[Lab14] Hasta las candelan non ardan (Fino a che le candele bruceranno)
Posted: Sat Jun 15, 2024 9:54 pm
I cellulari hanno il vizio di suonare quando pare a loro. Niente di personale, ma se qualcuno dice loro di farlo, e nessuno si è ricordato di metterli in silenzioso, non c’è verso: lo fanno. Tutti, e dunque anche quello di Nicola Malaguti che, proprio in quel momento, si sta godendo la migliore scopata della settimana.
Anna alza la testa: «Che fai, non rispondi?»
«Continua, non ti fermare» ansima lui.
«Potrebbe essere un’emergenza.»
«Non lo è. Continua.»
«Non puoi saperlo se non rispondi» fa lei. Si alza e comincia a rivestirsi.
Nicola la guarda. Gran pezzo di gnocca, che spreco.
Afferra il cellulare. Natalya, che vuole? Ci mancava solo la badante di suo padre.
«Come sparito?» dice scattando in piedi.
«Andata a riprendere le mie cose, ma lui non c’era» fa quella dall’altra parte. «Tutto chiuso come di uno che non torna subito.»
«No, scusa, che vuol dire a riprendere le tue cose?»
«Ah, non gliel’ha detto. Mi ha cacciato perché non gli serve badante.»
«Aspetta un momento…»
«No io non aspetto. Ho trovato un altro lavoro. Fra tre giorni richiamo per i soldi.» E mette giù lasciando Nicola in piedi davanti alla finestra, attonito e col pisello al vento.
«Dovresti dirlo a Carlo» fa Anna già sulla porta.
L’altro si volta di scatto: «Ma ti pare il momento!» ringhia inferocito.
«Non di noi, scemo. Di tuo padre.»
«Di mio padre... certo. Adesso lo chiamo» dice e continua a fissare il vuoto.
«Lascia perdere, non sei nelle condizioni. A Carlo penso io. Se non ci si aiuta tra cognati…»
«Sì…» Sguardo fisso, tono assente. Gli sta crollando tutto addosso e non ha fatto in tempo a scansarsi.
«Tranquillo, vedrai che non è niente» dice lei. «Sarà andato a farsi una gita e fra due giorni torna con un bel set di pentole.»
«Le pentole… sì.»
Nello stesso momento, qualche universo più in là, l’orchestra sta intonando le prime note di Asi Se Baila El Tango e la palla luminescente dal soffitto sparge il suo scintillio per ogni dove.
È facile essere bellissimi in quella specie di acquario luminoso. Ma Sofia lo sarebbe pure davanti ai cassonetti del vicolo.
Così pensa Daniele Malaguti, che non ha bisogno di Natalya né di altre badanti, che non è in gita con le pentole, che è felice come un ragazzino perché ha tra le braccia tutto l’incanto del mondo.
Così si balla il tango! Sentendo nel viso il sangue che sale ad ogni battito;
mentre il braccio, come un serpente, si intreccia sulla vita che andrà quasi a spezzarsi.
Sofia, una sera di luglio.
Alberi, vialetti di ghiaia croccante, festoni di lampadine colorate, la pedana di legno un poco sbilenca, e i ragazzi seduti sulla spalliera delle panchine, a chiacchierare con le birre in mano. E poi l’odore. Quell’odore di salsicce e patatine fritte che solo a sentirlo pure il fegato si commuove.
Cosi si balla il tango! Mescolando l’alito, chiudendo gli occhi per ascoltare meglio…
Lei era lì. Seduta a un tavolo in fondo, occhi e capelli neri come la notte e l’abito color acqua che la fa brillare.
Lo guarda, sorride. Quelle labbra. Le avrebbe baciate per sempre.
È la mirada, solo uno sguardo, ma molto più di quello. Perché parla a te e a te soltanto.
Ti cattura e dice: «Voglio ballare con te.»
Lui si avvicinò. Lei si era alzata e lo aspettava. Forse da tutta la vita.
Cominciò così.
Nessuno ballava come loro.
Via Sant’Anselmo 27, terzo piano, soggiorno con terrazza, divani bianchi e quattro anime in pena.
«Ma perché? Perché proprio adesso?» fa Nicola.
«Ah, quindi ci sarebbe un momento buono per sparire» dice Barbara acida. Prende la bottiglia di vodka dalla consolle e riempie un bicchiere.
«Piantala di bere» fa Nicola.
Sta per strapparglielo di mano, ma lei lo schiva: «Faccio quello che mi pare» e butta giù. «Cos’è, non ti sta bene la moglie sbronza o quella cornuta?» dice strafottente.
«Adesso basta» intima Carlo. «E tu, Nicola, datti una calmata.»
«Sì, diamocela tutti una calmata» dice Anna mentre va in cucina. «Faccio un caffè. Dobbiamo essere lucidi.»
«Ma sì, diamo una bella lucidata a queste vite di merda» fa Barbara e frana sul divano. «Così facciamo bella figura quando torna tuo padre.»
«No, scusa, perché vite di merda?» dice Nicola.
Barbara sgrana gli occhi e drizza la schiena di scatto: «Davvero non lo sai?» E poi agli altri: «Non lo sa. C’è qualcuno che glielo spiega?»
Carlo le mette una mano sulla spalla: «Barbara, ti prego…»
Lei si divincola: «Lasciami dire, il signorino va informato.» Si alza e gli si avvicina: «Finanza» sibila. «Voce del verbo bancarotta. E lo sai che significa? La villa a Gstaadt, la barca a Porto Cervo, puff! Svanite, dissolte, insieme a quelle stupide auto che tieni in garage.»
«Ma che c’entra adesso?»
«Niente» fa lei. «È che magari pure tuo padre…»
«Mio padre cosa?»
«S’è rotto le palle di te, di noi, di tutto questo!» sbotta «E ha deciso di prendersi una boccata d’aria! Perché non può essere?»
«No, non può essere» dice Carlo. «Non in questo momento.»
«E perché, se è lecito? Ah già, le firme, quasi dimenticavo. Ci sono firme da mettere, capitali da rilevare, così avete detto l’altro giorno, no?»
Anna rientra col vassoio dei caffè. «No, vostro padre non farebbe mai una porcata del genere» dice porgendo le tazzine. «Né a voi, tantomeno all’azienda. Non è così stupido.» Versa due gocce di dolcificante. «Almeno spero.»
In quel momento piccoli passi in corridoio e poi una voce: «Mamma…»
Carla si gira di scatto: «Jacopo, non adesso!»
Il bambino, sette appena compiuti, esile, caschetto biondo e occhi grandi, resta bloccato sulla soglia con le labbra strette.
«Non lo vedi che stiamo parlando?» dice lei rabbiosa. «Quante volte ti ho detto che quando i grandi parlano non ti devi intromettere?» Allunga il collo, getta occhiatacce in corridoio: «Jamila!»
«Ma, mamma…»
«Jamila, portatelo via!» urla.
La donna accorre, afferra il piccolo per un braccio, fa per trascinarlo fuori, ma quello cerca di liberarsi.
«Il nonno!» grida col braccino teso e il cellulare in mano. «Ha chiamato il nonno!»
Mille universi più in là, Daniele poggia il cellulare sul tavolino.
Sofia lo guarda. Negli occhi una domanda sola.
«Che vuoi che abbiano detto» fa lui stringendosi nelle spalle.
«Sono arrabbiati?»
Lui annuisce.
«Devi capirli. Ti vogliono bene e sono preoccupati per te.»
La guarda. Vorrebbe dirle che è così. Vorrebbe davvero.
E allora lei china appena un poco la testa verso la spalla: Facciamo finta che sia così.
Allunga un braccio e gli accarezza i capelli. «Sono belli. Sembrano di seta.»
«Una volta erano neri.»
«Li preferisco bianchi.»
«Allora li tengo così.»
L’orchestra intona la Cumparsita.
Lei lo guarda ancora. E ancora è la mirada, la sua mirada, sua e di nessun altro.
Solo uno sguardo, ma molto più di quello: Voglio ballare con te.
Occhi negli occhi, i corpi che diventano uno. Nessuno balla come loro. Non l’ha mai fatto né lo farà per tutti i secoli a venire. Sotto quelle luci colorate, tra l’odore di gelsomino, salsiccia e patatine fritte.
All’improvviso un lampo, un boato. E poi la pioggia. A scrosci, sfrontata, così tanta da bagnarli in un momento.
La fuga abbracciati, la giacca come un mantello. I portici dall’altro lato della piazza.
E lei. Al centro di quello spazio infinito. Lei che lo allontana con tutte e due le braccia.
La schiena dritta, il piede che disegna un otto per terra, un passo poi un altro, lo sguardo impudente: Prendimi.
Così si balla il tango! Che ne sanno gli aristocratici, leccati e attillati, che ne sanno di tango, che ne sanno di ritmo?
Ecco qui l’eleganza, la presenza, la linea, il portamento, la grinta, la classe per ballare!
Sarà una donna o un giunco. Forse la mia ombra che mi segue di continuo. Ma forse è nata per il ballo, come me.
E si sente morire, come me, se non può danzare.
Così si balla il tango!
La musica è dentro, scorre sotto la pelle come un fuoco. Esplode accecante e scroscia, volteggia, irrompe.
Daniele e Sofia.
La gente corre a ripararsi dalla pioggia. Li vede ballare e resta incantata.
Ma loro non lo sanno. A loro non importa.
Nessuno balla come loro. Né mai lo farà.
Via Sant’Anselmo 27, terzo piano, soggiorno con terrazza e divani bianchi.
«No, dico, avete capito?» fa Nicola acido «Quello ci ha mollato! Due firme doveva mettere, e poi poteva pure andarsene affanculo. E invece che fa? Sparisce!»
«Al ragazzino ha detto che sta bene e di non preoccuparsi» fa Anna con voce cupa.
«Al ragazzino!» inveisce Barbara «E perché non ha chiamato noi, eh?»
«Ve lo dico io perché» fa Carlo invelenito. «Perché quello non firma marco morto ammazzato. I soldi se li vuole tenere, ecco perché!»
«Dovevamo interdirlo» dice Anna. «Sono anni che ve lo dico, ma voi niente. E questo è il risultato.»
Silenzio. Rabbia. Il tamburellare inquieto della pioggia sulla vetrata.
«Avrà preso la macchina» fa Nicola.
«Ma che dici? Non ha più la patente» dice Barbara.
«Già. Pensa se fa un incidente. Pensa se solo lo ferma la stradale.»
«Ci vai tu in commissariato a spiegarglielo?»
«No, io ce lo lascio. Così si schiarisce le idee, lo stronzo.»
«Che poi bastava dirlo» fa Carlo. «Ragazzi, io non firmo niente. Resto proprietario di maggioranza e buona fortuna.»
«Eh no, manco per niente!» grida Nicola. «L’azienda si vende, che gli piaccia o no!»
«L’egoismo dei vecchi» fa Carla schifata. «Fai tutto per loro, ti sacrifichi, cerchi di sistemarli perché stiano sereni. E loro ti ripagano così. Non ho parole.»
Nell’altro universo, e precisamente nella suite 215 dell’Hotel Artemide, Daniele accarezza la testa di Sofia che ronfa placida.
Si alza, prende il cellulare e va in bagno. Piano, senza far rumore, per non disturbare il sonno della sua principessa.
«Sì, dottore, è tutto a posto. Non si preoccupi» sussurra.
«La signora deve prendere le sue medicine, mi raccomando» fa quello dall’altra parte.
«Ma sì, ho tutto quello che serve. Stia tranquillo.»
«E quando pensa di riportarla? S’era detto ventiquattr’ore.»
«Ecco, a questo proposito…»
«Ingegner Malaguti, non scherziamo!» fa l’altro con voce acuta «Ho già fatto un’eccezione per lei, non approfitti della mia generosità.»
«Generosità? Scusi, ma non la seguo» dice Daniele. «Se non sbaglio, oltre alla retta, la sua struttura ha goduto di numerosi contributi extra.»
«I suoi figli, ingegnere. Sono stati loro a volerli, io non ho mai chiesto nulla.»
«Ecco, appunto. Quindi, a voler essere precisi, se di generosità vogliamo parlare, è quella dei Malaguti, non la sua. E in ogni caso, vorrei ricordale che la firma sui versamenti, invece è la mia.»
Dall’altra parte silenzio. A Daniele sembra quasi di vederla quella faccia da sorcio che annaspa, travolto dall’ansia di non poter più sguazzare nel formaggio. E ti dovrai accontentare, caro dottor Speranza.
Un rumore di là. Si è svegliata, eppure ha fatto piano.
La trova in piedi, avvolta nel lenzuolo come una dea greca, e il vestito tra le mani.
Lo scruta, scuote la testa, poi si accorge di lui: «Guarda, s’è rovinato. Come faccio adesso?» dice sconsolata.
«E che problema c’è? Andiamo a comprarne un altro.»
«Vuoi che venga così?» dice indicando la toga.
«Ti sta benissimo. Ma se non vuoi, vado io. Ti fidi?»
«Basta che non ci metti troppo. Ho fame» fa lei con aria maliziosa.
«Sofia, forse non dovremmo…» Lo dice a bassa voce, senza finire la frase, col cuore schiacciato tra sgomento e orgoglio.
«Ma no, fame vera, di cibo!» E scoppia in una risata che sa di cristalli e acqua montanina.
Via Sant’Anselmo 27, terzo piano, sempre soggiorno con terrazza e divani bianchi. Certa gente non la schiodi manco a cannonate.
«Forse dovremmo andare a cercarlo» dice Nicola.
«E dove? Siamo a Roma, mica in quel buco di culo da dove venite voi» fa Carla.
Acida, livorosa, l’avesse saputo avrebbe sposato Gianluca Dighieri, sanitari e arredo bagno, coi cessi sei al sicuro. Il mondo non smetterà mai di cagare.
Un cellulare trilla.
«È il tuo!» fa Barbara a Carlo. «Rispondi, svelto!»
Poche parole, frasi lasciate a metà e il volto sempre più cupo. «D’accordo, grazie. Buona serata anche a lei.»
Sei occhi sgranati lo fissano. Chi era? Che ha detto? La voglia di saperlo li divora, eppure nessuno ha il coraggio di chiedere.
Carlo si alza, riempie un bicchiere di Scotch e dà una gran sorsata. «Era il dottor Speranza» dice e vuota il bicchiere.
«Mamma!» urla Nicola.
«Mamma sta benissimo» fa l’altro secco e riempie ancora il bicchiere. «Pure troppo.»
«Che vuol dire?» dice Barbara. «Con l’Alzheimer non si sta benissimo!»
«Lei sì. Papà è andato a prenderla e se l’è portata via.»
«Ma che…? Come… che cazzo dici, Carlo!» balbetta Nicola.
«E pare che non abbia nessuna intenzione di riportarla lì.»
Ristorante Mirabelle, tavolo per due. Terrazza, aria tiepida come una carezza e voli di rondini sul parco.
«È bellissimo qui. Non c’ero mai stata» fa Sofia.
Non è vero. Eppure lo è.
Daniele le prende una mano: «Tu sei bellissima.»
«Merito del tuo vestito. Non immaginavo avessi tanto buon gusto.»
«Verde acqua. Ti è sempre piaciuto.»
«Sempre?» fa lei perplessa. «E tu come lo sai?»
«Sei una da verde acqua. Basta guardarti.»
«E tu l’hai fatto?»
«Oh sì. Praticamente non ho fatto altro.»
«Che scemo!» fa lei ridendo. «Con tutto quello che c’è da vedere al mondo. È uno spreco, lo sai?»
«Per questo ti porto a Buenos Aires.»
«Stai scherzando?»
«Per niente.»
«Buenos Aires, non ci posso credere! Ho sempre desiderato andarci!»
«Lo so. E ti piace anche molto. Certo non come Vienna, e comunque meno di Amsterdam.»
«Ma che dici? Mi vuoi portare in tutti questi posti?»
«Non ci vuoi venire? Va bene, vado da solo.»
«No, no! Ci vengo, eccome se ci vengo!»
Daniele e Sofia ballano ancora come nessuno al mondo.
Occhi negli occhi.
«Come non ci fosse un domani?» sussurra lei.
«Hasta las candelas non ardan.»
Anna alza la testa: «Che fai, non rispondi?»
«Continua, non ti fermare» ansima lui.
«Potrebbe essere un’emergenza.»
«Non lo è. Continua.»
«Non puoi saperlo se non rispondi» fa lei. Si alza e comincia a rivestirsi.
Nicola la guarda. Gran pezzo di gnocca, che spreco.
Afferra il cellulare. Natalya, che vuole? Ci mancava solo la badante di suo padre.
«Come sparito?» dice scattando in piedi.
«Andata a riprendere le mie cose, ma lui non c’era» fa quella dall’altra parte. «Tutto chiuso come di uno che non torna subito.»
«No, scusa, che vuol dire a riprendere le tue cose?»
«Ah, non gliel’ha detto. Mi ha cacciato perché non gli serve badante.»
«Aspetta un momento…»
«No io non aspetto. Ho trovato un altro lavoro. Fra tre giorni richiamo per i soldi.» E mette giù lasciando Nicola in piedi davanti alla finestra, attonito e col pisello al vento.
«Dovresti dirlo a Carlo» fa Anna già sulla porta.
L’altro si volta di scatto: «Ma ti pare il momento!» ringhia inferocito.
«Non di noi, scemo. Di tuo padre.»
«Di mio padre... certo. Adesso lo chiamo» dice e continua a fissare il vuoto.
«Lascia perdere, non sei nelle condizioni. A Carlo penso io. Se non ci si aiuta tra cognati…»
«Sì…» Sguardo fisso, tono assente. Gli sta crollando tutto addosso e non ha fatto in tempo a scansarsi.
«Tranquillo, vedrai che non è niente» dice lei. «Sarà andato a farsi una gita e fra due giorni torna con un bel set di pentole.»
«Le pentole… sì.»
Nello stesso momento, qualche universo più in là, l’orchestra sta intonando le prime note di Asi Se Baila El Tango e la palla luminescente dal soffitto sparge il suo scintillio per ogni dove.
È facile essere bellissimi in quella specie di acquario luminoso. Ma Sofia lo sarebbe pure davanti ai cassonetti del vicolo.
Così pensa Daniele Malaguti, che non ha bisogno di Natalya né di altre badanti, che non è in gita con le pentole, che è felice come un ragazzino perché ha tra le braccia tutto l’incanto del mondo.
Così si balla il tango! Sentendo nel viso il sangue che sale ad ogni battito;
mentre il braccio, come un serpente, si intreccia sulla vita che andrà quasi a spezzarsi.
Sofia, una sera di luglio.
Alberi, vialetti di ghiaia croccante, festoni di lampadine colorate, la pedana di legno un poco sbilenca, e i ragazzi seduti sulla spalliera delle panchine, a chiacchierare con le birre in mano. E poi l’odore. Quell’odore di salsicce e patatine fritte che solo a sentirlo pure il fegato si commuove.
Cosi si balla il tango! Mescolando l’alito, chiudendo gli occhi per ascoltare meglio…
Lei era lì. Seduta a un tavolo in fondo, occhi e capelli neri come la notte e l’abito color acqua che la fa brillare.
Lo guarda, sorride. Quelle labbra. Le avrebbe baciate per sempre.
È la mirada, solo uno sguardo, ma molto più di quello. Perché parla a te e a te soltanto.
Ti cattura e dice: «Voglio ballare con te.»
Lui si avvicinò. Lei si era alzata e lo aspettava. Forse da tutta la vita.
Cominciò così.
Nessuno ballava come loro.
Via Sant’Anselmo 27, terzo piano, soggiorno con terrazza, divani bianchi e quattro anime in pena.
«Ma perché? Perché proprio adesso?» fa Nicola.
«Ah, quindi ci sarebbe un momento buono per sparire» dice Barbara acida. Prende la bottiglia di vodka dalla consolle e riempie un bicchiere.
«Piantala di bere» fa Nicola.
Sta per strapparglielo di mano, ma lei lo schiva: «Faccio quello che mi pare» e butta giù. «Cos’è, non ti sta bene la moglie sbronza o quella cornuta?» dice strafottente.
«Adesso basta» intima Carlo. «E tu, Nicola, datti una calmata.»
«Sì, diamocela tutti una calmata» dice Anna mentre va in cucina. «Faccio un caffè. Dobbiamo essere lucidi.»
«Ma sì, diamo una bella lucidata a queste vite di merda» fa Barbara e frana sul divano. «Così facciamo bella figura quando torna tuo padre.»
«No, scusa, perché vite di merda?» dice Nicola.
Barbara sgrana gli occhi e drizza la schiena di scatto: «Davvero non lo sai?» E poi agli altri: «Non lo sa. C’è qualcuno che glielo spiega?»
Carlo le mette una mano sulla spalla: «Barbara, ti prego…»
Lei si divincola: «Lasciami dire, il signorino va informato.» Si alza e gli si avvicina: «Finanza» sibila. «Voce del verbo bancarotta. E lo sai che significa? La villa a Gstaadt, la barca a Porto Cervo, puff! Svanite, dissolte, insieme a quelle stupide auto che tieni in garage.»
«Ma che c’entra adesso?»
«Niente» fa lei. «È che magari pure tuo padre…»
«Mio padre cosa?»
«S’è rotto le palle di te, di noi, di tutto questo!» sbotta «E ha deciso di prendersi una boccata d’aria! Perché non può essere?»
«No, non può essere» dice Carlo. «Non in questo momento.»
«E perché, se è lecito? Ah già, le firme, quasi dimenticavo. Ci sono firme da mettere, capitali da rilevare, così avete detto l’altro giorno, no?»
Anna rientra col vassoio dei caffè. «No, vostro padre non farebbe mai una porcata del genere» dice porgendo le tazzine. «Né a voi, tantomeno all’azienda. Non è così stupido.» Versa due gocce di dolcificante. «Almeno spero.»
In quel momento piccoli passi in corridoio e poi una voce: «Mamma…»
Carla si gira di scatto: «Jacopo, non adesso!»
Il bambino, sette appena compiuti, esile, caschetto biondo e occhi grandi, resta bloccato sulla soglia con le labbra strette.
«Non lo vedi che stiamo parlando?» dice lei rabbiosa. «Quante volte ti ho detto che quando i grandi parlano non ti devi intromettere?» Allunga il collo, getta occhiatacce in corridoio: «Jamila!»
«Ma, mamma…»
«Jamila, portatelo via!» urla.
La donna accorre, afferra il piccolo per un braccio, fa per trascinarlo fuori, ma quello cerca di liberarsi.
«Il nonno!» grida col braccino teso e il cellulare in mano. «Ha chiamato il nonno!»
Mille universi più in là, Daniele poggia il cellulare sul tavolino.
Sofia lo guarda. Negli occhi una domanda sola.
«Che vuoi che abbiano detto» fa lui stringendosi nelle spalle.
«Sono arrabbiati?»
Lui annuisce.
«Devi capirli. Ti vogliono bene e sono preoccupati per te.»
La guarda. Vorrebbe dirle che è così. Vorrebbe davvero.
E allora lei china appena un poco la testa verso la spalla: Facciamo finta che sia così.
Allunga un braccio e gli accarezza i capelli. «Sono belli. Sembrano di seta.»
«Una volta erano neri.»
«Li preferisco bianchi.»
«Allora li tengo così.»
L’orchestra intona la Cumparsita.
Lei lo guarda ancora. E ancora è la mirada, la sua mirada, sua e di nessun altro.
Solo uno sguardo, ma molto più di quello: Voglio ballare con te.
Occhi negli occhi, i corpi che diventano uno. Nessuno balla come loro. Non l’ha mai fatto né lo farà per tutti i secoli a venire. Sotto quelle luci colorate, tra l’odore di gelsomino, salsiccia e patatine fritte.
All’improvviso un lampo, un boato. E poi la pioggia. A scrosci, sfrontata, così tanta da bagnarli in un momento.
La fuga abbracciati, la giacca come un mantello. I portici dall’altro lato della piazza.
E lei. Al centro di quello spazio infinito. Lei che lo allontana con tutte e due le braccia.
La schiena dritta, il piede che disegna un otto per terra, un passo poi un altro, lo sguardo impudente: Prendimi.
Così si balla il tango! Che ne sanno gli aristocratici, leccati e attillati, che ne sanno di tango, che ne sanno di ritmo?
Ecco qui l’eleganza, la presenza, la linea, il portamento, la grinta, la classe per ballare!
Sarà una donna o un giunco. Forse la mia ombra che mi segue di continuo. Ma forse è nata per il ballo, come me.
E si sente morire, come me, se non può danzare.
Così si balla il tango!
La musica è dentro, scorre sotto la pelle come un fuoco. Esplode accecante e scroscia, volteggia, irrompe.
Daniele e Sofia.
La gente corre a ripararsi dalla pioggia. Li vede ballare e resta incantata.
Ma loro non lo sanno. A loro non importa.
Nessuno balla come loro. Né mai lo farà.
Via Sant’Anselmo 27, terzo piano, soggiorno con terrazza e divani bianchi.
«No, dico, avete capito?» fa Nicola acido «Quello ci ha mollato! Due firme doveva mettere, e poi poteva pure andarsene affanculo. E invece che fa? Sparisce!»
«Al ragazzino ha detto che sta bene e di non preoccuparsi» fa Anna con voce cupa.
«Al ragazzino!» inveisce Barbara «E perché non ha chiamato noi, eh?»
«Ve lo dico io perché» fa Carlo invelenito. «Perché quello non firma marco morto ammazzato. I soldi se li vuole tenere, ecco perché!»
«Dovevamo interdirlo» dice Anna. «Sono anni che ve lo dico, ma voi niente. E questo è il risultato.»
Silenzio. Rabbia. Il tamburellare inquieto della pioggia sulla vetrata.
«Avrà preso la macchina» fa Nicola.
«Ma che dici? Non ha più la patente» dice Barbara.
«Già. Pensa se fa un incidente. Pensa se solo lo ferma la stradale.»
«Ci vai tu in commissariato a spiegarglielo?»
«No, io ce lo lascio. Così si schiarisce le idee, lo stronzo.»
«Che poi bastava dirlo» fa Carlo. «Ragazzi, io non firmo niente. Resto proprietario di maggioranza e buona fortuna.»
«Eh no, manco per niente!» grida Nicola. «L’azienda si vende, che gli piaccia o no!»
«L’egoismo dei vecchi» fa Carla schifata. «Fai tutto per loro, ti sacrifichi, cerchi di sistemarli perché stiano sereni. E loro ti ripagano così. Non ho parole.»
Nell’altro universo, e precisamente nella suite 215 dell’Hotel Artemide, Daniele accarezza la testa di Sofia che ronfa placida.
Si alza, prende il cellulare e va in bagno. Piano, senza far rumore, per non disturbare il sonno della sua principessa.
«Sì, dottore, è tutto a posto. Non si preoccupi» sussurra.
«La signora deve prendere le sue medicine, mi raccomando» fa quello dall’altra parte.
«Ma sì, ho tutto quello che serve. Stia tranquillo.»
«E quando pensa di riportarla? S’era detto ventiquattr’ore.»
«Ecco, a questo proposito…»
«Ingegner Malaguti, non scherziamo!» fa l’altro con voce acuta «Ho già fatto un’eccezione per lei, non approfitti della mia generosità.»
«Generosità? Scusi, ma non la seguo» dice Daniele. «Se non sbaglio, oltre alla retta, la sua struttura ha goduto di numerosi contributi extra.»
«I suoi figli, ingegnere. Sono stati loro a volerli, io non ho mai chiesto nulla.»
«Ecco, appunto. Quindi, a voler essere precisi, se di generosità vogliamo parlare, è quella dei Malaguti, non la sua. E in ogni caso, vorrei ricordale che la firma sui versamenti, invece è la mia.»
Dall’altra parte silenzio. A Daniele sembra quasi di vederla quella faccia da sorcio che annaspa, travolto dall’ansia di non poter più sguazzare nel formaggio. E ti dovrai accontentare, caro dottor Speranza.
Un rumore di là. Si è svegliata, eppure ha fatto piano.
La trova in piedi, avvolta nel lenzuolo come una dea greca, e il vestito tra le mani.
Lo scruta, scuote la testa, poi si accorge di lui: «Guarda, s’è rovinato. Come faccio adesso?» dice sconsolata.
«E che problema c’è? Andiamo a comprarne un altro.»
«Vuoi che venga così?» dice indicando la toga.
«Ti sta benissimo. Ma se non vuoi, vado io. Ti fidi?»
«Basta che non ci metti troppo. Ho fame» fa lei con aria maliziosa.
«Sofia, forse non dovremmo…» Lo dice a bassa voce, senza finire la frase, col cuore schiacciato tra sgomento e orgoglio.
«Ma no, fame vera, di cibo!» E scoppia in una risata che sa di cristalli e acqua montanina.
Via Sant’Anselmo 27, terzo piano, sempre soggiorno con terrazza e divani bianchi. Certa gente non la schiodi manco a cannonate.
«Forse dovremmo andare a cercarlo» dice Nicola.
«E dove? Siamo a Roma, mica in quel buco di culo da dove venite voi» fa Carla.
Acida, livorosa, l’avesse saputo avrebbe sposato Gianluca Dighieri, sanitari e arredo bagno, coi cessi sei al sicuro. Il mondo non smetterà mai di cagare.
Un cellulare trilla.
«È il tuo!» fa Barbara a Carlo. «Rispondi, svelto!»
Poche parole, frasi lasciate a metà e il volto sempre più cupo. «D’accordo, grazie. Buona serata anche a lei.»
Sei occhi sgranati lo fissano. Chi era? Che ha detto? La voglia di saperlo li divora, eppure nessuno ha il coraggio di chiedere.
Carlo si alza, riempie un bicchiere di Scotch e dà una gran sorsata. «Era il dottor Speranza» dice e vuota il bicchiere.
«Mamma!» urla Nicola.
«Mamma sta benissimo» fa l’altro secco e riempie ancora il bicchiere. «Pure troppo.»
«Che vuol dire?» dice Barbara. «Con l’Alzheimer non si sta benissimo!»
«Lei sì. Papà è andato a prenderla e se l’è portata via.»
«Ma che…? Come… che cazzo dici, Carlo!» balbetta Nicola.
«E pare che non abbia nessuna intenzione di riportarla lì.»
Ristorante Mirabelle, tavolo per due. Terrazza, aria tiepida come una carezza e voli di rondini sul parco.
«È bellissimo qui. Non c’ero mai stata» fa Sofia.
Non è vero. Eppure lo è.
Daniele le prende una mano: «Tu sei bellissima.»
«Merito del tuo vestito. Non immaginavo avessi tanto buon gusto.»
«Verde acqua. Ti è sempre piaciuto.»
«Sempre?» fa lei perplessa. «E tu come lo sai?»
«Sei una da verde acqua. Basta guardarti.»
«E tu l’hai fatto?»
«Oh sì. Praticamente non ho fatto altro.»
«Che scemo!» fa lei ridendo. «Con tutto quello che c’è da vedere al mondo. È uno spreco, lo sai?»
«Per questo ti porto a Buenos Aires.»
«Stai scherzando?»
«Per niente.»
«Buenos Aires, non ci posso credere! Ho sempre desiderato andarci!»
«Lo so. E ti piace anche molto. Certo non come Vienna, e comunque meno di Amsterdam.»
«Ma che dici? Mi vuoi portare in tutti questi posti?»
«Non ci vuoi venire? Va bene, vado da solo.»
«No, no! Ci vengo, eccome se ci vengo!»
Daniele e Sofia ballano ancora come nessuno al mondo.
Occhi negli occhi.
«Come non ci fosse un domani?» sussurra lei.
«Hasta las candelas non ardan.»