[CN24] Il buio che filtra
Posted: Sat Jan 04, 2025 5:41 pm
Pacco n.2 Epilogo
Antonio Nucciarelli si disse che con l’anno nuovo avrebbe sistemato la tapparella. Delle mattine, per qualche strano allineamento tra Terra e Sole, un fascio di luce lo beccava giusto in faccia poco dopo l’alba.
I buoni propositi, già da qualche lustro, erano diventati un lusso che si concedeva in maniera più o meno inconsapevole, come baluardo contro una vita che sembrava scorrergli di lato.
Dopotutto si trattava di trovare un paio di ore libere: la stecca da inserire era già in garage.
L’aveva comprata sei anni prima, un venerdì pomeriggio: Carla voleva chiamare un operaio e lui si sentì quasi offeso, forte delle estati che aveva passato in officina con suo zio, a 14 anni, negli infiniti pomeriggi estivi in cui andavano in ferie anche le trasmissioni radiofoniche.
L’aveva scaricata nel box auto e da allora non l’aveva più toccata e Carla non aveva mai perso occasione per rinfacciarglielo. Delle volte pensava che fosse Carla, con qualche oscura macchinazione, a pilotare quei raggi di sole per perpetrare le sue ragioni. Anche adesso, da chissà dove.
Strofinò gli occhi un paio di volte per prendere confidenza con la giornata, scostò le coperte e un brivido gli percorse l'addome per poi scivolare lungo la schiena. Si mise seduto, la sveglia segnava le 5:24.
Ripassò mentalmente la scena: la ragazza, Marta Russo 24 anni, adagiata sul sedile posteriore della Panda, i vestiti ricoperti di sangue, un unico taglio netto lungo la gola e due raccapriccianti incisioni sul viso, come a simboleggiare un sorriso, fatte dopo il decesso, secondo il dott. Santi.
Nel baule dell’auto la ragazza aveva un borsone con il costume di Babbo Natale e un paio di scarpe della Gucci.
Lussi e buoni propositi, pensò Nucciarelli. Si chiese quale dei due fosse più inutile a 20 anni.
Arrivò in bagno, pisciò a intermittenza. Una visita urologica non era ancora stata inserita nella lista dei buoni propositi: questione di priorità, pensò.
Luna grattò la porta con la zampa buona. Quando la raccolse per strada, attaccata a un palo della luce, non arrivava a dieci chili; i suoi occhi enormi raccontavano una fame che Nucciarelli non aveva mai visto. Aveva la zampa anteriore sinistra massacrata, forse dai tentativi di liberarsi. La dovettero amputare e pagare le spese del veterinario fu una delle poche cose su cui lui e Carla non discussero.
Nucciarelli aprì la porta del bagno e Luna entrò portandosi dietro quel modo tutto suo di occupare lo spazio. Gli si avvicinò, annusò il bordo del pantalone del pigiama e si accoccolò davanti al lavandino. Nucciarelli si buttò sotto la doccia; l’acqua gli batté sul corpo e scivolò sulla pelle, lungo le braccia, seguendo la schiena.
Si infilo nell’accappatoio e tornò in camera da letto, Luna lo seguì. La sveglia segnava le 6:08. Alzò la tapparella e lanciò uno sguardo in strada. Le luci delle luminarie rimbalzavano sui sampietrini ancora umidi.
Si vestì e salutò Luna.
Ormai, dopo quasi trent’anni, Napoli era una città anche sua. Soprattutto in inverno, la mattina presto. Gli piaceva camminare con il freddo, sentirlo risalire tra i vestiti. Lo aiutava a pensare.
Entrò in un bar, si accomodò a un tavolo e chiese un caffè schiumato. Lo servì un ragazzo sulla trentina con gli occhi arrossati e i capelli spettinati.
Entrò una ragazza sui venticinque anni e chiese il prezzo per una colazione a domicilio, aveva dei capelli neri lunghi fino alle spalle e un paio di stivaletti beige.
Si mise a pensare. Il pomeriggio c'era stato Renato Miele, 33 anni, trovato nei bagni del centro commerciale. Arresto cardiaco fulminante. Dal referto di Santi non erano emersi segni di avvelenamento.
Pagò il caffè, osservò di nuovo la ragazza al bancone impegnata a scegliere una scatola. Salutò e andò via.
Le strade si erano riempite e il Sole aveva scacciato anche gli ultimi residui di umidità. Nucciarelli si avviò alla metropolitana con la rassicurante sensazione di essere uno dei tanti.
Arrivò in commissariato prima delle otto. Corrado D’Angelo era già lì; lo salutò con un sorriso. C’era un qualcosa di genuino nel suo attaccamento al lavoro.
«Novità?»
«Nei video niente di strano.»
«Guardaci bene, mi raccomando.»
D’Angelo fece un cenno di intesa e riprese a esaminare le immagini alla ricerca di qualcosa che neanche lui sapeva.
Nucciarelli entrò nel suo ufficio e prese una delle cartelline etichettate con il suo nome della ragazza. Nelle immagini, il suo viso deturpato lo fissava con una freddezza che gli faceva venire i brividi.
A lato c’erano altre foto, quella della Panda, con il borsone e il costume di Babbo Natale, che sembrava quasi sbeffeggiarlo, con quel suo colore acceso che strideva con il grigio del sangue rappreso sul sedile.
Passò al fascicolo di Renato Miele. Guardò la foto dell’uomo disteso sul pavimento, con il volto contratto.
Due Babbo Natale in un giorno. La casualità, nel suo lavoro, era spesso l'ipotesi più attendibile, ma doveva essere l'ultima a essere presa in considerazione. Rilesse i referti di Santi, frugò tra i contenitori con gli oggetti recuperati dalle scene del crimine, poi prese le scatole con le letterine dei bambini, ne estrasse una. Osservò la grafia incerta, il disegno del pupazzo di neve: il bambino, Tommaso di 9 anni, chiedeva dei giochi di cui lui non aveva mai sentito parlare.
Capovolse le due scatole e dispose le letterine una sull’altra, formò due torri piene di richieste e di promesse.
Le aprì tutte e cominciò a leggerle, poi lo interruppe il telefono interno:
«Sono D’Angelo. Un altro morto: Pasquale Moccia, 33 anni.»
«Dove?»
«Casa sua! Ieri ha fatto il Babbo Natale al centro di Piazza Garibaldi. Arresto cardiaco.»
«Chi c’è sul posto?»
«Esposito e Palazzuolo.»
«Manda anche Santi e recupera i video.»
«Sarà fatto!»
«Un’altra cosa: fatti dare la scatola con le letterine.»
«Letterine?»
«Sì! Ci deve essere una scatola per le letterine dei bambini, fidati. Tutti ‘sti Babbo Natale morti… sono stati ammazzati, Corrado, altro che arresto cardiaco!»
D’Angelo non ebbe il tempo di rispondere, che Nucciarelli aveva già riattaccato.
Quando D’Angelo arrivò con i video, Nucciarelli aveva preparato la lavagna magnetica. Invitò il giovane collega a sedersi e attaccò con un magnete due letterine.
«Guarda.»
D’Angelo aggrottò la fronte, lesse i due fogli che riportavano la stessa scritta stampata: “Un regalo per il mondo”.
«Ci giochiamo il turno del 31 notte che ne troviamo una uguale nella scatola di Moccia?» Nucciarelli proseguì «E se poi incrociando i video riuscissimo a individuare chi ha inserito le letterine nella scatola...»
«... avremmo fatto tombola!»
«Mi accontenterei di un terno.»
«Tranquillo, vi trovo l’uomo prima di stasera.»
D'Angelo si posizionò dietro tre schermi, utilizzò programmi di riconoscimento facciale, osservò vestiti, studiò modi camminare e muovere le mani. Due agenti lo affiancavano prendendo appunti. Dopo due ore in cui dilazionarono anche i battiti delle palpebre, individuarono un uomo con un giaccone blu scuro che compariva in tutti i video.
D'Angelo ricordò quella volta in cui, molti anni prima, durante un compito di latino della seconda liceo, improvvisamente, trovò il senso della versione di latino dopo un'ora passata a disperarsi. Ebbe la sensazione di essere stato illuminato da una luce divina.
Dai video selezionò dei fermi e li stampò, ripercorse il tragitto dell'uomo in ognuno dei centri commerciali, individuò l'auto e il numero di targa.
Corse a chiamare Nucciarelli, con lo stesso misto di ansia e soddisfazione di quando consegnò la versione.
«Si chiama Michele Luogo. L'auto è intestata a Filomena Capasso. Pensiamo sia la madre.»
Nucciarelli lo guardò compiaciuto; D’angelo sorrise e gli mostrò gli spezzoni che aveva selezionato. Poi proseguì:
«Ha lavorato fino al mese scorso al Leroy Merlin in uno dei centri commerciali in cui ha consegnato le letterine, quello di Casoria.»
«Andiamoci!».
D'Angelo osservò l'ispettore attaccare le stampe dei fermo immagine sulla lavagna magnetica. Come in seconda liceo, pregò Dio di non aver fatto cazzate.
Il responsabile del punto vendita, Salvatore Ruocco, li accolse con uno sguardo serio e il volto preoccupato. Nucciarelli lo studiò: aveva un completo blu e capelli neri tirati all'indietro. Gli mostrò le immagini dell'uomo.
«Michele Luongo, bravo ragazzo. Ma non è stato possibile rinnovare il contratto e lui non l'ha presa benissimo.»
Nucciarelli tirò fuori le foto delle vittime, ma fu interrotto da D’Angelo: «Hanno chiamato dal commissariato: Luongo è lì, si è presentato spontaneamente.»
Al rientro trovarono Michele Luongo seduto nell’ufficio degli interrogatori, lo osservarono dal vetro della stanza. L’uomo, sui quarant’anni, aveva il viso segnato dalla stanchezza e gli occhi gonfi.
Nucciarelli entrò per primo, seguito da D’Angelo.
«Michele Luongo?»
«Sì», la voce dell’uomo era un sussurro.
«Signor Luongo, sarò diretto: di quante altre letterine dobbiamo preoccuparci?»
Luongo sgranò gli occhi.
«Io… Io non sapevo…» La sua voce si spezzò.
«Non lo sapeva?» tagliò corto Nucciarelli. «Allora ci dica cosa ha fatto. Dove sono le altre letterine e in quali centri commerciali sono state portate.»
Luongo abbassò lo sguardo, stringendo i pugni come se volesse aggrapparsi a una verità che sfuggiva anche a lui.
«Afragola… Ne ho consegnate quattro e resta quella di Afragola.»
Nucciarelli si voltò verso D’Angelo.
«Dai ordine di rintracciare chi ha lavorato come Babbo Natale ad Afragola ieri. Fai in modo che si rechi in ospedale, immediatamente.»
D’Angelo annuì e lasciò la stanza. Nucciarelli si fece più incalzante.
«Li ha avvelenati? E la ragazza?»
Luongo si portò le mani al volto, soffocando un singhiozzo: «Non era niente di male!» esplose «Me l’hanno chiesto! Ho solo consegnato le letterine.»
Nucciarelli si sporse leggermente in avanti, il tono calmo ma il suo sguardo tagliente.
«Chi gliel’ha chiesto?»
«Non lo so.» implorò Luongo «Uno che mi ha chiamato…». Le sue parole sembravano spegnersi in un lamento, mentre affondava nella sedia.
«Mi sta dicendo che un perfetto sconosciuto l’ha chiamata e le ha chiesto di fare il giro di tre centri commerciali per consegnare delle letterine?»
«Sì. Non ho ammazzato nessuno. E non ho mai visto nessuno; hanno lasciato tutto nella cassetta delle lettere di mia madre.»
Nucciarelli rimase in silenzio, scrutando ogni movimento dell’uomo. Alla fine, si alzò senza una parola e uscì dalla stanza.
D’Angelo gli andò incontro:
«Ha confessato ispettore? Li ha ammazzati?»
«È solo un povero disperato.»
«Un disperato che ha ammazzato tre persone.»
Nucciarelli scosse la testa.
«Corrado, tu lo immagini questo tipo che provoca infarti, sgozza una ragazza e la sfigura? Possiamo trattenerlo, ma sa altro.»
D’Angelo annuì, ma il dubbio gli bruciava negli occhi.
«E tu cerca di tornare a casa a un orario decente, stasera. È Natale, Corrado.»
Poco dopo, Nucciarelli bussò alla porta di Santi. Entrò senza aspettare risposta.
«Vuoi farmi gli auguri, Anto’?» chiese Santi, sistemando alcune carte sulla scrivania.
Nucciarelli sospirò prima di parlare.
«Che ne pensi di D’Angelo?»
«In che senso? è una brava persona.»
Nucciarelli sorrise, poi riprese a parlare: «Sai? mio padre era un grande appassionato di calcio. Quando era già terminale, e soffriva come un cane, mi chiese il risultato di una partita di Coppa Italia…» Santi lo ascoltava «…mi sono sempre chiesto: che senso ha sapere il risultato di una partita poco prima di morire?»
«Non saprei»
«Te lo dico io: nessuno! E credo che sia una sensazione terribile. Perché ti accorgi che non è solo quel risultato a non avere senso, ma tutti gli altri risultati di cui hai chiesto. Non hanno senso le partite che hai visto, le volte che ti sei incazzato. Come si reagisce a una cosa del genere?»
«Non lo accetti.»
Nucciarelli annuì: «Esatto! Allora, fino alla fine, continui a chiedere, come se fosse importante.» Santi rimase in silenzio, lasciando che l’amico continuasse, «Sai, Giovanni, lavorativamente parlando io sono un malato terminale. Sono prossimo alla pensione, e lavorare con D’Angelo… tentare di trasmettergli qualcosa… è stato un po’ come chiedere i risultati delle partite. Come non voler ammettere che sia stato tutto inutile.»
«E ora pensi che lo sia?»
Nucciarelli si sfiorò il mento con una mano.
«Non lo so. Ma ti dico una cosa: quel ragazzo ha tanta buona volontà, ma non ha il fiuto. Quel maledetto fiuto che a volte viaggia per conto suo.»
Nucciarelli aprì la cartellina sulla scrivania di Santi e gli mostrò le foto di Renato Miele: il cadavere nel bagno e la postazione in cui aveva lavorato.
«Che ne pensi?»
«Non so che pensare, se non ci fossero stati altri casi ti direi che è un arresto cardiaco per case naturali.»
Nucciarelli cerchiò un punto su una delle foto.
«Sai cosa è questa?» Santi rispose di no. «Una scatola per colazioni: fai arrivare la colazione a chi vuoi. Erano giorni che arrivavano ai centri commerciali e ieri sono arrivate ai babbo natale.»
Santi rimase in silenzio.
«Sono piuttosto elaborate, all’interno sono compartimentate: il caffè, il succo, il cornetto, ogni cosa ha un suo posto. Un po’ troppo per una colazione, non trovi? Ho fatto qualche domanda ai bar: nessuno le usa. Ma se un cliente porta la sua scatola, possono prepararla e consegnarla.»
Si fermò un attimo, il tono si fece più cupo.
«Se si potesse inserire una capsula a rilascio graduale di veleno? Nel momento in cui la scatola viene chiusa il veleno viene rilasciato con nel compartimento desiderato. Magari quello del cornetto. Credimi, è tutta la giornata che mi ripeto quanto sia assurdo. Dai tuoi referti non ci sono segni di avvelenamento.» Fece un'altra pausa. «Dico bene?»
Santi lo fissava senza muovere alcun muscolo. Nucciarelli continuò.
«Certo, se poi il cornetto non viene mangiato tutto il marchingegno diventa inutile e bisogna agire diversamente.»
Nucciarelli si fece più insistente:
«Marta Russo era celiaca, lo sai? C’erano degli snack in auto. I celiaci i cornetti non li mangiano.»
Mentre parlava posizionò le letterine sulla scrivania.
«Poi ci sono queste: un dono per il mondo».
Nucciarelli, tirò fuori una foto che aveva nel portafogli.
«Natale 2017.»
Santi lo interruppe.
«Basta così, Antonio.»
«Ho inviato in un laboratorio una delle scatole, sono in attesa dei risultati.»
Santi scosse il capo:
«Non c'è bisogno. Se vuoi puoi arrestarmi ora.»
Nucciarelli sospirò, poi aggiunse.
«Ti capisco Giovanni, questo è il terzo Natale che passo senza Carla e farei qualunque cosa per poter passare anche dieci minuti con lei. Ma so che non sei stato tu! non rendermi le cose più complicate.»
Riprese la foto, questa volta la posizionò sulla scrivania.
«Natale 2017. Un regalo per il mondo.»
Santi tratteneva le lacrime a fatica.
«Fu tua moglie, Lisa, ad accompagnare tuo figlio sul palco. Gli dissero di sorridere.»
Santi crollò
«Si può chiedere di sorridere a un ragazzo che non riesce a reggersi in piedi? Doveva essere una raccolta fondi: c'erano i canti, lo spettacolo, i tizi vestiti da babbo Natale. Sparirono con i soldi. Una truffa, non si seppe più nulla. Mio figlio non arrivò al natale successivo. Lisa non si è più ripresa. Non immaginavo che arrivasse a tanto, sfigurare il volto di quella ragazza. Avvelenare quegli uomini.»
Nucciarelli sentì una fitta allo stomaco, ripose la sua foto nel portafogli.
«Torna a casa.»
Santi lo guardò incredulo, indossò il cappotto e chiuse l'ufficio.
Nucciarelli lo accompagnò fino all'auto. C'era musica in lontananza e luci sui balconi, l’aria fredda appesantiva ogni passo.
«Non hai paura che lei, che noi...»
«Per andare dove? Lisa si costituirà domani e tu dovrai lasciarla andare.»
L'ispettore Nucciarelli chiuse il fascicolo e lo ripose nella pila "Archiviati". Gli sembrò quasi impossibile aver risolto quel caso così intricato in sole quarantott'ore, eppure ce l'aveva fatta: il serial killer dei Babbo Natale, nei centri commerciali, era stato arrestato grazie al suo fiuto. E a proposito di fiuto... Luna lo attendeva a casa, di sicuro impaziente e pronta a "scartare" l'osso di gomma, quello nel pacchetto rosso con il fiocco verde al centro.
Antonio Nucciarelli si disse che con l’anno nuovo avrebbe sistemato la tapparella. Delle mattine, per qualche strano allineamento tra Terra e Sole, un fascio di luce lo beccava giusto in faccia poco dopo l’alba.
I buoni propositi, già da qualche lustro, erano diventati un lusso che si concedeva in maniera più o meno inconsapevole, come baluardo contro una vita che sembrava scorrergli di lato.
Dopotutto si trattava di trovare un paio di ore libere: la stecca da inserire era già in garage.
L’aveva comprata sei anni prima, un venerdì pomeriggio: Carla voleva chiamare un operaio e lui si sentì quasi offeso, forte delle estati che aveva passato in officina con suo zio, a 14 anni, negli infiniti pomeriggi estivi in cui andavano in ferie anche le trasmissioni radiofoniche.
L’aveva scaricata nel box auto e da allora non l’aveva più toccata e Carla non aveva mai perso occasione per rinfacciarglielo. Delle volte pensava che fosse Carla, con qualche oscura macchinazione, a pilotare quei raggi di sole per perpetrare le sue ragioni. Anche adesso, da chissà dove.
Strofinò gli occhi un paio di volte per prendere confidenza con la giornata, scostò le coperte e un brivido gli percorse l'addome per poi scivolare lungo la schiena. Si mise seduto, la sveglia segnava le 5:24.
Ripassò mentalmente la scena: la ragazza, Marta Russo 24 anni, adagiata sul sedile posteriore della Panda, i vestiti ricoperti di sangue, un unico taglio netto lungo la gola e due raccapriccianti incisioni sul viso, come a simboleggiare un sorriso, fatte dopo il decesso, secondo il dott. Santi.
Nel baule dell’auto la ragazza aveva un borsone con il costume di Babbo Natale e un paio di scarpe della Gucci.
Lussi e buoni propositi, pensò Nucciarelli. Si chiese quale dei due fosse più inutile a 20 anni.
Arrivò in bagno, pisciò a intermittenza. Una visita urologica non era ancora stata inserita nella lista dei buoni propositi: questione di priorità, pensò.
Luna grattò la porta con la zampa buona. Quando la raccolse per strada, attaccata a un palo della luce, non arrivava a dieci chili; i suoi occhi enormi raccontavano una fame che Nucciarelli non aveva mai visto. Aveva la zampa anteriore sinistra massacrata, forse dai tentativi di liberarsi. La dovettero amputare e pagare le spese del veterinario fu una delle poche cose su cui lui e Carla non discussero.
Nucciarelli aprì la porta del bagno e Luna entrò portandosi dietro quel modo tutto suo di occupare lo spazio. Gli si avvicinò, annusò il bordo del pantalone del pigiama e si accoccolò davanti al lavandino. Nucciarelli si buttò sotto la doccia; l’acqua gli batté sul corpo e scivolò sulla pelle, lungo le braccia, seguendo la schiena.
Si infilo nell’accappatoio e tornò in camera da letto, Luna lo seguì. La sveglia segnava le 6:08. Alzò la tapparella e lanciò uno sguardo in strada. Le luci delle luminarie rimbalzavano sui sampietrini ancora umidi.
Si vestì e salutò Luna.
Ormai, dopo quasi trent’anni, Napoli era una città anche sua. Soprattutto in inverno, la mattina presto. Gli piaceva camminare con il freddo, sentirlo risalire tra i vestiti. Lo aiutava a pensare.
Entrò in un bar, si accomodò a un tavolo e chiese un caffè schiumato. Lo servì un ragazzo sulla trentina con gli occhi arrossati e i capelli spettinati.
Entrò una ragazza sui venticinque anni e chiese il prezzo per una colazione a domicilio, aveva dei capelli neri lunghi fino alle spalle e un paio di stivaletti beige.
Si mise a pensare. Il pomeriggio c'era stato Renato Miele, 33 anni, trovato nei bagni del centro commerciale. Arresto cardiaco fulminante. Dal referto di Santi non erano emersi segni di avvelenamento.
Pagò il caffè, osservò di nuovo la ragazza al bancone impegnata a scegliere una scatola. Salutò e andò via.
Le strade si erano riempite e il Sole aveva scacciato anche gli ultimi residui di umidità. Nucciarelli si avviò alla metropolitana con la rassicurante sensazione di essere uno dei tanti.
Arrivò in commissariato prima delle otto. Corrado D’Angelo era già lì; lo salutò con un sorriso. C’era un qualcosa di genuino nel suo attaccamento al lavoro.
«Novità?»
«Nei video niente di strano.»
«Guardaci bene, mi raccomando.»
D’Angelo fece un cenno di intesa e riprese a esaminare le immagini alla ricerca di qualcosa che neanche lui sapeva.
Nucciarelli entrò nel suo ufficio e prese una delle cartelline etichettate con il suo nome della ragazza. Nelle immagini, il suo viso deturpato lo fissava con una freddezza che gli faceva venire i brividi.
A lato c’erano altre foto, quella della Panda, con il borsone e il costume di Babbo Natale, che sembrava quasi sbeffeggiarlo, con quel suo colore acceso che strideva con il grigio del sangue rappreso sul sedile.
Passò al fascicolo di Renato Miele. Guardò la foto dell’uomo disteso sul pavimento, con il volto contratto.
Due Babbo Natale in un giorno. La casualità, nel suo lavoro, era spesso l'ipotesi più attendibile, ma doveva essere l'ultima a essere presa in considerazione. Rilesse i referti di Santi, frugò tra i contenitori con gli oggetti recuperati dalle scene del crimine, poi prese le scatole con le letterine dei bambini, ne estrasse una. Osservò la grafia incerta, il disegno del pupazzo di neve: il bambino, Tommaso di 9 anni, chiedeva dei giochi di cui lui non aveva mai sentito parlare.
Capovolse le due scatole e dispose le letterine una sull’altra, formò due torri piene di richieste e di promesse.
Le aprì tutte e cominciò a leggerle, poi lo interruppe il telefono interno:
«Sono D’Angelo. Un altro morto: Pasquale Moccia, 33 anni.»
«Dove?»
«Casa sua! Ieri ha fatto il Babbo Natale al centro di Piazza Garibaldi. Arresto cardiaco.»
«Chi c’è sul posto?»
«Esposito e Palazzuolo.»
«Manda anche Santi e recupera i video.»
«Sarà fatto!»
«Un’altra cosa: fatti dare la scatola con le letterine.»
«Letterine?»
«Sì! Ci deve essere una scatola per le letterine dei bambini, fidati. Tutti ‘sti Babbo Natale morti… sono stati ammazzati, Corrado, altro che arresto cardiaco!»
D’Angelo non ebbe il tempo di rispondere, che Nucciarelli aveva già riattaccato.
Quando D’Angelo arrivò con i video, Nucciarelli aveva preparato la lavagna magnetica. Invitò il giovane collega a sedersi e attaccò con un magnete due letterine.
«Guarda.»
D’Angelo aggrottò la fronte, lesse i due fogli che riportavano la stessa scritta stampata: “Un regalo per il mondo”.
«Ci giochiamo il turno del 31 notte che ne troviamo una uguale nella scatola di Moccia?» Nucciarelli proseguì «E se poi incrociando i video riuscissimo a individuare chi ha inserito le letterine nella scatola...»
«... avremmo fatto tombola!»
«Mi accontenterei di un terno.»
«Tranquillo, vi trovo l’uomo prima di stasera.»
D'Angelo si posizionò dietro tre schermi, utilizzò programmi di riconoscimento facciale, osservò vestiti, studiò modi camminare e muovere le mani. Due agenti lo affiancavano prendendo appunti. Dopo due ore in cui dilazionarono anche i battiti delle palpebre, individuarono un uomo con un giaccone blu scuro che compariva in tutti i video.
D'Angelo ricordò quella volta in cui, molti anni prima, durante un compito di latino della seconda liceo, improvvisamente, trovò il senso della versione di latino dopo un'ora passata a disperarsi. Ebbe la sensazione di essere stato illuminato da una luce divina.
Dai video selezionò dei fermi e li stampò, ripercorse il tragitto dell'uomo in ognuno dei centri commerciali, individuò l'auto e il numero di targa.
Corse a chiamare Nucciarelli, con lo stesso misto di ansia e soddisfazione di quando consegnò la versione.
«Si chiama Michele Luogo. L'auto è intestata a Filomena Capasso. Pensiamo sia la madre.»
Nucciarelli lo guardò compiaciuto; D’angelo sorrise e gli mostrò gli spezzoni che aveva selezionato. Poi proseguì:
«Ha lavorato fino al mese scorso al Leroy Merlin in uno dei centri commerciali in cui ha consegnato le letterine, quello di Casoria.»
«Andiamoci!».
D'Angelo osservò l'ispettore attaccare le stampe dei fermo immagine sulla lavagna magnetica. Come in seconda liceo, pregò Dio di non aver fatto cazzate.
Il responsabile del punto vendita, Salvatore Ruocco, li accolse con uno sguardo serio e il volto preoccupato. Nucciarelli lo studiò: aveva un completo blu e capelli neri tirati all'indietro. Gli mostrò le immagini dell'uomo.
«Michele Luongo, bravo ragazzo. Ma non è stato possibile rinnovare il contratto e lui non l'ha presa benissimo.»
Nucciarelli tirò fuori le foto delle vittime, ma fu interrotto da D’Angelo: «Hanno chiamato dal commissariato: Luongo è lì, si è presentato spontaneamente.»
Al rientro trovarono Michele Luongo seduto nell’ufficio degli interrogatori, lo osservarono dal vetro della stanza. L’uomo, sui quarant’anni, aveva il viso segnato dalla stanchezza e gli occhi gonfi.
Nucciarelli entrò per primo, seguito da D’Angelo.
«Michele Luongo?»
«Sì», la voce dell’uomo era un sussurro.
«Signor Luongo, sarò diretto: di quante altre letterine dobbiamo preoccuparci?»
Luongo sgranò gli occhi.
«Io… Io non sapevo…» La sua voce si spezzò.
«Non lo sapeva?» tagliò corto Nucciarelli. «Allora ci dica cosa ha fatto. Dove sono le altre letterine e in quali centri commerciali sono state portate.»
Luongo abbassò lo sguardo, stringendo i pugni come se volesse aggrapparsi a una verità che sfuggiva anche a lui.
«Afragola… Ne ho consegnate quattro e resta quella di Afragola.»
Nucciarelli si voltò verso D’Angelo.
«Dai ordine di rintracciare chi ha lavorato come Babbo Natale ad Afragola ieri. Fai in modo che si rechi in ospedale, immediatamente.»
D’Angelo annuì e lasciò la stanza. Nucciarelli si fece più incalzante.
«Li ha avvelenati? E la ragazza?»
Luongo si portò le mani al volto, soffocando un singhiozzo: «Non era niente di male!» esplose «Me l’hanno chiesto! Ho solo consegnato le letterine.»
Nucciarelli si sporse leggermente in avanti, il tono calmo ma il suo sguardo tagliente.
«Chi gliel’ha chiesto?»
«Non lo so.» implorò Luongo «Uno che mi ha chiamato…». Le sue parole sembravano spegnersi in un lamento, mentre affondava nella sedia.
«Mi sta dicendo che un perfetto sconosciuto l’ha chiamata e le ha chiesto di fare il giro di tre centri commerciali per consegnare delle letterine?»
«Sì. Non ho ammazzato nessuno. E non ho mai visto nessuno; hanno lasciato tutto nella cassetta delle lettere di mia madre.»
Nucciarelli rimase in silenzio, scrutando ogni movimento dell’uomo. Alla fine, si alzò senza una parola e uscì dalla stanza.
D’Angelo gli andò incontro:
«Ha confessato ispettore? Li ha ammazzati?»
«È solo un povero disperato.»
«Un disperato che ha ammazzato tre persone.»
Nucciarelli scosse la testa.
«Corrado, tu lo immagini questo tipo che provoca infarti, sgozza una ragazza e la sfigura? Possiamo trattenerlo, ma sa altro.»
D’Angelo annuì, ma il dubbio gli bruciava negli occhi.
«E tu cerca di tornare a casa a un orario decente, stasera. È Natale, Corrado.»
Poco dopo, Nucciarelli bussò alla porta di Santi. Entrò senza aspettare risposta.
«Vuoi farmi gli auguri, Anto’?» chiese Santi, sistemando alcune carte sulla scrivania.
Nucciarelli sospirò prima di parlare.
«Che ne pensi di D’Angelo?»
«In che senso? è una brava persona.»
Nucciarelli sorrise, poi riprese a parlare: «Sai? mio padre era un grande appassionato di calcio. Quando era già terminale, e soffriva come un cane, mi chiese il risultato di una partita di Coppa Italia…» Santi lo ascoltava «…mi sono sempre chiesto: che senso ha sapere il risultato di una partita poco prima di morire?»
«Non saprei»
«Te lo dico io: nessuno! E credo che sia una sensazione terribile. Perché ti accorgi che non è solo quel risultato a non avere senso, ma tutti gli altri risultati di cui hai chiesto. Non hanno senso le partite che hai visto, le volte che ti sei incazzato. Come si reagisce a una cosa del genere?»
«Non lo accetti.»
Nucciarelli annuì: «Esatto! Allora, fino alla fine, continui a chiedere, come se fosse importante.» Santi rimase in silenzio, lasciando che l’amico continuasse, «Sai, Giovanni, lavorativamente parlando io sono un malato terminale. Sono prossimo alla pensione, e lavorare con D’Angelo… tentare di trasmettergli qualcosa… è stato un po’ come chiedere i risultati delle partite. Come non voler ammettere che sia stato tutto inutile.»
«E ora pensi che lo sia?»
Nucciarelli si sfiorò il mento con una mano.
«Non lo so. Ma ti dico una cosa: quel ragazzo ha tanta buona volontà, ma non ha il fiuto. Quel maledetto fiuto che a volte viaggia per conto suo.»
Nucciarelli aprì la cartellina sulla scrivania di Santi e gli mostrò le foto di Renato Miele: il cadavere nel bagno e la postazione in cui aveva lavorato.
«Che ne pensi?»
«Non so che pensare, se non ci fossero stati altri casi ti direi che è un arresto cardiaco per case naturali.»
Nucciarelli cerchiò un punto su una delle foto.
«Sai cosa è questa?» Santi rispose di no. «Una scatola per colazioni: fai arrivare la colazione a chi vuoi. Erano giorni che arrivavano ai centri commerciali e ieri sono arrivate ai babbo natale.»
Santi rimase in silenzio.
«Sono piuttosto elaborate, all’interno sono compartimentate: il caffè, il succo, il cornetto, ogni cosa ha un suo posto. Un po’ troppo per una colazione, non trovi? Ho fatto qualche domanda ai bar: nessuno le usa. Ma se un cliente porta la sua scatola, possono prepararla e consegnarla.»
Si fermò un attimo, il tono si fece più cupo.
«Se si potesse inserire una capsula a rilascio graduale di veleno? Nel momento in cui la scatola viene chiusa il veleno viene rilasciato con nel compartimento desiderato. Magari quello del cornetto. Credimi, è tutta la giornata che mi ripeto quanto sia assurdo. Dai tuoi referti non ci sono segni di avvelenamento.» Fece un'altra pausa. «Dico bene?»
Santi lo fissava senza muovere alcun muscolo. Nucciarelli continuò.
«Certo, se poi il cornetto non viene mangiato tutto il marchingegno diventa inutile e bisogna agire diversamente.»
Nucciarelli si fece più insistente:
«Marta Russo era celiaca, lo sai? C’erano degli snack in auto. I celiaci i cornetti non li mangiano.»
Mentre parlava posizionò le letterine sulla scrivania.
«Poi ci sono queste: un dono per il mondo».
Nucciarelli, tirò fuori una foto che aveva nel portafogli.
«Natale 2017.»
Santi lo interruppe.
«Basta così, Antonio.»
«Ho inviato in un laboratorio una delle scatole, sono in attesa dei risultati.»
Santi scosse il capo:
«Non c'è bisogno. Se vuoi puoi arrestarmi ora.»
Nucciarelli sospirò, poi aggiunse.
«Ti capisco Giovanni, questo è il terzo Natale che passo senza Carla e farei qualunque cosa per poter passare anche dieci minuti con lei. Ma so che non sei stato tu! non rendermi le cose più complicate.»
Riprese la foto, questa volta la posizionò sulla scrivania.
«Natale 2017. Un regalo per il mondo.»
Santi tratteneva le lacrime a fatica.
«Fu tua moglie, Lisa, ad accompagnare tuo figlio sul palco. Gli dissero di sorridere.»
Santi crollò
«Si può chiedere di sorridere a un ragazzo che non riesce a reggersi in piedi? Doveva essere una raccolta fondi: c'erano i canti, lo spettacolo, i tizi vestiti da babbo Natale. Sparirono con i soldi. Una truffa, non si seppe più nulla. Mio figlio non arrivò al natale successivo. Lisa non si è più ripresa. Non immaginavo che arrivasse a tanto, sfigurare il volto di quella ragazza. Avvelenare quegli uomini.»
Nucciarelli sentì una fitta allo stomaco, ripose la sua foto nel portafogli.
«Torna a casa.»
Santi lo guardò incredulo, indossò il cappotto e chiuse l'ufficio.
Nucciarelli lo accompagnò fino all'auto. C'era musica in lontananza e luci sui balconi, l’aria fredda appesantiva ogni passo.
«Non hai paura che lei, che noi...»
«Per andare dove? Lisa si costituirà domani e tu dovrai lasciarla andare.»
L'ispettore Nucciarelli chiuse il fascicolo e lo ripose nella pila "Archiviati". Gli sembrò quasi impossibile aver risolto quel caso così intricato in sole quarantott'ore, eppure ce l'aveva fatta: il serial killer dei Babbo Natale, nei centri commerciali, era stato arrestato grazie al suo fiuto. E a proposito di fiuto... Luna lo attendeva a casa, di sicuro impaziente e pronta a "scartare" l'osso di gomma, quello nel pacchetto rosso con il fiocco verde al centro.