[MI181] L'odore della terra
Posted: Wed May 22, 2024 8:15 pm
Traccia 3 - Arbitro.
"Fratelli"
─ Non mi va di stare in questo buco con uno che si chiama August Winkler.
─ Come mai?
─ Perché sei tedesco.
─ E a me non va di stare in questo buco con un italiano che si chiama Giglio Sabaldoni.
I due soldati della 106^ Divisione di Fanteria stettero per un po’ zitti, poi si guardarono con gli occhi stanchi che per un attimo si accesero divertiti. Accennarono un sorriso, ma piano, per non finire di screpolare le labbra sotto il freddo pungente delle Ardenne. Era appena spuntato il giorno; una luce accecante si spandeva sopra quella distesa di neve circondata da alberi scuri e una profonda quiete incombeva su tutta la Terra.
August sporse appena la testa dal buco che avevano scavato a fatica rompendo la terra ghiacciata sotto la neve con le vanghe in dotazione. C’erano tante buche con altre coppie di soldati appostati, si vedevano gli elmetti lucidi di pioggia sporgersi a tratti, disseminati come semi neri.
August sbirciò il suo collega e intuì che per un po’ non avrebbe parlato, troppo impegnato a tremare dal freddo. E dalla paura. Non che lui non ne avesse ma al contrario degli altri sapeva bene dove si trovavano: a due passi dalla Germania, dove lui era nato ventidue anni prima.
Ripensò in un attimo alla sua vita, povera ma felice nella Lower East Side di Manhattan dove sorgeva la Kleindeutschland della sua infanzia. Erano fuggiti appena in tempo dalla Germania, nel 1932, quando ancora era possibile farlo. Suo padre e sua madre si erano ambientati a fatica nel nuovo mondo, il padre era un falegname, la madre cuciva abiti per signore. August era il secondogenito, prima era nato Joseph e per ultima Teresina. Con il passare del tempo tutto sembrava andare bene, si stavano abituando a quel nuovo mondo, a un po’ di benessere e tranquillità fino a quando Teresina, che all’epoca aveva otto anni, scomparve di casa e poco dopo fu trovata morta dalla polizia. Qualcuno, non si seppe mai chi, l’aveva uccisa. Fu qualcosa di tremendo. La madre ne morì di crepacuore, suo padre non fu più lo stesso e impazzì, finendo i suoi giorni in un manicomio.
August e Joseph furono rinchiusi in un orfanotrofio dove finirono di passare la loro infanzia e adolescenza fino allo scoppio della guerra. Joseph, che era tutta la famiglia di August, che lo aveva sempre protetto, sul quale si era sempre appoggiato, appena maggiorenne fuggì senza dire una parola, lo abbandonò e August ci rimase davvero male, si sentì solo al mondo. Poco tempo dopo, diventato maggiorenne, si arruolò sperando che forse anche Joseph avesse fatto lo stesso, ma per quanto lo cercasse non lo trovò mai.
Ora si sentiva l’artiglieria tedesca che batteva su Bastogne e loro erano appostati non molto lontano in linea d’aria, per intercettare pattuglie nemiche e segnalare l’avanzata di alcune divisioni panzer avvistate nei dintorni.
Da quando si stavano avvicinando alla Germania August sentiva che quell’aria gli era familiare, quell’odore lo aveva già respirato, dimenticato, e ora lo risentiva. L’aria del posto dove sei nato.
Giglio si mise a tossire soffocando il suono con le mani guantate di lana davanti alla bocca.
─ Stai male? ─ chiese August.
─ Come vuoi che stia? Ci hanno fatto attraversare tutta la Francia in quei camion senza telone sotto la pioggia e respirando gasolio. Tu non stai male?
─ Sì.
─ Hai sentito che hanno fatto fuori il 1° e il 2° battaglione a nord di Bastogne?
─ Sì.
─ Noi siamo il 3° battaglione. Cosa pensi…
─ Non penso niente. Non pensare neanche tu.
─ E già. Sarai contento di essere in Germania.
─ Siamo in Belgio. E io sono nato a New York, come te. Piantala.
─ Però i tuoi sono tedeschi.
─ Però i tuoi sono italiani.
Stettero zitti, le mani intirizzite che stringevano i fucili. Qualcuno si avvicinò camminando curvo. Era il caporale Harris.
─ Voi due dovete andare dal tenente. Vi do il cambio.
─ Cosa bolle? ─ chiese Giglio.
─ Guai. Ci sono paracadutisti della 101^ che hanno bisogno di rinforzi per pattugliare più avanti di qui.
─ E cosa vogliono da noi?
─ Volontari.
─ Noi non siamo volontari.
─ Il tenente dice di sì.
Winkler e Sabaldoni andarono nella buca del tenente, abbastanza grande per un paio di uomini e mimetizzata da un telone con sopra dei rami. Trovarono un sergente della 101° chino su una carta, sul suo braccio sinistro spiccava il distintivo dell’aquila grifagna.
─ Posso darvi solo due uomini ─ disse il tenente rivolto al sergente e poi, rivolto a Walker e Sabaldoni ─ Dovete andare con loro in rinforzo di pattuglia. Tornerete questa sera.
Il sergente annuì, fece cenno di seguirlo e uscì camminando in silenzio verso il bosco. A un certo punto si voltò a guardarli ─ Vi reggete in piedi?
I due annuirono.
─ I miei uomini sono dietro quegli alberi. Vi metteremo in mezzo e ci coprirete i lati. Nulla di complicato. Sono il sergente Bart. Come vi chiamate?
I due si presentarono.
Bart non fece buon viso.
─ Un tedesco e un italiano.
─ Siamo americani come lei.
─ Come no. Tu parli tedesco?
─ Sì. I miei sono emigrati che io ero piccolo.
─ Ebrei?
─ No. Cattolici bavaresi.
─ Io sono ebreo. Qualche problema?
─ No, signore.
Il sergente fece un gesto verso qualcuno che non si vedeva nel folto del bosco. Si trovarono intorno sei paracadutisti armati fino ai denti con i volti provati e sporchi dove spiccava il bianco degli occhi.
─ La situazione è questa ─ disse il sergente rivolto ai due rinforzi.
─ I nostri sono a Bastogne. A est e a nord ci sono almeno due divisioni panzer, per il momento impantanate nel fango e gruppi sparsi di piccole pattuglie tedesche. Noi e altri dei nostri siamo in giro per individuare e segnalare all’artiglieria dove sono i panzer e dove circolano le pattuglie, possibilmente senza farci notare e stando alla larga.
─ Torneremo questa sera al nostro reparto? ─ chiese Giglio.
Bart e i suoi uomini si avviarono in silenzio senza rispondere.
Il sergente stava davanti e August subito dietro, con il cuore in tumulto. Ogni tanto si fermavano di botto, all’unisono, lui e Giglio un attimo dopo, cercando di non fare troppo rumore.
Dopo una lunga marcia e parecchi appostamenti si erano addentrati nel cuore buio del bosco, da dove sentirono dei rumori provenire davanti a loro. Si acquattarono in silenzio, trattenendo il fiato, le armi pronte. In lontananza tuonavano colpi d’artiglieria nella direzione di Bastogne, scariche di fucileria giungevano isolate. Ma nelle vicinanze il fogliame si muoveva, come se qualcuno stesse camminando. In uno spiazzo davanti a loro sbucarono tre soldati tedeschi; uno faceva da battistrada guardandosi intorno con l’MP40 spianato, altri due dietro reggevano un soldato americano che camminava a stento, parzialmente fasciato sulla testa.
Il sergente Bart fece dei segni con le dita ai suoi, indicando ad ognuno il bersaglio da colpire, puntarono i fucili e spararono all’unisono abbattendo al primo colpo i tedeschi. L’americano che reggevano, privato del loro sostegno, cadde in mezzo ai corpi senza essere colpito.
I paracadutisti si avvicinarono. Con la punta degli stivali mossero i cadaveri dei tedeschi per accertarsi che fossero morti. Spostarono il corpo di un tedesco da sopra l’americano che con la faccia impiastricciata di sangue alzò le mani atterrito.
─ Stai tranquillo, è finita. Chi sei? Cosa è successo? ─ chiese Bart al soldato, adocchiando il distintivo della 506^ paracadutisti sul suo braccio. Il soldato li guardava con lo sguardo vitreo, non riusciva a parlare. Lo trascinarono in un angolo riparato, in mezzo a dei tronchi d’albero caduti e marci. Gli allentarono una sciarpa blu che aveva stretta al collo, gli buttarono in faccia acqua dalla borraccia, un altro gli mise la mano nel collo estraendo la piastrina di riconoscimento.
─ Thimoty Clermont… di che reggimento?
─ 506^, aggregato alla 101^…
─ Come mai sei qui? Sapevamo che eravate più a nord…
─ Ci hanno mandato… di pattuglia. Ci hanno attaccato… questa notte. Mi hanno preso.
─ Dove vi hanno attaccato? Gli altri dove sono?
─ Morti. Tutti morti.
─ I tedeschi dove sono?
─ Dappertutto. Tornate… indietro.
─ Ok. Stai calmo.
Gli pulirono alla meglio il volto, gli fecero bere whiskey da una fiaschetta. I paracadutisti si spostarono per discutere il da farsi ora che avevano un ferito.
August, avvicinandosi al soldato appoggiato a un tronco, guardandolo meglio come lo ebbero ripulito ebbe un tuffo al cuore. Anche il soldato lo guardò e assunse una smorfia dolorosa che gli deformò il viso.
August si sentì mancare, cadde in ginocchio al suo fianco, stava per urlare ma il soldato gli prese una mano stringendola e strattonandola, facendogli cenno di tacere. Sbirciando verso i paracadutisti disse in fretta sottovoce ─ August! In nome di Dio non chiamarmi! Non chiamarmi o sono morto!
All’improvviso dal folto del bosco crepitarono colpi secchi di MP40 in rapida successione sui paracadutisti che si erano ammassati in un unico punto. Si sentì una voce urlare in tedesco ─ Grenade! ─ e subito dopo un’esplosione. Poi il silenzio.
August piombò nel buio. Si risvegliò dolorante, con il viso coperto di terra. Vide Giglio a terra poco discosto da lui, con il viso in alto, gli occhi e la bocca spalancati, un rivolo di sangue uscirgli da un orecchio. Voleva chiamarlo ma la voce non gli usciva, voleva andare da lui, ma il corpo era come paralizzato.
Udiva delle voci ovattate parlare in tedesco, era da molto tempo che non sentiva il suono della sua lingua, faceva fatica a capire. Stava avvenendo un dialogo concitato fra i tedeschi e Thimoty.
Un paio di stivali si avvicinarono alla faccia di August. Un caporale tedesco gli si inginocchiò al fianco, l’MP40 che teneva in mano emanava un odore acre di fumo e di grasso. Si accese una sigaretta, espirò il fumo; era buono l’odore di tabacco che pizzicò il naso di August.
─ Sei stato fortunato, camerata. Ma cosa avevate in mente? ─ disse il caporale.
August non sapeva cosa dire. Rispose Thimoty
─ Dannazione, ve l’ho appena detto! I camerati ci stavano scortando vicino alle retrovie americane! Gli americani pensavano che eravamo loro prigionieri!
─ Forse vi hanno sparato perché hanno sospettato di questo camerata che aveva il fucile ─ disse il caporale indicando August. ─ I prigionieri vanno disarmati no?
Thimoty chinò il capo e annuì.
─ Per fortuna siamo arrivati noi! ─ continuò il caporale.
─ Siamo tra i migliori della Panzerbrigade 150! ─ disse Thimoty con fanatismo. ─ È meglio che ci mollate qui. Io e il camerata andremo avanti verso le retrovie americane. Con me ferito passeremo facilmente.
─ Già. Gli americani sono tanto buoni ─ disse il caporale chino su August. Lo aiutò a mettersi seduto. Lo guardò.
─ Sei stato fortunato a stare vicino al tuo camerata con la sciarpa blu. Tu non hai la sciarpa blu. Come mai?
─ L’ha persa! ─ urlò Thimoty.
─ E ancora non ti ho sentito parlare ─ continuò il caporale sorridendo, guardando August in modo strano.
─ Parla dannazione! Parla! ─ gridò Thimoty. ─ Non vorrai che pensino che sei americano?! Che fregatura del cavolo! Parla August! Parla!
Erano tanti anni anni che August non parlava tedesco. Non lo aveva più fatto da quando era entrato all’orfanotrofio. Ma ora doveva parlare. Aveva capito cosa stava succedendo e il sangue gli si era ghiacciato nelle vene. Circolavano voci su tedeschi che parlavano inglese che si aggiravano sul fronte Ardenne vestiti da soldati americani per compiere dei sabotaggi.
─ Sì! ─ urlò come una liberazione. ─ Sì! Ho perso la sciarpa! Dannazione! Certo! E tutti quegli spari… la granata… Sono rintronato! Dobbiamo andare alle retrovie americane, questo sì! Dobbiamo assolutamente andare alle retrovie! Dannazione! Ditemi se sono ferito! Sono rintronato! Dannazione! Datemi la sciarpa blu!
Il caporale sorrise, spostò l’MP40 sulle spalle, aiutò August ad alzarsi in piedi, gli diede un paio di buffetti sulle guance. Mise la mano in un tascapane che aveva a tracolla, tirò fuori una fiaschetta metallica e gli offrì da bere. August trangugiò lunghi sorsi di brandy come se fossero acqua.
─ Non so come parli l’inglese ragazzo, ma se lo parli con quel tremendo accento bavarese… Santo cielo! Sei davvero coraggioso ad andare avanti!
─ È uno dei migliori ─ disse Timothy. ─ Non preoccupatevi. Adesso dovete mollarci. Non sono ferito gravemente, gli americani mi cureranno e intanto faremo il nostro lavoro in mezzo a loro.
Gli altri tedeschi annuirono. Ammiravano i camerati della Panzerbrigade 150 che rischiavano la vita in quel modo, sparsi nella zona in piccoli nuclei. Li accompagnarono per un tratto verso le linee alleate, poi li lasciarono proseguire da soli
Quando August e Joseph, perché Timothy era Joseph, furono abbastanza lontani, si fermarono per abbracciarsi. Singhiozzarono a lungo senza parlare uno sulle spalle dell’altro, come due lupi feriti.
August guardò negli occhi il fratello, aveva mille domande e Joseph disse ─ Lo so, lo so cosa vuoi dirmi. Non c’è tanto tempo. Sono scappato in Germania. Non amavo più gli americani dopo quello che avevano fatto a Teresina, a mamma e a papà. E a noi. Ti ho abbandonato, lo so. Ho sbagliato. Ma i tedeschi non erano più come ricordavo, non erano come mamma e papà. Mi sono arruolato nella Wermacht perché è giusto, ma non sono un SS anche se mi hanno messo con loro, nella Panzerbrigade 150 del colonnello Skorzeny perché parlo inglese. Non ho potuto rifiutare, mi avrebbero fucilato. Lasciami qui August, torna nelle tue linee.
─ Non posso abbandonarti. Non ora che ci siamo ritrovati!
Joseph scuoteva la testa, si accasciò a terra.
─ Gli americani mi fucileranno. Non tarderanno a scoprire che il piastrino non è il mio e che i documenti sono falsi. Lasciami qui. Mi dispiace abbandonarti ancora. Maledetta la guerra! Maledetti gli uomini!
August e Joseph si misero a piangere in silenzio. All’improvviso August si asciugò le lacrime con il dorso della mano.
─ No, Joseph. Non permetterò che ci separiamo di nuovo. Ti tratteranno come un soldato tedesco prigioniero se avrai la divisa tedesca. La guerra sta per finire, torneremo a essere liberi. Ricominceremo insieme.
─ Cosa vuoi fare? Non sarà possibile.
─ Sarà possibile ti dico. Siediti qui e aspettami. Comincia a toglierti tutto quello che hai di americano. Torno subito, non ti abbandono stanne certo. Torno subito.
Il giorno dopo negli avamposti alleati una pattuglia avvistò in mezzo alla neve un fante della 106^ Divisione di Fanteria che arrancava verso di loro mostrando alto il fucile e sorreggendo un soldato ferito in uniforme tedesca che aveva un braccio intorno alla sua spalla e l’altro sollevato in aria a fatica che sventolava un fazzoletto bianco.
─ Sono tutti morti nell’imboscata ─ disse August al suo tenente. ─ Anche Giglio è morto.
─ Come mai hai portato il tedesco?
─ È l’unico sopravvissuto della pattuglia che ci ha attaccati. È ferito e si è arreso, signore. Non potevo ucciderlo o abbandonarlo.
─ Va bene Winkler. Visto che parli tedesco stagli vicino. Lo accompagni all’ospedale nelle retrovie e poi torni indietro. Chiamo una jeep.
─ È in gamba il tuo tenente ─ disse più tardi Joseph sdraiato sulla Jeep.
─ Sì, non è male.
─ Ti dico una cosa August. Quando entrerai in Germania sentirai l’odore della terra dove sei nato. Un odore che non hai più sentito ma che riconoscerai subito. È bellissimo. È il modo di salutarti della tua patria che sa chi sei e ti accoglie. Penso che un giorno sarà bello tornare a casa e vivere felici e in pace, vero August?
─ Sì. So cosa vuoi dire. Tu cosa intendi per casa?
─ La Germania.
─ Se ci saranno gli americani?
─ La Baviera è grande. Verrai anche tu. Ci faremo ognuno una famiglia e vivremo in pace. Io voglio mettermi a scolpire il legno, come faceva papà. Verrai in Baviera, vero August? Tu lo meriti.
─ Tu lo meriti ancora di più.
─ Pensaci. E pensa che il tuo accento bavarese ci ha salvato la vita. Se non parlavi, ci avrebbero uccisi tutti e due.
Joseph finse di voler dare un pugno ad August e questi finse di restituirlo. Si abbracciarono ridendo, come usciti da un incubo.
Qualcuno vide la scena e rimase perplesso. Forse la guerra era finita?
"Fratelli"
L'odore della terra
─ Non mi va di stare in questo buco con uno che si chiama August Winkler.
─ Come mai?
─ Perché sei tedesco.
─ E a me non va di stare in questo buco con un italiano che si chiama Giglio Sabaldoni.
I due soldati della 106^ Divisione di Fanteria stettero per un po’ zitti, poi si guardarono con gli occhi stanchi che per un attimo si accesero divertiti. Accennarono un sorriso, ma piano, per non finire di screpolare le labbra sotto il freddo pungente delle Ardenne. Era appena spuntato il giorno; una luce accecante si spandeva sopra quella distesa di neve circondata da alberi scuri e una profonda quiete incombeva su tutta la Terra.
August sporse appena la testa dal buco che avevano scavato a fatica rompendo la terra ghiacciata sotto la neve con le vanghe in dotazione. C’erano tante buche con altre coppie di soldati appostati, si vedevano gli elmetti lucidi di pioggia sporgersi a tratti, disseminati come semi neri.
August sbirciò il suo collega e intuì che per un po’ non avrebbe parlato, troppo impegnato a tremare dal freddo. E dalla paura. Non che lui non ne avesse ma al contrario degli altri sapeva bene dove si trovavano: a due passi dalla Germania, dove lui era nato ventidue anni prima.
Ripensò in un attimo alla sua vita, povera ma felice nella Lower East Side di Manhattan dove sorgeva la Kleindeutschland della sua infanzia. Erano fuggiti appena in tempo dalla Germania, nel 1932, quando ancora era possibile farlo. Suo padre e sua madre si erano ambientati a fatica nel nuovo mondo, il padre era un falegname, la madre cuciva abiti per signore. August era il secondogenito, prima era nato Joseph e per ultima Teresina. Con il passare del tempo tutto sembrava andare bene, si stavano abituando a quel nuovo mondo, a un po’ di benessere e tranquillità fino a quando Teresina, che all’epoca aveva otto anni, scomparve di casa e poco dopo fu trovata morta dalla polizia. Qualcuno, non si seppe mai chi, l’aveva uccisa. Fu qualcosa di tremendo. La madre ne morì di crepacuore, suo padre non fu più lo stesso e impazzì, finendo i suoi giorni in un manicomio.
August e Joseph furono rinchiusi in un orfanotrofio dove finirono di passare la loro infanzia e adolescenza fino allo scoppio della guerra. Joseph, che era tutta la famiglia di August, che lo aveva sempre protetto, sul quale si era sempre appoggiato, appena maggiorenne fuggì senza dire una parola, lo abbandonò e August ci rimase davvero male, si sentì solo al mondo. Poco tempo dopo, diventato maggiorenne, si arruolò sperando che forse anche Joseph avesse fatto lo stesso, ma per quanto lo cercasse non lo trovò mai.
Ora si sentiva l’artiglieria tedesca che batteva su Bastogne e loro erano appostati non molto lontano in linea d’aria, per intercettare pattuglie nemiche e segnalare l’avanzata di alcune divisioni panzer avvistate nei dintorni.
Da quando si stavano avvicinando alla Germania August sentiva che quell’aria gli era familiare, quell’odore lo aveva già respirato, dimenticato, e ora lo risentiva. L’aria del posto dove sei nato.
Giglio si mise a tossire soffocando il suono con le mani guantate di lana davanti alla bocca.
─ Stai male? ─ chiese August.
─ Come vuoi che stia? Ci hanno fatto attraversare tutta la Francia in quei camion senza telone sotto la pioggia e respirando gasolio. Tu non stai male?
─ Sì.
─ Hai sentito che hanno fatto fuori il 1° e il 2° battaglione a nord di Bastogne?
─ Sì.
─ Noi siamo il 3° battaglione. Cosa pensi…
─ Non penso niente. Non pensare neanche tu.
─ E già. Sarai contento di essere in Germania.
─ Siamo in Belgio. E io sono nato a New York, come te. Piantala.
─ Però i tuoi sono tedeschi.
─ Però i tuoi sono italiani.
Stettero zitti, le mani intirizzite che stringevano i fucili. Qualcuno si avvicinò camminando curvo. Era il caporale Harris.
─ Voi due dovete andare dal tenente. Vi do il cambio.
─ Cosa bolle? ─ chiese Giglio.
─ Guai. Ci sono paracadutisti della 101^ che hanno bisogno di rinforzi per pattugliare più avanti di qui.
─ E cosa vogliono da noi?
─ Volontari.
─ Noi non siamo volontari.
─ Il tenente dice di sì.
Winkler e Sabaldoni andarono nella buca del tenente, abbastanza grande per un paio di uomini e mimetizzata da un telone con sopra dei rami. Trovarono un sergente della 101° chino su una carta, sul suo braccio sinistro spiccava il distintivo dell’aquila grifagna.
─ Posso darvi solo due uomini ─ disse il tenente rivolto al sergente e poi, rivolto a Walker e Sabaldoni ─ Dovete andare con loro in rinforzo di pattuglia. Tornerete questa sera.
Il sergente annuì, fece cenno di seguirlo e uscì camminando in silenzio verso il bosco. A un certo punto si voltò a guardarli ─ Vi reggete in piedi?
I due annuirono.
─ I miei uomini sono dietro quegli alberi. Vi metteremo in mezzo e ci coprirete i lati. Nulla di complicato. Sono il sergente Bart. Come vi chiamate?
I due si presentarono.
Bart non fece buon viso.
─ Un tedesco e un italiano.
─ Siamo americani come lei.
─ Come no. Tu parli tedesco?
─ Sì. I miei sono emigrati che io ero piccolo.
─ Ebrei?
─ No. Cattolici bavaresi.
─ Io sono ebreo. Qualche problema?
─ No, signore.
Il sergente fece un gesto verso qualcuno che non si vedeva nel folto del bosco. Si trovarono intorno sei paracadutisti armati fino ai denti con i volti provati e sporchi dove spiccava il bianco degli occhi.
─ La situazione è questa ─ disse il sergente rivolto ai due rinforzi.
─ I nostri sono a Bastogne. A est e a nord ci sono almeno due divisioni panzer, per il momento impantanate nel fango e gruppi sparsi di piccole pattuglie tedesche. Noi e altri dei nostri siamo in giro per individuare e segnalare all’artiglieria dove sono i panzer e dove circolano le pattuglie, possibilmente senza farci notare e stando alla larga.
─ Torneremo questa sera al nostro reparto? ─ chiese Giglio.
Bart e i suoi uomini si avviarono in silenzio senza rispondere.
Il sergente stava davanti e August subito dietro, con il cuore in tumulto. Ogni tanto si fermavano di botto, all’unisono, lui e Giglio un attimo dopo, cercando di non fare troppo rumore.
Dopo una lunga marcia e parecchi appostamenti si erano addentrati nel cuore buio del bosco, da dove sentirono dei rumori provenire davanti a loro. Si acquattarono in silenzio, trattenendo il fiato, le armi pronte. In lontananza tuonavano colpi d’artiglieria nella direzione di Bastogne, scariche di fucileria giungevano isolate. Ma nelle vicinanze il fogliame si muoveva, come se qualcuno stesse camminando. In uno spiazzo davanti a loro sbucarono tre soldati tedeschi; uno faceva da battistrada guardandosi intorno con l’MP40 spianato, altri due dietro reggevano un soldato americano che camminava a stento, parzialmente fasciato sulla testa.
Il sergente Bart fece dei segni con le dita ai suoi, indicando ad ognuno il bersaglio da colpire, puntarono i fucili e spararono all’unisono abbattendo al primo colpo i tedeschi. L’americano che reggevano, privato del loro sostegno, cadde in mezzo ai corpi senza essere colpito.
I paracadutisti si avvicinarono. Con la punta degli stivali mossero i cadaveri dei tedeschi per accertarsi che fossero morti. Spostarono il corpo di un tedesco da sopra l’americano che con la faccia impiastricciata di sangue alzò le mani atterrito.
─ Stai tranquillo, è finita. Chi sei? Cosa è successo? ─ chiese Bart al soldato, adocchiando il distintivo della 506^ paracadutisti sul suo braccio. Il soldato li guardava con lo sguardo vitreo, non riusciva a parlare. Lo trascinarono in un angolo riparato, in mezzo a dei tronchi d’albero caduti e marci. Gli allentarono una sciarpa blu che aveva stretta al collo, gli buttarono in faccia acqua dalla borraccia, un altro gli mise la mano nel collo estraendo la piastrina di riconoscimento.
─ Thimoty Clermont… di che reggimento?
─ 506^, aggregato alla 101^…
─ Come mai sei qui? Sapevamo che eravate più a nord…
─ Ci hanno mandato… di pattuglia. Ci hanno attaccato… questa notte. Mi hanno preso.
─ Dove vi hanno attaccato? Gli altri dove sono?
─ Morti. Tutti morti.
─ I tedeschi dove sono?
─ Dappertutto. Tornate… indietro.
─ Ok. Stai calmo.
Gli pulirono alla meglio il volto, gli fecero bere whiskey da una fiaschetta. I paracadutisti si spostarono per discutere il da farsi ora che avevano un ferito.
August, avvicinandosi al soldato appoggiato a un tronco, guardandolo meglio come lo ebbero ripulito ebbe un tuffo al cuore. Anche il soldato lo guardò e assunse una smorfia dolorosa che gli deformò il viso.
August si sentì mancare, cadde in ginocchio al suo fianco, stava per urlare ma il soldato gli prese una mano stringendola e strattonandola, facendogli cenno di tacere. Sbirciando verso i paracadutisti disse in fretta sottovoce ─ August! In nome di Dio non chiamarmi! Non chiamarmi o sono morto!
All’improvviso dal folto del bosco crepitarono colpi secchi di MP40 in rapida successione sui paracadutisti che si erano ammassati in un unico punto. Si sentì una voce urlare in tedesco ─ Grenade! ─ e subito dopo un’esplosione. Poi il silenzio.
August piombò nel buio. Si risvegliò dolorante, con il viso coperto di terra. Vide Giglio a terra poco discosto da lui, con il viso in alto, gli occhi e la bocca spalancati, un rivolo di sangue uscirgli da un orecchio. Voleva chiamarlo ma la voce non gli usciva, voleva andare da lui, ma il corpo era come paralizzato.
Udiva delle voci ovattate parlare in tedesco, era da molto tempo che non sentiva il suono della sua lingua, faceva fatica a capire. Stava avvenendo un dialogo concitato fra i tedeschi e Thimoty.
Un paio di stivali si avvicinarono alla faccia di August. Un caporale tedesco gli si inginocchiò al fianco, l’MP40 che teneva in mano emanava un odore acre di fumo e di grasso. Si accese una sigaretta, espirò il fumo; era buono l’odore di tabacco che pizzicò il naso di August.
─ Sei stato fortunato, camerata. Ma cosa avevate in mente? ─ disse il caporale.
August non sapeva cosa dire. Rispose Thimoty
─ Dannazione, ve l’ho appena detto! I camerati ci stavano scortando vicino alle retrovie americane! Gli americani pensavano che eravamo loro prigionieri!
─ Forse vi hanno sparato perché hanno sospettato di questo camerata che aveva il fucile ─ disse il caporale indicando August. ─ I prigionieri vanno disarmati no?
Thimoty chinò il capo e annuì.
─ Per fortuna siamo arrivati noi! ─ continuò il caporale.
─ Siamo tra i migliori della Panzerbrigade 150! ─ disse Thimoty con fanatismo. ─ È meglio che ci mollate qui. Io e il camerata andremo avanti verso le retrovie americane. Con me ferito passeremo facilmente.
─ Già. Gli americani sono tanto buoni ─ disse il caporale chino su August. Lo aiutò a mettersi seduto. Lo guardò.
─ Sei stato fortunato a stare vicino al tuo camerata con la sciarpa blu. Tu non hai la sciarpa blu. Come mai?
─ L’ha persa! ─ urlò Thimoty.
─ E ancora non ti ho sentito parlare ─ continuò il caporale sorridendo, guardando August in modo strano.
─ Parla dannazione! Parla! ─ gridò Thimoty. ─ Non vorrai che pensino che sei americano?! Che fregatura del cavolo! Parla August! Parla!
Erano tanti anni anni che August non parlava tedesco. Non lo aveva più fatto da quando era entrato all’orfanotrofio. Ma ora doveva parlare. Aveva capito cosa stava succedendo e il sangue gli si era ghiacciato nelle vene. Circolavano voci su tedeschi che parlavano inglese che si aggiravano sul fronte Ardenne vestiti da soldati americani per compiere dei sabotaggi.
─ Sì! ─ urlò come una liberazione. ─ Sì! Ho perso la sciarpa! Dannazione! Certo! E tutti quegli spari… la granata… Sono rintronato! Dobbiamo andare alle retrovie americane, questo sì! Dobbiamo assolutamente andare alle retrovie! Dannazione! Ditemi se sono ferito! Sono rintronato! Dannazione! Datemi la sciarpa blu!
Il caporale sorrise, spostò l’MP40 sulle spalle, aiutò August ad alzarsi in piedi, gli diede un paio di buffetti sulle guance. Mise la mano in un tascapane che aveva a tracolla, tirò fuori una fiaschetta metallica e gli offrì da bere. August trangugiò lunghi sorsi di brandy come se fossero acqua.
─ Non so come parli l’inglese ragazzo, ma se lo parli con quel tremendo accento bavarese… Santo cielo! Sei davvero coraggioso ad andare avanti!
─ È uno dei migliori ─ disse Timothy. ─ Non preoccupatevi. Adesso dovete mollarci. Non sono ferito gravemente, gli americani mi cureranno e intanto faremo il nostro lavoro in mezzo a loro.
Gli altri tedeschi annuirono. Ammiravano i camerati della Panzerbrigade 150 che rischiavano la vita in quel modo, sparsi nella zona in piccoli nuclei. Li accompagnarono per un tratto verso le linee alleate, poi li lasciarono proseguire da soli
Quando August e Joseph, perché Timothy era Joseph, furono abbastanza lontani, si fermarono per abbracciarsi. Singhiozzarono a lungo senza parlare uno sulle spalle dell’altro, come due lupi feriti.
August guardò negli occhi il fratello, aveva mille domande e Joseph disse ─ Lo so, lo so cosa vuoi dirmi. Non c’è tanto tempo. Sono scappato in Germania. Non amavo più gli americani dopo quello che avevano fatto a Teresina, a mamma e a papà. E a noi. Ti ho abbandonato, lo so. Ho sbagliato. Ma i tedeschi non erano più come ricordavo, non erano come mamma e papà. Mi sono arruolato nella Wermacht perché è giusto, ma non sono un SS anche se mi hanno messo con loro, nella Panzerbrigade 150 del colonnello Skorzeny perché parlo inglese. Non ho potuto rifiutare, mi avrebbero fucilato. Lasciami qui August, torna nelle tue linee.
─ Non posso abbandonarti. Non ora che ci siamo ritrovati!
Joseph scuoteva la testa, si accasciò a terra.
─ Gli americani mi fucileranno. Non tarderanno a scoprire che il piastrino non è il mio e che i documenti sono falsi. Lasciami qui. Mi dispiace abbandonarti ancora. Maledetta la guerra! Maledetti gli uomini!
August e Joseph si misero a piangere in silenzio. All’improvviso August si asciugò le lacrime con il dorso della mano.
─ No, Joseph. Non permetterò che ci separiamo di nuovo. Ti tratteranno come un soldato tedesco prigioniero se avrai la divisa tedesca. La guerra sta per finire, torneremo a essere liberi. Ricominceremo insieme.
─ Cosa vuoi fare? Non sarà possibile.
─ Sarà possibile ti dico. Siediti qui e aspettami. Comincia a toglierti tutto quello che hai di americano. Torno subito, non ti abbandono stanne certo. Torno subito.
Il giorno dopo negli avamposti alleati una pattuglia avvistò in mezzo alla neve un fante della 106^ Divisione di Fanteria che arrancava verso di loro mostrando alto il fucile e sorreggendo un soldato ferito in uniforme tedesca che aveva un braccio intorno alla sua spalla e l’altro sollevato in aria a fatica che sventolava un fazzoletto bianco.
─ Sono tutti morti nell’imboscata ─ disse August al suo tenente. ─ Anche Giglio è morto.
─ Come mai hai portato il tedesco?
─ È l’unico sopravvissuto della pattuglia che ci ha attaccati. È ferito e si è arreso, signore. Non potevo ucciderlo o abbandonarlo.
─ Va bene Winkler. Visto che parli tedesco stagli vicino. Lo accompagni all’ospedale nelle retrovie e poi torni indietro. Chiamo una jeep.
─ È in gamba il tuo tenente ─ disse più tardi Joseph sdraiato sulla Jeep.
─ Sì, non è male.
─ Ti dico una cosa August. Quando entrerai in Germania sentirai l’odore della terra dove sei nato. Un odore che non hai più sentito ma che riconoscerai subito. È bellissimo. È il modo di salutarti della tua patria che sa chi sei e ti accoglie. Penso che un giorno sarà bello tornare a casa e vivere felici e in pace, vero August?
─ Sì. So cosa vuoi dire. Tu cosa intendi per casa?
─ La Germania.
─ Se ci saranno gli americani?
─ La Baviera è grande. Verrai anche tu. Ci faremo ognuno una famiglia e vivremo in pace. Io voglio mettermi a scolpire il legno, come faceva papà. Verrai in Baviera, vero August? Tu lo meriti.
─ Tu lo meriti ancora di più.
─ Pensaci. E pensa che il tuo accento bavarese ci ha salvato la vita. Se non parlavi, ci avrebbero uccisi tutti e due.
Joseph finse di voler dare un pugno ad August e questi finse di restituirlo. Si abbracciarono ridendo, come usciti da un incubo.
Qualcuno vide la scena e rimase perplesso. Forse la guerra era finita?