[Lab13] Umanità difettosa
Posted: Sun Apr 28, 2024 10:07 pm
Dopo il raid aereo guidato dall’intelligenza artificiale Future, il vecchio quartiere disabili era ridotto ad un cumulo di macerie. Dopo aver ricevuto dal chip il segnale di via libera, Matt, insieme al resto del plotone, iniziò l’incursione via terra. Il rumore dei suoi stivali sulla terra e sul cemento si mischiava a quello del crollo improvviso degli ultimi edifici rimasti in piedi e alle grida lontane dei pochi sopravvissuti. Poi delle scariche di mitragliatrice, e le grida si spegnevano.
“Dobbiamo trovare Hester ed eliminarla. Sappiamo che è qui. Senza di lei la guerriglia crollerà in un attimo. Non si fanno prigionieri”, gli disse il sergente Musk, affiancandolo.
“Signorsì”, rispose Matt, senza distogliere lo sguardo dalla devastazione di fronte a lui.
Vide un ragazzo, incastrato sotto le macerie. Si avvicinò per finirlo, ma quando giunse di fronte a lui aveva già cessato di mugolare parole sconnesse. Passò oltre.
Vide alcuni commilitoni trascinare una ragazza all’interno di una casupola rimasta in piedi per miracolo, ridendo. Si sarebbero divertiti un po’ prima di eliminarla. Passò oltre.
“Maiale!”, sentì gridare. Si girò verso la voce, e vide un uomo corrergli incontro con tutte le sue forze, zoppicando e trascinando a fatica il lato sinistro del corpo. Gli sparò a un ginocchio e quello, cadendo, si mise a gridare e piangere.
“Maledetto! Maiale, andrete tutti all’inferno!”, biascicò con il lato destro della bocca.
“Oh, tu sei uno di quelli che parlano.”
“Un giorno pagherete per…”
Matt non gli lasciò finire la frase. Non aveva mai sopportato quel loro modo di parlare, come se dovessero fare appello a tutte le proprie forze solo per muovere i muscoli facciali. Alla fine gli stava solo facendo un favore. Considerava il proprio lavoro un’eutanasia.
Passò oltre e ne vide una molto giovane. Era seduta a terra, in quello che sembrava un garage, muta, a fissare il vuoto con gli occhi sbarrati. Poverina, era una di quelli che avevano il difetto nel cervello, ed era pure grassa. Gli fece un po’ pena, le fece una carezza sulla testa. Poi pose fine alle sue sofferenze. Nel cadere, il corpo lasciò intravedere una botola. Matt riuscì a forzarla e vide che nascondeva un montacarichi. Sorrise.
“Qui Braugher. Ho trovato qualcosa, una botola con un montacarichi. Penso che potrebbe condurre a Hester. Chiedo rinforzi”
“Qui Musk. Inizia a seguire la pista, i rinforzi ti raggiungeranno. Quella troia handicappata non può essere lontana”
“Ricevuto”, rispose Matt, e si calò nella buca.
Il tunnel era piuttosto primitivo, ma si erano assicurati che la pavimentazione fosse asfaltata… Accessibile per una sedia a rotelle, di quelle vecchie, di qualche decennio prima, che ancora non fluttuavano. Poteva davvero condurre a Hester. Mark si mise a correre.
Tutto il suo duro lavoro, l’addestramento in accademia… La sua forza era cruciale in questo momento. Doveva raggiungere Hester e porre fine a tutto questo. Forse gli avrebbero dato anche una medaglia al valore. Ma no, non gli interessavano i riconoscimenti formali: era per la pace e il futuro del mondo che stava combattendo. Ricordò il discorso del presidente:
“Non volevamo che arrivasse a questo punto, ma ormai è noi contro loro. Il progresso tecnologico ci ha donato l’ingegneria genetica, la possibilità di essere più sani, più belli… di essere migliori. Abbiamo offerto al mondo la possibilità di costruire una società migliore, più efficiente, sostenuta da lavoratori forti, dalla genetica perfetta di bellissime donne, liberata da una spesa sanitaria ipertrofica e dalla sofferenza di malattie e disabilità. Ma in milioni hanno rifiutato, preferendo una vita vissuta a spese degli altri, pretendendo che tutto il resto del mondo li accomodasse. E noi l’abbiamo tollerato, a patto che si pagassero da sé qualunque cura medica. Abbiamo anche dedicato loro interi quartieri in cui vivere. Eppure, loro hanno scelto la strada della violenza. Hanno iniziato a protestare, e le proteste sono diventate rivolte, le rivolte attentati terroristici, gli attentati terroristici una guerra aperta. Una guerra che noi vinceremo, perché noi siamo forti, noi siamo abili, noi siamo il futuro dell’umanità!”
Matt lo conosceva bene, quell’egoismo; l’ingiustizia del doversi sacrificare per qualcuno che non sarà mai in grado di ricambiarti, e nemmeno di capire quanto tu stia facendo per lui. Suo fratello maggiore non camminava e non parlava. Probabilmente nemmeno pensava. Era ancora molto piccolo quando si era reso conto di essere stato messo al mondo per prendersene cura, per essere d’aiuto ai suoi genitori… Specialmente a sua madre. La sua povera mamma, che si era dovuta annichilire per prendersi cura di quella… cosa. Era una donna brillante ed era rimasta sola, isolata, perennemente esausta e abbattuta. Quante volte avevano litigato.
“Ma se lo sapevi, perché non l’hai aggiustato?!”
“Non parlare così di tuo fratello! Non è un oggetto difettoso!”
“E invece sì! Ha distrutto il tuo matrimonio, distrutto il morale di papà, distrutto la tua salute e distrutto il mio futuro. Avresti dovuto aggiustarlo come fanno tutti i genitori normali, o uccider…”
Sua madre gli aveva tirato uno schiaffo.
“Lui è mio figlio. Ho scelto io di chiamarlo a questo mondo e di amarlo incondizionatamente. Volergli bene ed esserci per lui è il minimo che posso fare. E tu… sarai felice, ti farai la tua vita. Troveremo il modo, non devi sacrificarti, non ho mai voluto questo.”
“Beh, troppo tardi.”
Qualche anno dopo, quando aveva compiuto diciotto anni, il governo li aveva trasferiti in un quartiere disabili. Le case erano fatiscenti e gli ingressi sorvegliati dalla polizia. Di solito i disabili che se ne andavano venivano portati in qualche struttura governativa, per delle cure o per la sterilizzazione obbligatoria. Poi non tornavano più. Sua madre si rifiutava di lasciar andare suo fratello e Matt si sentiva schiacciato.
Infine, era scoppiata la guerra. Hester e alcuni altri avevano organizzato una rete sovversiva su internet e molti disabili, con l’aiuto delle famiglie, avevano colpito le principali aziende di ingegneria genetica, procurandosi il sostegno di paesi nemici e aziende concorrenti. Una notte, mentre i suoi genitori dormivano, Matt aveva portato suo fratello nel bosco dietro casa, sotto lo sguardo indifferente dei poliziotti. L’aveva lasciato lì, in una radura fredda.
“Beh, se hai qualcosa da dire ti conviene parlare adesso.”
Il corpo mingherlino di suo fratello tremava e si contorceva. Ma non parlò.
La mattina dopo, all’alba, Matt fece domanda per arruolarsi nell’esercito. Non vedeva la sua famiglia da allora.
Il tunnel sembrava infinito, sempre uguale, ma una vecchia sedia a rotelle abbandonata diede a Matt la motivazione per continuare a correre, nonostante i muscoli in fiamme e la polvere nei polmoni. Poi delle voci in lontananza, era sempre più vicino. Corse ancora, spinto dal rancore, e finalmente vide chi stava cercando.
Hester era molto più minuta di quanto pensasse. Le sue gambe rachitiche gli ricordavano quelle di suo fratello, che così tante volte aveva dovuto lavare e sollevare. Era su una sedia fluttuante, con una pistola in mano.
Prima di riuscire a sparare, Matt sentì un colpo alla schiena e crollò. Non sentì più le gambe. La guerrigliera che l’aveva colpito alle spalle lo disarmò e affiancò i compagni dopo averlo scavalcato.
“Hester, abbiamo circa dieci minuti prima che arrivino gli altri soldati, dobbiamo andare.”
“Merda, non riusciamo a portarci dietro il soldatino?”
“Sarebbe troppo pericoloso, abbiamo già dovuto rallentare per tendergli la trappola. Non possiamo convertirli tutti, mi dispiace.”
Matt vide che Hester lo guardava con tristezza.
“Mi dispiace, fratello, spero che i tuoi amici abbiano pietà di te”.
Matt gridò e gridò per un tempo che gli parve infinito, rimasto solo sul freddo dell’asfalto, immerso nell’oscurità. Odiò se stesso per aver fallito e continuò a pensare a suo fratello. Chissà se si era sentito così, quella notte.
“Oh cazzo, ma è Braugher”
“R-ragazzi? Sergente? Sì, sono io, ma non riesco a camminare, quella stronza…”
“Era qui? Quanto tempo è passato?”
“N-non lo so…”
“Che cazzo ti ho addestrato a fare, idiota. L’ho sempre detto che la tua genetica di merda si fa sentire. Dai, se non riesci a camminare bene torna indietro, non puoi rallentarci.”
Matt provò un sentimento che non aveva mai provato dall’inzio della guerra. Vergogna, forse.
“Io… Non sento più le gambe. Sapete cosa dovete fare. Mi dispiace, ho fallito.”
I commilitoni si scambiarono delle occhiate rassegnate.
“Beh… Sei stato un buon soldato. Anche se io mi vergognerei un po’ a farmi storpiare da un’handicappata.”
Mentre guardava la canna del fucile del sergente alzarsi, Matt ripensò a quella volta che suo fratello aveva quasi parlato. Erano in giardino, da piccoli, prima del quartiere disabili. Papà leggeva il giornale e la mamma era andata in cucina, a controllare le lasagne. Gli piacevano molto le lasagne della mamma, e anche suo fratello agitava le mani e sorrideva quando lo imboccavano.
“Vedi, come al solito tocca a me starti dietro. Papà se ne frega e la mamma sta guardando le lasagne. Non preoccupatevi, ci pensa Matthew… Lascia perdere, non so neanche perché ti parlo” aveva sbottato con il fratello.
“M… Mmmm… Maaaa….. Ma… ttthhhh”.
“Sì… più o meno. Io sono Matt. E tu sei Simon”.
Matt si chiese quale fosse la vera radice della sua vergogna. Poi, calò il buio.
“Dobbiamo trovare Hester ed eliminarla. Sappiamo che è qui. Senza di lei la guerriglia crollerà in un attimo. Non si fanno prigionieri”, gli disse il sergente Musk, affiancandolo.
“Signorsì”, rispose Matt, senza distogliere lo sguardo dalla devastazione di fronte a lui.
Vide un ragazzo, incastrato sotto le macerie. Si avvicinò per finirlo, ma quando giunse di fronte a lui aveva già cessato di mugolare parole sconnesse. Passò oltre.
Vide alcuni commilitoni trascinare una ragazza all’interno di una casupola rimasta in piedi per miracolo, ridendo. Si sarebbero divertiti un po’ prima di eliminarla. Passò oltre.
“Maiale!”, sentì gridare. Si girò verso la voce, e vide un uomo corrergli incontro con tutte le sue forze, zoppicando e trascinando a fatica il lato sinistro del corpo. Gli sparò a un ginocchio e quello, cadendo, si mise a gridare e piangere.
“Maledetto! Maiale, andrete tutti all’inferno!”, biascicò con il lato destro della bocca.
“Oh, tu sei uno di quelli che parlano.”
“Un giorno pagherete per…”
Matt non gli lasciò finire la frase. Non aveva mai sopportato quel loro modo di parlare, come se dovessero fare appello a tutte le proprie forze solo per muovere i muscoli facciali. Alla fine gli stava solo facendo un favore. Considerava il proprio lavoro un’eutanasia.
Passò oltre e ne vide una molto giovane. Era seduta a terra, in quello che sembrava un garage, muta, a fissare il vuoto con gli occhi sbarrati. Poverina, era una di quelli che avevano il difetto nel cervello, ed era pure grassa. Gli fece un po’ pena, le fece una carezza sulla testa. Poi pose fine alle sue sofferenze. Nel cadere, il corpo lasciò intravedere una botola. Matt riuscì a forzarla e vide che nascondeva un montacarichi. Sorrise.
“Qui Braugher. Ho trovato qualcosa, una botola con un montacarichi. Penso che potrebbe condurre a Hester. Chiedo rinforzi”
“Qui Musk. Inizia a seguire la pista, i rinforzi ti raggiungeranno. Quella troia handicappata non può essere lontana”
“Ricevuto”, rispose Matt, e si calò nella buca.
Il tunnel era piuttosto primitivo, ma si erano assicurati che la pavimentazione fosse asfaltata… Accessibile per una sedia a rotelle, di quelle vecchie, di qualche decennio prima, che ancora non fluttuavano. Poteva davvero condurre a Hester. Mark si mise a correre.
Tutto il suo duro lavoro, l’addestramento in accademia… La sua forza era cruciale in questo momento. Doveva raggiungere Hester e porre fine a tutto questo. Forse gli avrebbero dato anche una medaglia al valore. Ma no, non gli interessavano i riconoscimenti formali: era per la pace e il futuro del mondo che stava combattendo. Ricordò il discorso del presidente:
“Non volevamo che arrivasse a questo punto, ma ormai è noi contro loro. Il progresso tecnologico ci ha donato l’ingegneria genetica, la possibilità di essere più sani, più belli… di essere migliori. Abbiamo offerto al mondo la possibilità di costruire una società migliore, più efficiente, sostenuta da lavoratori forti, dalla genetica perfetta di bellissime donne, liberata da una spesa sanitaria ipertrofica e dalla sofferenza di malattie e disabilità. Ma in milioni hanno rifiutato, preferendo una vita vissuta a spese degli altri, pretendendo che tutto il resto del mondo li accomodasse. E noi l’abbiamo tollerato, a patto che si pagassero da sé qualunque cura medica. Abbiamo anche dedicato loro interi quartieri in cui vivere. Eppure, loro hanno scelto la strada della violenza. Hanno iniziato a protestare, e le proteste sono diventate rivolte, le rivolte attentati terroristici, gli attentati terroristici una guerra aperta. Una guerra che noi vinceremo, perché noi siamo forti, noi siamo abili, noi siamo il futuro dell’umanità!”
Matt lo conosceva bene, quell’egoismo; l’ingiustizia del doversi sacrificare per qualcuno che non sarà mai in grado di ricambiarti, e nemmeno di capire quanto tu stia facendo per lui. Suo fratello maggiore non camminava e non parlava. Probabilmente nemmeno pensava. Era ancora molto piccolo quando si era reso conto di essere stato messo al mondo per prendersene cura, per essere d’aiuto ai suoi genitori… Specialmente a sua madre. La sua povera mamma, che si era dovuta annichilire per prendersi cura di quella… cosa. Era una donna brillante ed era rimasta sola, isolata, perennemente esausta e abbattuta. Quante volte avevano litigato.
“Ma se lo sapevi, perché non l’hai aggiustato?!”
“Non parlare così di tuo fratello! Non è un oggetto difettoso!”
“E invece sì! Ha distrutto il tuo matrimonio, distrutto il morale di papà, distrutto la tua salute e distrutto il mio futuro. Avresti dovuto aggiustarlo come fanno tutti i genitori normali, o uccider…”
Sua madre gli aveva tirato uno schiaffo.
“Lui è mio figlio. Ho scelto io di chiamarlo a questo mondo e di amarlo incondizionatamente. Volergli bene ed esserci per lui è il minimo che posso fare. E tu… sarai felice, ti farai la tua vita. Troveremo il modo, non devi sacrificarti, non ho mai voluto questo.”
“Beh, troppo tardi.”
Qualche anno dopo, quando aveva compiuto diciotto anni, il governo li aveva trasferiti in un quartiere disabili. Le case erano fatiscenti e gli ingressi sorvegliati dalla polizia. Di solito i disabili che se ne andavano venivano portati in qualche struttura governativa, per delle cure o per la sterilizzazione obbligatoria. Poi non tornavano più. Sua madre si rifiutava di lasciar andare suo fratello e Matt si sentiva schiacciato.
Infine, era scoppiata la guerra. Hester e alcuni altri avevano organizzato una rete sovversiva su internet e molti disabili, con l’aiuto delle famiglie, avevano colpito le principali aziende di ingegneria genetica, procurandosi il sostegno di paesi nemici e aziende concorrenti. Una notte, mentre i suoi genitori dormivano, Matt aveva portato suo fratello nel bosco dietro casa, sotto lo sguardo indifferente dei poliziotti. L’aveva lasciato lì, in una radura fredda.
“Beh, se hai qualcosa da dire ti conviene parlare adesso.”
Il corpo mingherlino di suo fratello tremava e si contorceva. Ma non parlò.
La mattina dopo, all’alba, Matt fece domanda per arruolarsi nell’esercito. Non vedeva la sua famiglia da allora.
Il tunnel sembrava infinito, sempre uguale, ma una vecchia sedia a rotelle abbandonata diede a Matt la motivazione per continuare a correre, nonostante i muscoli in fiamme e la polvere nei polmoni. Poi delle voci in lontananza, era sempre più vicino. Corse ancora, spinto dal rancore, e finalmente vide chi stava cercando.
Hester era molto più minuta di quanto pensasse. Le sue gambe rachitiche gli ricordavano quelle di suo fratello, che così tante volte aveva dovuto lavare e sollevare. Era su una sedia fluttuante, con una pistola in mano.
Prima di riuscire a sparare, Matt sentì un colpo alla schiena e crollò. Non sentì più le gambe. La guerrigliera che l’aveva colpito alle spalle lo disarmò e affiancò i compagni dopo averlo scavalcato.
“Hester, abbiamo circa dieci minuti prima che arrivino gli altri soldati, dobbiamo andare.”
“Merda, non riusciamo a portarci dietro il soldatino?”
“Sarebbe troppo pericoloso, abbiamo già dovuto rallentare per tendergli la trappola. Non possiamo convertirli tutti, mi dispiace.”
Matt vide che Hester lo guardava con tristezza.
“Mi dispiace, fratello, spero che i tuoi amici abbiano pietà di te”.
Matt gridò e gridò per un tempo che gli parve infinito, rimasto solo sul freddo dell’asfalto, immerso nell’oscurità. Odiò se stesso per aver fallito e continuò a pensare a suo fratello. Chissà se si era sentito così, quella notte.
“Oh cazzo, ma è Braugher”
“R-ragazzi? Sergente? Sì, sono io, ma non riesco a camminare, quella stronza…”
“Era qui? Quanto tempo è passato?”
“N-non lo so…”
“Che cazzo ti ho addestrato a fare, idiota. L’ho sempre detto che la tua genetica di merda si fa sentire. Dai, se non riesci a camminare bene torna indietro, non puoi rallentarci.”
Matt provò un sentimento che non aveva mai provato dall’inzio della guerra. Vergogna, forse.
“Io… Non sento più le gambe. Sapete cosa dovete fare. Mi dispiace, ho fallito.”
I commilitoni si scambiarono delle occhiate rassegnate.
“Beh… Sei stato un buon soldato. Anche se io mi vergognerei un po’ a farmi storpiare da un’handicappata.”
Mentre guardava la canna del fucile del sergente alzarsi, Matt ripensò a quella volta che suo fratello aveva quasi parlato. Erano in giardino, da piccoli, prima del quartiere disabili. Papà leggeva il giornale e la mamma era andata in cucina, a controllare le lasagne. Gli piacevano molto le lasagne della mamma, e anche suo fratello agitava le mani e sorrideva quando lo imboccavano.
“Vedi, come al solito tocca a me starti dietro. Papà se ne frega e la mamma sta guardando le lasagne. Non preoccupatevi, ci pensa Matthew… Lascia perdere, non so neanche perché ti parlo” aveva sbottato con il fratello.
“M… Mmmm… Maaaa….. Ma… ttthhhh”.
“Sì… più o meno. Io sono Matt. E tu sei Simon”.
Matt si chiese quale fosse la vera radice della sua vergogna. Poi, calò il buio.