dita si asciuga qualcosa che gli colava dagli occhi: «Mi ha perdonato» sussurra.
«Sì. Lo fa sempre.»
Lui tira un gran sospiro e poi: «Che dice? Potrebbe essere l’ora di un caffè. Uno vero però.»
Lei lo guarda. Il sorriso le è rimasto in faccia, pure se vorrebbe fare il broncio: «Non se lo meriterebbe, ma glielo faccio lo stesso.» Prende il vassoio, si avvia.
E lascia Anselmo a meditare su coronarie e caffeina, regole e coraggio, salvezza e dannazione. E su quel senso di consolazione e rimpianto insieme che gli pesa un poco nel petto, più o meno dalle parti del cuore.
Una sensazione strana davvero.
Come di occasione persa.
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