[CC24] Le maschere e i volti
Posted: Sat Feb 17, 2024 5:11 pm
Contest di Carnevale 2024
Traccia 1. "Rapina in maschera"
Durante la sfilata dei carri a Venezia, nel culmine della festa, tre uomini con i volti mascherati si preparano a compiere una rapina in banca.
Le maschere e i volti
Traccia 1. "Rapina in maschera"
Durante la sfilata dei carri a Venezia, nel culmine della festa, tre uomini con i volti mascherati si preparano a compiere una rapina in banca.
Le maschere e i volti
XXI secolo. Un martedì grasso, a Venezia. Piazza San Marco.
Prologo
Entrano in scena due grandi personaggi della Venezia del passato: Il doge Pietro Grimani e il poliedrico avventuriero Giacomo Casanova.
"Sugli scorci della nostra Serenissima il futuro è passato senza danno, anche stavolta." esordisce il Doge.
"Financo per le età: diverse all'epoca nostra, ora siam pari adulti", fa Giacomo, che aggiunge:
"Noi gli originali, anche se non siam veri; gli altri son solo maschere, noi ne mostriamo il volto".
"Tanti anni che torniamo a casa, e abbiam disimparato il veneziano. Perché, al martedì grasso, il turista italiano è straripante, e ogni volta è peggio, guarda che ressa; ci apostrofa con un nuovo alfabeto e ci troviamo il mondo in casa oggi", fa il Doge.
- L'alfabeto appartiene a tutti e chiunque è padrone di servirsene per creare una parola... - disserta Casanova, e aggiunge.
"Le gondole sono le stesse di una volta ma superate ogni anno da assurdi velocissimi natanti, e rumorosi: li chiamano vaporetti, cosiddetti... È un delirio!"
"Visto che siamo dalla vecchia procuratìa, guarda i miei pavimenti con pietre bianche e rosse...".
"Tante innovazioni ha fatto Ela per Venezia, Dux!"
"Buongiorno Siora maschera!" e poi, rivolto all'altro: "Ma quante belle tose, le damine..."
"Codeste maschere col viso coperto non m'intrigano: devo veder lo sguardo in piena luce se no niente..." fa il grande seduttore.
Nel frattempo...
Tre italiani provinciali, sbandati e malcresciuti, senza arte né parte, sono riusciti a entrare in città.
Hanno lasciato a casa i loro nomi e si chiamano adesso come le loro maschere: Bauta, Doge e Casanova, come tantissimi: due tricorni e il berretto a punta da doge; i tre travestimenti rimediati a una fornita bancarella di Venezia Santa Lucia.
Amici dall'infanzia, si fanno forza l'un l'altro da sempre. Oggi sono qui per il salto di qualità.
L'hanno pensato a lungo, a tavolino: andiamo il giorno di punta, martedì grasso, sarà strapiena ogni calle, ogni campiello. "Questa banca sarà aperta in questo orario, mi sono informato", aveva detto il Bauta, che così vuole essere menzionato, al maschile, e non la Bauta.
"Aspettiamo di entrare con altri dogi, o Baute, o casanova; quando siamo dentro il primo di noi va a una cassa, e minaccia chi è dietro lo sportello con il dito a pistola intuibile sotto la falda del mantello aperto. - Fuori i soldi, veloce - ma a bassa voce, con gli altri due dietro a mascherar la rapina a quanti ignari".
Si parte per la calle interessata, anche se, dal dire al fare, ce ne sta...
Eccoli intruppati tutti stretti: le maschere son specchi degli uguali, e anche i volti tali e quali, da coperti.
Sono così scombinati e improvvisati che, invece di entrare dritti in banca, spostati dalla folla urlante e scomposta, infilano la porta a fianco ed entrano sparati in un'antica libreria. Il doge viene spinto con veemenza contro una porticina che dà sul retrobottega e cade all'indietro nel vano. Nel mentre fa per alzarsi, vede sul piano più basso di uno scaffale quello che pare un libro antico... Lo nasconde sotto la veste e tosto esce dalla libreria con gli altri due (cui basta uno sguardo per capirsi), ma, appena fuori, un gruppo mascherato canterino per scherzo li circonda e li trascina con sé tornando a Piazza San Marco fino allo scalone del palazzo dei Dogi. Del tomo sotto il mantello gli estranei non si accorgono. Le eventuali grida del libraio rapinato non si sentono.
"Visto che siamo dalla vecchia procuratìa, guarda i miei pavimenti con pietre bianche e rosse...".
"Tante innovazioni ha fatto Ela per Venezia, Dux!"
"Buongiorno Siora maschera!" e poi, rivolto all'altro: "Ma quante belle tose, le damine..."
"Codeste maschere col viso coperto non m'intrigano: devo veder lo sguardo in piena luce se no niente..." fa il grande seduttore.
Nel frattempo...
Tre italiani provinciali, sbandati e malcresciuti, senza arte né parte, sono riusciti a entrare in città.
Hanno lasciato a casa i loro nomi e si chiamano adesso come le loro maschere: Bauta, Doge e Casanova, come tantissimi: due tricorni e il berretto a punta da doge; i tre travestimenti rimediati a una fornita bancarella di Venezia Santa Lucia.
Amici dall'infanzia, si fanno forza l'un l'altro da sempre. Oggi sono qui per il salto di qualità.
L'hanno pensato a lungo, a tavolino: andiamo il giorno di punta, martedì grasso, sarà strapiena ogni calle, ogni campiello. "Questa banca sarà aperta in questo orario, mi sono informato", aveva detto il Bauta, che così vuole essere menzionato, al maschile, e non la Bauta.
"Aspettiamo di entrare con altri dogi, o Baute, o casanova; quando siamo dentro il primo di noi va a una cassa, e minaccia chi è dietro lo sportello con il dito a pistola intuibile sotto la falda del mantello aperto. - Fuori i soldi, veloce - ma a bassa voce, con gli altri due dietro a mascherar la rapina a quanti ignari".
Si parte per la calle interessata, anche se, dal dire al fare, ce ne sta...
Eccoli intruppati tutti stretti: le maschere son specchi degli uguali, e anche i volti tali e quali, da coperti.
Sono così scombinati e improvvisati che, invece di entrare dritti in banca, spostati dalla folla urlante e scomposta, infilano la porta a fianco ed entrano sparati in un'antica libreria. Il doge viene spinto con veemenza contro una porticina che dà sul retrobottega e cade all'indietro nel vano. Nel mentre fa per alzarsi, vede sul piano più basso di uno scaffale quello che pare un libro antico... Lo nasconde sotto la veste e tosto esce dalla libreria con gli altri due (cui basta uno sguardo per capirsi), ma, appena fuori, un gruppo mascherato canterino per scherzo li circonda e li trascina con sé tornando a Piazza San Marco fino allo scalone del palazzo dei Dogi. Del tomo sotto il mantello gli estranei non si accorgono. Le eventuali grida del libraio rapinato non si sentono.
Oggi a Venezia i decibel non si misurano e non si contano: si sprecano.
L'incontro
All'improvviso, i nostri vedono due maschere diverse: i volti in chiaro, senza schermi di sorta o mascherine. I loro vestiti hanno l'aria vissuta, e portano le parrucche con naturalezza. Sono un Doge e un Casanova, ma il carisma dove l'han preso? Sembrano proprio "loro", non dei travestiti come tutti.
Si divincolano e li raggiungono, a ridosso del Campanile di San Marco, dove si gusta "un'ombra in un bacaro" come si dice qui. Si sentono però tranquillizzati davanti a due sguardi che non giudicano ma interpretano, seri palesi.
"Chissà cosa sia meglio, Dux, che ne dice Ela? Che si tengano la maschera sugli occhi come tutti, o che si svelino e così più si distacchino, parlando con noi due, seri palesi, dall'esser presi per ladruncoli che scappano?"
I tre amici son muti dallo choc ma presi al laccio taccion, a capo basso.
"Chi siete voi due?" domanda infine il doge, che si sente il più alto in grado.
"Son Giacomo Casanova: so che mi definite "avventuriero". Nel senso di "avido di vivere vicende eccezionali"mi sta bene. Come dite voi: è ok. Come dicevo io: xe vero.
"Io son dogato dal 1741" fa il Doge vero, con nobile fierezza.
Il Bauta sussurra al casanova: "Drogato?" e il terzo risponde: "Fatto e strafatto" e annuisce, serio palese come ha visto fare i due.
"Una volta fatti Doge, lo si rimane per sempre" pontifica il Grimani, che non ha sentito.
"E tu lo G rimani..." lo burla il seduttore. Che prosegue nel dire:
"Facciamo chiarezza, gente" fa Casanova il vero, benché in spirito. "Lui è il fantasma del Dux Pietro Grimani, grande Doge di Venezia nel diciottesimo secolo, e io contemporaneo suo son qua con lui ogni anno, a Carnevale, perché passiamo meglio inosservati, e ci piace tornar sui nostri passi..."
"Io ho portato la luce a Venezia, primi in Europa coi lampioni a olio. Chiamatemi Dux" come Duca, e datemi pure del lei, che qui è costume". Sorride algido e indulgente il grande Doge.
Il Bauta indica le maschere tutt'intorno e ghignando osserva: "Evocati lo siete stati senz'altro".
Nel mentre, liberano il volto dalle mascherine, seguendo di fatto il consiglio del Giacomo.
Il doge finto parla per tutti loro tre:
"Veniam da fuori regione, e volevamo fare un colpo in banca, confusi con la folla come siamo; invece la stessa folla ci ha confuso e ci ha spinto nella vicina libreria. Lì abbiamo rubato un testo antico, o così pensiamo. Eccolo qui."
Casanova lo prende e lo valuta, coperto dagli altri tutti intorno a capannello. Lo chiude impallidendo, avendolo riconosciuto come un importante testo della loggia massonica di Venezia, scomparso nella sua epoca, e trafugato.
Non ha più il valore, per lui, che aveva un tempo ma, partecipando la sua decisione al suo Doge, che annuisce, così consiglia ai giovani ladri.
"Intanto, in questa circostanza, vi dico che avete fatto bene a dire il vero":
“In certi casi, quando si è sicuri di non essere creduti, si deve dire la verità.” e ancor disserta:
“L'uomo più felice è quello che conosce meglio l'arte di rendersi tale senza venir meno ai propri doveri, e il più infelice è quello che ha scelto un modo di vivere che lo costringe a fare ogni giorno, dal mattino alla sera, malinconiche riflessioni sull'avvenire.”
Tace adesso il seduttor filosofo, perché il terzetto assimili e reagisca.
È il casanova in copia a replicare:
"Cosa dobbiamo fare del malloppo? E delle nostre vite?"
"Il dovere di ogni uomo (o donna) è fare il proprio dovere, lavorare e adoperarsi per guadagnarsi il pane: avrà un ristorante riposo e mente fresca per godere dei piaceri della vita. Senza scorciatoie trasgressive, il domani in prospettiva vien sereno".
Per il tomo, vi suggerisco questo:
"Non potete, oggi, restituirlo al proprietario, ma potete portarlo, data l'importanza storica, al nuovo Archivio di Stato, nell'ex Convento dei Frari, sappiamo che è lì. Andiamo che vi accompagniamo io e il mio Dux. Seguite il mio tricorno sgualcito"
I due fantasmi si avviano, col Casanova che precede il gruppetto col cappello nero alzato a mo' di segnale da guida turistica.
La distanza non è impegnativa, essendo circa un chilometro, se non fosse che le calli son strapiene. Intanto, devono decider la versione da fornire per il ritrovamento del reperto. Sanno che il libraio avrà denunciato il furto da parte di un doge, ma il terzetto dirà che l'ha trovato sotto la scritta "Calle del ridoto", accanto a una vecchia cabina telefonica.
A proposito di questa, Giacomo annuisce quando gli chiedono se conosce l'oggetto e che, sì, sanno da tanti precedenti martedì grassi anche dei cellulari e il loro funzionare l'hanno visto e sentito tante volte quante i turisti in visita a Venezia, ed è una delle cose di cui al tempo loro avevan fatto a meno tutti, e che certo non mancava a nessuno. - O tempora, o mores - scuote la testa il Doge.
Quando riescono a camminare vicini, il trio cerca di approfondire la storia del grande seduttore.
“La donna è come un libro che, buono o cattivo, deve piacere fin dalla copertina” esordisce lui,
per continuare: "Non ho mai cercato le facili avventure o la loro quantità. A me interessava il corteggiamento e la conquista, con il piacere di studiare e applicare la strategia vincente per ogni caso e ottenere col coronamento finale il giusto premio".
"Non ha mai fallito, Casanova?" gli chiede il finto. "Nella mia Venezia no, ma altrove... A Londra, stavo per annegare la mia disperazione nell'acqua sporca del Tamigi. Lei non era ricca, non era bellissima e non mi voleva! Più mi respingeva, più io m'infiammavo e insistevo. Nessuna mi aveva mai respinto, prima.
Lei arrivò persino, d'accordo col suo medico, a farsi trovare da me moribonda nel suo letto...
Per quello cercavo l'abbraccio del fiume, finché un amico mi fermò e mi convinse che dovevo mangiare e bere in compagnia. E fu così che, tre ore dopo averla lasciata in fin di vita, ed essere fuggito via, la ritrovai a rider con un altro, all'osteria.
Ho scritto una "canzon" su una certa Nana fazza nana. Sapete cosa significa? Giovanna faccia la nanna. Il veneziano è difficile da capire: ve lo risparmio. Tornando in tempo di Carnevale nella nostra Venezia, e trovandoci come lingua principale l'italiano, abbiamo cambiato le nostre parole con le vostre.
Ai tre ragazzi scombinati sembra di aver passato un mese in compagnia dei due amici d'altri tempi. Vengono anche a conoscenza della rocambolesca avventura dell'evasione dalla terribile prigione dei Piombi da parte del Casanova, imprigionato dall'Inquisizione senza sapere per quale colpa e per quanto tempo.
Ecco l'Archivio di Stato. Davanti al responsabile, le nuove maschere si sentono "nella parte" ricordando i consigli del Casanova:
"essere un camaleonte, un Proteo, un Tartufo, un commediante impenetrabile, fingere tutto, apparire freddo".
Vengono creduti. Alla domanda: "Cosa vorreste per ricompensa?"
rispondono in coro:
"Un lavoro".
Finale
Il Doge dice: "Vieni, figlio mio" e si allontanano nella foschia, evanescenti, canticchiando la "canzon" del Casanova:
Donna bella che ha piasesto
e che piase, e che ha savesto
pieni voti meritar
giusto affatto e non ghe resta
altra cossa a far che questa
la se deve reposar.
Acciò Nana fazza nana
voi cantar la ninanana
non la stessi a desmissiar.
Il doge finto parla per tutti loro tre:
"Veniam da fuori regione, e volevamo fare un colpo in banca, confusi con la folla come siamo; invece la stessa folla ci ha confuso e ci ha spinto nella vicina libreria. Lì abbiamo rubato un testo antico, o così pensiamo. Eccolo qui."
Casanova lo prende e lo valuta, coperto dagli altri tutti intorno a capannello. Lo chiude impallidendo, avendolo riconosciuto come un importante testo della loggia massonica di Venezia, scomparso nella sua epoca, e trafugato.
Non ha più il valore, per lui, che aveva un tempo ma, partecipando la sua decisione al suo Doge, che annuisce, così consiglia ai giovani ladri.
"Intanto, in questa circostanza, vi dico che avete fatto bene a dire il vero":
“In certi casi, quando si è sicuri di non essere creduti, si deve dire la verità.” e ancor disserta:
“L'uomo più felice è quello che conosce meglio l'arte di rendersi tale senza venir meno ai propri doveri, e il più infelice è quello che ha scelto un modo di vivere che lo costringe a fare ogni giorno, dal mattino alla sera, malinconiche riflessioni sull'avvenire.”
Tace adesso il seduttor filosofo, perché il terzetto assimili e reagisca.
È il casanova in copia a replicare:
"Cosa dobbiamo fare del malloppo? E delle nostre vite?"
"Il dovere di ogni uomo (o donna) è fare il proprio dovere, lavorare e adoperarsi per guadagnarsi il pane: avrà un ristorante riposo e mente fresca per godere dei piaceri della vita. Senza scorciatoie trasgressive, il domani in prospettiva vien sereno".
Per il tomo, vi suggerisco questo:
"Non potete, oggi, restituirlo al proprietario, ma potete portarlo, data l'importanza storica, al nuovo Archivio di Stato, nell'ex Convento dei Frari, sappiamo che è lì. Andiamo che vi accompagniamo io e il mio Dux. Seguite il mio tricorno sgualcito"
I due fantasmi si avviano, col Casanova che precede il gruppetto col cappello nero alzato a mo' di segnale da guida turistica.
La distanza non è impegnativa, essendo circa un chilometro, se non fosse che le calli son strapiene. Intanto, devono decider la versione da fornire per il ritrovamento del reperto. Sanno che il libraio avrà denunciato il furto da parte di un doge, ma il terzetto dirà che l'ha trovato sotto la scritta "Calle del ridoto", accanto a una vecchia cabina telefonica.
A proposito di questa, Giacomo annuisce quando gli chiedono se conosce l'oggetto e che, sì, sanno da tanti precedenti martedì grassi anche dei cellulari e il loro funzionare l'hanno visto e sentito tante volte quante i turisti in visita a Venezia, ed è una delle cose di cui al tempo loro avevan fatto a meno tutti, e che certo non mancava a nessuno. - O tempora, o mores - scuote la testa il Doge.
Quando riescono a camminare vicini, il trio cerca di approfondire la storia del grande seduttore.
“La donna è come un libro che, buono o cattivo, deve piacere fin dalla copertina” esordisce lui,
per continuare: "Non ho mai cercato le facili avventure o la loro quantità. A me interessava il corteggiamento e la conquista, con il piacere di studiare e applicare la strategia vincente per ogni caso e ottenere col coronamento finale il giusto premio".
"Non ha mai fallito, Casanova?" gli chiede il finto. "Nella mia Venezia no, ma altrove... A Londra, stavo per annegare la mia disperazione nell'acqua sporca del Tamigi. Lei non era ricca, non era bellissima e non mi voleva! Più mi respingeva, più io m'infiammavo e insistevo. Nessuna mi aveva mai respinto, prima.
Lei arrivò persino, d'accordo col suo medico, a farsi trovare da me moribonda nel suo letto...
Per quello cercavo l'abbraccio del fiume, finché un amico mi fermò e mi convinse che dovevo mangiare e bere in compagnia. E fu così che, tre ore dopo averla lasciata in fin di vita, ed essere fuggito via, la ritrovai a rider con un altro, all'osteria.
Ho scritto una "canzon" su una certa Nana fazza nana. Sapete cosa significa? Giovanna faccia la nanna. Il veneziano è difficile da capire: ve lo risparmio. Tornando in tempo di Carnevale nella nostra Venezia, e trovandoci come lingua principale l'italiano, abbiamo cambiato le nostre parole con le vostre.
Ai tre ragazzi scombinati sembra di aver passato un mese in compagnia dei due amici d'altri tempi. Vengono anche a conoscenza della rocambolesca avventura dell'evasione dalla terribile prigione dei Piombi da parte del Casanova, imprigionato dall'Inquisizione senza sapere per quale colpa e per quanto tempo.
Ecco l'Archivio di Stato. Davanti al responsabile, le nuove maschere si sentono "nella parte" ricordando i consigli del Casanova:
"essere un camaleonte, un Proteo, un Tartufo, un commediante impenetrabile, fingere tutto, apparire freddo".
Vengono creduti. Alla domanda: "Cosa vorreste per ricompensa?"
rispondono in coro:
"Un lavoro".
Finale
Il Doge dice: "Vieni, figlio mio" e si allontanano nella foschia, evanescenti, canticchiando la "canzon" del Casanova:
Donna bella che ha piasesto
e che piase, e che ha savesto
pieni voti meritar
giusto affatto e non ghe resta
altra cossa a far che questa
la se deve reposar.
Acciò Nana fazza nana
voi cantar la ninanana
non la stessi a desmissiar.
Fonti sul Web
Nota dell'autrice: le dissertazioni originali del Casanova le ho evidenziate in corsivo.