[Lab13] Per vincere e sopravvivere
Posted: Sun Apr 28, 2024 9:57 pm
Il corridoio rimbombava per i passi pesanti.
In spregio a tutte le buone norme di corte, Navio teneva un passo indiavolato, che a tratti rasentava una vera e propria corsa. Svoltando, per poco non travolse un paio di servitori, ma riuscì ad evitarli all’ultimo momento.
«Un momento di più non cambierà nulla!» disse Ormeno, in forma di topo, ballonzolando aggrappato con i piccoli artigli alla mostrina sulla sua spalla destra.
Navio non gli rispose, troppo impegnato a salutare frettoloso le guardie alla porta.
I due corazzieri batterono le lame sul pavimento, mentre le mani scattavano alle visiere degli elmi. Anche i due elementali, in forma di grossi mastini neri, si irrigidirono sull’attenti accanto a loro.
Aperte le porte, si ritrovò nella Piccola Sala delle Mappe.
Ebbe appena un momento, per riprendere fiato, prima che gli altri due occupanti della sala lo notassero.
«Generale Biannelli» disse il Ministro della Guerra Raffini, lisciandosi il poderoso paio di baffi bianchi. Pur con tutto il suo tono formale, Navio non mancò di notare l’occhiataccia che il vecchio politico gli scoccò.
In effetti, era in una condizione del tutto inadatta a un incontro del genere.
Era stato convocato in tutta fretta a Pevie, con una missiva che lasciava poco spazio all’interpretazione. Navio aveva avuto appena il tempo di fare la valigia, per poi dirigersi in tutta fretta alla stazione.
Gli avevano perfino riservato un treno personale, con ben tre maghi a far da macchinisti. Gli elementali del fuoco erano stati convocati a ciclo continuo, per far in modo che la locomotiva non si fermasse mai.
In teoria, da Partene a Pevie servivano due giorni interi di viaggio. Nella pratica, Navio ci aveva impiegato un giorno solo, a costo di far quasi fondere il mezzo.
Anche alla stazione, il generale era appena sceso dal treno, che era stato quasi caricato di peso in una carrozza.
Non gli avevano concesso il tempo di capire cosa trainasse il mezzo, ma a giudicare dalla folle velocità con cui aveva attraversato le strade, Navio era convinto che quelli non fossero normali cavalli.
Come risultato, la sua uniforme blu era un disastro. Ed era sicuro di essersi dimenticato a Partene almeno un paio di medaglie.
Non era per nulla pronto a incontrare la terza persona nella stanza.
Re Manlio girava attorno al tavolo centrale, scrutando con espressione assorta la larga superficie d’acqua che lo ricopriva. Sul giovane volto del re, sotto i baffi curati e le sopracciglia sottili, c'era tutta la preoccupazione possibile.
«Tira una brutta aria» chiosò Ormeno, in un sussurro appena udibile.
«Già» gli rispose Navio, deglutendo a fatica. Si avvicinò al tavolo, inchinandosi a fondo davanti al sovrano.
«Vostra Maestà, èvun onore poter essere ammesso alla vostra presenza» disse, senza sollevare lo sguardo.
In questo modo, non avrebbe dovuto mostrare la faccia arrossata dalla fatica.
«Le circostanze non sono delle migliori, generale. Guardate la mappa» con uno schiocco di dita, il re fece muovere i vari oli colorati che fluttuavano nel bacile.
Le macchie assunsero la forma del continente, con sottili linee a tracciare i confini; bandierine colorate galleggiavano a segnalare la posizione nota delle truppe.
Navio non si sorprese che grossi blocchi di bandierine gialle e nere si fronteggiassero al confine tra Alarria e Vrekka, così come non c'era sorpresa nel vedere file su file di bandierine rosse affollate tra Alarria e Glaura. In mare, un nutrito contingente di Ibisha pareva puntare verso le Isole Ghal’kri, piene di bandierine verdi.
Quello che sorprese Navio, anche se alcune voci erano arrivate, era la massa di reggimenti Glaurani e Vrekkani ai loro confini.
Le bandiere blu, che indicavano le truppe Irlaviane, erano pochissime, da ambo i fronti.
«Vostra Maestà, queste informazioni sono confermate?» chiese Navio, ricacciando a forza un balbettio della voce.
«Si, confermate due volte» disse il ministro Raffini «inoltre, i telegrammi arrivati sia dal re Glauriano che dal Cancelliere Vrekkano non lasciano dubbi»
«La nostra neutralità verrà ignorata; o meglio, essendo noi alleati di entrambi i paesi, dovremo scegliere quale lealtà tradire» disse il Re, con tono solenne.
Trattenendosi dal grattarsi una guancia, in preda al panico, Navio tenne stretta tra i denti la domanda che voleva fare. Cosa ci facesse lui lì, invece di altri generali, non lo capiva.
«E quale sarà la nostra linea d’azione, vostra maestà?» domandò invece.
Il sovrano ed il ministro si scambiarono uno sguardo.
Raffini sbuffò, anche se riuscì a mascherarlo dietro i baffi. Il re, dal canto suo, fissò la mappa a lungo prima di rispondere.
«Neutralità, ad oltranza. Non possiamo affrontare una guerra, non nelle condizioni attuali; questo, non vuol dire che non verremo trascinati in una, che lo vogliamo o meno» la voce del sovrano era ferma, ma al contrario i suoi occhi balzavano lungo tutta la sala.
Con tutta la calma che la sua stanchezza gli permettesse, Navio cercò di fare mente locale.
C’erano accordi commerciali con Glaura, oltre a patti di libera circolazione, sia umana che elementale, e perfino trattati di collaborazione sul piano accademico.
Però, anche con Vrakka c’erano gli stessi accordi. In effetti, Navio, quando era arrivata la convocazione, stava avendo un acceso scambio di opinioni con un tecno mago vrakkiano, che si ostinava a non voler saldare le valvole nel modo corretto. La discussione si era infiammata al punto che Ormeno aveva iniziato a fiammeggiare.
«A che punto è il vostro lavoro, generale?» chiese il re. La sua voce si colorò di più speranza del dovuto.
Le ginocchia di Navio iniziarono a tremare.
«Procede, signore. Riteniamo di poter allestire un primo prototipo, funzionante del tutto, entro quattro mesi» Ormeno, sulla sua spalla, sollevò la coda in un gesto interrogativo.
«Non li abbiamo quattro mesi, generale» disse il re, lasciandosi cadere su una sedia «forse non ne abbiamo nemmeno due»
Il silenzio gravò nella stanza come una cappa di piombo. Fissando la mappa, Navio cercò di far mente locale dei problemi da risolvere.
Aveva radunato professori di medicina da ogni angolo del regno, ma nessuno di loro aveva capito come collegare la mente umana a quella elementale. Con gli ingegneri andava anche peggio, a prescindere dell’elemento usato.
E, infine, rimaneva da capire come diamine si sarebbe dovuto usare quell’aggeggio che stavano cercando di costruire.
«Se è un problema di fondi, generale, posso…» iniziò il ministro.
«I fondi sono l’ultimo problema, signori. Sono quasi sette mesi che non caviamo un ragno dal buco, e in piena sincerità ripropongo, davanti a voi, di abbandonare questo progetto»
Sovrano e ministro si fissarono. Il re aprì la bocca, ma senza poter dire nulla.
Il ministro della guerra Raffini si accarezzò i baffi, a lungo, prima di dire.
«Generale, lei è stato dislocato a Partene per due anni. Non sa le condizioni del fronte nord. Sulla carta, come vede dalla mappa, i nostri nemico schierano circa una volta e mezza il nostro numero di divisioni; ciò che non vede è che ogni nostra divisione conta metà degli uomini di una divisione Glauriana, e non vede, ma sa, che non disponiamo dall’immenso serbatoio di reclute dei Vrakkiani»
Navio si passò una mano sul volto, mentre l’idea folle che aveva accantonato tornava a presentarsi.
«Anche con una mobilitazione generale, di cui non serve le illustri le ripercussioni in ambito produttivo e agricolo, siamo in così netta inferiorità che sarebbe un miracolo se riuscissimo a resistere tre mesi. Il vostro progetto è l’unica e ultima possibilità di evitare questo scenario»
Ormai, la mente di Navio si era aggrappata a quella folle idea. Era stata a malapena teorizzata, appena suggerita a mezza bocca, ma bocciata senza appello.
Era semplicemente troppo rischiosa. Ma era anche l’unico modo di realizzare quanto richiesto.
«C’è un modo, signori» disse Navio, lentamente, con le parole che sembravano impastasti ai denti e alla lingua «ma è rischioso. Quasi folle»
Ministro e sovrano si guardarono. Passarono lunghi minuti.
Alla fine, il re disse.
«Quanto rischioso?»
«Voi mi avete chiesto un mezzo da combattimento, un’evoluzione degli squadroni di cavalleria. Ecco, io non posso darveli; ma posso darvi altro: un’arma che non abbia la minima eleganza o la minima umanità. Un oggetto creato solo per distruggere e massacrare, che tutti, e specifico tutti, riterranno un mostro. E chiameranno noi mostri e animali, quando lo useremo»
Dalla sua sedia, il re continuava a fissare il bacile, con i liquidi colorati che erano le nazioni e le bandierine galleggianti che erano i suoi soldati.
«Può salvare vite? Può vincere questa guerra?»
«Si» disse Navio. E pregò che fosse vero.
«E allora saremo animali» disse il re.
Navio annuì, sulla sua spalla Ormeno si grattava le orecchie, spaventato.
«Avete una dottrina militare per queste armi?» disse il ministro.
Il generale prese un lungo respiro.
«Attivarle, avanzare, sparare. E chiudere gli occhi»
In spregio a tutte le buone norme di corte, Navio teneva un passo indiavolato, che a tratti rasentava una vera e propria corsa. Svoltando, per poco non travolse un paio di servitori, ma riuscì ad evitarli all’ultimo momento.
«Un momento di più non cambierà nulla!» disse Ormeno, in forma di topo, ballonzolando aggrappato con i piccoli artigli alla mostrina sulla sua spalla destra.
Navio non gli rispose, troppo impegnato a salutare frettoloso le guardie alla porta.
I due corazzieri batterono le lame sul pavimento, mentre le mani scattavano alle visiere degli elmi. Anche i due elementali, in forma di grossi mastini neri, si irrigidirono sull’attenti accanto a loro.
Aperte le porte, si ritrovò nella Piccola Sala delle Mappe.
Ebbe appena un momento, per riprendere fiato, prima che gli altri due occupanti della sala lo notassero.
«Generale Biannelli» disse il Ministro della Guerra Raffini, lisciandosi il poderoso paio di baffi bianchi. Pur con tutto il suo tono formale, Navio non mancò di notare l’occhiataccia che il vecchio politico gli scoccò.
In effetti, era in una condizione del tutto inadatta a un incontro del genere.
Era stato convocato in tutta fretta a Pevie, con una missiva che lasciava poco spazio all’interpretazione. Navio aveva avuto appena il tempo di fare la valigia, per poi dirigersi in tutta fretta alla stazione.
Gli avevano perfino riservato un treno personale, con ben tre maghi a far da macchinisti. Gli elementali del fuoco erano stati convocati a ciclo continuo, per far in modo che la locomotiva non si fermasse mai.
In teoria, da Partene a Pevie servivano due giorni interi di viaggio. Nella pratica, Navio ci aveva impiegato un giorno solo, a costo di far quasi fondere il mezzo.
Anche alla stazione, il generale era appena sceso dal treno, che era stato quasi caricato di peso in una carrozza.
Non gli avevano concesso il tempo di capire cosa trainasse il mezzo, ma a giudicare dalla folle velocità con cui aveva attraversato le strade, Navio era convinto che quelli non fossero normali cavalli.
Come risultato, la sua uniforme blu era un disastro. Ed era sicuro di essersi dimenticato a Partene almeno un paio di medaglie.
Non era per nulla pronto a incontrare la terza persona nella stanza.
Re Manlio girava attorno al tavolo centrale, scrutando con espressione assorta la larga superficie d’acqua che lo ricopriva. Sul giovane volto del re, sotto i baffi curati e le sopracciglia sottili, c'era tutta la preoccupazione possibile.
«Tira una brutta aria» chiosò Ormeno, in un sussurro appena udibile.
«Già» gli rispose Navio, deglutendo a fatica. Si avvicinò al tavolo, inchinandosi a fondo davanti al sovrano.
«Vostra Maestà, èvun onore poter essere ammesso alla vostra presenza» disse, senza sollevare lo sguardo.
In questo modo, non avrebbe dovuto mostrare la faccia arrossata dalla fatica.
«Le circostanze non sono delle migliori, generale. Guardate la mappa» con uno schiocco di dita, il re fece muovere i vari oli colorati che fluttuavano nel bacile.
Le macchie assunsero la forma del continente, con sottili linee a tracciare i confini; bandierine colorate galleggiavano a segnalare la posizione nota delle truppe.
Navio non si sorprese che grossi blocchi di bandierine gialle e nere si fronteggiassero al confine tra Alarria e Vrekka, così come non c'era sorpresa nel vedere file su file di bandierine rosse affollate tra Alarria e Glaura. In mare, un nutrito contingente di Ibisha pareva puntare verso le Isole Ghal’kri, piene di bandierine verdi.
Quello che sorprese Navio, anche se alcune voci erano arrivate, era la massa di reggimenti Glaurani e Vrekkani ai loro confini.
Le bandiere blu, che indicavano le truppe Irlaviane, erano pochissime, da ambo i fronti.
«Vostra Maestà, queste informazioni sono confermate?» chiese Navio, ricacciando a forza un balbettio della voce.
«Si, confermate due volte» disse il ministro Raffini «inoltre, i telegrammi arrivati sia dal re Glauriano che dal Cancelliere Vrekkano non lasciano dubbi»
«La nostra neutralità verrà ignorata; o meglio, essendo noi alleati di entrambi i paesi, dovremo scegliere quale lealtà tradire» disse il Re, con tono solenne.
Trattenendosi dal grattarsi una guancia, in preda al panico, Navio tenne stretta tra i denti la domanda che voleva fare. Cosa ci facesse lui lì, invece di altri generali, non lo capiva.
«E quale sarà la nostra linea d’azione, vostra maestà?» domandò invece.
Il sovrano ed il ministro si scambiarono uno sguardo.
Raffini sbuffò, anche se riuscì a mascherarlo dietro i baffi. Il re, dal canto suo, fissò la mappa a lungo prima di rispondere.
«Neutralità, ad oltranza. Non possiamo affrontare una guerra, non nelle condizioni attuali; questo, non vuol dire che non verremo trascinati in una, che lo vogliamo o meno» la voce del sovrano era ferma, ma al contrario i suoi occhi balzavano lungo tutta la sala.
Con tutta la calma che la sua stanchezza gli permettesse, Navio cercò di fare mente locale.
C’erano accordi commerciali con Glaura, oltre a patti di libera circolazione, sia umana che elementale, e perfino trattati di collaborazione sul piano accademico.
Però, anche con Vrakka c’erano gli stessi accordi. In effetti, Navio, quando era arrivata la convocazione, stava avendo un acceso scambio di opinioni con un tecno mago vrakkiano, che si ostinava a non voler saldare le valvole nel modo corretto. La discussione si era infiammata al punto che Ormeno aveva iniziato a fiammeggiare.
«A che punto è il vostro lavoro, generale?» chiese il re. La sua voce si colorò di più speranza del dovuto.
Le ginocchia di Navio iniziarono a tremare.
«Procede, signore. Riteniamo di poter allestire un primo prototipo, funzionante del tutto, entro quattro mesi» Ormeno, sulla sua spalla, sollevò la coda in un gesto interrogativo.
«Non li abbiamo quattro mesi, generale» disse il re, lasciandosi cadere su una sedia «forse non ne abbiamo nemmeno due»
Il silenzio gravò nella stanza come una cappa di piombo. Fissando la mappa, Navio cercò di far mente locale dei problemi da risolvere.
Aveva radunato professori di medicina da ogni angolo del regno, ma nessuno di loro aveva capito come collegare la mente umana a quella elementale. Con gli ingegneri andava anche peggio, a prescindere dell’elemento usato.
E, infine, rimaneva da capire come diamine si sarebbe dovuto usare quell’aggeggio che stavano cercando di costruire.
«Se è un problema di fondi, generale, posso…» iniziò il ministro.
«I fondi sono l’ultimo problema, signori. Sono quasi sette mesi che non caviamo un ragno dal buco, e in piena sincerità ripropongo, davanti a voi, di abbandonare questo progetto»
Sovrano e ministro si fissarono. Il re aprì la bocca, ma senza poter dire nulla.
Il ministro della guerra Raffini si accarezzò i baffi, a lungo, prima di dire.
«Generale, lei è stato dislocato a Partene per due anni. Non sa le condizioni del fronte nord. Sulla carta, come vede dalla mappa, i nostri nemico schierano circa una volta e mezza il nostro numero di divisioni; ciò che non vede è che ogni nostra divisione conta metà degli uomini di una divisione Glauriana, e non vede, ma sa, che non disponiamo dall’immenso serbatoio di reclute dei Vrakkiani»
Navio si passò una mano sul volto, mentre l’idea folle che aveva accantonato tornava a presentarsi.
«Anche con una mobilitazione generale, di cui non serve le illustri le ripercussioni in ambito produttivo e agricolo, siamo in così netta inferiorità che sarebbe un miracolo se riuscissimo a resistere tre mesi. Il vostro progetto è l’unica e ultima possibilità di evitare questo scenario»
Ormai, la mente di Navio si era aggrappata a quella folle idea. Era stata a malapena teorizzata, appena suggerita a mezza bocca, ma bocciata senza appello.
Era semplicemente troppo rischiosa. Ma era anche l’unico modo di realizzare quanto richiesto.
«C’è un modo, signori» disse Navio, lentamente, con le parole che sembravano impastasti ai denti e alla lingua «ma è rischioso. Quasi folle»
Ministro e sovrano si guardarono. Passarono lunghi minuti.
Alla fine, il re disse.
«Quanto rischioso?»
«Voi mi avete chiesto un mezzo da combattimento, un’evoluzione degli squadroni di cavalleria. Ecco, io non posso darveli; ma posso darvi altro: un’arma che non abbia la minima eleganza o la minima umanità. Un oggetto creato solo per distruggere e massacrare, che tutti, e specifico tutti, riterranno un mostro. E chiameranno noi mostri e animali, quando lo useremo»
Dalla sua sedia, il re continuava a fissare il bacile, con i liquidi colorati che erano le nazioni e le bandierine galleggianti che erano i suoi soldati.
«Può salvare vite? Può vincere questa guerra?»
«Si» disse Navio. E pregò che fosse vero.
«E allora saremo animali» disse il re.
Navio annuì, sulla sua spalla Ormeno si grattava le orecchie, spaventato.
«Avete una dottrina militare per queste armi?» disse il ministro.
Il generale prese un lungo respiro.
«Attivarle, avanzare, sparare. E chiudere gli occhi»