[CC24] ὑπόκρισις (hypokrisis)
Posted: Sat Feb 17, 2024 6:08 pm
Traccia 6. "Chi c'è dietro la maschera?"
Commento + Bonus commento Contest Natale '24
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Un palco, una donna, uno specchio. Il silenzio di chi osservava.
Lei era immobile, come la sua immagine riflessa. Alla sua destra, un manichino d’uomo vestito di stracci. Poi la donna si animò, distese le braccia in avanti e poi le ritrasse verso il petto, sul cuore, con movenza caritatevole.
“Lo capisco che sei nato povero, questo mondo è stato avaro con te. Che terribile sorte, senza avere colpe. I tuoi stracci ti stanno appiccicati come una condanna a vita. Tra sudiciume, affanni, il vino, muoiono le tue speranze. Urla la tua disperazione al Divino, alza le mani callose al cielo, implora pietà al destino”.
Lei poi si voltò verso lo specchio, beffarda e sprezzante.
“Se non ci fossimo noi a sovvenzionare la mensa dei poveri, sareste già morti di fame. E per questo saremo annoverati tra i giusti nel regno dei cieli, per la carità che vi abbiamo concesso, anche se, in effetti, non facciamo che allungare i vostri patimenti. Ma come potreste indossare un abito di seta o di morbida lana, calze e scarpe luccicanti, cospargervi con le nostre essenze e sentirvi pari a noi? Come possiamo essere obbligati a sentirci uguali? Tanto voi ci disprezzate lo stesso anche se vi diamo da mangiare e vi concediamo un tetto a prezzo calmierato. Siamo troppo buoni, non ci meritate”.
La donna continuò col suo monologo per oltre novanta minuti, rivolgendosi ora all’uomo di stracci ora allo specchio, in un dialogo tra sentimento e accidia, fino a quando una voce irruppe sulla scena: “Stop! Per oggi va bene così. Medea, sei stata superba. Ci vediamo sabato al debutto”.
Il cambio luci fece uscire la sagoma della raggiante Medea dall’occhio di bue e la immerse nella posticcia scenografia del palco, mentre il regista, assieme agli assistenti, si alzarono dalla seconda fila per guadagnare l’uscita.
Medea salì in auto e si diresse verso casa, assorta nei più cupi pensieri. Dopo mesi di prove era arrivato il momento del suo debutto come attrice. Le era stato proposto di essere la protagonista della rappresentazione della ipocrisia, attraverso una sceneggiatura tutta basata sul cambio di ruolo del personaggio. Avrebbe dovuto essere la voce di quel mondo variegato dell’animo umano, tra miseria e nobiltà, tra facciate caritatevoli e di convenienza. Di quei sentimenti contrastanti che animano l’essere, nello scontro con il proprio io. Una tagliente e impietosa opera teatrale che, già dalla lettura del titolo, ambiva ad attrarre il pubblico: ὑπόκρισις (hypokrisis). Era stata scelta lei, alla fine, figlia d’arte di Maria Makris, ex attrice di origini greche. Ma non si sentiva per niente entusiasta, nonostante in pubblico mostrasse il contrario. Qualcosa la tormentava e lei sapeva bene cos’era.
Quando arrivò a casa si fermò sulla porta d’ingresso. Fece un respiro profondo partendo dal diaframma e inspirò lentamente. Si scrollò di dosso l’ansia e si stampò un sorriso accattivante sul viso: entrò chiamando ad alta voce: “Amore! Sono a casa. Matilda! Amore di mamma, dove sei?”
Nessuno rispose, come se in casa non ci fosse anima. Ma da dietro la parete del soggiorno, il marito e la bambina sbucarono fuori cogliendola di sorpresa: “Ecco la principessa Matilda del regno delle bambine più belle del mondo!” Esclamò tutto felice Giorgio presentando la piccola principessa.
Medea rimase di pietra nel vedere Matilda mascherata di tulle turchino e sgranò gli occhi come se colta dal terrore. Si lanciò con veemenza contro di lui prendendo a percuoterlo sul petto, a pugni chiusi: “Ma cosa hai fatto! Toglili immediatamente quell’orribile vestito!”
L’uomo cercò di difendersi: “Ma cosa fai, sei impazzita? É solo il vestito per la recita della scuola!”
Ma lei si era lanciata sulla figlia per strapparle di dosso i vestiti, e lui tentò di frapporsi a lei. Riuscì a prenderla tra le braccia dopo un corpo a corpo scatenando la reazione della bimba che prese a strillare e piangere.
“Medea finiscila, non vedi che la stai terrorizzando? Che ti prende!”
“Toglili quel vestito e puliscila dal trucco che gli hai messo addosso” strillò con tutta la forza che aveva, al punto che lui corse verso il bagno: “Va bene, calmati però”, implorò.
Quando i due sparirono dalla sua visuale, Medea abbandonò l’ira e sembrò uscire dal quel raptus.
Si sentì crollare per la stanchezza e si diresse verso la camera da letto; ancora la voce di Giorgio cercava di calmare la bimba che non smetteva di piangere.
“Finiscila! Non vedi che la stai terrorizzando?” Quelle parole le attraversavano la mente stimolandone i ricordi. Medea entrò nella camera in penombra e come se cercasse un angolo di riparo, si accovacciò dietro l’armadio in posizione fetale. Poi lo sguardo andò sulla porta chiusa e aspettò che si ripetesse l’incubo.
“C’è qualcuno dietro la porta. Lei è rintanata sotto le coperte. Il passo lento e felpato di chi le si sta avvicinando. “Medea! Figlia mia. Guardami, tira fuori la testa”. Lei ha paura e rimane rintanata. Poi le coperte vengono abbassate scoprendola e costringendola a guardare chi sa bene di aver di fronte. “Medea, perché fai così? Io sono la tua mamma, guardami!”. Poi due mani forti le prendono la testa per tenerla a qualche centimetro dalla sua faccia. Due occhi neri spaventosi cerchiati di mascara tali da renderli profondi e penetranti. “Mamma mi fai paura!” “Piccola maledetta, non capisci niente della vita, prima impari e meglio è!”
Poi nella camera entra qualcuno: “Ma che fai? Non vedi che la stai terrorizzando? Ma finiscila di tormentarla!” esclama l’uomo. “Papa! La mamma mi fa paura!” Si lamenta Medea.
Due corpi che si affrontano nella stanza. Il padre che trascina la donna fuori dalla stanza mentre lei impreca: “Come ti permetti, toglimi le mani di dosso, bastardo! É mia figlia!”. L’incubo poi svanisce.
Il giorno del debutto.
Medea percorreva il tragitto verso il teatro. Il cellulare l’avvertì della chiamata. Si accostò sul lato della strada e parcheggiò. Sul display apparve un cognome: Makris. Un velo di sofferenza calò sul suo viso. Indugiò mentre gli squilli non cessavano; alla fine aprì la conversazione.
“Ciao figlia mia! Non volevi rispondere? Non volevi sentirmi? Stupida ragazzina, non capisci che ho sempre cercato di proteggerti.”
“Sì, mamma, lo so”.
“Finalmente ci sei riuscita, vedo che oggi debutti!” Disse Maria Makris compiaciuta.
“Come hai fatto a saperlo?” rispose Medea.
“Sono rinchiusa ma i giornali non mi mancano. Nella pagina degli spettacoli ho trovato la notizia della prima di hypokrisis. Ho letto che tu sei la protagonista. Mi sarei aspettato che mi avresti fatto partecipe, dato che io ti ho fatto da maestra.”
“Mamma! Mi hai sempre terrorizzato con le tue rappresentazioni sceniche. Ancora oggi ho gli incubi dei tuoi occhi, dei tuoi vestiti”.
“Stupida ragazzina! Non lo vuoi capire che prima avresti imparato a metterti una maschera prima ti saresti messa a riparo dalle brutture del mondo. Tieni bene a mente e in serbo il consiglio. Noi senza un altro Io non sappiamo vivere. Siamo deboli e preda di chi ne approfitta. Non mostrare mai quella che sei, Medea, non andare allo sbaraglio, a testa bassa, ma manda al posto tuo la copia felice di te stessa!”
“Mamma, basta! Devo chiudere, mi aspettano, ciao”. Spense il cellulare tremando.
Medea raggiunse i camerini di prova. Nella sua postazione un mazzo di rose rosse e bianche in bella mostra. Indossò l’anonima sottoveste nera per la scena. La truccatrice le mise solo un leggero velo di fondo tinta. Dietro al sipario si sentiva il brusio degli spettatori. Il registra l’aspettava vicino al camerino e vi entrò quando il trucco fu a posto.
“Medea! Questo è il tuo giorno. Dopo tante occasioni mancate e tanta sofferenza, sei al via. Fatti valere, siamo tutti con te.”
“Ma grazie, Valerio. Vedrò di non deludere nessuno. Ho sentito dire che il teatro è pieno. Si aspetteranno un bello spettacolo e questo lo sarà!”. Disse raggiante.
Tutto era pronto. In prima fila, il registra e il produttore parlavano tra loro, soddisfatti del pienone.
“La scelta di Medea è stata vincente. Chi mai sarebbe venuto a vedere una sceneggiata sulla ipocrisia”. “Hai ragione. L’idea di attirare l’attenzione della gente tirando fuori la vecchia storia della madre assassina della interprete della prima di hypokrisis, ha funzionato”.
“Medea non sospetta nulla della nostra manovra commerciale, ma se non fosse così, che ci importa. La notorietà ha i suoi costi”. “Certo che a dieci anni, aver visto la madre uccidere a coltellate suo padre, deve averla provata. Quando arrivò la polizia, pare che madre e figlia indossassero i costumi di scena. Si disse che la donna non distingueva più la realtà con la finzione e costringeva la figlia a partecipare alle sue continue prove”. “Ma che fine ha fatto poi?” chiese il regista. “All’epoca finì in un carcere psichiatrico, Medea fu affidata a dei parenti. Adesso credo che sia in una struttura sorvegliata da dove non uscirà mai più perché è pericolosa”.
Il momento era arrivato. Medea aveva raggiunto l’ingresso al palco. Lo specchio era al posto suo. Il manichino dell’uomo vestito di stracci, pure. Le luci andarono via dalla sala in concomitanza col l’apertura del sipario. L’occhio di bue inquadrò Medea che raggiungeva il centro del palco e si posizionava fronte allo specchio. Lo scroscio degli applausi non la distolse dal pensiero irrequieto che l’attraversava. Chiuse gli occhi dal timore e si voltò verso lo specchio senza avere il coraggio di guardare la figura riflessa. Poi ruppe gli indugi e decise di affrontare il suo personaggio riflesso.
Non c’erano gli occhi carichi di mascara, profondi e penetranti della madre Maria Makris in costume di scena, coltello alla mano.. Ma solo la sua esile figura di donna dallo sguardo pulito. Poi si voltò tranquilla verso l'uomo vestito di stracci. Le sue braccia si distesero in avanti per poi ritrarle verso il petto, sul cuore, con movenza caritatevole, da consumata attrice.