[MI183] occhi verdi
Posted: Thu Sep 26, 2024 12:20 am
Traccia 3 - Il fratello
Alfredo non si capacita di non avere versato una lacrima.
Non prova senso di colpa, cerca di ricordare quando sia l’ultima volta che ha pianto, è concentratissimo, sente l’esigenza e l’urgenza di una risposta, pur nella consapevolezza di non doverne dare conto a nessuno.
Sua moglie ha rinunciato a dargli una mano nella liberazione della s di nonna Ada.
Inizialmente voleva stargli vicino, fargli sentire una presenza confortante, ma l’esasperante lentezza del marito nel soffermarsi su ogni singolo oggetto di cui avrebbe dovuto disfarsi e invece con tutta probabilità sarebbe finito nella loro soffitta, oltre alla totale mancanza di segnali che le dimostrassero un vago interesse alla sua presenza, l’avevano spinta ad impiegare diversamente il suo tempo.
“Alfredino Rampi! Caspita se ho pianto seguendo quel caso.”
Una tragedia alle porte di Roma avvenuta nel 1981, un bimbo di soli sei anni era caduto in un ponte artesiano coperto da una lamiera.
Un baratro di ottanta metri e largo solo trenta centimetri aveva inghiottito il bimbo a pochi metri da casa, lasciandolo bloccato a trentasei metri di profondità.
Alfredo come tutti gli italiani aveva seguito la cronaca dei tentativi di salvataggio, aveva sentito le viscere chiuse in un pugno sentendo la voce del piccolo, aveva incoraggiato i soccorritori che si affannavano nello schermo di una televisione che nessuno aveva cuore di spegnere, nel timore che il gesto potesse sminuire la sentita partecipazione all’evento.
Dopo tre giorni di speranze infrante, Alfredino era deceduto. Lo stivale era unito da un pianto incredulo. Un’esondazione di sgomento, rabbia, dolore.
Quel pianto dirompente è l’unico di cui Alfredo ha memoria ad esclusione di qualche aneddoto dell’infanzia, per i quali dubitava fossero piuttosto i racconti più volte ascoltati, a dargli l’illusione di una memoria che, a cinquant’anni, aveva iniziato a fare le bizze.
Riprende quella che doveva essere semplice manovalanza per liberare la soffitta di un appartamento da vendere, poi evoluta in minuziosa catalogazione che gli permette di lasciarsi andare ai ricordi e a stupirsi per piccole scoperte.
“-Puoi anche piangere se ti va, ti liberi, butti fuori le tossine, ma di sicuro non devi farlo per me, che nella vita non mi è mancato nulla e son morta quando l’ho deciso io.
-Lo so bene nonna, volevi festeggiare l’avvento del nuovo millennio con me, i tuoi cento e i miei cinquanta anni lo stesso giorno, arzilla come sempre, la schiena migliore della mia e poi prima che scattasse la mezzanotte, omega 1 gennaio 2000, come mi avevi detto di voler scrivere sul santino, come avevi sul nome di una via di non so quale paese su un lago. Ti sei fatta spiegare il significato di quella lettera greca e ti sei raccomandata che fosse inserita su santino e lapide. A sinistra alfa 1 gennaio 1900, però lo sapevi che avevano barato, per non farti perdere un anno per un paio di giorni.”
Nessuna risposta in questo dei tanti dialoghi immaginati da Alfredo come da abitudine, con i più vari interlocutori, generalmente vivi, con i quali non sconta discussioni, facendo a volte sorridere, altre preoccupare, Carmela, la moglie, che lo vede in continuazione parlare senza emettere suoni, cambiare espressioni, a volte gesticolare.
Carmela era certa che suo marito non sarebbe mai arrivato in orario per la cena, d’abitudine era solito divagare e non prestare attenzione alle lancette, ora, impegnato tra i ricordi, malinconico per l’imminente vendita dell’ appartamento della sua amatissima nonna scomparsa da nemmeno due anni, era già scritto che dovesse lasciare l’arrosto a caldo nel forno per i quindici minuti necessari a raggiungerlo, riportarlo al presente e ricondurlo a casa.
“Hai trovato delle foto! Che bello, chissà perché queste la nonna le aveva messe in soffitta, era così orgogliosa dei suoi album…”
Alfredo non distoglie lo sguardo da una foto formato A4 che tiene tra le mani.
“Sono foto antiche di gruppo di persone che non riconosco, non ho proprio idea di chi siano.”
Facendo capolino dietro la spalla Carmela vede la foto che ha calamitato lo sguardo del marito.
“Ma quello sei tu alla prima comunione! Ma che bella, una foto colorata, sai che credo venissero dipinte a mano? Ma non avevi il saio? Questa l’hai fatta in abiti normali per la festa, ma ti eri cambiato già in chiesa? È bellissima, sarà finita qui in soffitta per errore.”
Alfredo è incupito, labbra arricciate, solco verticale in mezzo alle sopracciglia, classica espressione di quando si cimenta nei cruciverba più complicato, eppure ha lo sguardo vacuo.
“Senti, rimettiamo nella scatola le foto di chissà chi, poi a cena decidiamo che farne, la tua portiamola a casa, la voglio incorniciare!” Lascia nuovamente scivolare lo sguardo sulla foto tra le mani del marito. Un tassello fuori posto.
“Perché ti hanno colorato gli occhi di verde? Tu li hai marrone scuri…”
“Se è per questo io sono rimasto col saio, questi non avrebbero mai potuto essere i miei vestiti e non è la mia chiesa.”
“Ma cosa vuoi ricordarti quel che indossavi quarant’anni fa! Però è buffo che ti abbiano fatto gli occhi di un altro colore. Forse questa è una copia sbagliata e per questo tua nonna l’ha conservata in soffitta.”
“Questo è chiaramente un ritratto nel giorno della prima comunione di questo ragazzino, la data sul retro della foto è 1962, io l’ho fatta nel 1960.”
“Senti, andiamo a cena ora. Sarà un tuo cugino.”
“Lo sai che sono l’unico nipote maschio, l’ho trovata in quella cartellina, nascosta in una scatola sotto santini, rosari, madonnine. Guarda nella cartellina.”
Il tono non ammette repliche, con buona pace dell’ arrosto.
Pochi secondi di respiro trattenuto dirompono in un singulto di fame d’aria.
“Tua mamma ha perso un figlio! Avevi un fratello, morto dopo poche ore dalla nascita. Non ne sapevo nulla. Ma tu… Tu lo sapevi? Vi passavate due anni. 3 marzo 1952… la foto… la comunione de quel ragazzo, due anni dopo la tua… ma che significa?”
Alfredo accenna un sorriso solo dal lato sinistro della bocca.
“Non è strano che entrambi colleghiamo la foto di quel ragazzo ad un certificato di morte praticamente contestuale alla nascita? Hai letto il biglietto senza firma, che chiede perdono per tutto scrivendo che ogni azione era dettata dal desiderio di fare del bene?”
“Alfredo ti prego, andiamo a casa. Stiamo sragionando.”
“Domani parlo con mia madre.”
“Tua madre ha l’alzheimer.”
“Parlerò con mio padre.”
“Ti prego Alfredo, andiamo.”
Alfredo è tirato quando apparecchia sul tavolo del soggiorno la foto, l’atto di nascita e morte, la lettera anonima.
Il padre stava seguendo i suoi gesti. Inforca gli occhiali e Alfredo sente pietrificarsi nell’ intimo vedendo quell’uomo invecchiare all’istante. Il tempo di capire cosa stava affrontando e gli occhi gli si erano infossati, velato. Sembrava essersi rimpicciolito, era diventato d’improvviso fragile, eppure la risposta era stata inizialmente imperiosa: “Lascia stare questa storia”, già incrinandosi nell’aggiungere un angosciato “ti prego“.
Alfredo lo squadra con un misto di pena, rabbia, paura.
“Ho il diritto di sapere. Non c’è possibilità che questa storia si chiuda così.”
Franco, il padre, soffre visibilmente, lo sguardo è supplichevole, non proferisce parola. È chiaro che vorrebbe trovarsi altrove. Alfredo è inclemente, lo sollecita. Franco si ritrae incassando colpi invisibili. Alla fine, non ha alternative.
“C’è stato uno scambio in culla. Vi sareste passati appena due anni. Dopo un paio d’ore dalla nascita hanno detto che il piccolo era morto. Anni dopo abbiamo scoperto che tuo fratello era finito nella famiglia che aveva perso il bimbo, senza mai averne cognizione.”
“Come faceva nonna ad avere la foto della comunione? Quando avete saputo che vostro figlio, mio fratello, era vivo? Perché non aveva fatto nulla? Mi sembra di impazzire.”
“Ti prego, chiudiamola qui."
“Non si può chiudere qualcosa che non si è mai aperto!”
“Nulla sarà come prima.”
“Siamo già in questa situazione.”
“Non sapevamo nulla finché l’ostetrica non si è confessata con tua nonna. Avrai avuto 12 anni quando questa tipa si è presentata alla nostra porta. Abbiamo scoperto in quel momento, non senza il dovuto scetticismo, che il bimbo considerato ormai morto, per un errore, era stato affidato alla famiglia sbagliate.
Puoi immaginare lo shock?”
“Perché non ne ho saputo nulla? Perché non abbiamo mai avuto contatti?”
“L’ostetrica aveva contattato la nuova famiglia di tuo fratello, si era fatta dare una foto recente dicendo che le occorreva per una sua collezione, di tutti i bimbi che aveva fatto nascere.
In un secondo momento ha provato a spiegare all'altra famiglia l’accaduto, ma ci ha riferimento di non esserci mai riuscita. La situazione era delicata.”
“Come si chiama?”
“Lo hanno chiamato Antonio. Credimi, lascia stare, io questa storia la conosco grazie a tua nonna, mi ha detto che era il diavolo.”
“Non è possibile che nonna non abbia fatto nulla, che voi non abbiate fatto nulla. Vostro figlio, mio fratello… non contava nulla? Scoprite che è vivo e la cosa vi scivola addosso?”
Un’ombra passa veloce sullo sguardo di Alfredo:
“Cosa voleva dire l’ostetrica scrivendo che aveva fatto tutto a fin di bene? Cosa mi stai nascondendo?”
Senza rendersene conto è addosso al padre, aggressivo, in fiamme.
“Tua madre non voleva quel figlio. Era frutto di una violenza. Era annichilita in ospedale. Piangeva, divorata dalla depressione. Olga, l’ostetrica, l’aveva presa a cuore. Quella notte un’altra donna aveva partorito, una coppia che desiderava un bambino da anni. Il loro bambino è morto dopo poche ore. Olga ha pensato di fare bene per tutti.”
“Ma quel ragazzo è identico a me. Come è possibile che fosse il figlio di una violenza? Io somiglio a te.”
Franco crolla, le gambe non gli reggono, crolla a terra.
“Tu sei mio figlio perché ti ho cresciuto, ti ho amato sopra ogni cosa. Ma il tuo padre naturale pochi mesi dopo la tua nascita ha perso il lavoro, ha iniziato a bere, era diventato violento, più volte nei tuoi primi due anni di vita tu e tua madre avete rischiato la vita per i suoi attacchi d’ira. Tuo padre ha violentato tua madre. È rimasto ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia mentre tua madre stava partorendo il bimbo che pensavamo fosse morto appena nato. Ci siamo conosciuti in ospedale.”
Alfredo è trasfigurato.
“Io somiglio a te...”
Alfredo non si capacita di non avere versato una lacrima.
Non prova senso di colpa, cerca di ricordare quando sia l’ultima volta che ha pianto, è concentratissimo, sente l’esigenza e l’urgenza di una risposta, pur nella consapevolezza di non doverne dare conto a nessuno.
Sua moglie ha rinunciato a dargli una mano nella liberazione della s di nonna Ada.
Inizialmente voleva stargli vicino, fargli sentire una presenza confortante, ma l’esasperante lentezza del marito nel soffermarsi su ogni singolo oggetto di cui avrebbe dovuto disfarsi e invece con tutta probabilità sarebbe finito nella loro soffitta, oltre alla totale mancanza di segnali che le dimostrassero un vago interesse alla sua presenza, l’avevano spinta ad impiegare diversamente il suo tempo.
“Alfredino Rampi! Caspita se ho pianto seguendo quel caso.”
Una tragedia alle porte di Roma avvenuta nel 1981, un bimbo di soli sei anni era caduto in un ponte artesiano coperto da una lamiera.
Un baratro di ottanta metri e largo solo trenta centimetri aveva inghiottito il bimbo a pochi metri da casa, lasciandolo bloccato a trentasei metri di profondità.
Alfredo come tutti gli italiani aveva seguito la cronaca dei tentativi di salvataggio, aveva sentito le viscere chiuse in un pugno sentendo la voce del piccolo, aveva incoraggiato i soccorritori che si affannavano nello schermo di una televisione che nessuno aveva cuore di spegnere, nel timore che il gesto potesse sminuire la sentita partecipazione all’evento.
Dopo tre giorni di speranze infrante, Alfredino era deceduto. Lo stivale era unito da un pianto incredulo. Un’esondazione di sgomento, rabbia, dolore.
Quel pianto dirompente è l’unico di cui Alfredo ha memoria ad esclusione di qualche aneddoto dell’infanzia, per i quali dubitava fossero piuttosto i racconti più volte ascoltati, a dargli l’illusione di una memoria che, a cinquant’anni, aveva iniziato a fare le bizze.
Riprende quella che doveva essere semplice manovalanza per liberare la soffitta di un appartamento da vendere, poi evoluta in minuziosa catalogazione che gli permette di lasciarsi andare ai ricordi e a stupirsi per piccole scoperte.
“-Puoi anche piangere se ti va, ti liberi, butti fuori le tossine, ma di sicuro non devi farlo per me, che nella vita non mi è mancato nulla e son morta quando l’ho deciso io.
-Lo so bene nonna, volevi festeggiare l’avvento del nuovo millennio con me, i tuoi cento e i miei cinquanta anni lo stesso giorno, arzilla come sempre, la schiena migliore della mia e poi prima che scattasse la mezzanotte, omega 1 gennaio 2000, come mi avevi detto di voler scrivere sul santino, come avevi sul nome di una via di non so quale paese su un lago. Ti sei fatta spiegare il significato di quella lettera greca e ti sei raccomandata che fosse inserita su santino e lapide. A sinistra alfa 1 gennaio 1900, però lo sapevi che avevano barato, per non farti perdere un anno per un paio di giorni.”
Nessuna risposta in questo dei tanti dialoghi immaginati da Alfredo come da abitudine, con i più vari interlocutori, generalmente vivi, con i quali non sconta discussioni, facendo a volte sorridere, altre preoccupare, Carmela, la moglie, che lo vede in continuazione parlare senza emettere suoni, cambiare espressioni, a volte gesticolare.
Carmela era certa che suo marito non sarebbe mai arrivato in orario per la cena, d’abitudine era solito divagare e non prestare attenzione alle lancette, ora, impegnato tra i ricordi, malinconico per l’imminente vendita dell’ appartamento della sua amatissima nonna scomparsa da nemmeno due anni, era già scritto che dovesse lasciare l’arrosto a caldo nel forno per i quindici minuti necessari a raggiungerlo, riportarlo al presente e ricondurlo a casa.
“Hai trovato delle foto! Che bello, chissà perché queste la nonna le aveva messe in soffitta, era così orgogliosa dei suoi album…”
Alfredo non distoglie lo sguardo da una foto formato A4 che tiene tra le mani.
“Sono foto antiche di gruppo di persone che non riconosco, non ho proprio idea di chi siano.”
Facendo capolino dietro la spalla Carmela vede la foto che ha calamitato lo sguardo del marito.
“Ma quello sei tu alla prima comunione! Ma che bella, una foto colorata, sai che credo venissero dipinte a mano? Ma non avevi il saio? Questa l’hai fatta in abiti normali per la festa, ma ti eri cambiato già in chiesa? È bellissima, sarà finita qui in soffitta per errore.”
Alfredo è incupito, labbra arricciate, solco verticale in mezzo alle sopracciglia, classica espressione di quando si cimenta nei cruciverba più complicato, eppure ha lo sguardo vacuo.
“Senti, rimettiamo nella scatola le foto di chissà chi, poi a cena decidiamo che farne, la tua portiamola a casa, la voglio incorniciare!” Lascia nuovamente scivolare lo sguardo sulla foto tra le mani del marito. Un tassello fuori posto.
“Perché ti hanno colorato gli occhi di verde? Tu li hai marrone scuri…”
“Se è per questo io sono rimasto col saio, questi non avrebbero mai potuto essere i miei vestiti e non è la mia chiesa.”
“Ma cosa vuoi ricordarti quel che indossavi quarant’anni fa! Però è buffo che ti abbiano fatto gli occhi di un altro colore. Forse questa è una copia sbagliata e per questo tua nonna l’ha conservata in soffitta.”
“Questo è chiaramente un ritratto nel giorno della prima comunione di questo ragazzino, la data sul retro della foto è 1962, io l’ho fatta nel 1960.”
“Senti, andiamo a cena ora. Sarà un tuo cugino.”
“Lo sai che sono l’unico nipote maschio, l’ho trovata in quella cartellina, nascosta in una scatola sotto santini, rosari, madonnine. Guarda nella cartellina.”
Il tono non ammette repliche, con buona pace dell’ arrosto.
Pochi secondi di respiro trattenuto dirompono in un singulto di fame d’aria.
“Tua mamma ha perso un figlio! Avevi un fratello, morto dopo poche ore dalla nascita. Non ne sapevo nulla. Ma tu… Tu lo sapevi? Vi passavate due anni. 3 marzo 1952… la foto… la comunione de quel ragazzo, due anni dopo la tua… ma che significa?”
Alfredo accenna un sorriso solo dal lato sinistro della bocca.
“Non è strano che entrambi colleghiamo la foto di quel ragazzo ad un certificato di morte praticamente contestuale alla nascita? Hai letto il biglietto senza firma, che chiede perdono per tutto scrivendo che ogni azione era dettata dal desiderio di fare del bene?”
“Alfredo ti prego, andiamo a casa. Stiamo sragionando.”
“Domani parlo con mia madre.”
“Tua madre ha l’alzheimer.”
“Parlerò con mio padre.”
“Ti prego Alfredo, andiamo.”
Alfredo è tirato quando apparecchia sul tavolo del soggiorno la foto, l’atto di nascita e morte, la lettera anonima.
Il padre stava seguendo i suoi gesti. Inforca gli occhiali e Alfredo sente pietrificarsi nell’ intimo vedendo quell’uomo invecchiare all’istante. Il tempo di capire cosa stava affrontando e gli occhi gli si erano infossati, velato. Sembrava essersi rimpicciolito, era diventato d’improvviso fragile, eppure la risposta era stata inizialmente imperiosa: “Lascia stare questa storia”, già incrinandosi nell’aggiungere un angosciato “ti prego“.
Alfredo lo squadra con un misto di pena, rabbia, paura.
“Ho il diritto di sapere. Non c’è possibilità che questa storia si chiuda così.”
Franco, il padre, soffre visibilmente, lo sguardo è supplichevole, non proferisce parola. È chiaro che vorrebbe trovarsi altrove. Alfredo è inclemente, lo sollecita. Franco si ritrae incassando colpi invisibili. Alla fine, non ha alternative.
“C’è stato uno scambio in culla. Vi sareste passati appena due anni. Dopo un paio d’ore dalla nascita hanno detto che il piccolo era morto. Anni dopo abbiamo scoperto che tuo fratello era finito nella famiglia che aveva perso il bimbo, senza mai averne cognizione.”
“Come faceva nonna ad avere la foto della comunione? Quando avete saputo che vostro figlio, mio fratello, era vivo? Perché non aveva fatto nulla? Mi sembra di impazzire.”
“Ti prego, chiudiamola qui."
“Non si può chiudere qualcosa che non si è mai aperto!”
“Nulla sarà come prima.”
“Siamo già in questa situazione.”
“Non sapevamo nulla finché l’ostetrica non si è confessata con tua nonna. Avrai avuto 12 anni quando questa tipa si è presentata alla nostra porta. Abbiamo scoperto in quel momento, non senza il dovuto scetticismo, che il bimbo considerato ormai morto, per un errore, era stato affidato alla famiglia sbagliate.
Puoi immaginare lo shock?”
“Perché non ne ho saputo nulla? Perché non abbiamo mai avuto contatti?”
“L’ostetrica aveva contattato la nuova famiglia di tuo fratello, si era fatta dare una foto recente dicendo che le occorreva per una sua collezione, di tutti i bimbi che aveva fatto nascere.
In un secondo momento ha provato a spiegare all'altra famiglia l’accaduto, ma ci ha riferimento di non esserci mai riuscita. La situazione era delicata.”
“Come si chiama?”
“Lo hanno chiamato Antonio. Credimi, lascia stare, io questa storia la conosco grazie a tua nonna, mi ha detto che era il diavolo.”
“Non è possibile che nonna non abbia fatto nulla, che voi non abbiate fatto nulla. Vostro figlio, mio fratello… non contava nulla? Scoprite che è vivo e la cosa vi scivola addosso?”
Un’ombra passa veloce sullo sguardo di Alfredo:
“Cosa voleva dire l’ostetrica scrivendo che aveva fatto tutto a fin di bene? Cosa mi stai nascondendo?”
Senza rendersene conto è addosso al padre, aggressivo, in fiamme.
“Tua madre non voleva quel figlio. Era frutto di una violenza. Era annichilita in ospedale. Piangeva, divorata dalla depressione. Olga, l’ostetrica, l’aveva presa a cuore. Quella notte un’altra donna aveva partorito, una coppia che desiderava un bambino da anni. Il loro bambino è morto dopo poche ore. Olga ha pensato di fare bene per tutti.”
“Ma quel ragazzo è identico a me. Come è possibile che fosse il figlio di una violenza? Io somiglio a te.”
Franco crolla, le gambe non gli reggono, crolla a terra.
“Tu sei mio figlio perché ti ho cresciuto, ti ho amato sopra ogni cosa. Ma il tuo padre naturale pochi mesi dopo la tua nascita ha perso il lavoro, ha iniziato a bere, era diventato violento, più volte nei tuoi primi due anni di vita tu e tua madre avete rischiato la vita per i suoi attacchi d’ira. Tuo padre ha violentato tua madre. È rimasto ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia mentre tua madre stava partorendo il bimbo che pensavamo fosse morto appena nato. Ci siamo conosciuti in ospedale.”
Alfredo è trasfigurato.
“Io somiglio a te...”