[Lab 14] Un amore di peso
Posted: Tue Jun 11, 2024 9:29 am
Non era più tornato, nemmeno per una vacanza, un fine settimana, mai. Le ferie lui le trascorreva oltreoceano: Seychelles, Mauritius, Bora Bora…
La Sicilia? Nemmeno a parlarne. Figuriamoci Palermo. Vent’anni prima l’aveva lasciata senza alcun rimpianto; quella volta il volo era atterrato al Malpensa puntuale insieme alla sua fortuna. Lo stage in un’importante azienda e poi la carriera in continua ascesa.
Sostituire il collega finito sotto i ferri non era previsto, l’incarico gli era stato imposto dalla sede centrale, e “santa pazienza due mesi passeranno in fretta”.
Durante il volo non aveva potuto fare a meno di ricordare gli amici di un tempo, abbandonati dopo pochi mesi perché “Milan l’è un gran Milan”.
Chissà quanto erano invecchiati Serafino, Anna, gli altri.
Immaginava Serafino con la “panza” ingrassato a furia di mangiare pane e panelle, gli altri all’apice della carriera di ortolano (per dirla alla milanese) a vendere frutta e verdura in qualche mercato rionale, e Anna? Già, Anna? Avrà messo su altri dieci o venti chili e sfornato tre figli con un marito calvo e balbuziente. Rise a quei pensieri.
Perché balbuziente?
Perché Anna metteva soggezione. Era bellissima con quella carnagione bruna, i capelli neri e gli occhi grandi; peccato fossero piccole le sue aspirazioni e importante il suo peso. Non per niente all’università la chiamavano la Venere botticella. Le sue rotondità non offuscavano la bellezza, ma di certo il fisico non rispecchiava i canoni preferiti da Sergio; lui, alto un metro e ottantaquattro, spalle larghe e da sempre con un fisico asciutto, l’aveva lasciata per incompatibilità di sogni e adiposità. Ci teneva a non venire deriso dagli amici, anche se le forme morbide di Anna lo avevano mandato in estasi quell’unica volta che avevano fatto l’amore.
Si erano amati, sì, e proprio per non rimanere incastrato, pochi giorni dopo si era aggrappato alle nuvole sorvolando l’Italia intera.
Giunto in azienda e fatte le presentazioni di rito con il personale, la segretaria del collega in malattia gli porse un discreto numero di autorizzazioni da firmare e una raccomandata ancora da aprire.
Era abituato a risolvere i problemi, gli arrivavano perlopiù con una raccomandata tipo quella. Infatti, con un linguaggio scarno, la Camera di Commercio di Palermo invitava il responsabile della Elios Distribuzioni a presentarsi con urgenza presso gli uffici di Via E. Amari n° 11 per riscontrate anomalie sui documenti societari. In calce un numero di telefono.
Come primo giorno niente male, pensò. L’idea di imbattersi nella burocrazia sicula non lo allettava. Era sicuro che i documenti fossero a posto; era cambiato il CAD ed era stato aumentato il capitale, tutto fatto in perfetta regola.
Inutile girarci intorno, da buon “milanese” amava liberarsi delle difficoltà prima possibile.
«Daniela, chiami e mi fissi un appuntamento, per favore.» Disse alla segretaria del collega in malattia.
La donna, sui quarant’anni, aveva i fianchi larghi, una montatura di occhiali antiquata e un abbigliamento alla Tataranni; fosse dipeso da lui l’avrebbe già mandata a casa.
Dopo circa un quarto d’ora Daniela gli comunicò che l’appuntamento era stato fissato per il venti del mese successivo.
Sergio la guardò sbalordito: «Fra più di un mese? Hanno scritto con urgenza e fissano l’appuntamento fra quaranta giorni?»
«Mi riporti la raccomandata, per favore.» E si attaccò al telefono per risolvere la questione da sé.
La segretaria della dottoressa Modica, che curava la pratica, ribadì che non c’era altra possibilità.
Sergio insistette ma, nonostante sfoggiasse un marcato accento del nord, non ottenne nulla.
Non era abituato a ricevere porte in faccia, quindi decise di recarsi personalmente presso gli uffici di via Amari per risolvere la questione con rapidità.
La dottoressa Modica sembrava avere gli stessi impegni del Presidente Mattarella, pretendere di farsi ricevere era come ottenere un passaggio per la luna, facendo l’autostop. Pur di tenerlo buono lo avevano mandato da un ufficio all’altro, dal primo piano al terzo, dal terzo all’ammezzato, dall’ammezzato al quarto. Aveva fatto su e giù per due ore e alla fine, furibondo, si era dovuto arrendere.
Da quando in qua le donne in Sicilia hanno il potere di tenere fuori dalla porta il dirigente di un’azienda quotata in borsa e con filiali in mezzo mondo? Rosicava.
La porta gliel’aprirono dopo una settimana. La segretaria della dottoressa Modica lo avrebbe preso a calci sul didietro, si capiva benissimo.
Quando entrò nella stanza la dirigente non alzò nemmeno gli occhi, si scusò con fare educato ma non gentile; continuò a scarabocchiare la sua sigla su una pila di scartoffie e dopo un po’ disse: “si accomodi” riferendosi presumibilmente – visto che lui stava ancora in piedi – alla poltrona davanti la sua scrivania.
Ancora intenta a firmare, la donna disse «Come vede sono oberata di lavoro. Parlano tutti di inefficienza, invece è che il lavoro di 150 dipendenti lo devono espletare 63 unità. Le pare facile?»
Preso posto, Sergio si guardò intorno. Sull’attaccapanni vide una borsa Louis Vuitton e uno spolverino Barberis. Almeno è una donna che si veste civilmente, meditò.
Dopo due dozzine di firme e tre telefonate, la dottoressa Modica si tolse gli occhiali e, incrociate le mani sulla scrivania, fissò il dottor Sergio Li causi dritto in faccia. «Mi dic…» la frase le morì in bocca.
Sergio sgranò gli occhi. «Mmmm..a…» E riecco la balbuzie no urlò Sergio dentro di sé ancora la balbuzie no.
«Sergio!» Esclamò Anna ergendosi in tutta la sua morbida figura, «non avrei mai immaginato fossi tu quel rompi palle del milanese.» E scoppiò in una risata astiosa che Sergio definì fin troppo sincera.
Be’, Anna, effettivamente, non aveva motivo per essere felice dell’incontro, mentre Sergio non si aspettava affatto di vedere Anna con due o tre chili meno, vestita come Dio comanda e bella come il giorno in cui avevano fatto l’amore.
Anna guardò l’orologio «Santo cielo sono già le 12,00?! Ho un appuntamento con il Presidente della Regione, ti va se parliamo del tuo problema in macchina?»
Sergio non riusciva a spiccicare una parola, fece cenno di sì con la testa. Con la bocca mezzo spalancata sembrava un deficiente.
Un autista aprì lo sportello di un’auto blu.
«Dai, sali.» disse Anna picchiando con il palmo della sinistra il posto accanto a lei.
Sergio ubbidì. La sua ex non portava la fede, notò.
«Non perderò più di mezz’ora. Il tempo di rilasciare un’intervista congiunta con il Presidente e concedere qualche scatto ai fotografi, poi, se ti va, possiamo anche pranzare insieme.»
Sergio era del tutto spiazzato. Non sapeva da dove cominciare la conversazione. Rimembrare i tempi passati non gli sembrava opportuno, e partire in quarta con la pretesa di capire cosa diavolo significasse “anomalie sui documenti societari” lo reputava poco carino, considerato l’invito appena ricevuto.
Per parlare ci sarebbe stato tempo.
Le strade che via via percorrevano erano un tripudio di fiori, alberi di Jacaranda dall’intenso color violetto, bouquet di oleandri fucsia e bianchi, e buganvillee, grandi come ne aveva visti solo a Santorini, catturarono i suoi occhi e i suoi sensi. Tutto ciò che ricordava della città, quando ci viveva, erano i sacchi di immondizie accumulati agli angoli delle strade e lo strombazzare degli automobilisti, non ultimo il carnaio della spiaggia di Mondello in agosto e il colore torbido che prendeva quel tratto di mare in alta stagione. Tutte cose alle quali aveva rinunciato volentieri.
La “panza” la vide chiara e tonda, aveva il diametro di una forma di grana padano, ed era quella dell’onorevole Serafino Puglisi. Il vecchio amico lo salutò con calore, solo che, impedito dalla prominenza, l’abbraccio non riuscì un granché. Risero.
«Vi lascio soli a chiacchierare delle vostre vite.» Disse Anna e, rivolgendosi a Sergio, aggiunse: «Sbrigo questa seccatura e dopo andiamo a pranzo.»
«Ti porto a Mondello. Gianni e Nino hanno aperto un ristorante di specialità di mare, vedrai ci leccheremo i baffi.» E si baciò la punta delle dita raggruppate.
Il colore che prende il mare là, nel mese di maggio, Sergio non lo ricordava più. Quella tonalità verde-azzurro, da tempo, credeva esistesse solo ai Caraibi.
«Per farti pranzare sereno ti dico subito che i documenti personali di tre soci, allegati alla variazione dello Statuto societario, sono scaduti e dovete esibire quelli rinnovati.» Esordì Anna.
«Caspita.» rimarcò Sergio che, recuperato un minimo di autocontrollo, non tartagliava più «E mi avete fatto tribolare una settimana per questa minchiata?» Lo slang palermitano era riaffiorato alla prima occasione.
«Minchiata?» Si adeguò Anna.
Seguì una discussione sull’inefficienza dei milanesi sostenuta dalla dirigente, e sulla scorretta comunicazione dei siciliani sostenuta dall’emigrato.
Litigarono, solo che il motivo di fondo non erano i documenti scaduti, e no; e lo sapevano entrambi.
Dopo il sorbetto al limone, difatti, il vero problema finì sul tavolo. Anna con l’indice tracciava sulla tovaglia una linea dritta e lunga che simulava la distanza che Sergio aveva messo tra loro.
Sergio le rimproverò il fatto che lei non intendesse muoversi dall’isola. «Eravamo incompatibili» sostenne, senza aggiungere la questione del peso.
«Incompatibili?» sottolineò Anna. «Allora perché appena mi hai riconosciuta ti è tornata la balbuzie?»
Quel tartagliare era il miglior sintomo di ciò che Sergio aveva sempre provato per Anna; gli faceva battere il cuore e vibrare ogni muscolo.
A spaventare Sergio era stata l’immensità dell’amore, capace di rubarmi il futuro, aveva pensato allora.
Entrato nell’appartamento di Anna, Sergio capì che da lì non se ne sarebbe andato mai più.
«Sei la mia Venere botticella, lo sai?» le sussurrò baciandola sul collo. Senza pensarci la prese di peso, la sentì leggera, e volteggiando la portò in camera.
E di nuovo: L’estasi, l’appagamento, il sogno.
Tutto esattamente come vent’anni prima.
La Sicilia? Nemmeno a parlarne. Figuriamoci Palermo. Vent’anni prima l’aveva lasciata senza alcun rimpianto; quella volta il volo era atterrato al Malpensa puntuale insieme alla sua fortuna. Lo stage in un’importante azienda e poi la carriera in continua ascesa.
Sostituire il collega finito sotto i ferri non era previsto, l’incarico gli era stato imposto dalla sede centrale, e “santa pazienza due mesi passeranno in fretta”.
Durante il volo non aveva potuto fare a meno di ricordare gli amici di un tempo, abbandonati dopo pochi mesi perché “Milan l’è un gran Milan”.
Chissà quanto erano invecchiati Serafino, Anna, gli altri.
Immaginava Serafino con la “panza” ingrassato a furia di mangiare pane e panelle, gli altri all’apice della carriera di ortolano (per dirla alla milanese) a vendere frutta e verdura in qualche mercato rionale, e Anna? Già, Anna? Avrà messo su altri dieci o venti chili e sfornato tre figli con un marito calvo e balbuziente. Rise a quei pensieri.
Perché balbuziente?
Perché Anna metteva soggezione. Era bellissima con quella carnagione bruna, i capelli neri e gli occhi grandi; peccato fossero piccole le sue aspirazioni e importante il suo peso. Non per niente all’università la chiamavano la Venere botticella. Le sue rotondità non offuscavano la bellezza, ma di certo il fisico non rispecchiava i canoni preferiti da Sergio; lui, alto un metro e ottantaquattro, spalle larghe e da sempre con un fisico asciutto, l’aveva lasciata per incompatibilità di sogni e adiposità. Ci teneva a non venire deriso dagli amici, anche se le forme morbide di Anna lo avevano mandato in estasi quell’unica volta che avevano fatto l’amore.
Si erano amati, sì, e proprio per non rimanere incastrato, pochi giorni dopo si era aggrappato alle nuvole sorvolando l’Italia intera.
Giunto in azienda e fatte le presentazioni di rito con il personale, la segretaria del collega in malattia gli porse un discreto numero di autorizzazioni da firmare e una raccomandata ancora da aprire.
Era abituato a risolvere i problemi, gli arrivavano perlopiù con una raccomandata tipo quella. Infatti, con un linguaggio scarno, la Camera di Commercio di Palermo invitava il responsabile della Elios Distribuzioni a presentarsi con urgenza presso gli uffici di Via E. Amari n° 11 per riscontrate anomalie sui documenti societari. In calce un numero di telefono.
Come primo giorno niente male, pensò. L’idea di imbattersi nella burocrazia sicula non lo allettava. Era sicuro che i documenti fossero a posto; era cambiato il CAD ed era stato aumentato il capitale, tutto fatto in perfetta regola.
Inutile girarci intorno, da buon “milanese” amava liberarsi delle difficoltà prima possibile.
«Daniela, chiami e mi fissi un appuntamento, per favore.» Disse alla segretaria del collega in malattia.
La donna, sui quarant’anni, aveva i fianchi larghi, una montatura di occhiali antiquata e un abbigliamento alla Tataranni; fosse dipeso da lui l’avrebbe già mandata a casa.
Dopo circa un quarto d’ora Daniela gli comunicò che l’appuntamento era stato fissato per il venti del mese successivo.
Sergio la guardò sbalordito: «Fra più di un mese? Hanno scritto con urgenza e fissano l’appuntamento fra quaranta giorni?»
«Mi riporti la raccomandata, per favore.» E si attaccò al telefono per risolvere la questione da sé.
La segretaria della dottoressa Modica, che curava la pratica, ribadì che non c’era altra possibilità.
Sergio insistette ma, nonostante sfoggiasse un marcato accento del nord, non ottenne nulla.
Non era abituato a ricevere porte in faccia, quindi decise di recarsi personalmente presso gli uffici di via Amari per risolvere la questione con rapidità.
La dottoressa Modica sembrava avere gli stessi impegni del Presidente Mattarella, pretendere di farsi ricevere era come ottenere un passaggio per la luna, facendo l’autostop. Pur di tenerlo buono lo avevano mandato da un ufficio all’altro, dal primo piano al terzo, dal terzo all’ammezzato, dall’ammezzato al quarto. Aveva fatto su e giù per due ore e alla fine, furibondo, si era dovuto arrendere.
Da quando in qua le donne in Sicilia hanno il potere di tenere fuori dalla porta il dirigente di un’azienda quotata in borsa e con filiali in mezzo mondo? Rosicava.
La porta gliel’aprirono dopo una settimana. La segretaria della dottoressa Modica lo avrebbe preso a calci sul didietro, si capiva benissimo.
Quando entrò nella stanza la dirigente non alzò nemmeno gli occhi, si scusò con fare educato ma non gentile; continuò a scarabocchiare la sua sigla su una pila di scartoffie e dopo un po’ disse: “si accomodi” riferendosi presumibilmente – visto che lui stava ancora in piedi – alla poltrona davanti la sua scrivania.
Ancora intenta a firmare, la donna disse «Come vede sono oberata di lavoro. Parlano tutti di inefficienza, invece è che il lavoro di 150 dipendenti lo devono espletare 63 unità. Le pare facile?»
Preso posto, Sergio si guardò intorno. Sull’attaccapanni vide una borsa Louis Vuitton e uno spolverino Barberis. Almeno è una donna che si veste civilmente, meditò.
Dopo due dozzine di firme e tre telefonate, la dottoressa Modica si tolse gli occhiali e, incrociate le mani sulla scrivania, fissò il dottor Sergio Li causi dritto in faccia. «Mi dic…» la frase le morì in bocca.
Sergio sgranò gli occhi. «Mmmm..a…» E riecco la balbuzie no urlò Sergio dentro di sé ancora la balbuzie no.
«Sergio!» Esclamò Anna ergendosi in tutta la sua morbida figura, «non avrei mai immaginato fossi tu quel rompi palle del milanese.» E scoppiò in una risata astiosa che Sergio definì fin troppo sincera.
Be’, Anna, effettivamente, non aveva motivo per essere felice dell’incontro, mentre Sergio non si aspettava affatto di vedere Anna con due o tre chili meno, vestita come Dio comanda e bella come il giorno in cui avevano fatto l’amore.
Anna guardò l’orologio «Santo cielo sono già le 12,00?! Ho un appuntamento con il Presidente della Regione, ti va se parliamo del tuo problema in macchina?»
Sergio non riusciva a spiccicare una parola, fece cenno di sì con la testa. Con la bocca mezzo spalancata sembrava un deficiente.
Un autista aprì lo sportello di un’auto blu.
«Dai, sali.» disse Anna picchiando con il palmo della sinistra il posto accanto a lei.
Sergio ubbidì. La sua ex non portava la fede, notò.
«Non perderò più di mezz’ora. Il tempo di rilasciare un’intervista congiunta con il Presidente e concedere qualche scatto ai fotografi, poi, se ti va, possiamo anche pranzare insieme.»
Sergio era del tutto spiazzato. Non sapeva da dove cominciare la conversazione. Rimembrare i tempi passati non gli sembrava opportuno, e partire in quarta con la pretesa di capire cosa diavolo significasse “anomalie sui documenti societari” lo reputava poco carino, considerato l’invito appena ricevuto.
Per parlare ci sarebbe stato tempo.
Le strade che via via percorrevano erano un tripudio di fiori, alberi di Jacaranda dall’intenso color violetto, bouquet di oleandri fucsia e bianchi, e buganvillee, grandi come ne aveva visti solo a Santorini, catturarono i suoi occhi e i suoi sensi. Tutto ciò che ricordava della città, quando ci viveva, erano i sacchi di immondizie accumulati agli angoli delle strade e lo strombazzare degli automobilisti, non ultimo il carnaio della spiaggia di Mondello in agosto e il colore torbido che prendeva quel tratto di mare in alta stagione. Tutte cose alle quali aveva rinunciato volentieri.
La “panza” la vide chiara e tonda, aveva il diametro di una forma di grana padano, ed era quella dell’onorevole Serafino Puglisi. Il vecchio amico lo salutò con calore, solo che, impedito dalla prominenza, l’abbraccio non riuscì un granché. Risero.
«Vi lascio soli a chiacchierare delle vostre vite.» Disse Anna e, rivolgendosi a Sergio, aggiunse: «Sbrigo questa seccatura e dopo andiamo a pranzo.»
«Ti porto a Mondello. Gianni e Nino hanno aperto un ristorante di specialità di mare, vedrai ci leccheremo i baffi.» E si baciò la punta delle dita raggruppate.
Il colore che prende il mare là, nel mese di maggio, Sergio non lo ricordava più. Quella tonalità verde-azzurro, da tempo, credeva esistesse solo ai Caraibi.
«Per farti pranzare sereno ti dico subito che i documenti personali di tre soci, allegati alla variazione dello Statuto societario, sono scaduti e dovete esibire quelli rinnovati.» Esordì Anna.
«Caspita.» rimarcò Sergio che, recuperato un minimo di autocontrollo, non tartagliava più «E mi avete fatto tribolare una settimana per questa minchiata?» Lo slang palermitano era riaffiorato alla prima occasione.
«Minchiata?» Si adeguò Anna.
Seguì una discussione sull’inefficienza dei milanesi sostenuta dalla dirigente, e sulla scorretta comunicazione dei siciliani sostenuta dall’emigrato.
Litigarono, solo che il motivo di fondo non erano i documenti scaduti, e no; e lo sapevano entrambi.
Dopo il sorbetto al limone, difatti, il vero problema finì sul tavolo. Anna con l’indice tracciava sulla tovaglia una linea dritta e lunga che simulava la distanza che Sergio aveva messo tra loro.
Sergio le rimproverò il fatto che lei non intendesse muoversi dall’isola. «Eravamo incompatibili» sostenne, senza aggiungere la questione del peso.
«Incompatibili?» sottolineò Anna. «Allora perché appena mi hai riconosciuta ti è tornata la balbuzie?»
Quel tartagliare era il miglior sintomo di ciò che Sergio aveva sempre provato per Anna; gli faceva battere il cuore e vibrare ogni muscolo.
A spaventare Sergio era stata l’immensità dell’amore, capace di rubarmi il futuro, aveva pensato allora.
Entrato nell’appartamento di Anna, Sergio capì che da lì non se ne sarebbe andato mai più.
«Sei la mia Venere botticella, lo sai?» le sussurrò baciandola sul collo. Senza pensarci la prese di peso, la sentì leggera, e volteggiando la portò in camera.
E di nuovo: L’estasi, l’appagamento, il sogno.
Tutto esattamente come vent’anni prima.