[CN23-2] Le montagne nella nebbia (sequel)
Posted: Thu Jan 04, 2024 11:27 am
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Genere Thriller
Luce, buio, luce, buio, luce… La porta che dava al corridoio si muoveva sospinta dalla corrente d’aria, rivelando, sullo sfondo, la finestra che dava sull’esterno. Anche questa assecondava lo stesso ritmo di apri e chiudi della porta come se fossero collegate a un unico meccanismo. E poi entrambe continuarono a chiudersi e aprirsi: buio, luce, buio, luce, buio. Distesa per terra, qualcosa, tra il raggio di movimento della porta, si contrapponeva al suo totale chiudersi. Andava e tornava, toccava l’ostacolo raggiunto al massimo della corsa, per poi tornare indietro, sbattere sulla parete e ripetere il movimento. Ombre oscure, l’aria agitata, il silenzio rotto solo dal ronzare di uno sciame di mosconi prigionieri contro il vetro della finestra. Questi, disorientati dai cambiamenti repentini di luce e dall’invertirsi della spinta d’aria, volavano percorrendo come impazziti il corridoio, senza via di uscita.
“Quando uscirò da questo intreccio di rami morti e irti di spine?”
T. era in marcia per il bosco sin dalle prime luci dell’alba e non si era reso conto di quante ore fossero passate. Non aveva con sé nessun orologio, nessun cellulare. Il tempo non gli importava: lo trovava inutile. Arrivare alla tanto agognata meta era il suo unico obbiettivo. Ma le montagne ancora non si vedevano, la selva ancora appariva ostacolarlo a ogni passo del suo cammino.
“Perché questa voglia di andartene? Sei sicuro di trovare le tue montagne e che quando le troverai starai meglio?” T. replicava “sono stanco di questa nebbia e di questo posto”.
“Parlami di come è andata questa settimana, ti sei sentito più positivo? E l’ansia?” Le domandava spesso Vera.
Un rumore di rami calpestati provenne da dietro di lui attirando la sua attenzione.
Dal fondo della vegetazione qualcosa si animava e avanzava. “Un animale?” Pensò raccogliendo da terra un pezzo di ramo ricurvo e sottile, che prese a far sibilare per l’aria “ fatti sotto che ti sistemo!” T. aspettò guardingo che si rivelasse l’ignota presenza. “Serena! Ma sei tu?”
Era proprio lei; si fece strada con difficoltà tra i rovi spinosi che le ferirono le mani nel tentativo di scansarli. I due si guardarono con insistenza mentre si muovevano circolarmente, come se si volessero affrontare. “Te ne sei andato lasciandomi sola...”
Trieste. Seduta del 15 gennaio 2023. Paziente Timotej Dragu. Anni 22.
Presenta tutti i segni di grave disturbo psicotico schizofrenico. Eloquio disorganizzato e incoerente. Pensiero confuso. Movimenti con postura insolita. Perdita di interesse nell’igiene personale. Perdita di interesse nelle attività. In passato, problemi scolastici e relazionali. Rimuginazione patologica con disturbo delirante. Da sei mesi trattato con TCC (terapia cognitivo-comportamentale) senza modifiche sostanziali del quadro clinico. Assume Amisulpride-Clozapina.
Dott.ssa Vera Furlan
T. “Non voglio averti tra i piedi, non l’hai ancora capito? “
S. “Te ne vai da solo a cercare i nostri prati verdi?”
T. “Non ho niente da dividere con te!”
S. “Ti sbagli! Abbiamo fatto tutto insieme, sempre!”
T. “Beh, adesso non più!”
S. “Ma dove andrai senza di me? Io sono i tuoi occhi, la tua voce, le tue orecchie. Non senti queste voci che ci circondano? Sono gli spiriti maligni che vogliono trattenerci. Come i nostri genitori e quella malefica dottoressa…”
“Vera?” per un attimo ricorda “ A Vera, il cui sguardo spazza via ogni velo di nebbia residuo”. Gli aveva scritto questa dedica su un pezzo di carta ma senza mostrarglielo: non ne ebbe il coraggio.
“Quella stronza voleva portarti via da me. E tu a credere a quello che ti raccontava come un alloco, povero scemo! ” rise.
Timotej ebbe uno scatto di ira e la guardò con occhi di fuoco “ stronza! Sei solo stronza! Vera conosce la strada per uscire da qui, che cazzo dici!”
“Davvero? E quale sarebbe?” lo incalzò.
La luce, il buio, la luce e ancora il buio. La porta e l’adiacente finestra si muovevano sospinte dalla corrente d’aria. A fatica qualcuno ha raggiunto la porta trascinandosi faticosamente sul pavimento. “Puttana, pensavi di fregarmi” sono le ultime parole che sentirà e poi solo luce e buio, una porta che sbatte sul suo piede.
Trieste. Seduta del 18 gennaio 2023. Paziente Serena Degrassi anni 22.
Schizofrenia ebefrenica. Intrattabile a qualsiasi terapia. Rapido evolversi in pejus del quadro patologico. Si consiglia immediato…
S. “Secondo lei noi siamo malati. Siamo noi a non vedere il verde e i fiori dei prati e ci immaginiamo montagne che non esistono. La tua dottoressa era tale e quale alle nostre madri. Streghe che ci volevano tenere sotto le loro magie malefiche. Prendi le medicine se no non guarisci! Ci volevano imbambolati a vita, per sempre sotto le loro grinfie! Ma come sei buona mammina! Grazie mammina! Che bella bambola mammina! Che bella torta hai fatto mammina!”
“Io non volevo farlo, ma non è stato difficile strangolarla, alla fine”, disse T. senza emozione.
“Quella bocca l’ha chiusa per sempre. Raccontami di nuovo, dai raccontami di nuovo come hai strangolato la tua: dai dai! Fammi ridere” esultò S.
“Ma! Non ha tirato fuori una sola parola. Io la guardavo mentre stringevo forte ma lei aveva gli occhi grandi e senza felicità, quella che invece tirava di solito fuori quando usciva di casa per andare dalla amica”.
“Sei stato grande! Per la mia non è stato facile.. Si dimenava come un toro mentre tu tiravi la fune legata al soffitto senza riuscire a sollevarla di un dito. Il miscuglio di pillole che le ho messo nella minestra di cavoli non l’hanno rintronata quanto serviva. Correte, correte, la mammina è appesa con una strana fune al collo. Era tutto sotto controllo. Tu non hai la minima cazzo di forza, a cosa mi è servito chiamarti? Ma il coltellaccio che gli ho piantato dietro ha funzionato. Anche il suo sangue era nero, come quello delle streghe. Sai cosa l’ho sentita dire mentre parlava con la tua amica? Dottoressa, se lo ritiene necessario faccia i fogli per il ricovero! Strega! Hai capito la mia dolce mammina, pronta a disfarsi di me e rinchiudermi da qualche parte”.
Timotej sembrò infastidito “ ma quanto sei noiosa, che palle che sei. Mai una volta con qualcosa di interessante!”
Lei prese a ridere, e a ridere ancora, tanto che T. rimase colpito da quella risata diversa dalle solite
“Ma che hai da ridere?”
“Vuoi sapere? Ah! Sei curioso, ora!”
“Vaffanculo, Serena!”
S. cambiò repentinamente espressione e atteggiamento. “ Sai che sono riuscita a non farle finire di scrivere la sua letterina? Quella con cui ci avrebbero rinchiusi?”
T. Rimase immobile e dubbioso “ e come avresti fatto a convincerla? A parte che hai poco da vantarti, a me mi ascolta e non lo farà mai, sei solo gelosa..”
“Ho la lettera qui con me! Che credi? Bugie e solo bugie! Leggila con calma e poi mi dirai che ho fatto bene”. S. gesticolò agitata e gli porse il foglio accartocciato e sporco.
Lui neanche lo aprì ma si mise a osservarlo “ perché è così sporco?”
S. “Ma è il sangue nero di quella puttana”
T. “Vero! É come quello di tua madre”.
“Come ci è finito sopra?” domandò.
S. “ Cretino! Ci ho pulito il pavimento, almeno ci ho provato, ma tanto ne ha tirato fuori che ho lasciato stare, qualcuno pulirà”.
T. divenne rigido e prese a contorcersi. La mandibola prese a premere forte contro la mascella, impedendogli di parlare. Nella sua mente un ricordo potente e misterioso: distruttivo “A Vera, il cui sguardo spazza via ogni velo di nebbia residuo”.
Serena gli fu addosso e lo guardò indispettita “ Proprio adesso ti metti a far la bava? Come al solito non vuoi dirmi che sono brava a toglierti dai casini”.
Poi i due si misero a riposare fino a quando cominciò a imbrunire e Timotej si svegliò. Si mise in piedi e guardò Serena. “Beh! Ti saluto, io vado”.
Lei lo lasciò andare, come faceva di solito, quando si affidava a lui come un cieco al suo cane. Ancora una volta distanti ma assieme. Verso le loro montagne dai campi fioriti. Fuori dalla nebbia.
Genere Thriller
Luce, buio, luce, buio, luce… La porta che dava al corridoio si muoveva sospinta dalla corrente d’aria, rivelando, sullo sfondo, la finestra che dava sull’esterno. Anche questa assecondava lo stesso ritmo di apri e chiudi della porta come se fossero collegate a un unico meccanismo. E poi entrambe continuarono a chiudersi e aprirsi: buio, luce, buio, luce, buio. Distesa per terra, qualcosa, tra il raggio di movimento della porta, si contrapponeva al suo totale chiudersi. Andava e tornava, toccava l’ostacolo raggiunto al massimo della corsa, per poi tornare indietro, sbattere sulla parete e ripetere il movimento. Ombre oscure, l’aria agitata, il silenzio rotto solo dal ronzare di uno sciame di mosconi prigionieri contro il vetro della finestra. Questi, disorientati dai cambiamenti repentini di luce e dall’invertirsi della spinta d’aria, volavano percorrendo come impazziti il corridoio, senza via di uscita.
“Quando uscirò da questo intreccio di rami morti e irti di spine?”
T. era in marcia per il bosco sin dalle prime luci dell’alba e non si era reso conto di quante ore fossero passate. Non aveva con sé nessun orologio, nessun cellulare. Il tempo non gli importava: lo trovava inutile. Arrivare alla tanto agognata meta era il suo unico obbiettivo. Ma le montagne ancora non si vedevano, la selva ancora appariva ostacolarlo a ogni passo del suo cammino.
“Perché questa voglia di andartene? Sei sicuro di trovare le tue montagne e che quando le troverai starai meglio?” T. replicava “sono stanco di questa nebbia e di questo posto”.
“Parlami di come è andata questa settimana, ti sei sentito più positivo? E l’ansia?” Le domandava spesso Vera.
Un rumore di rami calpestati provenne da dietro di lui attirando la sua attenzione.
Dal fondo della vegetazione qualcosa si animava e avanzava. “Un animale?” Pensò raccogliendo da terra un pezzo di ramo ricurvo e sottile, che prese a far sibilare per l’aria “ fatti sotto che ti sistemo!” T. aspettò guardingo che si rivelasse l’ignota presenza. “Serena! Ma sei tu?”
Era proprio lei; si fece strada con difficoltà tra i rovi spinosi che le ferirono le mani nel tentativo di scansarli. I due si guardarono con insistenza mentre si muovevano circolarmente, come se si volessero affrontare. “Te ne sei andato lasciandomi sola...”
Trieste. Seduta del 15 gennaio 2023. Paziente Timotej Dragu. Anni 22.
Presenta tutti i segni di grave disturbo psicotico schizofrenico. Eloquio disorganizzato e incoerente. Pensiero confuso. Movimenti con postura insolita. Perdita di interesse nell’igiene personale. Perdita di interesse nelle attività. In passato, problemi scolastici e relazionali. Rimuginazione patologica con disturbo delirante. Da sei mesi trattato con TCC (terapia cognitivo-comportamentale) senza modifiche sostanziali del quadro clinico. Assume Amisulpride-Clozapina.
Dott.ssa Vera Furlan
T. “Non voglio averti tra i piedi, non l’hai ancora capito? “
S. “Te ne vai da solo a cercare i nostri prati verdi?”
T. “Non ho niente da dividere con te!”
S. “Ti sbagli! Abbiamo fatto tutto insieme, sempre!”
T. “Beh, adesso non più!”
S. “Ma dove andrai senza di me? Io sono i tuoi occhi, la tua voce, le tue orecchie. Non senti queste voci che ci circondano? Sono gli spiriti maligni che vogliono trattenerci. Come i nostri genitori e quella malefica dottoressa…”
“Vera?” per un attimo ricorda “ A Vera, il cui sguardo spazza via ogni velo di nebbia residuo”. Gli aveva scritto questa dedica su un pezzo di carta ma senza mostrarglielo: non ne ebbe il coraggio.
“Quella stronza voleva portarti via da me. E tu a credere a quello che ti raccontava come un alloco, povero scemo! ” rise.
Timotej ebbe uno scatto di ira e la guardò con occhi di fuoco “ stronza! Sei solo stronza! Vera conosce la strada per uscire da qui, che cazzo dici!”
“Davvero? E quale sarebbe?” lo incalzò.
La luce, il buio, la luce e ancora il buio. La porta e l’adiacente finestra si muovevano sospinte dalla corrente d’aria. A fatica qualcuno ha raggiunto la porta trascinandosi faticosamente sul pavimento. “Puttana, pensavi di fregarmi” sono le ultime parole che sentirà e poi solo luce e buio, una porta che sbatte sul suo piede.
Trieste. Seduta del 18 gennaio 2023. Paziente Serena Degrassi anni 22.
Schizofrenia ebefrenica. Intrattabile a qualsiasi terapia. Rapido evolversi in pejus del quadro patologico. Si consiglia immediato…
S. “Secondo lei noi siamo malati. Siamo noi a non vedere il verde e i fiori dei prati e ci immaginiamo montagne che non esistono. La tua dottoressa era tale e quale alle nostre madri. Streghe che ci volevano tenere sotto le loro magie malefiche. Prendi le medicine se no non guarisci! Ci volevano imbambolati a vita, per sempre sotto le loro grinfie! Ma come sei buona mammina! Grazie mammina! Che bella bambola mammina! Che bella torta hai fatto mammina!”
“Io non volevo farlo, ma non è stato difficile strangolarla, alla fine”, disse T. senza emozione.
“Quella bocca l’ha chiusa per sempre. Raccontami di nuovo, dai raccontami di nuovo come hai strangolato la tua: dai dai! Fammi ridere” esultò S.
“Ma! Non ha tirato fuori una sola parola. Io la guardavo mentre stringevo forte ma lei aveva gli occhi grandi e senza felicità, quella che invece tirava di solito fuori quando usciva di casa per andare dalla amica”.
“Sei stato grande! Per la mia non è stato facile.. Si dimenava come un toro mentre tu tiravi la fune legata al soffitto senza riuscire a sollevarla di un dito. Il miscuglio di pillole che le ho messo nella minestra di cavoli non l’hanno rintronata quanto serviva. Correte, correte, la mammina è appesa con una strana fune al collo. Era tutto sotto controllo. Tu non hai la minima cazzo di forza, a cosa mi è servito chiamarti? Ma il coltellaccio che gli ho piantato dietro ha funzionato. Anche il suo sangue era nero, come quello delle streghe. Sai cosa l’ho sentita dire mentre parlava con la tua amica? Dottoressa, se lo ritiene necessario faccia i fogli per il ricovero! Strega! Hai capito la mia dolce mammina, pronta a disfarsi di me e rinchiudermi da qualche parte”.
Timotej sembrò infastidito “ ma quanto sei noiosa, che palle che sei. Mai una volta con qualcosa di interessante!”
Lei prese a ridere, e a ridere ancora, tanto che T. rimase colpito da quella risata diversa dalle solite
“Ma che hai da ridere?”
“Vuoi sapere? Ah! Sei curioso, ora!”
“Vaffanculo, Serena!”
S. cambiò repentinamente espressione e atteggiamento. “ Sai che sono riuscita a non farle finire di scrivere la sua letterina? Quella con cui ci avrebbero rinchiusi?”
T. Rimase immobile e dubbioso “ e come avresti fatto a convincerla? A parte che hai poco da vantarti, a me mi ascolta e non lo farà mai, sei solo gelosa..”
“Ho la lettera qui con me! Che credi? Bugie e solo bugie! Leggila con calma e poi mi dirai che ho fatto bene”. S. gesticolò agitata e gli porse il foglio accartocciato e sporco.
Lui neanche lo aprì ma si mise a osservarlo “ perché è così sporco?”
S. “Ma è il sangue nero di quella puttana”
T. “Vero! É come quello di tua madre”.
“Come ci è finito sopra?” domandò.
S. “ Cretino! Ci ho pulito il pavimento, almeno ci ho provato, ma tanto ne ha tirato fuori che ho lasciato stare, qualcuno pulirà”.
T. divenne rigido e prese a contorcersi. La mandibola prese a premere forte contro la mascella, impedendogli di parlare. Nella sua mente un ricordo potente e misterioso: distruttivo “A Vera, il cui sguardo spazza via ogni velo di nebbia residuo”.
Serena gli fu addosso e lo guardò indispettita “ Proprio adesso ti metti a far la bava? Come al solito non vuoi dirmi che sono brava a toglierti dai casini”.
Poi i due si misero a riposare fino a quando cominciò a imbrunire e Timotej si svegliò. Si mise in piedi e guardò Serena. “Beh! Ti saluto, io vado”.
Lei lo lasciò andare, come faceva di solito, quando si affidava a lui come un cieco al suo cane. Ancora una volta distanti ma assieme. Verso le loro montagne dai campi fioriti. Fuori dalla nebbia.