[Lab 15] Stelle cadenti
Posted: Mon Nov 25, 2024 12:06 am
L'incipit - traccia: La danza
Non pensavo che l’espressione ‘ho visto le stelle’ reppresentasse un’esperienza reale. Lingua di poeti l’italiano, perché secondo me le stelle sono ben altra cosa. Sono accecanti i lampi di luce che saettano nel nero violaceo in cui sono sprofondata.
Dolore lancinante. Cosa cavolo sto a pensare ai modi di dire… però… che rivelazione che le civette sul comò non facevano all’ amore con la figlia del dottore… ma come potevano cantarcela così… cazzo… non posso ridere, fa malissimo. Ma non dovrebbe passarmi tutta la vita davanti? Forse veniamo semplicemente seppelliti dai luoghi comuni.
Dove diamine sono?
Ho la lingua impastata. Ma cosa è questo torpore? Cavolo, non riesco a mettere bene a fuoco, troppa luce. Dio che ansia, sembra che il corpo continui a dormire. Che fatica non soccombere a palpebre pachidermiche. Ero andata a ballare per l’addio al nubilato di Ludo…
“Pamela, ti sei svegliata? Come ti senti? Ce la fai? Dimmi se senti troppo dolore, posso aumentarti la morfina senza rimetterti a dormire.”
Guardo questa ragazza dal sorriso sincero, chiaramente sono in ospedale. Ho la bocca secchissima e la lingua gonfia, pessima accoppiata per risponderle. Lei capisce, perché mi bagna le labbra, ma è una tortura, perché capisco di avere un’insostenibile urgenza di bere. Acquisto lentamente lucidità.
“Mi hanno aggredita.” Riesco a malapena a mormorare
La ragazza mi stringe la mano con una dolcezza che mi scioglie, sento gli occhi bruciare ma le lacrime non scendono, mi sento prosciugata in ogni senso.
“Cara, chiamo il dottore, se ci dà il permesso ti porto nella tua stanza a reparto e potrai vedere i tuoi cari. Stai tranquilla. Torno in una manciata di secondi.”
Annuisco, sento che parlare mi costerebbe fatica. Il mio letto ha le sbarre, ho diversi fili collegati e un ago in vena. L’ambiente è asettico. Vedo altri letti, c’è un silenzio assordante. Eccola che torna col dottore, lui non sorride, ma sembra una brava persona.
“Allora Pamela, l’operazione è andata benissimo, valuteremo nei prossimi giorni la fisioterapia.”
Operazione? Quale operazione? Mi accorgo di averlo solo pensato, eppure volevo assolutamente chiederlo a voce alta. Mi lascio distrarre dalla lenta connessione mente-corpo. Il dottore mi scruta mentre continua a parlare.
“Prima di spostarti dalla rianimazione vediamo come segui con gli occhi questa luce… brava, così. Ora senza luce, guarda in alto… destra, sinistra… perfetto. Dimmi quanti anni hai, il nome della tua migliore amica delle elementari e dove ti trovavi quando sei stata aggredita.”
Deve leggermi sul volto lo stupore misto a scetticismo su una situazione così surreale, per questo mi tranquillizza:
“Un test veloce su memoria e capacità cognitive. Ricordi le domande in fila?”
Mi sento percorrere da un brivido di malessere, cado brutalmente nel presente. “Ho ventisei anni, la mia amica si chiamava Miriam ed ero nel parcheggio della discoteca Dark Note…Sono stata stuprata?”
Vedo il dottore corrugare la fronte, sento le viscere contorcersi, non riesco ad interpretare il suo sguardo, finalmente si decide a parlare, lo fa lentamente, scandisce le parole:
“Nulla fa pensare che si sia consumata violenza sessuale, sei stata operata in testa per una lesione cerebrale emorragica, non posso darti altri dettagli perché la polizia vuole interrogarti e potrei condizionare i tuoi ricordi. Valeria ti accompagnerà a reparto.”
D’istinto provo a muovere ogni muscolo, temo il peggio, mi rendo conto di avere gli arti intorpiditi, specialmente le gambe. Immagino di avere uno sguardo supplichevole, la ragazza dolce, con il suo potere calmante, mi dice che risolveremo tutto con la fisioterapia. Mentre mi sistemano sulla sedia a rotelle provo a ricordare. Ho confusione sui dettagli, cerco di mettere a fuoco. Mi aiutano con domande calzanti i poliziotti che trovo nella mia nuova camera, sono arrivati immediatamente. Laura, mi ha detto di chiamarsi così la mia infermiera, tiene d’occhio l’interrogatorio e si impegna perché mi lascino i giusti tempi di risposta, si assicura che non mi stanchi troppo. Mi sento stupida, ma sento di volerle bene come a una sorella. Le domande mi aiutano.
“Perché è uscita dalla discoteca signorina?”
“Dovevo rispondere al telefono.”
“Per quale motivo è uscita da sola, poteva farsi accompagnare da un’amica.”
La domanda mi stupisce, la mia titubanza suscita un mezzo sorrisetto nella poliziotta, il collega maschio mi incalza. Lo accontento con una risposta che mi sembra ovvia.
“Non potevo prevedere che sarei stata aggredita, dovevo rispondere al mio fidanzato, non c’era bisogno di fare uscire un’ altra persona.”
“Aveva seguito fuori il signor Fabio Ardeni?”
Ho il dubbio che non abbiano capito chi sia, forse hanno confuso due casi. La mia pausa mentre cerco di capire chi sia il tizio che ha nominato il poliziotto infastidisce i due agenti. La poliziotta mi incalza con forza, Laura interviene minacciando di fare smettere l’interrogatorio perché mi stanno stressando.
Chiedo se questo Fabio sia l’uomo che mi ha aggredito. Questa volta è il poliziotto maschio a fare lo smargiasso. Mi rivela che ad assentarmi una sbarra di ferro trovata vicino al secchione sulla testa è stata la fidanzata di questo Fabio e a quanto pare considerano scontato che io stessi flirtando con lui.
Mi agito al punto di fare suonare l’allarme della pressione. Laura vuole mandarli via, mentre io urlo che quel tizio enorme voleva violentarmi, stavamo lottando, avevo sentito una voce femminile insultare un’altra donna, non avevo fatto in tempo a chiedere aiuto che sono sprofondata nel buio ed ho visto lampi finché non ho perso i sensi.
I poliziotti sembrano scettici. A quanto pare è ora di visite, entrano i miei genitori con il mio fidanzato e i poliziotti se ne vanno.
Mia madre mi abbraccia, ma sembra un imbarazzo. Si sbriga a dirmi che era una sfortuna che Damiano mi avesse chiamata proprio in quel momento, che le voci si fanno grosse cambiando il significato peggio che col telefono senza fili, ma l’importante è che io stia bene. Parla come se avesse preso lei la botta in testa. Capisco che si rivolge a me per fare arrivare il messaggio a Damiano, il mio fidanzato.
Cerco con lo sguardo Laura, ma è andata via. Questa volta le lacrime escono, cerco conforto, mi rivolgo a Damiano:
“Quando abbiamo chiuso la telefonata un tizio che era lì fuori mi ha aggredita, voleva violentarmi…” Damiano rimane distaccato, non vorrei, ma la mia voce si alza di tono e piega verso lo stridulo. “Mi sono opposta con tutte le mie forze, poi sono svenuta, ma i medici escludono che ci sia riuscito!”
Interviene mia madre, a quanto pare il tizio era in discoteca con la fidanzata, questa è uscita per cercarlo e la donna che stava insultando evidentemente ero io, nonostante debba necessariamente avermi vista mentre mi difendevo dalla presa brutale del suo compagno.
“È andata bene, pensavano che fossi morta e sono scappati, ma quando i poliziotti sono arrivati da quel tipo, ha scaricato la fidanzata dicendo che lei ti ha colpito perché vi ha visti flirtare.” La vedo mentre abbassa gli occhi facendo un cenno verso Damiano mentre pronuncia l’ultima parola.
Sento di impazzire, è assurdo. Vorrei urlare a tutti di andarsene, invece, piangendo, ripeto ancora di essere stata aggredita da quell’uomo, che voleva violentarmi, di avere sentito una voce femminile e subito dopo un colpo fortissimo alla testa. Dovrebbero abbracciarmi, consolarmi, invece sento Damiano chiedermi se posso dire che mi voleva violentare perché mi ha messo le mani addosso.
Rimango in silenzio, questo balletto di ipocrisia intorno a me è insopportabile, fa scopa col balletto di luoghi comuni che mi hanno accompagnata prima di svenire, le lacrime mi rigano il volto. Mio padre sentenzia un “Adesso basta! Lasciatela in pace. Mi dice che mi vuole bene e li porta via sul suono della campana di fine visite.”
Torna Laura, è persuasiva quando afferma che anche dal male si può ricavare il bene, che magari senza questo triste episodio finivo pure per sposarlo quel mentecatto. Sorrido amaramente, stavamo effettivamente pensando di sposarci. Laura dice che posso rinascere non solo fisicamente, che una seconda occasione va vissuta al massimo. Sento il cuore più leggero. L’anima danza sulle note di nuove prospettive, ma gli arti sono ancora intorpiditi.
Voglio danzare anima e corpo. Ci riuscirò.
Non pensavo che l’espressione ‘ho visto le stelle’ reppresentasse un’esperienza reale. Lingua di poeti l’italiano, perché secondo me le stelle sono ben altra cosa. Sono accecanti i lampi di luce che saettano nel nero violaceo in cui sono sprofondata.
Dolore lancinante. Cosa cavolo sto a pensare ai modi di dire… però… che rivelazione che le civette sul comò non facevano all’ amore con la figlia del dottore… ma come potevano cantarcela così… cazzo… non posso ridere, fa malissimo. Ma non dovrebbe passarmi tutta la vita davanti? Forse veniamo semplicemente seppelliti dai luoghi comuni.
Dove diamine sono?
Ho la lingua impastata. Ma cosa è questo torpore? Cavolo, non riesco a mettere bene a fuoco, troppa luce. Dio che ansia, sembra che il corpo continui a dormire. Che fatica non soccombere a palpebre pachidermiche. Ero andata a ballare per l’addio al nubilato di Ludo…
“Pamela, ti sei svegliata? Come ti senti? Ce la fai? Dimmi se senti troppo dolore, posso aumentarti la morfina senza rimetterti a dormire.”
Guardo questa ragazza dal sorriso sincero, chiaramente sono in ospedale. Ho la bocca secchissima e la lingua gonfia, pessima accoppiata per risponderle. Lei capisce, perché mi bagna le labbra, ma è una tortura, perché capisco di avere un’insostenibile urgenza di bere. Acquisto lentamente lucidità.
“Mi hanno aggredita.” Riesco a malapena a mormorare
La ragazza mi stringe la mano con una dolcezza che mi scioglie, sento gli occhi bruciare ma le lacrime non scendono, mi sento prosciugata in ogni senso.
“Cara, chiamo il dottore, se ci dà il permesso ti porto nella tua stanza a reparto e potrai vedere i tuoi cari. Stai tranquilla. Torno in una manciata di secondi.”
Annuisco, sento che parlare mi costerebbe fatica. Il mio letto ha le sbarre, ho diversi fili collegati e un ago in vena. L’ambiente è asettico. Vedo altri letti, c’è un silenzio assordante. Eccola che torna col dottore, lui non sorride, ma sembra una brava persona.
“Allora Pamela, l’operazione è andata benissimo, valuteremo nei prossimi giorni la fisioterapia.”
Operazione? Quale operazione? Mi accorgo di averlo solo pensato, eppure volevo assolutamente chiederlo a voce alta. Mi lascio distrarre dalla lenta connessione mente-corpo. Il dottore mi scruta mentre continua a parlare.
“Prima di spostarti dalla rianimazione vediamo come segui con gli occhi questa luce… brava, così. Ora senza luce, guarda in alto… destra, sinistra… perfetto. Dimmi quanti anni hai, il nome della tua migliore amica delle elementari e dove ti trovavi quando sei stata aggredita.”
Deve leggermi sul volto lo stupore misto a scetticismo su una situazione così surreale, per questo mi tranquillizza:
“Un test veloce su memoria e capacità cognitive. Ricordi le domande in fila?”
Mi sento percorrere da un brivido di malessere, cado brutalmente nel presente. “Ho ventisei anni, la mia amica si chiamava Miriam ed ero nel parcheggio della discoteca Dark Note…Sono stata stuprata?”
Vedo il dottore corrugare la fronte, sento le viscere contorcersi, non riesco ad interpretare il suo sguardo, finalmente si decide a parlare, lo fa lentamente, scandisce le parole:
“Nulla fa pensare che si sia consumata violenza sessuale, sei stata operata in testa per una lesione cerebrale emorragica, non posso darti altri dettagli perché la polizia vuole interrogarti e potrei condizionare i tuoi ricordi. Valeria ti accompagnerà a reparto.”
D’istinto provo a muovere ogni muscolo, temo il peggio, mi rendo conto di avere gli arti intorpiditi, specialmente le gambe. Immagino di avere uno sguardo supplichevole, la ragazza dolce, con il suo potere calmante, mi dice che risolveremo tutto con la fisioterapia. Mentre mi sistemano sulla sedia a rotelle provo a ricordare. Ho confusione sui dettagli, cerco di mettere a fuoco. Mi aiutano con domande calzanti i poliziotti che trovo nella mia nuova camera, sono arrivati immediatamente. Laura, mi ha detto di chiamarsi così la mia infermiera, tiene d’occhio l’interrogatorio e si impegna perché mi lascino i giusti tempi di risposta, si assicura che non mi stanchi troppo. Mi sento stupida, ma sento di volerle bene come a una sorella. Le domande mi aiutano.
“Perché è uscita dalla discoteca signorina?”
“Dovevo rispondere al telefono.”
“Per quale motivo è uscita da sola, poteva farsi accompagnare da un’amica.”
La domanda mi stupisce, la mia titubanza suscita un mezzo sorrisetto nella poliziotta, il collega maschio mi incalza. Lo accontento con una risposta che mi sembra ovvia.
“Non potevo prevedere che sarei stata aggredita, dovevo rispondere al mio fidanzato, non c’era bisogno di fare uscire un’ altra persona.”
“Aveva seguito fuori il signor Fabio Ardeni?”
Ho il dubbio che non abbiano capito chi sia, forse hanno confuso due casi. La mia pausa mentre cerco di capire chi sia il tizio che ha nominato il poliziotto infastidisce i due agenti. La poliziotta mi incalza con forza, Laura interviene minacciando di fare smettere l’interrogatorio perché mi stanno stressando.
Chiedo se questo Fabio sia l’uomo che mi ha aggredito. Questa volta è il poliziotto maschio a fare lo smargiasso. Mi rivela che ad assentarmi una sbarra di ferro trovata vicino al secchione sulla testa è stata la fidanzata di questo Fabio e a quanto pare considerano scontato che io stessi flirtando con lui.
Mi agito al punto di fare suonare l’allarme della pressione. Laura vuole mandarli via, mentre io urlo che quel tizio enorme voleva violentarmi, stavamo lottando, avevo sentito una voce femminile insultare un’altra donna, non avevo fatto in tempo a chiedere aiuto che sono sprofondata nel buio ed ho visto lampi finché non ho perso i sensi.
I poliziotti sembrano scettici. A quanto pare è ora di visite, entrano i miei genitori con il mio fidanzato e i poliziotti se ne vanno.
Mia madre mi abbraccia, ma sembra un imbarazzo. Si sbriga a dirmi che era una sfortuna che Damiano mi avesse chiamata proprio in quel momento, che le voci si fanno grosse cambiando il significato peggio che col telefono senza fili, ma l’importante è che io stia bene. Parla come se avesse preso lei la botta in testa. Capisco che si rivolge a me per fare arrivare il messaggio a Damiano, il mio fidanzato.
Cerco con lo sguardo Laura, ma è andata via. Questa volta le lacrime escono, cerco conforto, mi rivolgo a Damiano:
“Quando abbiamo chiuso la telefonata un tizio che era lì fuori mi ha aggredita, voleva violentarmi…” Damiano rimane distaccato, non vorrei, ma la mia voce si alza di tono e piega verso lo stridulo. “Mi sono opposta con tutte le mie forze, poi sono svenuta, ma i medici escludono che ci sia riuscito!”
Interviene mia madre, a quanto pare il tizio era in discoteca con la fidanzata, questa è uscita per cercarlo e la donna che stava insultando evidentemente ero io, nonostante debba necessariamente avermi vista mentre mi difendevo dalla presa brutale del suo compagno.
“È andata bene, pensavano che fossi morta e sono scappati, ma quando i poliziotti sono arrivati da quel tipo, ha scaricato la fidanzata dicendo che lei ti ha colpito perché vi ha visti flirtare.” La vedo mentre abbassa gli occhi facendo un cenno verso Damiano mentre pronuncia l’ultima parola.
Sento di impazzire, è assurdo. Vorrei urlare a tutti di andarsene, invece, piangendo, ripeto ancora di essere stata aggredita da quell’uomo, che voleva violentarmi, di avere sentito una voce femminile e subito dopo un colpo fortissimo alla testa. Dovrebbero abbracciarmi, consolarmi, invece sento Damiano chiedermi se posso dire che mi voleva violentare perché mi ha messo le mani addosso.
Rimango in silenzio, questo balletto di ipocrisia intorno a me è insopportabile, fa scopa col balletto di luoghi comuni che mi hanno accompagnata prima di svenire, le lacrime mi rigano il volto. Mio padre sentenzia un “Adesso basta! Lasciatela in pace. Mi dice che mi vuole bene e li porta via sul suono della campana di fine visite.”
Torna Laura, è persuasiva quando afferma che anche dal male si può ricavare il bene, che magari senza questo triste episodio finivo pure per sposarlo quel mentecatto. Sorrido amaramente, stavamo effettivamente pensando di sposarci. Laura dice che posso rinascere non solo fisicamente, che una seconda occasione va vissuta al massimo. Sento il cuore più leggero. L’anima danza sulle note di nuove prospettive, ma gli arti sono ancora intorpiditi.
Voglio danzare anima e corpo. Ci riuscirò.