[Lab14] La mia principessa venuta dall'Est
Posted: Sat Jun 15, 2024 1:06 pm
Tutti i pomeriggi le trovo sempre allo stesso posto: ai giardini pubblici, sedute su una panchina al bordo di una stradina ombreggiata da un filare di platani.
Tre belle donne: occhi azzurri, capelli biondi e un bel fisico sodo, di quelli che piacciono a me.
Potrebbero avere la mia età. Già, quale? Per un attimo me la dimentico. Ricordo che per cinque anni sono andato avanti a dire che avevo gli anni di Cristo. In questa maledetta città le giornate sono tutte uguali, o forse è la mia vita.
Ogni volta trovo una scusa per soffermarmi a guardarle meglio: una scarpa slacciata, un messaggio al telefono. Ascolto i loro discorsi, sono incantato anche se non capisco niente. Parlano una lingua che sembra dell'area dell'est Europa.
Ai lati della panchina, due carrozzine con due gracili vecchiette: una con gli occhi socchiusi, l'altra con lo sguardo perso. Le tre dialogano senza guardarsi, con un'espressione fissa rivolta in avanti.
Non c'è dubbio: sono tre badanti.
Qui il clima fa schifo: freddo, nebbia e d'estate un caldo boia. La gente non ti saluta, tutti di corsa. Quanto mi manca la mia Napoli. Vai al nord, lavori, trovi una donna, ti sposi e metti su famiglia, mi dicevano.
Ho una morsa allo stomaco; le tre mi scatenano delle strane sensazioni, ma quella al centro ha un'espressione dolcissima, un viso bianco latte e due occhi eterei.
Sento di essere innamorato.
Avrei perfino desiderato di essere un vecchietto invalido se almeno una di loro si fosse presa cura di me. E facendo due conti, una poteva essere libera, magari proprio la dolce fanciulla nel mezzo. Ma le prenderei anche tutte e tre insieme. Ah... che bello sarebbe... però non ho il coraggio nemmeno di avvicinarmi.
E se mi truccassi come un vecchietto centenario? Attiro la loro attenzione, qualche chiacchiera e le propongo un buono stipendio. Ho dei risparmi che possono bastare per un anno di compagnia.
Trovo baffi e barba finta bianca, mi infilo un cuscino come gobba. Prendo il bastone del nonno, con raffinati inserti in avorio. Preparo un cartello che evidenzia a grandi caratteri:
Cercasi tre badanti
Sotto, scritto in più piccolo:
no italiane, no africane, no indiane, no americane, no australiane,
sì dell'est Europa
Il giorno dopo con a tracolla il cartello mi avvicino con passo zoppicante. Sfilo più volte sotto i loro occhi ma le tre, impassibili, non mi degnano di attenzione. Continuano a parlare a turno nella loro lingua con lo sguardo assente. Fingo di essere stremato, mi siedo vicino, triste e amareggiato. Un ragazzino si avvicina e mi chiede: «Tutto bene signore?»
«Si, grazie figliuolo.»
E scappa di corsa portandosi dietro il raffinato bastone intarsiato.
Chitemmuort e chitestramuort! impreco.
Me ne torno mestamente a casa.
Pessima idea. Sarebbe stato meglio che facessi il badante, andare al parco con il mio vecchietto e approfittare per scambiare due chiacchiere, come si fa tra padroni di cani. Ma non sono portato: l'idea di pulire dei culi mi fa venire il voltastomaco e sono allergico al pelo di cane. Però... potrei chiedere al mio vicino Armando, non so quanti anni ha ma mi parla sempre dei tedeschi, guaglioncello non dev'essere.
«Ciao Armando, vieni a far due passi, ti offro un gelato.»
«Carmine, cos'è successo?»
«Niente, andiamo.»
Ci incamminiamo, quando arriviamo nei pressi della panchina delle tre donne, Armando si ferma di colpo, mi dice con voce tremolante: «Andiamo via subito.»
«Che succede Armando?»
«Deutsche!»
«Ehhh?»
«I tedeschi, sono nascosti dietro quegli alberi.»
«Ma quali tedeschi!”
«Ti dico di sì! Corri!» dice disperato.
«Ok, stai tranquillo, torniamo a casa.»
Guardo le donne e noto che quella in mezzo mi manda un sorriso e questo mi basta per andare al settimo cielo.
Non penso ad altro.
Il giorno dopo, al solito rientro, più mi avvicino a quella panchina e più sento il cuore battere; vedo quella a sinistra che tira fuori da una borsa una bottiglia con uno strano liquido verde fosforescente e tre bicchieri. Mi siedo poco distante; apro il giornale ma il mio sguardo è diretto alla mia musa centrale. Mi guarda di nuovo e sfodera un altro sorriso, dolcissimo. Mi accorgo che il giornale è al contrario. Scappo di corsa.
Che figura di merda!
Chissà cosa stavano bevendo...
Ma sì! Vodka! Come ho fatto a non pensarci. E chi sa con quale altro intruglio.
Vado in un negozio di liquori e ne acquisto la bottiglia più pregiata. Mi ripresento canticchiando un motivetto ispirato al mio idolo.
Nu bicchierine de vodka
da la matina già me vogghiu mbriacà
è la chiù bone ca ci stà
a migliure in da chiazza
me a beve tutto u iuorno e nu me ne frega nu cazz...
Le guardo alzando al cielo la bottiglia in segno di invito, ma il loro sguardo è dall'altra parte, tranne che per la mia dolce principessa. Alza anche lei il suo bicchiere con il liquido verde, in segno di brindisi. Poi di colpo inizia a tossire, le altre iniziano a darle colpi dietro la schiena.
Si riprende in breve e questa volta le scappa un sorriso smagliante che le prende anche gli occhi.
Oddio! Potevo essere responsabile di una morte per soffocamento. Però mi ha guardato con una luce splendente come mai nessuna aveva fatto.
Se con il bere non ho avuto successo, magari con il mangiare...
Il giorno dopo torno con una griglia portatile e delle salsicce prese da un market di prodotti dell'est Europa. Accendo la carbonella e un profumo di carne arrostita si dirama nei dintorni attirando l'attenzione di un gruppo di adolescenti sbruffoni.
«Quanto costano?» chiede uno.
«Offerta libera.»
Non perdono tempo e le ingurgitano una dietro l'altra in pochi minuti mentre sono intento ad ammirare la mia innamorata. All'improvviso si alza, bisbiglia qualcosa alle altre, sembra stia per partire; mi guarda ancora ma le due la bloccano per le braccia tirandola giù.
Ma che stronze! E chi sono? Le sorellastre di Biancaneve?
Prendo un piattino con gli ultimi tre pezzi, pronto a offrirgliele, ma arriva la polizia municipale e mi fanno la multa per il divieto di grigliare. Non posso neanche imprecare.
Ricordo che al professionale mi acclamavano tutti. Mi inventavo storie e barzellette che all'uscita c'era sempre un gruppetto pronto ad applaudirmi. E poi le imitazioni: «Ci fai Totò? Pino Daniele? Troisi?»
Ridevano come matti. Peccato che nella specializzazione in tornitore non c'era neanche una femmina.
Poi, la prospettiva di un lavoro a Sesto San Giovanni. «Vai, lì c'è lo zio Salvatore» mi diceva mia madre. E la vita prende un'altra piega.
Per conquistarla, mi tornano in mente le mie doti: suonare una serenata col mandolino, cantare O sole mio, guarda caso scritta sulle rive del mar Nero. Imitare Albano, Pupo. Potrei farle una bella pizza napoletana, altro che quelle schifezze di salsicce.
Ma non ho il coraggio, ho perso lo smalto che avevo da ragazzo.
Una cosa però la potrei fare... raccogliere dei fiori, come facevo con Giuseppina per conquistarne il cuore prima che partisse. Il prato intorno è pieno.
«Sì, sembra facile» mi dice una voce.
«Hi, hi, hi, quelle non ti si filano neanche di striscio se non hai i danè» si faceva sentire una seconda voce.
«Ti prenderanno per un ciula» arrivò la terza.
«Ma che dite! Il romanticismo vince sempre. Vai!» chiuse la quarta.
Ascolto l'ultima, non posso sopportare anche la presa per il culo in milanese.
Mi preparo per l'impresa, al solito orario, con una forte emozione e anche un po' di terrore: l'idea di essere mandato a quel paese sarebbe insopportabile.
Inizio prendendola larga, con il mio mazzetto di fiori di campo; cammino seguendo la circonferenza di un grande cerchio che man mano si stringe verso quella panchina.
Palpito dall'emozione.
Giunto a una decina di metri, non potendo più sopportare quel lento tormento, decido di prendere la via diretta verso la meta.
Allungo il passo fino a quando, ormai vicino... sento una fitta al petto. Cado a terra.
Subito le tre si alzano dirigendosi verso di me.
«Signore, come si sente?» mi dice la prima
«Stia tranquillo, ora chiamo l'ambulanza» interviene la seconda.
Ancora voci... ho la vista annebbiata.
La terza è lei, bellissima... poi il buio.
Ho come la sensazione che un martello pneumatico mi stia sfondando la cassa toracica. Apro gli occhi e mi appare il suo viso, mi sta dando dei baci. Se è un sogno non vorrei più svegliarmi.
Sento una sirena. Varie persone mi tastano il corpo.
«Signora, se non fosse per lei... Ora lo portiamo in ospedale per accertamenti.»
Mi guarda con tenerezza e sempre quel sorriso che non dimenticherò più.
«Siete parenti?» chiede uno in camice bianco.
Prima che potesse dare una risposta intervengo con un filo di voce.
«Sì, è la mia principessa.»
Lei rimane in silenzio, ha gli occhi lucidi, fa un cenno di sì con la testa e mi stringe la mano con il suo dolce sorriso.
«Può salire con noi in ambulanza.»
La vista da Posillipo è fantastica! Come ho potuto andare via da questo paradiso.
Dalla terrazza del ristorante, Irina, vestita di bianco, la più piccola delle sorelle che aveva raggiunto per trovare un po' di pace dalla sua terra martoriata, appoggia il capo sulla mia spalla.
Ha imparato a suonare il mandolino, facile per una violinista concertista. Io ho ripreso a intrattenere il pubblico con una discreta intonazione nel canto. Da queste parti i matrimoni sono una risorsa. Facciamo coppia fissa.
Le altre due, sedute al tavolo di fianco, sorseggiano un cocktail verde con delle cannucce. In disparte le due vecchiette in carrozzina sono ringalluzzite dal ben di Dio che hanno di fronte: stanno scofanando al banco buffet degli antipasti e, tra un'insalata di polipo e un'alice marinata, Pina è presa da una strana smorfia: «Ehhh... ehhh... ehhh...»
«Oddio, sta per starnutire» interviene Gina, la compagna di una vita.
Si fionda il cameriere con un panno bianco. Pina lo prende e inizia a strombazzare col naso. Dopo essersi ricomposta rimane immobile, non è ancora finita. Un attimo di pausa e di nuovo quella strana smorfia. Fa un sospiro mentre tutti i commensali si allontanano.
«Ehhh... ehhh...
Evviva gli sposi!»
Ci baciamo sotto un applauso scrosciante.
Tre belle donne: occhi azzurri, capelli biondi e un bel fisico sodo, di quelli che piacciono a me.
Potrebbero avere la mia età. Già, quale? Per un attimo me la dimentico. Ricordo che per cinque anni sono andato avanti a dire che avevo gli anni di Cristo. In questa maledetta città le giornate sono tutte uguali, o forse è la mia vita.
Ogni volta trovo una scusa per soffermarmi a guardarle meglio: una scarpa slacciata, un messaggio al telefono. Ascolto i loro discorsi, sono incantato anche se non capisco niente. Parlano una lingua che sembra dell'area dell'est Europa.
Ai lati della panchina, due carrozzine con due gracili vecchiette: una con gli occhi socchiusi, l'altra con lo sguardo perso. Le tre dialogano senza guardarsi, con un'espressione fissa rivolta in avanti.
Non c'è dubbio: sono tre badanti.
Qui il clima fa schifo: freddo, nebbia e d'estate un caldo boia. La gente non ti saluta, tutti di corsa. Quanto mi manca la mia Napoli. Vai al nord, lavori, trovi una donna, ti sposi e metti su famiglia, mi dicevano.
Ho una morsa allo stomaco; le tre mi scatenano delle strane sensazioni, ma quella al centro ha un'espressione dolcissima, un viso bianco latte e due occhi eterei.
Sento di essere innamorato.
Avrei perfino desiderato di essere un vecchietto invalido se almeno una di loro si fosse presa cura di me. E facendo due conti, una poteva essere libera, magari proprio la dolce fanciulla nel mezzo. Ma le prenderei anche tutte e tre insieme. Ah... che bello sarebbe... però non ho il coraggio nemmeno di avvicinarmi.
E se mi truccassi come un vecchietto centenario? Attiro la loro attenzione, qualche chiacchiera e le propongo un buono stipendio. Ho dei risparmi che possono bastare per un anno di compagnia.
Trovo baffi e barba finta bianca, mi infilo un cuscino come gobba. Prendo il bastone del nonno, con raffinati inserti in avorio. Preparo un cartello che evidenzia a grandi caratteri:
Cercasi tre badanti
Sotto, scritto in più piccolo:
no italiane, no africane, no indiane, no americane, no australiane,
sì dell'est Europa
Il giorno dopo con a tracolla il cartello mi avvicino con passo zoppicante. Sfilo più volte sotto i loro occhi ma le tre, impassibili, non mi degnano di attenzione. Continuano a parlare a turno nella loro lingua con lo sguardo assente. Fingo di essere stremato, mi siedo vicino, triste e amareggiato. Un ragazzino si avvicina e mi chiede: «Tutto bene signore?»
«Si, grazie figliuolo.»
E scappa di corsa portandosi dietro il raffinato bastone intarsiato.
Chitemmuort e chitestramuort! impreco.
Me ne torno mestamente a casa.
Pessima idea. Sarebbe stato meglio che facessi il badante, andare al parco con il mio vecchietto e approfittare per scambiare due chiacchiere, come si fa tra padroni di cani. Ma non sono portato: l'idea di pulire dei culi mi fa venire il voltastomaco e sono allergico al pelo di cane. Però... potrei chiedere al mio vicino Armando, non so quanti anni ha ma mi parla sempre dei tedeschi, guaglioncello non dev'essere.
«Ciao Armando, vieni a far due passi, ti offro un gelato.»
«Carmine, cos'è successo?»
«Niente, andiamo.»
Ci incamminiamo, quando arriviamo nei pressi della panchina delle tre donne, Armando si ferma di colpo, mi dice con voce tremolante: «Andiamo via subito.»
«Che succede Armando?»
«Deutsche!»
«Ehhh?»
«I tedeschi, sono nascosti dietro quegli alberi.»
«Ma quali tedeschi!”
«Ti dico di sì! Corri!» dice disperato.
«Ok, stai tranquillo, torniamo a casa.»
Guardo le donne e noto che quella in mezzo mi manda un sorriso e questo mi basta per andare al settimo cielo.
Non penso ad altro.
Il giorno dopo, al solito rientro, più mi avvicino a quella panchina e più sento il cuore battere; vedo quella a sinistra che tira fuori da una borsa una bottiglia con uno strano liquido verde fosforescente e tre bicchieri. Mi siedo poco distante; apro il giornale ma il mio sguardo è diretto alla mia musa centrale. Mi guarda di nuovo e sfodera un altro sorriso, dolcissimo. Mi accorgo che il giornale è al contrario. Scappo di corsa.
Che figura di merda!
Chissà cosa stavano bevendo...
Ma sì! Vodka! Come ho fatto a non pensarci. E chi sa con quale altro intruglio.
Vado in un negozio di liquori e ne acquisto la bottiglia più pregiata. Mi ripresento canticchiando un motivetto ispirato al mio idolo.
Nu bicchierine de vodka
da la matina già me vogghiu mbriacà
è la chiù bone ca ci stà
a migliure in da chiazza
me a beve tutto u iuorno e nu me ne frega nu cazz...
Le guardo alzando al cielo la bottiglia in segno di invito, ma il loro sguardo è dall'altra parte, tranne che per la mia dolce principessa. Alza anche lei il suo bicchiere con il liquido verde, in segno di brindisi. Poi di colpo inizia a tossire, le altre iniziano a darle colpi dietro la schiena.
Si riprende in breve e questa volta le scappa un sorriso smagliante che le prende anche gli occhi.
Oddio! Potevo essere responsabile di una morte per soffocamento. Però mi ha guardato con una luce splendente come mai nessuna aveva fatto.
Se con il bere non ho avuto successo, magari con il mangiare...
Il giorno dopo torno con una griglia portatile e delle salsicce prese da un market di prodotti dell'est Europa. Accendo la carbonella e un profumo di carne arrostita si dirama nei dintorni attirando l'attenzione di un gruppo di adolescenti sbruffoni.
«Quanto costano?» chiede uno.
«Offerta libera.»
Non perdono tempo e le ingurgitano una dietro l'altra in pochi minuti mentre sono intento ad ammirare la mia innamorata. All'improvviso si alza, bisbiglia qualcosa alle altre, sembra stia per partire; mi guarda ancora ma le due la bloccano per le braccia tirandola giù.
Ma che stronze! E chi sono? Le sorellastre di Biancaneve?
Prendo un piattino con gli ultimi tre pezzi, pronto a offrirgliele, ma arriva la polizia municipale e mi fanno la multa per il divieto di grigliare. Non posso neanche imprecare.
Ricordo che al professionale mi acclamavano tutti. Mi inventavo storie e barzellette che all'uscita c'era sempre un gruppetto pronto ad applaudirmi. E poi le imitazioni: «Ci fai Totò? Pino Daniele? Troisi?»
Ridevano come matti. Peccato che nella specializzazione in tornitore non c'era neanche una femmina.
Poi, la prospettiva di un lavoro a Sesto San Giovanni. «Vai, lì c'è lo zio Salvatore» mi diceva mia madre. E la vita prende un'altra piega.
Per conquistarla, mi tornano in mente le mie doti: suonare una serenata col mandolino, cantare O sole mio, guarda caso scritta sulle rive del mar Nero. Imitare Albano, Pupo. Potrei farle una bella pizza napoletana, altro che quelle schifezze di salsicce.
Ma non ho il coraggio, ho perso lo smalto che avevo da ragazzo.
Una cosa però la potrei fare... raccogliere dei fiori, come facevo con Giuseppina per conquistarne il cuore prima che partisse. Il prato intorno è pieno.
«Sì, sembra facile» mi dice una voce.
«Hi, hi, hi, quelle non ti si filano neanche di striscio se non hai i danè» si faceva sentire una seconda voce.
«Ti prenderanno per un ciula» arrivò la terza.
«Ma che dite! Il romanticismo vince sempre. Vai!» chiuse la quarta.
Ascolto l'ultima, non posso sopportare anche la presa per il culo in milanese.
Mi preparo per l'impresa, al solito orario, con una forte emozione e anche un po' di terrore: l'idea di essere mandato a quel paese sarebbe insopportabile.
Inizio prendendola larga, con il mio mazzetto di fiori di campo; cammino seguendo la circonferenza di un grande cerchio che man mano si stringe verso quella panchina.
Palpito dall'emozione.
Giunto a una decina di metri, non potendo più sopportare quel lento tormento, decido di prendere la via diretta verso la meta.
Allungo il passo fino a quando, ormai vicino... sento una fitta al petto. Cado a terra.
Subito le tre si alzano dirigendosi verso di me.
«Signore, come si sente?» mi dice la prima
«Stia tranquillo, ora chiamo l'ambulanza» interviene la seconda.
Ancora voci... ho la vista annebbiata.
La terza è lei, bellissima... poi il buio.
Ho come la sensazione che un martello pneumatico mi stia sfondando la cassa toracica. Apro gli occhi e mi appare il suo viso, mi sta dando dei baci. Se è un sogno non vorrei più svegliarmi.
Sento una sirena. Varie persone mi tastano il corpo.
«Signora, se non fosse per lei... Ora lo portiamo in ospedale per accertamenti.»
Mi guarda con tenerezza e sempre quel sorriso che non dimenticherò più.
«Siete parenti?» chiede uno in camice bianco.
Prima che potesse dare una risposta intervengo con un filo di voce.
«Sì, è la mia principessa.»
Lei rimane in silenzio, ha gli occhi lucidi, fa un cenno di sì con la testa e mi stringe la mano con il suo dolce sorriso.
«Può salire con noi in ambulanza.»
La vista da Posillipo è fantastica! Come ho potuto andare via da questo paradiso.
Dalla terrazza del ristorante, Irina, vestita di bianco, la più piccola delle sorelle che aveva raggiunto per trovare un po' di pace dalla sua terra martoriata, appoggia il capo sulla mia spalla.
Ha imparato a suonare il mandolino, facile per una violinista concertista. Io ho ripreso a intrattenere il pubblico con una discreta intonazione nel canto. Da queste parti i matrimoni sono una risorsa. Facciamo coppia fissa.
Le altre due, sedute al tavolo di fianco, sorseggiano un cocktail verde con delle cannucce. In disparte le due vecchiette in carrozzina sono ringalluzzite dal ben di Dio che hanno di fronte: stanno scofanando al banco buffet degli antipasti e, tra un'insalata di polipo e un'alice marinata, Pina è presa da una strana smorfia: «Ehhh... ehhh... ehhh...»
«Oddio, sta per starnutire» interviene Gina, la compagna di una vita.
Si fionda il cameriere con un panno bianco. Pina lo prende e inizia a strombazzare col naso. Dopo essersi ricomposta rimane immobile, non è ancora finita. Un attimo di pausa e di nuovo quella strana smorfia. Fa un sospiro mentre tutti i commensali si allontanano.
«Ehhh... ehhh...
Evviva gli sposi!»
Ci baciamo sotto un applauso scrosciante.