[CC24] Un eroe sbagliato
Posted: Sun Feb 18, 2024 10:09 pm
Traccia 1: Rapina in maschera.
Commento: Le maschere e i volti, di Poeta Zaza
Niente di appariscente in quei tre uomini con tricorno e maschera che camminavano in mezzo alla folla nei giorni del carnevale di Venezia. Forse due di loro apparivano incongruenti indossando scarpe da ginnastica che spuntavano sotto i lunghi mantelli neri, ma nessuno faceva caso al gusto pacchiano. Uscirono lenti da Piazza S. Marco addentrandosi nelle strette e scure vie laterali fino a trovarsi in una piazzetta dove al piano terra di un vecchio palazzo c’era una banca. Avevano già organizzato tutto da giorni.
Vinich, il più vecchio dei tre, aveva chiamato Claudio con il quale aveva condiviso qualche annetto di galera tra furti, spaccio, ricettazione e tentata evasione, mentre Giorgio, che avevano conosciuto da poco, oltre ad essere il più giovane era incensurato e addirittura lavorava come panettiere.
Lo avevano affascinato e trascinato con loro facendogli credere di essere dei pezzi grossi, frequentando locali, girovagando nei dintorni, trattorie dove erano di casa, discoteche, ragazze allegre e disponibili, mostrandogli la vita come un facile divertimento, bastava avere i soldi. Già, i soldi. E loro li avevano quasi finiti. Come se li procuravano? Non certo lavorando. Non c’era voluto molto a convincere Giorgio che era sprecato a fare il panettiere in un buco di provincia, dividendo lo stipendio con la pensione di invalidità di una vecchia zia presso la quale viveva, essendo rimasto orfano da bambino. Insomma, Giorgio si convinse di far parte della banda, come si autonominavano quei due.
Vinich era il più cattivo e più simpatico. Si dava arie e atteggiamenti da stratega incompreso, aveva parlato con entusiasmo del colpo alla banca, come fosse la cosa più facile e ovvia, prevedendo anche vie di fuga secondarie e piani B accuratamente descritti sui tovaglioli di carta dei tavoli delle trattorie. Auto rubata e parcheggiata al Tronchetto, da dove sarebbero partiti ed eventualmente ritornati con il traghetto pubblico se le cose fossero filate lisce altrimenti, dopo essersi divisi il bottino, fughe alternative a piedi fino a Mestre e da lì via con il treno, vita ritirata per alcuni giorni per non dare nell’occhio e dopo continuare come sempre.
Vinich si accalorava a spiegare il piano, parlando a pochi centimetri dal viso di Claudio e Giorgio, gli occhi lucidi per il troppo bere, l’alito pesante di alcool e sigarette, con quei suoi baffi spioventi che lo facevano assomigliare a un austro-ungarico.
Claudio appariva più posato, fumava una sigaretta dopo l’altra, meditava, annuiva. Il viso perfettamente sbarbato, i capelli grigi lunghi; sembrava un operaio che il massimo della vita è un giro al centro commerciale e un piccolo barbecue sul balcone di casa. Non sarebbe stato in grado di organizzare piani, ma gli piaceva eseguirli.
Giorgio dal canto suo ascoltava estasiato, convinto di fare la storia e di dare finalmente una svolta alla sua vita. Rimase perplesso quando Vinich gli disse quale sarebbe stato il suo compito.
─ Non dovrai fare niente.
─ Come niente?
─ Fidati. Cioè: non proprio niente. In banca entriamo io e Claudio, con le pistole. Tu stai fuori e disarmato.
─ Faccio il palo?
Vinich sorrise ─ Il palo di salvezza. Sotto il costume sarai vestito da carabiniere.
─ Ma siete matti?
─ Assolutamente si. Se vuoi pure da poliziotto o da vigile, tanto è Carnevale. So dove procurarmi le divise. Ti spiego. Quando usciamo dalla banca ci allontaniamo con calma in tre, con i mantelli e i tricorni mascherati. Hanno visto due a fare la rapina e cercheranno due.
─ Ma che c’entra che sotto sono vestito da carabiniere?
Vinich espirò una lunga boccata di fumo verso il soffitto, roteando gli occhi come a implorare comprensione dagli dei.
─ In caso di bisogno una divisa fa sempre comodo. Non è detto che devi comparire vestito così, sopra hai il mantello. Poi vedrai.
─ Devi fidarti di noi. Vinich è in gamba ─ disse Claudio con la voce rassicurante di uno che non ha capito in pieno, cosa che non convinse molto Giorgio. Ma quei due sembravano sapere il fatto loro. Erano strani perché erano esperti, pensava Giorgio, avevano provato di tutto e lui non poteva afferrare sfumature che ci vogliono anni per vederle.
Quando venne il giorno con il giusto movimento di gente i tre si ritrovarono in piazza San Marco e si diressero verso la banca.
Giorgio fu lasciato in uno svincolo poco distante, doveva solo unirsi a loro quando sarebbero usciti dopo il colpo, non dovevano fare altro che incamminarsi con calma fino all’imbarco per il Tronchetto.
Giorgio guardò i due dirigersi verso l’entrata e per darsi un contegno e calmarsi si accese una sigaretta, alzando ogni volta la maschera sotto il tricorno per aspirare il fumo. Non fumava da molto tempo a dire il vero, tanto che poteva ancora sentire bene gli odori di ciò che era intorno a lui come un non fumatore e in quel momento lo colpì il forte odore di marcio che proveniva dall’angolo di una vecchia casa, coperto di muschio e sporcizia che partiva dalle fondamenta immerse nell’acqua stagnante. Si concentrò su quell’odore, figurandoselo come bellissimo, qualcosa su cui poter ragionare e passarci innocentemente il tempo, che non poteva fargli del male.
Dopo un paio di boccate sentì delle grida provenire dall’androne esterno della banca, vide di sfuggita un vigilante che agitava le mani, urla di donne e poi degli scoppi secchi a ripetizione. Non aveva mai sentito armi sparare se non nei film, ma capì che erano colpi d’arma da fuoco. Claudio urlava con voce rauca, sofferente ─ Non lasciarmi! Non lasciarmi!
Un altro che gridava ─ Aiuto! Aiuto!
Vinich venne di corsa verso di lui, aveva perso il tricorno, il viso stravolto e la pistola nella mano che fuoriusciva dal grottesco mantello nero. Prese con violenza il braccio di Giorgio trascinandolo ─ Andiamo, andiamo via! Presto! È andata male! Via! Via! Corri!
Giorgio si sentiva martellare il cuore in testa e lo stomaco contorcersi per la paura.
Vinich lo trascinava nelle viuzze dove cominciava ad accorrere gente. Si videro in fondo alcune divise.
─ Zio bon! ─ ringhiò Vinich cambiando strada, sempre tirandosi dietro Giorgio che non capiva più niente.
─ Ehi! Ehi! ─ urlava qualcuno in fondo, come verso di loro.
Vinich cambiò ancora strada ringhiando di rabbia ma si sentiva gente accorrere da tutte le parti, urlare ─ Due morti! Chiamate la polizia! Un dottore!
Giunsero davanti a un negozio di souvenir quasi all’uscita verso San Marco, dove la gente si era fermata come attonita e in mezzo alla quale correvano vigili e poliziotti verso di loro. Vinich sbatté bruscamente in un angolo Giorgio, gli strappò di dosso mantello e tricorno, facendolo comparire con l’uniforme da carabiniere, senza berretto.
─ Ora fai la tua parte, scemo! Ti punto la pistola in testa e tu fingi che sei ostaggio! Vedrai che ne usciamo!
Giorgio voleva parlare, urlare, ma la lingua gli si era come incollata al palato diventato completamente secco.
Vinich gli mise la pistola alla tempia, premendo come se volesse conficcarla dentro, facendogli male. Dall’arma emanava un odore aspro di polvere da sparo che irritava il naso.
─ State indietro! State indietro o lo ammazzo! ─ urlava Vinich con una voce che Giorgio non gli aveva mai sentito, ma sulla quale non aveva nessuna voglia di approfondire. Poliziotti e carabinieri, che nel frattempo erano aumentati e spuntavano da ogni dove urlavano alla gente di tenersi alla larga, mentre una miriade di persone obbedivano scompostamente, urlando e ridendo come a una festa, scattando foto e riprendendo con i cellulari.
─ Lo ammazzo! ─ ripeté Vinich.
─ Calmati, calmati! Non facciamo niente! Non sparare! Calmati! ─ Dicevano alcuni carabinieri
─ Lo ammazzo!
─ Calmati, stiamo indietro vedi? Calmati.
Vinich diede un calcio alla porta a vetri del negozio di souvenir presso il quale si era posizionato ed entrò dentro arretrando, tenendo davanti a sé Giorgio come scudo.
Il negozio era un bugigattolo, oltre a un esterrefatto padrone, un uomo anziano con i lunghi capelli bianchi raccolti a coda c’era una donna, una cliente, con una bambina al fianco.
Vinich puntò la pistola ingiungendo loro di mettersi in un angolo, cosa che fecero immediatamente, ammutoliti e con lo sguardo vitreo.
─ Mi devono fare passare! Non c’entro niente. Non è colpa mia se c’era quel vigilante! È stato Claudio a sparare! Non c’entro niente!
─ Ma cosa vuoi fare? ─ riuscì a dire Giorgio con un filo di voce.
─ Vinich lo guardò come se lo vedesse per la prima volta.
─ Tu devi dire che io non c’entro niente! Ho dovuto sparare al vigilante altrimenti mi ammazzava! Capisci zio bon? Ma tu cosa ne sai? Cosa ne sai? È un casino! Io in galera non torno! Lo capisci che io in galera non ci torno?
Giorgio annuiva ripetutamente e intanto guardava fuori. Si era formato un cordone di divise a debita distanza, dietro di loro la folla e uno scorcio di sole che faceva brillare in lontananza il mare colore del piombo.
La bambina piangeva attaccata alla donna, doveva essere la madre, che cercava di calmarla parlando in inglese.
Ma la bambina singhiozzava sempre più forte, fino prorompere in un pianto, che sembrava un urlo sordo, continuo.
Vinich si irritò. ─ Dille di stare zitta! Dille di stare zitta!
Il proprietario tradusse in inglese e la madre cercò di acquietare la piccola abbracciandola ma quella piangeva e urlava ancora di più.
─ Basta! Basta! Dille di smettere! Non riesco a pensare! Basta!
Mentre parlava Vinich teneva sempre per un braccio Giorgio e guardava da un angolo della vetrata l’esterno del negozio, agitandosi sempre di più.
─ Non ci torno! In galera non ci torno!
─ Ma cosa vuoi fare? Forse è meglio…
─ Ma è meglio cosa? Ma cosa ne sai tu? Ma cosa c… ne sai?
Vinich aveva gli occhi sanguigni fuori dalle orbite, la bava che gli colava dalla bocca, la faccia madida di sudore. Con rabbia si strappò il mantello del costume e il colletto bianco della camicia, rimanendo con la giacca nera ricamata d'oro, assumendo l’aspetto di un pirata che non se l’era passata bene dopo un tentativo di abbordaggio. Ma non era il tempo delle avventure. Di certo non per la bambina, che ora in preda al panico singhiozzava di continuo.
Vinich, dopo aver dato ancora una volta uno sguardo truce all’esterno, alla marea di gente e di divise, ormai si rendeva conto che era finita, girò lentamente la testa verso la bambina, strinse gli occhi assumendo un aspetto luciferino e sputò in un angolo un grumo rossastro perché aveva preso a colargli sangue dal naso.
─ Io ti ammazzo. Io vi ammazzo tutti! Ma pensate di fregarmi a me?
─ Calmati Vinich, calmati!
─ Calmati? E chi sei tu per dirmi calmati? A me? Spostati!
Ma Giorgio non riusciva a spostarsi perché Vinich non lo aveva mai mollato un attimo, come se fosse davvero la sua ancora di salvezza.
─ Libera la donna e la bambina! Possiamo parlare, trovare una soluzione senza farci male! Hai sentito? Nessuno vuole farti del male. Devi essere ragionevole! ─ diceva Giorgio.
Vinich ascoltava ansimando. La bambina piangeva, la madre piagnucolava parole incomprensibili, il negoziante le abbracciava preoccupato e guardava con insistenza Giorgio, come se si aspettasse qualcosa da lui. Anche la donna lo guardava allo stesso modo, con uno sguardo come implorante. Ma non era Giorgio in realtà che guardavano, guardavano la sua divisa. Giorgio se ne rese conto. Per quanto avesse paura anche lui qualcosa gli scattò dentro.
Finalmente Vinich gli liberò il braccio dalla sua stretta di ferro e Giorgio pensò che questa storia assurda era durata anche troppo, lui non aveva fatto niente, non voleva averci a che fare. Con un coraggio che mai avrebbe pensato di avere, non aveva mai fatto male a una mosca in vita sua, gli afferrò con entrambe le mani la pistola per disarmarlo. Ma Vinich era forte. Si divincolò e lo colpì in faccia con l’arma di piatto. Giorgio gli si avvinghiò addosso e fra i due nacque una violenta colluttazione. Si buttarono sul banco e sugli scaffali rovesciando tutto.
Giorgio si trovò Vinich sopra di lui che gli puntava la pistola sulla fronte.
─ Mi te copo fiol d’un can!
Giorgio rivoltò la pistola con la canna in faccia a Vinich e partì un colpo che in quello spazio chiuso si amplificò in maniera assordante. Un fiotto di sangue caldo uscì dalla testa di Vinich investendo la faccia e il petto di Giorgio.
Il cielo era abbagliante e sotto il cielo un mare di facce sopra Giorgio. Uomini in uniforme gli parlavano e lo toccavano, ma lui non capiva niente, i suoni gli giungevano ovattati come da una lontananza infinita. Scuoteva debole la testa.
Qualcuno con un camice bianco gli versò acqua in faccia, lo pulì, lo toccò sul petto e sul viso e poi disse qualcosa agli altri intorno che parvero tirare un sospiro di sollievo.
Lo misero su una barella e traversarono di corsa la piazza verso un’imbarcazione. Durante il tragitto una folla immensa lo circondava, si levò un applauso fragoroso, mentre carabinieri e poliziotti formavano un cordone intorno a lui fino a salire su una barca con i motori accesi che partì di volata.
Sulla barca c’erano altri carabinieri, qualcuno gli teneva la mano, gli sorrideva. Giorgio cominciava a sentire le parole.
─ Come ti senti? Come ti senti? Tranquillo: non hai nulla.
Giorgio si mise a piangere. Si rendeva conto che lo avevano scambiato per uno di loro, ben presto avrebbero capito la verità, ma non gli importava; per il momento era uno di loro. Un eroe. Un eroe sbagliato.
Commento: Le maschere e i volti, di Poeta Zaza
Niente di appariscente in quei tre uomini con tricorno e maschera che camminavano in mezzo alla folla nei giorni del carnevale di Venezia. Forse due di loro apparivano incongruenti indossando scarpe da ginnastica che spuntavano sotto i lunghi mantelli neri, ma nessuno faceva caso al gusto pacchiano. Uscirono lenti da Piazza S. Marco addentrandosi nelle strette e scure vie laterali fino a trovarsi in una piazzetta dove al piano terra di un vecchio palazzo c’era una banca. Avevano già organizzato tutto da giorni.
Vinich, il più vecchio dei tre, aveva chiamato Claudio con il quale aveva condiviso qualche annetto di galera tra furti, spaccio, ricettazione e tentata evasione, mentre Giorgio, che avevano conosciuto da poco, oltre ad essere il più giovane era incensurato e addirittura lavorava come panettiere.
Lo avevano affascinato e trascinato con loro facendogli credere di essere dei pezzi grossi, frequentando locali, girovagando nei dintorni, trattorie dove erano di casa, discoteche, ragazze allegre e disponibili, mostrandogli la vita come un facile divertimento, bastava avere i soldi. Già, i soldi. E loro li avevano quasi finiti. Come se li procuravano? Non certo lavorando. Non c’era voluto molto a convincere Giorgio che era sprecato a fare il panettiere in un buco di provincia, dividendo lo stipendio con la pensione di invalidità di una vecchia zia presso la quale viveva, essendo rimasto orfano da bambino. Insomma, Giorgio si convinse di far parte della banda, come si autonominavano quei due.
Vinich era il più cattivo e più simpatico. Si dava arie e atteggiamenti da stratega incompreso, aveva parlato con entusiasmo del colpo alla banca, come fosse la cosa più facile e ovvia, prevedendo anche vie di fuga secondarie e piani B accuratamente descritti sui tovaglioli di carta dei tavoli delle trattorie. Auto rubata e parcheggiata al Tronchetto, da dove sarebbero partiti ed eventualmente ritornati con il traghetto pubblico se le cose fossero filate lisce altrimenti, dopo essersi divisi il bottino, fughe alternative a piedi fino a Mestre e da lì via con il treno, vita ritirata per alcuni giorni per non dare nell’occhio e dopo continuare come sempre.
Vinich si accalorava a spiegare il piano, parlando a pochi centimetri dal viso di Claudio e Giorgio, gli occhi lucidi per il troppo bere, l’alito pesante di alcool e sigarette, con quei suoi baffi spioventi che lo facevano assomigliare a un austro-ungarico.
Claudio appariva più posato, fumava una sigaretta dopo l’altra, meditava, annuiva. Il viso perfettamente sbarbato, i capelli grigi lunghi; sembrava un operaio che il massimo della vita è un giro al centro commerciale e un piccolo barbecue sul balcone di casa. Non sarebbe stato in grado di organizzare piani, ma gli piaceva eseguirli.
Giorgio dal canto suo ascoltava estasiato, convinto di fare la storia e di dare finalmente una svolta alla sua vita. Rimase perplesso quando Vinich gli disse quale sarebbe stato il suo compito.
─ Non dovrai fare niente.
─ Come niente?
─ Fidati. Cioè: non proprio niente. In banca entriamo io e Claudio, con le pistole. Tu stai fuori e disarmato.
─ Faccio il palo?
Vinich sorrise ─ Il palo di salvezza. Sotto il costume sarai vestito da carabiniere.
─ Ma siete matti?
─ Assolutamente si. Se vuoi pure da poliziotto o da vigile, tanto è Carnevale. So dove procurarmi le divise. Ti spiego. Quando usciamo dalla banca ci allontaniamo con calma in tre, con i mantelli e i tricorni mascherati. Hanno visto due a fare la rapina e cercheranno due.
─ Ma che c’entra che sotto sono vestito da carabiniere?
Vinich espirò una lunga boccata di fumo verso il soffitto, roteando gli occhi come a implorare comprensione dagli dei.
─ In caso di bisogno una divisa fa sempre comodo. Non è detto che devi comparire vestito così, sopra hai il mantello. Poi vedrai.
─ Devi fidarti di noi. Vinich è in gamba ─ disse Claudio con la voce rassicurante di uno che non ha capito in pieno, cosa che non convinse molto Giorgio. Ma quei due sembravano sapere il fatto loro. Erano strani perché erano esperti, pensava Giorgio, avevano provato di tutto e lui non poteva afferrare sfumature che ci vogliono anni per vederle.
Quando venne il giorno con il giusto movimento di gente i tre si ritrovarono in piazza San Marco e si diressero verso la banca.
Giorgio fu lasciato in uno svincolo poco distante, doveva solo unirsi a loro quando sarebbero usciti dopo il colpo, non dovevano fare altro che incamminarsi con calma fino all’imbarco per il Tronchetto.
Giorgio guardò i due dirigersi verso l’entrata e per darsi un contegno e calmarsi si accese una sigaretta, alzando ogni volta la maschera sotto il tricorno per aspirare il fumo. Non fumava da molto tempo a dire il vero, tanto che poteva ancora sentire bene gli odori di ciò che era intorno a lui come un non fumatore e in quel momento lo colpì il forte odore di marcio che proveniva dall’angolo di una vecchia casa, coperto di muschio e sporcizia che partiva dalle fondamenta immerse nell’acqua stagnante. Si concentrò su quell’odore, figurandoselo come bellissimo, qualcosa su cui poter ragionare e passarci innocentemente il tempo, che non poteva fargli del male.
Dopo un paio di boccate sentì delle grida provenire dall’androne esterno della banca, vide di sfuggita un vigilante che agitava le mani, urla di donne e poi degli scoppi secchi a ripetizione. Non aveva mai sentito armi sparare se non nei film, ma capì che erano colpi d’arma da fuoco. Claudio urlava con voce rauca, sofferente ─ Non lasciarmi! Non lasciarmi!
Un altro che gridava ─ Aiuto! Aiuto!
Vinich venne di corsa verso di lui, aveva perso il tricorno, il viso stravolto e la pistola nella mano che fuoriusciva dal grottesco mantello nero. Prese con violenza il braccio di Giorgio trascinandolo ─ Andiamo, andiamo via! Presto! È andata male! Via! Via! Corri!
Giorgio si sentiva martellare il cuore in testa e lo stomaco contorcersi per la paura.
Vinich lo trascinava nelle viuzze dove cominciava ad accorrere gente. Si videro in fondo alcune divise.
─ Zio bon! ─ ringhiò Vinich cambiando strada, sempre tirandosi dietro Giorgio che non capiva più niente.
─ Ehi! Ehi! ─ urlava qualcuno in fondo, come verso di loro.
Vinich cambiò ancora strada ringhiando di rabbia ma si sentiva gente accorrere da tutte le parti, urlare ─ Due morti! Chiamate la polizia! Un dottore!
Giunsero davanti a un negozio di souvenir quasi all’uscita verso San Marco, dove la gente si era fermata come attonita e in mezzo alla quale correvano vigili e poliziotti verso di loro. Vinich sbatté bruscamente in un angolo Giorgio, gli strappò di dosso mantello e tricorno, facendolo comparire con l’uniforme da carabiniere, senza berretto.
─ Ora fai la tua parte, scemo! Ti punto la pistola in testa e tu fingi che sei ostaggio! Vedrai che ne usciamo!
Giorgio voleva parlare, urlare, ma la lingua gli si era come incollata al palato diventato completamente secco.
Vinich gli mise la pistola alla tempia, premendo come se volesse conficcarla dentro, facendogli male. Dall’arma emanava un odore aspro di polvere da sparo che irritava il naso.
─ State indietro! State indietro o lo ammazzo! ─ urlava Vinich con una voce che Giorgio non gli aveva mai sentito, ma sulla quale non aveva nessuna voglia di approfondire. Poliziotti e carabinieri, che nel frattempo erano aumentati e spuntavano da ogni dove urlavano alla gente di tenersi alla larga, mentre una miriade di persone obbedivano scompostamente, urlando e ridendo come a una festa, scattando foto e riprendendo con i cellulari.
─ Lo ammazzo! ─ ripeté Vinich.
─ Calmati, calmati! Non facciamo niente! Non sparare! Calmati! ─ Dicevano alcuni carabinieri
─ Lo ammazzo!
─ Calmati, stiamo indietro vedi? Calmati.
Vinich diede un calcio alla porta a vetri del negozio di souvenir presso il quale si era posizionato ed entrò dentro arretrando, tenendo davanti a sé Giorgio come scudo.
Il negozio era un bugigattolo, oltre a un esterrefatto padrone, un uomo anziano con i lunghi capelli bianchi raccolti a coda c’era una donna, una cliente, con una bambina al fianco.
Vinich puntò la pistola ingiungendo loro di mettersi in un angolo, cosa che fecero immediatamente, ammutoliti e con lo sguardo vitreo.
─ Mi devono fare passare! Non c’entro niente. Non è colpa mia se c’era quel vigilante! È stato Claudio a sparare! Non c’entro niente!
─ Ma cosa vuoi fare? ─ riuscì a dire Giorgio con un filo di voce.
─ Vinich lo guardò come se lo vedesse per la prima volta.
─ Tu devi dire che io non c’entro niente! Ho dovuto sparare al vigilante altrimenti mi ammazzava! Capisci zio bon? Ma tu cosa ne sai? Cosa ne sai? È un casino! Io in galera non torno! Lo capisci che io in galera non ci torno?
Giorgio annuiva ripetutamente e intanto guardava fuori. Si era formato un cordone di divise a debita distanza, dietro di loro la folla e uno scorcio di sole che faceva brillare in lontananza il mare colore del piombo.
La bambina piangeva attaccata alla donna, doveva essere la madre, che cercava di calmarla parlando in inglese.
Ma la bambina singhiozzava sempre più forte, fino prorompere in un pianto, che sembrava un urlo sordo, continuo.
Vinich si irritò. ─ Dille di stare zitta! Dille di stare zitta!
Il proprietario tradusse in inglese e la madre cercò di acquietare la piccola abbracciandola ma quella piangeva e urlava ancora di più.
─ Basta! Basta! Dille di smettere! Non riesco a pensare! Basta!
Mentre parlava Vinich teneva sempre per un braccio Giorgio e guardava da un angolo della vetrata l’esterno del negozio, agitandosi sempre di più.
─ Non ci torno! In galera non ci torno!
─ Ma cosa vuoi fare? Forse è meglio…
─ Ma è meglio cosa? Ma cosa ne sai tu? Ma cosa c… ne sai?
Vinich aveva gli occhi sanguigni fuori dalle orbite, la bava che gli colava dalla bocca, la faccia madida di sudore. Con rabbia si strappò il mantello del costume e il colletto bianco della camicia, rimanendo con la giacca nera ricamata d'oro, assumendo l’aspetto di un pirata che non se l’era passata bene dopo un tentativo di abbordaggio. Ma non era il tempo delle avventure. Di certo non per la bambina, che ora in preda al panico singhiozzava di continuo.
Vinich, dopo aver dato ancora una volta uno sguardo truce all’esterno, alla marea di gente e di divise, ormai si rendeva conto che era finita, girò lentamente la testa verso la bambina, strinse gli occhi assumendo un aspetto luciferino e sputò in un angolo un grumo rossastro perché aveva preso a colargli sangue dal naso.
─ Io ti ammazzo. Io vi ammazzo tutti! Ma pensate di fregarmi a me?
─ Calmati Vinich, calmati!
─ Calmati? E chi sei tu per dirmi calmati? A me? Spostati!
Ma Giorgio non riusciva a spostarsi perché Vinich non lo aveva mai mollato un attimo, come se fosse davvero la sua ancora di salvezza.
─ Libera la donna e la bambina! Possiamo parlare, trovare una soluzione senza farci male! Hai sentito? Nessuno vuole farti del male. Devi essere ragionevole! ─ diceva Giorgio.
Vinich ascoltava ansimando. La bambina piangeva, la madre piagnucolava parole incomprensibili, il negoziante le abbracciava preoccupato e guardava con insistenza Giorgio, come se si aspettasse qualcosa da lui. Anche la donna lo guardava allo stesso modo, con uno sguardo come implorante. Ma non era Giorgio in realtà che guardavano, guardavano la sua divisa. Giorgio se ne rese conto. Per quanto avesse paura anche lui qualcosa gli scattò dentro.
Finalmente Vinich gli liberò il braccio dalla sua stretta di ferro e Giorgio pensò che questa storia assurda era durata anche troppo, lui non aveva fatto niente, non voleva averci a che fare. Con un coraggio che mai avrebbe pensato di avere, non aveva mai fatto male a una mosca in vita sua, gli afferrò con entrambe le mani la pistola per disarmarlo. Ma Vinich era forte. Si divincolò e lo colpì in faccia con l’arma di piatto. Giorgio gli si avvinghiò addosso e fra i due nacque una violenta colluttazione. Si buttarono sul banco e sugli scaffali rovesciando tutto.
Giorgio si trovò Vinich sopra di lui che gli puntava la pistola sulla fronte.
─ Mi te copo fiol d’un can!
Giorgio rivoltò la pistola con la canna in faccia a Vinich e partì un colpo che in quello spazio chiuso si amplificò in maniera assordante. Un fiotto di sangue caldo uscì dalla testa di Vinich investendo la faccia e il petto di Giorgio.
Il cielo era abbagliante e sotto il cielo un mare di facce sopra Giorgio. Uomini in uniforme gli parlavano e lo toccavano, ma lui non capiva niente, i suoni gli giungevano ovattati come da una lontananza infinita. Scuoteva debole la testa.
Qualcuno con un camice bianco gli versò acqua in faccia, lo pulì, lo toccò sul petto e sul viso e poi disse qualcosa agli altri intorno che parvero tirare un sospiro di sollievo.
Lo misero su una barella e traversarono di corsa la piazza verso un’imbarcazione. Durante il tragitto una folla immensa lo circondava, si levò un applauso fragoroso, mentre carabinieri e poliziotti formavano un cordone intorno a lui fino a salire su una barca con i motori accesi che partì di volata.
Sulla barca c’erano altri carabinieri, qualcuno gli teneva la mano, gli sorrideva. Giorgio cominciava a sentire le parole.
─ Come ti senti? Come ti senti? Tranquillo: non hai nulla.
Giorgio si mise a piangere. Si rendeva conto che lo avevano scambiato per uno di loro, ben presto avrebbero capito la verità, ma non gli importava; per il momento era uno di loro. Un eroe. Un eroe sbagliato.