[Lab14] Un altro tipo di amiche
Posted: Sun Jun 16, 2024 2:07 pm
Fuori dal finestrino del treno, la campagna provenzale scorreva sotto gli occhi di Dafne a 300 all’ora, assolata e bellissima. Era un paesaggio ormai familiare, in cui si perdeva pensosamente ogni volta che tornava in Italia a trovare la famiglia e gli amici. Ma questa volta era diverso: stava tornando per restare. E avrebbe rivisto lei. Si rigirava il vecchio dado portafortuna tra le mani, ma non riusciva proprio a calmarsi.
Continuava a pensare all’ultima volta che si erano parlate, ormai dieci anni prima, intrappolate tra la fine dell’adolescenza e i primi scorci dell’età adulta. Quei diciott’anni che concedono la benedizione di un futuro ancora da scrivere, ma, per loro, anche la sensazione di portare sulle spalle il peso del mondo. Avevano litigato per una stupidaggine; per un ragazzo, il motivo più imbecille di tutti. E così anni di pomeriggi passati insieme dopo la scuola, di sabati sera a parlare della vita, a chiamarsi migliori amiche, si erano semplicemente dissolti.
Dafne appoggiò il dado nervosamente e riaprì il messaggio che la teneva sveglia da diverse notti ormai.
Ehi.
So che è stupido, ma ricordi che dieci anni fa ci eravamo dette che ci saremmo incontrate nel 2030, qualunque cosa accadesse? Beh, volevo solo farti sapere che io ci sarò. Anche se è stupido. Anche scrivere a un’amica con cui non parli più, per giunta, è stupido.
Fa niente. Mi piacerebbe sapere come stai. Che piega ha preso la tua vita, come sta tuo fratello, se hai visto l’aurora boreale.
Spero di vederti.
Carolina
Dafne non si sarebbe mai aspettata che lei volesse rivederla, dopo tutto quel tempo, men che meno per rispettare una stupida promessa adolescenziale fatta da ubriache. Credeva che qualunque possibilità, con lei, fosse chiusa; che si sarebbe portata i suoi sentimenti segreti nella tomba. Ma ora non era più così. Le aveva risposto, non sapeva neanche perché: “ci sarò”. E questo aveva cambiato tutto. Il suo sguardo rimbalzava dal finestrino, al dado, a quel dannato messaggio, segno dell’incertezza e di una scelta da fare. Dovrei dirle la verità?
***
Rivedere la sua città natale era sempre dolceamaro. Sembrava più un grosso paese, ipertrofico e deforme, abitato da vecchi acidi e spoglio di calore umano. Ma le mura medievali ed il bellissimo lago, incastonato nelle montagne, le ricordavano l’adolescenza e le notti passate a camminare nei vicoli. I negozi, nati per truffare i turisti, le ricordavano le magliette di moda comprate insieme, con i pochi soldi che avevano nelle loro prime borse ancora infantili. E poi i pomeriggi di nuvole grigie, in cui si erano rivelate sentimenti che sembravano tutto, e avevano lasciato che la profondità buia del lago facesse sembrare più piccoli i propri dolori.
Dopo un’attesa che sembrò lunghissima, Dafne la vide, dall’altra parte della piazza. Dopo dieci anni, era ancora come la ricordava: bellissima e consapevole di esserlo. L’aveva sempre invidiata per questo. I boccoli corvini cadevano in un caschetto corto che lasciava vedere i vistosi orecchini blu e arancioni, abbinati perfettamente al vestito lungo e agli stivali a punta. Anche i suoi gusti fieramente estrosi non erano cambiati.
Le due si videro, si sorrisero timidamente. Dafne iniziò a pensare a cosa dire mentre lei si avvicinava, ma non trovò una risposta soddisfacente e riuscì solo a dire piano:
“Ehi”.
“Ehi”, rispose l’altra con un piccolo sorriso, “sei venuta davvero”.
“Già, anche tu”, rise nervosamente Dafne.
“Vuoi andare al solito posto? Parliamo”.
Si avviarono verso il Chocolat, che, da ragazze, amavano particolarmente in inverno, quando fuori pioveva e si scaldavano le mani sulle tazze bollenti della cioccolata calda. Non avevano ancora rotto il ghiaccio, in effetti. Nessun “come stai?”, nessuna considerazione sul meteo. Dafne fu felice che non ne avessero sentito il bisogno.
***
“E ti ricordi di quella volta che c’era anche Mia, e quei tizi che avevi conosciuto a scuola avevano iniziato a farsi i buchi alle orecchie con gli aghi della mamma di Pavel?”, rideva Dafne.
“Sì, e tu eri talmente impressionata che ci avevi trascinato subito via, prima che io e Mia facessimo cazzate. Dovevi lasciarti andare un po’ di più!”
“Ehi, non me ne frega niente se vi bucate le orecchie o no; è che non era sicuro! Non volevo prendeste un’infezione!”
“Lo so, lo so. Oh, scusi? Cameriere? Potrebbe aggiungere la cannella alla cioccolata della mia amica per favore?" e guardando Dafne, "Ti piace ancora con la cannella, giusto?”
Le due si guardarono e Dafne si sentì di nuovo pervadere da un sentimento che credeva dimenticato. Quella sensazione di essere vista, in ogni singolo gesto. La sensazione di sentire la parola “amica” provenire da quella voce calda e familiare.
“Te lo ricordi ancora. Della cannella”, sorrise.
“Beh… Certo che sì”.
Dopo un momento di silenzio, Dafne riprese: “Senti, Lilla…”
“Lilla”, la interruppe la vecchia amica, “Erano dieci anni che nessuno mi chiamava più così. Mi mancava”.
“Preferisci che ti chiami Cara? All’ultimo anno delle superiori non volevi più essere chiamata Lilla”
“No, no. Lilla va bene”.
Ed eccola di nuovo, quella sensazione. Dafne la sentiva nel petto e quasi le veniva da piangere. Ripensò a quando uscivano a correre nei campi vicino casa, d’inverno, e poi tornavano al calare del buio e si stringevano per scaldarsi. E a quando leggevano insieme, ad alta voce, un capitolo a testa, e non riusciva a fare a meno di fissare rapita il movimento delle labbra di Lilla. Era come tornare a casa.
***
“Allora, com’è tornare a vivere qui dopo tanti anni?”
Dafne ci pensò e rimase un attimo in silenzio. Si erano spostate in riva al lago, ancora illuminato dal giallo limone dell’ultimo sole della giornata.
“Strano. Quando me ne sono andata ero decisa a lasciarmi alle spalle questo posto, e tutto il bagaglio che si portava dietro. Ma ora è diverso”. Pensò tra sé che, forse, il merito era anche di Lilla. “Ne ho passate davvero tante qui. Vivere coi miei faceva schifo, mio fratello era malato, mio padre era un pezzo di merda. E poi stavo male anche per te… Anche tu ne hai passate tante.”
Si sorrisero amaramente.
“Però adesso”, continuò Dafne, “stare qui non fa per forza schifo. Credevo che avrei associato questi luoghi al dolore per sempre, ma mi sbagliavo. Forse è bastato semplicemente che passasse del tempo.”
“E che morisse tuo padre…” aggiunse Lilla sottovoce.
"Già, probabilmente", rise tristemente Dafne.
Si guardarono di nuovo con lo stesso sorriso sarcastico, appena accennato, e Dafne decise di lasciarsi andare e dire tutto ciò che pensava ad alta voce, come ai vecchi tempi.
“Sai, credevo che anche tu saresti rimasta per sempre associata a quel periodo. Che non avremmo mai più potuto essere amiche. E mi faceva male.”
Entrambe ora avevano gli occhi lucidi.
“Lo capisco”, rispose Lilla a bassa voce. “Onestamente, se avessi scelto di non volermi mai più vedere l’avrei capito. Sono stata un’amica di merda, il più delle volte”.
“Non dire così. Cioè, sì, tante volte non ti sei comportata bene, ma non era colpa tua. Eri molto depressa e anche tu non potevi sentirti al sicuro in casa tua. E non è che io fossi perfetta.”
“Invece sì che eri perfetta.", disse Lilla con la voce rotta. "Dafne, non te l’avevo mai detto, ma… Dopo che ho tentato di… Mi hanno fatto una diagnosi. Bipolare di tipo 1.”
“... Cosa? E perché non me l’avevi mai detto?”
Lilla sospirò, accendendosi una sigaretta. Dafne pensò che era un peccato; sperava che avesse smesso. Diceva sempre di voler smettere.
“Non te l’ho mai detto perché avevo paura del tuo giudizio. Mentre io sbandavo, bevevo e fumavo, non andavo a scuola, tu tiravi dritto, eri una brava ragazza e prendevi voti perfetti. Pensavo che non potessi capirmi. Avevi troppi pregi per stare dietro a un disastro come me. Così, ti allontanavo.”
“Ironico”, rispose Dafne, prendendo a sua volta una sigaretta e avvicinandola all’accendino di Lilla. All’accendersi della fiamma, gli occhi delle due si incontrarono, illuminati di rosso nella penombra del crepuscolo.
“Anche io ti avevo idealizzata totalmente. Mi sembravi come una fenice, che brucia, si consuma nelle fiamme e muore, ma proprio per questo vive al massimo, e poi rinasce più fiera di prima. Quando ti guardavo vedevo la tua bellezza e il tuo coraggio di accogliere pienamente i sentimenti. In confronto a te mi sentivo banale e noiosa.”
Guardando il lago, dipinto di rosa, Dafne prese una decisione: sì, voglio essere com’era lei allora. Non voglio più rifiutare i miei sentimenti.
“Lilla… In questi anni ho capito molte cose di me stessa. E ho capito anche il motivo per cui, come ricorderai, non ero particolarmente interessata ai ragazzi.”
Lilla scoppiò a ridere: “Oh, Dafne, era ovvio. Lo sapevo già.”
Dafne si fece coraggio: “Ma forse non sapevi che la persona che mi interessava davvero… eri tu.”
Le montagne avevano ormai inghiottito il sole e l’aria si faceva fredda.
Lilla non rispose; le due rimasero in silenzio. Dafne visse di nuovo la stessa greve delusione, lo stesso rifiuto implicito che aveva percepito anni addietro. Ma almeno, pensò, era stata finalmente coraggiosa.
Stava per alzarsi e chiudere così quello strano incontro, ma Lilla le prese la mano. Dafne sentì il cuore battere forte, in modo fin troppo familiare.
“Dafne, nessun altro è mai stato come te. Scusami per averti fatta soffrire. Mi sei mancata. Vuoi essere di nuovo mia amica?”
Dafne si perse per un momento negli occhi grandi di Lilla.
“Amiche, dici?”
“Sì, ma un altro tipo di amiche. Le amiche che avremmo voluto essere allora.”
“Mi piacerebbe.”
Mentre i primi lampioni si accendevano e le labbra delle due vecchie amiche si incontravano, così calde nel freddo della sera, Dafne si inebriò del sapore di Lilla, simile a quello delle infinite cioccolate bevute insieme. Era la dolcezza di una ricetta che si crede persa per sempre e che, alla fine, si è potuta assaporare di nuovo. Per la prima volta, era felice di essere tornata.
Continuava a pensare all’ultima volta che si erano parlate, ormai dieci anni prima, intrappolate tra la fine dell’adolescenza e i primi scorci dell’età adulta. Quei diciott’anni che concedono la benedizione di un futuro ancora da scrivere, ma, per loro, anche la sensazione di portare sulle spalle il peso del mondo. Avevano litigato per una stupidaggine; per un ragazzo, il motivo più imbecille di tutti. E così anni di pomeriggi passati insieme dopo la scuola, di sabati sera a parlare della vita, a chiamarsi migliori amiche, si erano semplicemente dissolti.
Dafne appoggiò il dado nervosamente e riaprì il messaggio che la teneva sveglia da diverse notti ormai.
Ehi.
So che è stupido, ma ricordi che dieci anni fa ci eravamo dette che ci saremmo incontrate nel 2030, qualunque cosa accadesse? Beh, volevo solo farti sapere che io ci sarò. Anche se è stupido. Anche scrivere a un’amica con cui non parli più, per giunta, è stupido.
Fa niente. Mi piacerebbe sapere come stai. Che piega ha preso la tua vita, come sta tuo fratello, se hai visto l’aurora boreale.
Spero di vederti.
Carolina
Dafne non si sarebbe mai aspettata che lei volesse rivederla, dopo tutto quel tempo, men che meno per rispettare una stupida promessa adolescenziale fatta da ubriache. Credeva che qualunque possibilità, con lei, fosse chiusa; che si sarebbe portata i suoi sentimenti segreti nella tomba. Ma ora non era più così. Le aveva risposto, non sapeva neanche perché: “ci sarò”. E questo aveva cambiato tutto. Il suo sguardo rimbalzava dal finestrino, al dado, a quel dannato messaggio, segno dell’incertezza e di una scelta da fare. Dovrei dirle la verità?
***
Rivedere la sua città natale era sempre dolceamaro. Sembrava più un grosso paese, ipertrofico e deforme, abitato da vecchi acidi e spoglio di calore umano. Ma le mura medievali ed il bellissimo lago, incastonato nelle montagne, le ricordavano l’adolescenza e le notti passate a camminare nei vicoli. I negozi, nati per truffare i turisti, le ricordavano le magliette di moda comprate insieme, con i pochi soldi che avevano nelle loro prime borse ancora infantili. E poi i pomeriggi di nuvole grigie, in cui si erano rivelate sentimenti che sembravano tutto, e avevano lasciato che la profondità buia del lago facesse sembrare più piccoli i propri dolori.
Dopo un’attesa che sembrò lunghissima, Dafne la vide, dall’altra parte della piazza. Dopo dieci anni, era ancora come la ricordava: bellissima e consapevole di esserlo. L’aveva sempre invidiata per questo. I boccoli corvini cadevano in un caschetto corto che lasciava vedere i vistosi orecchini blu e arancioni, abbinati perfettamente al vestito lungo e agli stivali a punta. Anche i suoi gusti fieramente estrosi non erano cambiati.
Le due si videro, si sorrisero timidamente. Dafne iniziò a pensare a cosa dire mentre lei si avvicinava, ma non trovò una risposta soddisfacente e riuscì solo a dire piano:
“Ehi”.
“Ehi”, rispose l’altra con un piccolo sorriso, “sei venuta davvero”.
“Già, anche tu”, rise nervosamente Dafne.
“Vuoi andare al solito posto? Parliamo”.
Si avviarono verso il Chocolat, che, da ragazze, amavano particolarmente in inverno, quando fuori pioveva e si scaldavano le mani sulle tazze bollenti della cioccolata calda. Non avevano ancora rotto il ghiaccio, in effetti. Nessun “come stai?”, nessuna considerazione sul meteo. Dafne fu felice che non ne avessero sentito il bisogno.
***
“E ti ricordi di quella volta che c’era anche Mia, e quei tizi che avevi conosciuto a scuola avevano iniziato a farsi i buchi alle orecchie con gli aghi della mamma di Pavel?”, rideva Dafne.
“Sì, e tu eri talmente impressionata che ci avevi trascinato subito via, prima che io e Mia facessimo cazzate. Dovevi lasciarti andare un po’ di più!”
“Ehi, non me ne frega niente se vi bucate le orecchie o no; è che non era sicuro! Non volevo prendeste un’infezione!”
“Lo so, lo so. Oh, scusi? Cameriere? Potrebbe aggiungere la cannella alla cioccolata della mia amica per favore?" e guardando Dafne, "Ti piace ancora con la cannella, giusto?”
Le due si guardarono e Dafne si sentì di nuovo pervadere da un sentimento che credeva dimenticato. Quella sensazione di essere vista, in ogni singolo gesto. La sensazione di sentire la parola “amica” provenire da quella voce calda e familiare.
“Te lo ricordi ancora. Della cannella”, sorrise.
“Beh… Certo che sì”.
Dopo un momento di silenzio, Dafne riprese: “Senti, Lilla…”
“Lilla”, la interruppe la vecchia amica, “Erano dieci anni che nessuno mi chiamava più così. Mi mancava”.
“Preferisci che ti chiami Cara? All’ultimo anno delle superiori non volevi più essere chiamata Lilla”
“No, no. Lilla va bene”.
Ed eccola di nuovo, quella sensazione. Dafne la sentiva nel petto e quasi le veniva da piangere. Ripensò a quando uscivano a correre nei campi vicino casa, d’inverno, e poi tornavano al calare del buio e si stringevano per scaldarsi. E a quando leggevano insieme, ad alta voce, un capitolo a testa, e non riusciva a fare a meno di fissare rapita il movimento delle labbra di Lilla. Era come tornare a casa.
***
“Allora, com’è tornare a vivere qui dopo tanti anni?”
Dafne ci pensò e rimase un attimo in silenzio. Si erano spostate in riva al lago, ancora illuminato dal giallo limone dell’ultimo sole della giornata.
“Strano. Quando me ne sono andata ero decisa a lasciarmi alle spalle questo posto, e tutto il bagaglio che si portava dietro. Ma ora è diverso”. Pensò tra sé che, forse, il merito era anche di Lilla. “Ne ho passate davvero tante qui. Vivere coi miei faceva schifo, mio fratello era malato, mio padre era un pezzo di merda. E poi stavo male anche per te… Anche tu ne hai passate tante.”
Si sorrisero amaramente.
“Però adesso”, continuò Dafne, “stare qui non fa per forza schifo. Credevo che avrei associato questi luoghi al dolore per sempre, ma mi sbagliavo. Forse è bastato semplicemente che passasse del tempo.”
“E che morisse tuo padre…” aggiunse Lilla sottovoce.
"Già, probabilmente", rise tristemente Dafne.
Si guardarono di nuovo con lo stesso sorriso sarcastico, appena accennato, e Dafne decise di lasciarsi andare e dire tutto ciò che pensava ad alta voce, come ai vecchi tempi.
“Sai, credevo che anche tu saresti rimasta per sempre associata a quel periodo. Che non avremmo mai più potuto essere amiche. E mi faceva male.”
Entrambe ora avevano gli occhi lucidi.
“Lo capisco”, rispose Lilla a bassa voce. “Onestamente, se avessi scelto di non volermi mai più vedere l’avrei capito. Sono stata un’amica di merda, il più delle volte”.
“Non dire così. Cioè, sì, tante volte non ti sei comportata bene, ma non era colpa tua. Eri molto depressa e anche tu non potevi sentirti al sicuro in casa tua. E non è che io fossi perfetta.”
“Invece sì che eri perfetta.", disse Lilla con la voce rotta. "Dafne, non te l’avevo mai detto, ma… Dopo che ho tentato di… Mi hanno fatto una diagnosi. Bipolare di tipo 1.”
“... Cosa? E perché non me l’avevi mai detto?”
Lilla sospirò, accendendosi una sigaretta. Dafne pensò che era un peccato; sperava che avesse smesso. Diceva sempre di voler smettere.
“Non te l’ho mai detto perché avevo paura del tuo giudizio. Mentre io sbandavo, bevevo e fumavo, non andavo a scuola, tu tiravi dritto, eri una brava ragazza e prendevi voti perfetti. Pensavo che non potessi capirmi. Avevi troppi pregi per stare dietro a un disastro come me. Così, ti allontanavo.”
“Ironico”, rispose Dafne, prendendo a sua volta una sigaretta e avvicinandola all’accendino di Lilla. All’accendersi della fiamma, gli occhi delle due si incontrarono, illuminati di rosso nella penombra del crepuscolo.
“Anche io ti avevo idealizzata totalmente. Mi sembravi come una fenice, che brucia, si consuma nelle fiamme e muore, ma proprio per questo vive al massimo, e poi rinasce più fiera di prima. Quando ti guardavo vedevo la tua bellezza e il tuo coraggio di accogliere pienamente i sentimenti. In confronto a te mi sentivo banale e noiosa.”
Guardando il lago, dipinto di rosa, Dafne prese una decisione: sì, voglio essere com’era lei allora. Non voglio più rifiutare i miei sentimenti.
“Lilla… In questi anni ho capito molte cose di me stessa. E ho capito anche il motivo per cui, come ricorderai, non ero particolarmente interessata ai ragazzi.”
Lilla scoppiò a ridere: “Oh, Dafne, era ovvio. Lo sapevo già.”
Dafne si fece coraggio: “Ma forse non sapevi che la persona che mi interessava davvero… eri tu.”
Le montagne avevano ormai inghiottito il sole e l’aria si faceva fredda.
Lilla non rispose; le due rimasero in silenzio. Dafne visse di nuovo la stessa greve delusione, lo stesso rifiuto implicito che aveva percepito anni addietro. Ma almeno, pensò, era stata finalmente coraggiosa.
Stava per alzarsi e chiudere così quello strano incontro, ma Lilla le prese la mano. Dafne sentì il cuore battere forte, in modo fin troppo familiare.
“Dafne, nessun altro è mai stato come te. Scusami per averti fatta soffrire. Mi sei mancata. Vuoi essere di nuovo mia amica?”
Dafne si perse per un momento negli occhi grandi di Lilla.
“Amiche, dici?”
“Sì, ma un altro tipo di amiche. Le amiche che avremmo voluto essere allora.”
“Mi piacerebbe.”
Mentre i primi lampioni si accendevano e le labbra delle due vecchie amiche si incontravano, così calde nel freddo della sera, Dafne si inebriò del sapore di Lilla, simile a quello delle infinite cioccolate bevute insieme. Era la dolcezza di una ricetta che si crede persa per sempre e che, alla fine, si è potuta assaporare di nuovo. Per la prima volta, era felice di essere tornata.