[Lab15] Qualcosa di nuovo eppure antichissimo
Posted: Thu Nov 21, 2024 12:43 am
La prima a parlarne fu la sua compagna.
Stavano lavorando insieme alla carcassa di un grosso animale che lui aveva appena cacciato. Era impegnato nella parte più pesante del lavoro, tirando via la pelliccia con tutta la forza delle braccia, quando lei parlò: "La prima luna nuova dovremmo farla qui davanti, nel grande spiazzo di pietra nera".
Le parole gli fecero l'effetto di un colpo in pieno viso. Rimase senza fiato, gli occhi spalancati come quelli dei gufi che cacciava.
Aprì la bocca per parlare ma la sua compagna fu più veloce: "Ogni anno qualcuno dei nostri giovani si perde o viene sbranato dalle bestie durante la prima luna nuova. Questa volta lo faremo succedere qui davanti, dove tutta la tribù può proteggerli".
Tentò di rispondere ma era troppo tardi: con la scusa di cucinare il fegato appena estratto dalla bestia, se ne stava già andando. Quando trovò la lucidità per rispondere, lei era scomparsa.
Nei giorni successivi fu meno impreparato.
La voce era circolata, ma decise di affrontare il problema con serenità. Davanti alle famiglie della tribù, quando si fermavano a colloquiare, trovava sempre il modo di parlare della notte della prima luna nuova. Allora, con toni nostalgici, ricordava la sua prima luna nuova e con tale scusa ribadiva che anche quell’anno le cose avrebbero seguito la tradizione. Prima sarebbero uscite le femmine, vestite di ornamenti bianchi: si sarebbero allontanate dalle tane, verso l’esterno, nel grande buio. Poi, molto più tardi, sarebbe stata la volta dei maschi, equipaggiati con armi e torce accese, che sarebbero usciti a cercarle. Ogni maschio per sé, senza competizione e senza formare gruppi, “cacciando” una sola femmina, di modo che da quell’incontro sarebbero nate nuove famiglie. Come da tradizione. Nelle sue parole ostentava sicurezza, eppure sul viso dei suoi interlocutori passava spesso un’ombra d’incertezza.
Non ci mise molto a capire che qualcosa stava succedendo e che ancora una volta la sua compagna si era mossa in anticipo.
Quando mancava ancora una settimana alla notte della prima luna nuova, decise di affrontarla a viso aperto.
“È una cosa schifosa”, le gridò mentre erano coricati. “Cosa dovrei fare secondo te? Stare a guardare mentre lo faranno davanti ai nostri rifugi?”. Al buio credette di distinguere i denti della donna scoperti in un sorriso.
“Nient’affatto. Salteremo solo la parte della caccia al buio: si sceglieranno qui davanti, nel grande spiazzo di pietra nera e non in una foresta. Dopodiché, quando si saranno formate le coppie, andranno ognuno dove gli pare”. Le ultime parole furono pronunciate in uno sbadiglio. L’uomo strinse i pugni e serrò le mascelle.
“E le fiaccole? Maledizione, che cosa ne sarà della tradizione?”. Per tutta risposta lei si voltò dall’altre parte.
“Le fiaccole le metteremo intorno allo spiazzo. Sarà anche meglio”.
Aveva voglia di urlare, afferrarla per le spalle e scuoterla. Si trattenne a stento, pensando allo scandalo che avrebbe dato se l’avessero sentito. Ormai ne era certo: la cosa gli era sfuggita definitivamente di mano. Al colmo della disperazione tentò il tutto per tutto: “Gli altri non accetteranno mai”.
“Le donne della tribù sono già d’accordo. Degli uomini invece una metà è d’accordo, mentre l’altra metà cederà fra poco”. Poi aggiunse divertita: “Un’intero ciclo lunare senza giacere con la propria donna è troppo per chiunque, sai?!”.
Due giorni prima cominciarono i preparativi.
Per tutto quel tempo fu scontroso, di cattivo umore. Del resto fu sempre preso da lavori pesanti: la parte più difficile fu spostare tutte le carcasse di ferro dal grande spiazzo di pietra nera, molte delle quali erano lì da sempre. Poi c’erano i detriti che erano caduti dalle grandi scatole di pietra da spostare. Infine, bisognava estirpare le piante e gli arbusti che erano cresciuti, spaccando la superficie nera dello spiazzo in più punti. Fu un lavoro terribilmente faticoso che lui e gli altri uomini si sobbarcarono in un silenzio cupo e colmo di risentimento. Se il loro lavoro avveniva controvoglia, quelle delle loro donne invece avveniva come in una festa, ridendo e chiacchierando. Mentre loro faticavano con i carichi pesanti, quelle disponevano torce e fiori alle pareti che circondavano lo spiazzo.
Il giorno prima, l’uomo tentò la sua ultima mossa: “I miei uomini hanno scoperto molte bestie feroci fuori dallo spiazzo. Se la prima luna nuova si terrà qui davanti, le attireremo su di noi e nessuno sarà al sicuro”.
Capì di aver fallito nel vederla sorridere di nuovo. “Allora, durante i festeggiamenti, tu e i tuoi uomini li spaventerete”.
“Spaventarli? Come?”.
Per tutta risposta la donna picchiò un pugno contro un secchio: “Facendo quanto più rumore possibile”.
Quando giunse la notte della prima luna nuova il suo umore aveva toccato il fondo.
La primavera imminente aveva riempito l’aria fuori dalle loro tane di un odore dolciastro e una spossatezza febbrile si era impossessata di lui. Sentiva gli occhi umidi e le membra calde. Ma la parte peggiore venne più tardi.
Non quando il sole andò a coricarsi dietro le scatole di pietra, ricoprendo lo spiazzo di ombre lugubri.
E nemmeno quando un vento fresco si sollevò dai lontani panorami verdeggianti, là dove torreggiavano le sagome in disfacimento delle grandi scatole di ferro.
La parte peggiore fu quando le femmine, creature giovani, ai suoi occhi ancora dei cuccioli, uscirono dalle tane e fra di loro c’era sua figlia.
Quando la vide prendere posto sorridendo nello spiazzo di pietra nera, indossando gli stessi ornamenti d’osso che anni prima aveva portato sua madre, quando era stato a lui “cacciarla” facendola divenire la sua donna, i suoi occhi si riempirono di lacrime.
Non fu per scacciare le bestie feroci, ma il peso che sentiva crescergli in petto: diede il primo colpo contro il suo guscio di ferro con una violenza esagerata. Il rumore fu quasi assordante, eppure nessuno trasalì. Rispondendo all’eco di quel primo colpo, i suoi compagni di caccia gli vennero dietro, picchiando su gusci metallici, pizzicando le corde degli archi o soffiando dentro ossa cave. Dallo spiazzo di pietra nera si levò così un suono confuso, fatto di altri suoni.
I maschi vennero fuori subito dopo, emergendo come sonnambuli dalle tane. Per qualche tempo si guardarono attorno come instupiditi: niente della loro esperienza pregressa li aveva preparati a quel momento. Tutta la tribù era presente e li guardava, come aspettandosi qualcosa da loro. Nell’impaccio del momento i giovani si fronteggiavano: da un lato i maschi e dall’altro le femmine. Curiosi eppure incapaci di avvicinarsi.
Ma a lui tutti quei dettagli non importavano.
Seguendo l’onda delle sue emozioni, i colpi che assestava sul guscio di ferro si erano fatti meno confusi e più profondi. Nello stesso modo, anche i suoi compagni si erano messi a imitarlo, usando ognuno il proprio strumento in un tentativo di copiare il suo suono. Quando il peso che provava nel petto fu troppo forte, alzò lo sguardo e i suoi occhi si fissarono sua quelli della sua compagna.
Negli ultimi giorni aveva evitato di guardarla in faccia, un po' per rabbia, un po' per fastidio. In quel momento la vide come la prima volta, chiusa in un'espressione sorridente che allo stesso tempo era anche triste e di colpo capì come anche lei avesse temuto quel momento.
Qualcosa si ruppe dentro di lui, trasformandolo per sempre.
Nessuno si rese conto di come e quando, ma di fatti il suono cambiò.
I colpi, i fischi e gli sfregamenti che fino a un attimo prima erano stati solo rumori per scacciare le bestie, divennero una cosa viva e piacevole.
Fu la scoperta di qualcosa di nuovo eppure antichissimo.
Qualcosa che era sempre stato dentro di loro ma che avevano dimenticato o che avevano aspettato fino a quel momento di riscoprire.
I colpi si fecero più dolci e veloci, gli sfregamenti più acuti e i fischi più simili ai versi d’insetti in amore.
Accadde allora qualcos’altro di strano e piacevole.
Alla luce tenue delle fiaccole, nel confuso mescolarsi di suoni e sensazioni, sua figlia cominciò a muoversi dondolando. A scatti, come seguendo il loro suono. E in breve non fu la sola.
Come pervase da una febbre contagiosa, anche le altre femmine la imitarono e rapidamente l’intero gruppo si dispose al centro dello spiazzo, ondeggiando e sussurrando. Il resto accadde troppo in fretta perché qualcuno potesse spiegarselo. Ma del resto, quella era la notte della prima luna nuova, un momento sacro in cui le cose cambiavano rinnovandosi. Persino le tradizioni.
Seguendo il suono, il gruppo dei maschi e quello delle femmine cominciarono finalmente a si mescolarsi. Giovani con giovani, sfiorandosi e osservandosi, prima lontani, poi vicini. Ogni tanto una coppia si allontanava dallo spiazzo, formando una nuova famiglia, lasciando sempre meno giovani al centro dello spiazzo. Continuarono così fino a quando le fiaccole non si spensero vacillando e anche l’ultima coppia non fu formata.
Quando ormai troppo stanco, smise di colpire il guscio di ferro, erano rimasti solo gli adulti a osservare il buio dello spiazzo nero. Sua figlia non c’era più persa chissà dove. Ma l’idea ora non lo atterriva più. La spossatezza degli ultimi giorni aveva lasciato il passo a una sensazione nuova, lieta.
Non ebbe bisogno di parlare o spiegare nulla: raggiunse la sua compagna e con lei fece ritorno alla loro tana. E lì, nella solitudine di un rifugio ormai senza più figli, si unirono come non era successo da molto tempo, con un abbandono e una voluttà mai provati prima.
Vi furono ancora altre notti come quelle, notti di prima luna nuova e non solo, in cui gli uomini cercarono il suono per ripetere il rito del grande movimento. Ma non gli accadde più di rimpiangere le vecchie tradizioni: ora sapeva che la loro natura non era fatta per obbedire cecamente a vecchie regole, ma per adattarsi al meglio di sempre nuove condizioni di vita.
Come del resto era già successo e ancora sarebbe avvenuto, nella storia della loro razza.
La razza umana.
Stavano lavorando insieme alla carcassa di un grosso animale che lui aveva appena cacciato. Era impegnato nella parte più pesante del lavoro, tirando via la pelliccia con tutta la forza delle braccia, quando lei parlò: "La prima luna nuova dovremmo farla qui davanti, nel grande spiazzo di pietra nera".
Le parole gli fecero l'effetto di un colpo in pieno viso. Rimase senza fiato, gli occhi spalancati come quelli dei gufi che cacciava.
Aprì la bocca per parlare ma la sua compagna fu più veloce: "Ogni anno qualcuno dei nostri giovani si perde o viene sbranato dalle bestie durante la prima luna nuova. Questa volta lo faremo succedere qui davanti, dove tutta la tribù può proteggerli".
Tentò di rispondere ma era troppo tardi: con la scusa di cucinare il fegato appena estratto dalla bestia, se ne stava già andando. Quando trovò la lucidità per rispondere, lei era scomparsa.
Nei giorni successivi fu meno impreparato.
La voce era circolata, ma decise di affrontare il problema con serenità. Davanti alle famiglie della tribù, quando si fermavano a colloquiare, trovava sempre il modo di parlare della notte della prima luna nuova. Allora, con toni nostalgici, ricordava la sua prima luna nuova e con tale scusa ribadiva che anche quell’anno le cose avrebbero seguito la tradizione. Prima sarebbero uscite le femmine, vestite di ornamenti bianchi: si sarebbero allontanate dalle tane, verso l’esterno, nel grande buio. Poi, molto più tardi, sarebbe stata la volta dei maschi, equipaggiati con armi e torce accese, che sarebbero usciti a cercarle. Ogni maschio per sé, senza competizione e senza formare gruppi, “cacciando” una sola femmina, di modo che da quell’incontro sarebbero nate nuove famiglie. Come da tradizione. Nelle sue parole ostentava sicurezza, eppure sul viso dei suoi interlocutori passava spesso un’ombra d’incertezza.
Non ci mise molto a capire che qualcosa stava succedendo e che ancora una volta la sua compagna si era mossa in anticipo.
Quando mancava ancora una settimana alla notte della prima luna nuova, decise di affrontarla a viso aperto.
“È una cosa schifosa”, le gridò mentre erano coricati. “Cosa dovrei fare secondo te? Stare a guardare mentre lo faranno davanti ai nostri rifugi?”. Al buio credette di distinguere i denti della donna scoperti in un sorriso.
“Nient’affatto. Salteremo solo la parte della caccia al buio: si sceglieranno qui davanti, nel grande spiazzo di pietra nera e non in una foresta. Dopodiché, quando si saranno formate le coppie, andranno ognuno dove gli pare”. Le ultime parole furono pronunciate in uno sbadiglio. L’uomo strinse i pugni e serrò le mascelle.
“E le fiaccole? Maledizione, che cosa ne sarà della tradizione?”. Per tutta risposta lei si voltò dall’altre parte.
“Le fiaccole le metteremo intorno allo spiazzo. Sarà anche meglio”.
Aveva voglia di urlare, afferrarla per le spalle e scuoterla. Si trattenne a stento, pensando allo scandalo che avrebbe dato se l’avessero sentito. Ormai ne era certo: la cosa gli era sfuggita definitivamente di mano. Al colmo della disperazione tentò il tutto per tutto: “Gli altri non accetteranno mai”.
“Le donne della tribù sono già d’accordo. Degli uomini invece una metà è d’accordo, mentre l’altra metà cederà fra poco”. Poi aggiunse divertita: “Un’intero ciclo lunare senza giacere con la propria donna è troppo per chiunque, sai?!”.
Due giorni prima cominciarono i preparativi.
Per tutto quel tempo fu scontroso, di cattivo umore. Del resto fu sempre preso da lavori pesanti: la parte più difficile fu spostare tutte le carcasse di ferro dal grande spiazzo di pietra nera, molte delle quali erano lì da sempre. Poi c’erano i detriti che erano caduti dalle grandi scatole di pietra da spostare. Infine, bisognava estirpare le piante e gli arbusti che erano cresciuti, spaccando la superficie nera dello spiazzo in più punti. Fu un lavoro terribilmente faticoso che lui e gli altri uomini si sobbarcarono in un silenzio cupo e colmo di risentimento. Se il loro lavoro avveniva controvoglia, quelle delle loro donne invece avveniva come in una festa, ridendo e chiacchierando. Mentre loro faticavano con i carichi pesanti, quelle disponevano torce e fiori alle pareti che circondavano lo spiazzo.
Il giorno prima, l’uomo tentò la sua ultima mossa: “I miei uomini hanno scoperto molte bestie feroci fuori dallo spiazzo. Se la prima luna nuova si terrà qui davanti, le attireremo su di noi e nessuno sarà al sicuro”.
Capì di aver fallito nel vederla sorridere di nuovo. “Allora, durante i festeggiamenti, tu e i tuoi uomini li spaventerete”.
“Spaventarli? Come?”.
Per tutta risposta la donna picchiò un pugno contro un secchio: “Facendo quanto più rumore possibile”.
Quando giunse la notte della prima luna nuova il suo umore aveva toccato il fondo.
La primavera imminente aveva riempito l’aria fuori dalle loro tane di un odore dolciastro e una spossatezza febbrile si era impossessata di lui. Sentiva gli occhi umidi e le membra calde. Ma la parte peggiore venne più tardi.
Non quando il sole andò a coricarsi dietro le scatole di pietra, ricoprendo lo spiazzo di ombre lugubri.
E nemmeno quando un vento fresco si sollevò dai lontani panorami verdeggianti, là dove torreggiavano le sagome in disfacimento delle grandi scatole di ferro.
La parte peggiore fu quando le femmine, creature giovani, ai suoi occhi ancora dei cuccioli, uscirono dalle tane e fra di loro c’era sua figlia.
Quando la vide prendere posto sorridendo nello spiazzo di pietra nera, indossando gli stessi ornamenti d’osso che anni prima aveva portato sua madre, quando era stato a lui “cacciarla” facendola divenire la sua donna, i suoi occhi si riempirono di lacrime.
Non fu per scacciare le bestie feroci, ma il peso che sentiva crescergli in petto: diede il primo colpo contro il suo guscio di ferro con una violenza esagerata. Il rumore fu quasi assordante, eppure nessuno trasalì. Rispondendo all’eco di quel primo colpo, i suoi compagni di caccia gli vennero dietro, picchiando su gusci metallici, pizzicando le corde degli archi o soffiando dentro ossa cave. Dallo spiazzo di pietra nera si levò così un suono confuso, fatto di altri suoni.
I maschi vennero fuori subito dopo, emergendo come sonnambuli dalle tane. Per qualche tempo si guardarono attorno come instupiditi: niente della loro esperienza pregressa li aveva preparati a quel momento. Tutta la tribù era presente e li guardava, come aspettandosi qualcosa da loro. Nell’impaccio del momento i giovani si fronteggiavano: da un lato i maschi e dall’altro le femmine. Curiosi eppure incapaci di avvicinarsi.
Ma a lui tutti quei dettagli non importavano.
Seguendo l’onda delle sue emozioni, i colpi che assestava sul guscio di ferro si erano fatti meno confusi e più profondi. Nello stesso modo, anche i suoi compagni si erano messi a imitarlo, usando ognuno il proprio strumento in un tentativo di copiare il suo suono. Quando il peso che provava nel petto fu troppo forte, alzò lo sguardo e i suoi occhi si fissarono sua quelli della sua compagna.
Negli ultimi giorni aveva evitato di guardarla in faccia, un po' per rabbia, un po' per fastidio. In quel momento la vide come la prima volta, chiusa in un'espressione sorridente che allo stesso tempo era anche triste e di colpo capì come anche lei avesse temuto quel momento.
Qualcosa si ruppe dentro di lui, trasformandolo per sempre.
Nessuno si rese conto di come e quando, ma di fatti il suono cambiò.
I colpi, i fischi e gli sfregamenti che fino a un attimo prima erano stati solo rumori per scacciare le bestie, divennero una cosa viva e piacevole.
Fu la scoperta di qualcosa di nuovo eppure antichissimo.
Qualcosa che era sempre stato dentro di loro ma che avevano dimenticato o che avevano aspettato fino a quel momento di riscoprire.
I colpi si fecero più dolci e veloci, gli sfregamenti più acuti e i fischi più simili ai versi d’insetti in amore.
Accadde allora qualcos’altro di strano e piacevole.
Alla luce tenue delle fiaccole, nel confuso mescolarsi di suoni e sensazioni, sua figlia cominciò a muoversi dondolando. A scatti, come seguendo il loro suono. E in breve non fu la sola.
Come pervase da una febbre contagiosa, anche le altre femmine la imitarono e rapidamente l’intero gruppo si dispose al centro dello spiazzo, ondeggiando e sussurrando. Il resto accadde troppo in fretta perché qualcuno potesse spiegarselo. Ma del resto, quella era la notte della prima luna nuova, un momento sacro in cui le cose cambiavano rinnovandosi. Persino le tradizioni.
Seguendo il suono, il gruppo dei maschi e quello delle femmine cominciarono finalmente a si mescolarsi. Giovani con giovani, sfiorandosi e osservandosi, prima lontani, poi vicini. Ogni tanto una coppia si allontanava dallo spiazzo, formando una nuova famiglia, lasciando sempre meno giovani al centro dello spiazzo. Continuarono così fino a quando le fiaccole non si spensero vacillando e anche l’ultima coppia non fu formata.
Quando ormai troppo stanco, smise di colpire il guscio di ferro, erano rimasti solo gli adulti a osservare il buio dello spiazzo nero. Sua figlia non c’era più persa chissà dove. Ma l’idea ora non lo atterriva più. La spossatezza degli ultimi giorni aveva lasciato il passo a una sensazione nuova, lieta.
Non ebbe bisogno di parlare o spiegare nulla: raggiunse la sua compagna e con lei fece ritorno alla loro tana. E lì, nella solitudine di un rifugio ormai senza più figli, si unirono come non era successo da molto tempo, con un abbandono e una voluttà mai provati prima.
Vi furono ancora altre notti come quelle, notti di prima luna nuova e non solo, in cui gli uomini cercarono il suono per ripetere il rito del grande movimento. Ma non gli accadde più di rimpiangere le vecchie tradizioni: ora sapeva che la loro natura non era fatta per obbedire cecamente a vecchie regole, ma per adattarsi al meglio di sempre nuove condizioni di vita.
Come del resto era già successo e ancora sarebbe avvenuto, nella storia della loro razza.
La razza umana.