[MI 184] Come un abete rosso nella taiga
Posted: Wed Oct 16, 2024 10:31 pm
Traccia N. 2 “quel timido raggio”
Ti trovi seduto nella penombra di una stanza buia, gli occhi incollati ai monitor mentre un suono acuto e intermittente ti trapana il cervello arrivando dritto alla tua anima.
Gocce di sudore ti colano sulle palpebre; pungono come aghi infuocati e, nonostante la vista appannata, senti addosso tutto il peso degli sguardi dei tuoi uomini.
Non puoi permetterti di smarrire la strada proprio adesso, non puoi “abbandonare la nave”, tornare a casa e rifugiarti nell’abbraccio di Raisa: sei Stanilslav Petrov, tenente colonnello dell’esercito sovietico, responsabile del centro rilevamento di attacchi nucleari dell’Unione Sovietica in piena guerra fredda.
È il 26 settembre del 1983; solo una ventina di giorni fa hai festeggiato il tuo quarantaquattresimo compleanno. Ti sei guardato allo specchio e non è stato per farti la barba: ti sei visto diverso, i capelli più radi, una spruzzata di neve sulle tempie e i baffi non riescono a nascondere le rughe d’espressione. Non hai un aspetto felice, quelle pieghe non raccontano dolcezze o sorrisi, ma sono perfette per incutere rispetto. Un volto dai lineamenti con un potenziale dolce ma indurito dal mestiere. Certo hai fatto una bella carriera militare, non c’è alcun dubbio. Se solo ripensi a quando avevi dieci anni non puoi credere che lo specchio rifletta proprio la tua immagine; a quell’età non avresti mai pensato che la tua vita prendesse una direzione simile.
Sei stato un bambino tranquillo. Ti piacevano i fiori e la neve, facevi finta di pescare per poter stare accanto a tuo padre qualche ora. Avevi sempre le guance arrossate, il naso che grondava e le mani così intirizzite dal freddo che non riuscivi a stendere le dita per sistemare la lenza. Una volta cresciuto le hai stese per premere il grilletto di non sai più quante armi.
Non eri come tuo fratello: forte, maschio. Lui si arrampicava sugli alberi con l’agilità di un gatto, faceva la lotta coi suoi compagni e, ogni volta che rientrava a casa con qualche livido in più, tua madre lo riempiva di baci e di complimenti.
Quante volte ne avresti voluto uno anche tu di quei baci, ma più lo desideravi e più restavi deluso, ma non è per questo che sei entrato nell’esercito. Non volevi guadagnare così l’affetto di tua madre. È stato tuo padre a scegliere per te e non hai saputo dirgli di no. Hai detto uno dei tanti “sì” della tua vita.
Certo, il sì migliore è stato quello che hai pronunciato a Raisa il giorno del vostro matrimonio. Una creatura così bella, così speciale da non credere che proprio tu potessi meritarti il suo amore.
Al pensiero gli occhi s’inumidiscono e in questo momento non te lo puoi permettere. Serri stretto le palpebre. Lei trova sempre il modo di toglierti dai guai, d’indicarti la strada. Forse anche adesso riesce a percepire il tuo tormento. Non puoi chiamarla, non puoi raccontarle ciò che hai visto, non puoi farle ascoltare il suono insistente dell’allarme.
Forse per la prima volta capisci davvero il senso della parola solitudine, quel momento in cui puoi contare solo su te stesso e sulla buona sorte, ammesso che esista.
Come colonnello Petrov sperare nella fortuna vorrebbe dire allargare le braccia e offrire il petto alla morte, ma, come Stanislav, significherebbe avere una possibilità. E dentro di te lo sai che vale la pena di rischiare anche per una sola opportunità di vittoria.
Pur amando la pace, hai dovuto allenarti a odiare il nemico, a odiare l’America e tutto ciò che la rappresenta. Hai giurato di difendere la Patria fosse pure a costo della distruzione del pianeta.
È stato il sì più amaro che hai pronunciato. Se ci ripensi senti ancora il suo gusto acido salire dallo stomaco e darti la nausea.
Non sei un militare qualsiasi, i tuoi genitori dovrebbero essere almeno un po’ orgogliosi del ruolo che ti hanno assegnato, ma non tua madre. È inutile pensare che sia solo una sciocca fantasia, quando, nei tuoi silenzi, riesci a dialogare con la parte più intima di te, non puoi negare di sentirti deluso dalla sua indifferenza. Sei un uomo sensibile, in fondo. Forse saresti diventato un fottuto poeta se fossi stato capace di dire: “No”. Invece sai essere di ghiaccio quando occorre, hai imparato bene ad adattarti. Come un abete rosso nella Taiga.
Il computer insiste: c’è un missile probabilmente dotato di testata nucleare che sta viaggiando a ventiquattromila chilometri all’ora verso la capitale. Ti chiedi se davvero gli americani abbiano deciso di attaccare con soltanto un’arma. Li hai sempre considerati arroganti, gente che pensa di vincere le guerre e comprarsi la benevolenza degli altri popoli con il denaro. Possibile che non si rendano conto di provocare un disastro che coinvolge tutta la Terra? Non possono essere così pazzi. Più continui a pensarci e più ti convinci che avrebbero ben altre possibilità di “mostrare i loro muscoli”. Deve esserci un’errore.
Ecco cosa farai: chiamerai la base militare Serpukov-15, lì c’è il centro di controllo del sistema Oko, potranno fare delle verifiche. Oko, “l’Occhio”, la costellazione di satelliti spia che hai contribuito a sviluppare… è improbabile che ci sia un malfunzionamento. Ma potrebbe essere possibile… una possibilità per cui vale la pena di spendere qualche minuto. Anche se di minuti non ne hai molti.
A quella velocità, se fosse vero, i missili raggiungerebbero l’obiettivo in meno di mezz’ora e sono già trascorsi più di dieci minuti dalla rilevazione. Dovresti osservare il protocollo e attivare la linea diretta con i comandanti superiori. Certo, ci sarebbe una risposta immediata, missili nucleari verrebbero lanciati senza indugio verso il nemico provocando un’escalation nucleare che porterebbe alla distruzione di tutta l’umanità. Se fosse vero… ma se si trattasse di un errore?
Il sistema sembra funzionare bene, ma per un solo missile nemico non vale la pena provocare una guerra di tale proporzione.
Dirai di non procedere. Tutti devono stare calmi, devono avere fiducia in te o anche se non si fidassero ti devono obbedienza, cazzo.
Hai appena comunicato la tua decisione, che la sirena riprende a diffondere il suo lugubre lamento.
Un altro missile appare sui monitor, seguendo la traccia del precedente. Hai la gola secca, senti le tempie pulsare, ti corrono davanti agli occhi le immagini di Raisa, della bellezza del mare al tramonto, senti il fruscio delle cime degli alberi accarezzati dal vento, lo sciabordio dell’acqua del fiume sui sassi pieni di limo sui quali scivolavi ogni volta. E la mano di tuo padre che si tendeva per evitare di farti trascinare via dalla corrente.
Poi un fischio e un altro missile sul monitor, tre possibili testate nucleari che avanzano per distruggere la tua Patria. Neppure il tempo di pensare che eccone un altro e un altro ancora…
Coraggio, colonnello Petrov, alza quel maledetto telefono e avvisa il Comando Superiore. Non puoi attendere oltre, non puoi davvero permettere che gli americani distruggano il tuo Paese. Hai fatto un giuramento…
I missili continuano la loro folle corsa, mancano pochi minuti all’obiettivo.
Ti avvicini al monitor. Uno, due, tre, quattro, cinque… Solo cinque. Conti mentalmente i danni. La Russia distrutta, e, poco dopo, anche buona parte dell’Asia e dell’Europa. Tu sei morto comunque. Sei un uomo morto che deve prendere una decisione su quanti uomini, donne, bambini, animali, piante, portare con te all’inferno. Se il sistema funziona bene, entro pochi minuti tutto sarà compiuto.
E se, al contrario, darai al tuo governo la possibilità di rispondere all’attacco?
Sarà una questione di giorni, ma tutta l’umanità rischia di essere distrutta da una guerra nucleare totale. Le radiazioni contamineranno tutto il pianeta, presto l’umanità non avrà né acqua né cibo. Veleno, solo veleno per una lenta e dolorosa eutanasia. Fino all’estinzione.
Tu sei già un uomo morto. Se anche riuscissi a salvarti, i tuoi comandanti ti condannerebbero per la decisione presa in ritardo. Puoi ancora evitare che i missili raggiungano l’obiettivo. Hai le dita intirizzite e rigide come quando eri bambino, ma il gelo non è fuori. Il gelo è dentro di te.
Solo cinque missili. L’America non potrebbe mai attaccare con così poche armi.
Dev’esserci un errore. Potrebbe essere un malfunzionamento del sistema non ancora rilevato. Un’opportunità.
I tuoi uomini ti guardano allarmati. Possibile che abbiano per comandante un uomo incapace di prendere una decisione? Li vedi scambiarsi occhiate sospettose. Forse qualcuno di loro pensa già di potersi sostituire a te. Forse farà lui la chiamata prima che sia troppo tardi… magari prenderà il tuo posto e anche un encomio per aver salvato la Patria. Tu, al contrario, finirai i tuoi giorni nel disonore e ti spediranno in qualche angolo sperduto, magari dopo averti torchiato a dovere. Ma la tortura peggiore sarà non rivedere Raisa. Chiudi gli occhi, puoi quasi sentire il calore del suo corpo che ti abbraccia forte. “Coraggio”, sembra sussurrarti, “tu sai cosa fare. Mi fido di te. Ti amo.”
“NO!” senti la tua voce uscire dalla profondità del petto con un suono energico, una forza mai sentita prima.
“Fermate subito le procedure”, dici ai tuoi uomini. “Non mi fido del sistema, potrebbe esserci un malfunzionamento dei satelliti, li conosco bene. Siamo nei giorni dell’equinozio d’autunno, le radiazioni solari potrebbero aver confuso i segnali e provocato un falso allarme”.
Respiri, le braccia ti cadono lunghe sul corpo. Devi sederti, bere qualcosa. Magari ci fosse qualcosa di forte da stordirti. La lotta è finita, l’allarme continua a fendere l’aria. Pochi minuti ancora e saprai la verità. Se tu credessi in qualche dio potresti pregare, ma ora vuoi solo guardare i tuoi uomini sbigottiti dritto negli occhi.
Le luci intermittenti si placano. Un chiarore tenue e confortante invade il bunker.
La sirena cessa il suo lamento, le tracce dei missili spariscono dai monitor. Per qualche istante si ode solo il ronzio benevolo dei generatori.
Il trillo del telefono ti fa trasalire. Alzi la cornetta pronto ad ascoltare la sentenza. È il comandate della base Serpukov-15: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]da tempo non vedevi la luce e quel timido raggio giunge inatteso. [/font]Un falso allarme, tutto risolto. Nessun missile americano in arrivo.
Scoppia fragoroso e potente l’applauso dei tuoi uomini, una lacrima ti riga il volto.
Il tuo primo “no” al Sistema, ha salvato il mondo dalla terza guerra mondiale, ma non ti senti un eroe. Forse hai soltanto dato un’altra chance all’umanità. E per questa opportunità è valsa la pena rischiare anche se sei sicuro di aver fatto incazzare i tuoi comandanti. Non saranno teneri con te. Ma tu sei come un abete rosso nella Taiga. Ti saprai adattare.
Ti trovi seduto nella penombra di una stanza buia, gli occhi incollati ai monitor mentre un suono acuto e intermittente ti trapana il cervello arrivando dritto alla tua anima.
Gocce di sudore ti colano sulle palpebre; pungono come aghi infuocati e, nonostante la vista appannata, senti addosso tutto il peso degli sguardi dei tuoi uomini.
Non puoi permetterti di smarrire la strada proprio adesso, non puoi “abbandonare la nave”, tornare a casa e rifugiarti nell’abbraccio di Raisa: sei Stanilslav Petrov, tenente colonnello dell’esercito sovietico, responsabile del centro rilevamento di attacchi nucleari dell’Unione Sovietica in piena guerra fredda.
È il 26 settembre del 1983; solo una ventina di giorni fa hai festeggiato il tuo quarantaquattresimo compleanno. Ti sei guardato allo specchio e non è stato per farti la barba: ti sei visto diverso, i capelli più radi, una spruzzata di neve sulle tempie e i baffi non riescono a nascondere le rughe d’espressione. Non hai un aspetto felice, quelle pieghe non raccontano dolcezze o sorrisi, ma sono perfette per incutere rispetto. Un volto dai lineamenti con un potenziale dolce ma indurito dal mestiere. Certo hai fatto una bella carriera militare, non c’è alcun dubbio. Se solo ripensi a quando avevi dieci anni non puoi credere che lo specchio rifletta proprio la tua immagine; a quell’età non avresti mai pensato che la tua vita prendesse una direzione simile.
Sei stato un bambino tranquillo. Ti piacevano i fiori e la neve, facevi finta di pescare per poter stare accanto a tuo padre qualche ora. Avevi sempre le guance arrossate, il naso che grondava e le mani così intirizzite dal freddo che non riuscivi a stendere le dita per sistemare la lenza. Una volta cresciuto le hai stese per premere il grilletto di non sai più quante armi.
Non eri come tuo fratello: forte, maschio. Lui si arrampicava sugli alberi con l’agilità di un gatto, faceva la lotta coi suoi compagni e, ogni volta che rientrava a casa con qualche livido in più, tua madre lo riempiva di baci e di complimenti.
Quante volte ne avresti voluto uno anche tu di quei baci, ma più lo desideravi e più restavi deluso, ma non è per questo che sei entrato nell’esercito. Non volevi guadagnare così l’affetto di tua madre. È stato tuo padre a scegliere per te e non hai saputo dirgli di no. Hai detto uno dei tanti “sì” della tua vita.
Certo, il sì migliore è stato quello che hai pronunciato a Raisa il giorno del vostro matrimonio. Una creatura così bella, così speciale da non credere che proprio tu potessi meritarti il suo amore.
Al pensiero gli occhi s’inumidiscono e in questo momento non te lo puoi permettere. Serri stretto le palpebre. Lei trova sempre il modo di toglierti dai guai, d’indicarti la strada. Forse anche adesso riesce a percepire il tuo tormento. Non puoi chiamarla, non puoi raccontarle ciò che hai visto, non puoi farle ascoltare il suono insistente dell’allarme.
Forse per la prima volta capisci davvero il senso della parola solitudine, quel momento in cui puoi contare solo su te stesso e sulla buona sorte, ammesso che esista.
Come colonnello Petrov sperare nella fortuna vorrebbe dire allargare le braccia e offrire il petto alla morte, ma, come Stanislav, significherebbe avere una possibilità. E dentro di te lo sai che vale la pena di rischiare anche per una sola opportunità di vittoria.
Pur amando la pace, hai dovuto allenarti a odiare il nemico, a odiare l’America e tutto ciò che la rappresenta. Hai giurato di difendere la Patria fosse pure a costo della distruzione del pianeta.
È stato il sì più amaro che hai pronunciato. Se ci ripensi senti ancora il suo gusto acido salire dallo stomaco e darti la nausea.
Non sei un militare qualsiasi, i tuoi genitori dovrebbero essere almeno un po’ orgogliosi del ruolo che ti hanno assegnato, ma non tua madre. È inutile pensare che sia solo una sciocca fantasia, quando, nei tuoi silenzi, riesci a dialogare con la parte più intima di te, non puoi negare di sentirti deluso dalla sua indifferenza. Sei un uomo sensibile, in fondo. Forse saresti diventato un fottuto poeta se fossi stato capace di dire: “No”. Invece sai essere di ghiaccio quando occorre, hai imparato bene ad adattarti. Come un abete rosso nella Taiga.
Il computer insiste: c’è un missile probabilmente dotato di testata nucleare che sta viaggiando a ventiquattromila chilometri all’ora verso la capitale. Ti chiedi se davvero gli americani abbiano deciso di attaccare con soltanto un’arma. Li hai sempre considerati arroganti, gente che pensa di vincere le guerre e comprarsi la benevolenza degli altri popoli con il denaro. Possibile che non si rendano conto di provocare un disastro che coinvolge tutta la Terra? Non possono essere così pazzi. Più continui a pensarci e più ti convinci che avrebbero ben altre possibilità di “mostrare i loro muscoli”. Deve esserci un’errore.
Ecco cosa farai: chiamerai la base militare Serpukov-15, lì c’è il centro di controllo del sistema Oko, potranno fare delle verifiche. Oko, “l’Occhio”, la costellazione di satelliti spia che hai contribuito a sviluppare… è improbabile che ci sia un malfunzionamento. Ma potrebbe essere possibile… una possibilità per cui vale la pena di spendere qualche minuto. Anche se di minuti non ne hai molti.
A quella velocità, se fosse vero, i missili raggiungerebbero l’obiettivo in meno di mezz’ora e sono già trascorsi più di dieci minuti dalla rilevazione. Dovresti osservare il protocollo e attivare la linea diretta con i comandanti superiori. Certo, ci sarebbe una risposta immediata, missili nucleari verrebbero lanciati senza indugio verso il nemico provocando un’escalation nucleare che porterebbe alla distruzione di tutta l’umanità. Se fosse vero… ma se si trattasse di un errore?
Il sistema sembra funzionare bene, ma per un solo missile nemico non vale la pena provocare una guerra di tale proporzione.
Dirai di non procedere. Tutti devono stare calmi, devono avere fiducia in te o anche se non si fidassero ti devono obbedienza, cazzo.
Hai appena comunicato la tua decisione, che la sirena riprende a diffondere il suo lugubre lamento.
Un altro missile appare sui monitor, seguendo la traccia del precedente. Hai la gola secca, senti le tempie pulsare, ti corrono davanti agli occhi le immagini di Raisa, della bellezza del mare al tramonto, senti il fruscio delle cime degli alberi accarezzati dal vento, lo sciabordio dell’acqua del fiume sui sassi pieni di limo sui quali scivolavi ogni volta. E la mano di tuo padre che si tendeva per evitare di farti trascinare via dalla corrente.
Poi un fischio e un altro missile sul monitor, tre possibili testate nucleari che avanzano per distruggere la tua Patria. Neppure il tempo di pensare che eccone un altro e un altro ancora…
Coraggio, colonnello Petrov, alza quel maledetto telefono e avvisa il Comando Superiore. Non puoi attendere oltre, non puoi davvero permettere che gli americani distruggano il tuo Paese. Hai fatto un giuramento…
I missili continuano la loro folle corsa, mancano pochi minuti all’obiettivo.
Ti avvicini al monitor. Uno, due, tre, quattro, cinque… Solo cinque. Conti mentalmente i danni. La Russia distrutta, e, poco dopo, anche buona parte dell’Asia e dell’Europa. Tu sei morto comunque. Sei un uomo morto che deve prendere una decisione su quanti uomini, donne, bambini, animali, piante, portare con te all’inferno. Se il sistema funziona bene, entro pochi minuti tutto sarà compiuto.
E se, al contrario, darai al tuo governo la possibilità di rispondere all’attacco?
Sarà una questione di giorni, ma tutta l’umanità rischia di essere distrutta da una guerra nucleare totale. Le radiazioni contamineranno tutto il pianeta, presto l’umanità non avrà né acqua né cibo. Veleno, solo veleno per una lenta e dolorosa eutanasia. Fino all’estinzione.
Tu sei già un uomo morto. Se anche riuscissi a salvarti, i tuoi comandanti ti condannerebbero per la decisione presa in ritardo. Puoi ancora evitare che i missili raggiungano l’obiettivo. Hai le dita intirizzite e rigide come quando eri bambino, ma il gelo non è fuori. Il gelo è dentro di te.
Solo cinque missili. L’America non potrebbe mai attaccare con così poche armi.
Dev’esserci un errore. Potrebbe essere un malfunzionamento del sistema non ancora rilevato. Un’opportunità.
I tuoi uomini ti guardano allarmati. Possibile che abbiano per comandante un uomo incapace di prendere una decisione? Li vedi scambiarsi occhiate sospettose. Forse qualcuno di loro pensa già di potersi sostituire a te. Forse farà lui la chiamata prima che sia troppo tardi… magari prenderà il tuo posto e anche un encomio per aver salvato la Patria. Tu, al contrario, finirai i tuoi giorni nel disonore e ti spediranno in qualche angolo sperduto, magari dopo averti torchiato a dovere. Ma la tortura peggiore sarà non rivedere Raisa. Chiudi gli occhi, puoi quasi sentire il calore del suo corpo che ti abbraccia forte. “Coraggio”, sembra sussurrarti, “tu sai cosa fare. Mi fido di te. Ti amo.”
“NO!” senti la tua voce uscire dalla profondità del petto con un suono energico, una forza mai sentita prima.
“Fermate subito le procedure”, dici ai tuoi uomini. “Non mi fido del sistema, potrebbe esserci un malfunzionamento dei satelliti, li conosco bene. Siamo nei giorni dell’equinozio d’autunno, le radiazioni solari potrebbero aver confuso i segnali e provocato un falso allarme”.
Respiri, le braccia ti cadono lunghe sul corpo. Devi sederti, bere qualcosa. Magari ci fosse qualcosa di forte da stordirti. La lotta è finita, l’allarme continua a fendere l’aria. Pochi minuti ancora e saprai la verità. Se tu credessi in qualche dio potresti pregare, ma ora vuoi solo guardare i tuoi uomini sbigottiti dritto negli occhi.
Le luci intermittenti si placano. Un chiarore tenue e confortante invade il bunker.
La sirena cessa il suo lamento, le tracce dei missili spariscono dai monitor. Per qualche istante si ode solo il ronzio benevolo dei generatori.
Il trillo del telefono ti fa trasalire. Alzi la cornetta pronto ad ascoltare la sentenza. È il comandate della base Serpukov-15: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]da tempo non vedevi la luce e quel timido raggio giunge inatteso. [/font]Un falso allarme, tutto risolto. Nessun missile americano in arrivo.
Scoppia fragoroso e potente l’applauso dei tuoi uomini, una lacrima ti riga il volto.
Il tuo primo “no” al Sistema, ha salvato il mondo dalla terza guerra mondiale, ma non ti senti un eroe. Forse hai soltanto dato un’altra chance all’umanità. E per questa opportunità è valsa la pena rischiare anche se sei sicuro di aver fatto incazzare i tuoi comandanti. Non saranno teneri con te. Ma tu sei come un abete rosso nella Taiga. Ti saprai adattare.