[Lab11] La banda della mano nera ( la leggenda)
Posted: Mon Nov 20, 2023 11:42 am
Prime letture 7.8 anni ma anche Middle grade 9-12
[Lab11] Tema: Giochi
La banda della mano nera
(La leggenda)
Bruno, l’informatore, si avvicinò a passi misurati, aveva un sorriso stretto tra le labbra, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni e ostentava un’aria soddisfatta.
Claudio lo vide ma restò concentrato, schiccherò la biglia e quella andò in buca sorvolando la stradina che Matteo aveva scavato con cura; ci buttavamo i tacchi delle scarpe in quella operazione, Matteo di più, lui era il più bravo a costruire i percorsi per le biglie con il tallone.
L’informatore si accucciò sul campo di gioco e tutti ci accostammo a lui a formare un cerchio.
— Arriva domani! Disse.
—Yheeeeaah, un coro di approvazione si disperse nell’aria calma di un pomeriggio estivo.
Le mamme, sedute all’ombra, davanti al portone di casa, alzarono lo sguardo dai lavori che tenevano tra le mani, ci osservarono a occhi stretti. Trascorsero cinque lunghi secondi di terrore, poi tornarono alle chiacchiere, rasserenate dal nostro far finta di niente.
— Come hai fatto a saperlo? Disse Matteo, che era sempre a caccia di notizie: voleva diventare lui l’informatore, sapeva che c’era da aspettare per salire di grado, ma voleva tenersi pronto.
— Sono entrato in ufficio di nascosto, ho sentito l’assistente che parlava al telefono: domani mattina alle cinque arriva alla stazione, manderanno tre autotreni.
— Caspita! Lo scaricheranno dalla rampa, è l’unico modo per un carico così grosso; Maurizio era piccolo ma molto intelligente, l’aritmetica e la geometria erano il suo forte;
—Tre autotreni!, sarà una montagna altissima, sarà una scalata molto pericolosa; Silvestro invece si preoccupava sempre di ogni cosa, non era un fifone ma spesso aveva delle uscite materne.
— Lo scaricheranno nella spianata sotto la cava, — confermò Bruno. — A mezzogiorno la cima si vedrà anche da qui. Noi agiremo nel pomeriggio. Domani è sabato, per fortuna, non ci sarà nessuno in giro.
— A proposito, — disse poi rivolto a Giada e Silvestro, — avete procurato la stoffa che ci serve? Pianteremo la nostra bandiera in cima alla montagna domani?
— Ho rubato una federa, Mia madre m’ammazza, lo so.
Gli occhi di Giada cercarono l’approvazione di Bruno, ma avrebbe voluto tanto che fossero presenti Mauro e Pietro: i capi in carica di quella e altre estati passate.
Mauro e Pietro avevano terminato le medie ormai, e di pomeriggio spesso non potevano giocare. Comunque erano loro che distribuivano i gradi e le medaglie al valore; Giada sperava di diventare maggiore capo delle femmine, anche se desiderava comandare il gruppo dei maschi.
— Una federa! Rispose l’informatore sinceramente colpito dall’audacia di Giada. — Accidenti! Sei stata grande. Silvestro, tu ti occuperai di costruire la bandiera e sarai il suo portatore, Maurizio, tu devi procurare della corda, potrebbe servirci e tu, Gino, penserai alle armi, tua madre ha sempre da fare, sei l’unico che può uscire dopo cena senza essere visto, devi nascondere le armi dietro alla casetta del compressore, domani alle tre ci vediamo tutti là, ci saranno anche Pietro e Mauro, decideranno loro quali armi portare, non possiamo sapere cosa o chi troveremo lassù.
— Pensi che qualcuno ci abbia rubato l’idea? Chi altro c'è, siamo solo noi.
Gino cadeva sempre dalle nuvole, bisognava ripetergli sempre quello che doveva fare, sua madre era vedova con cinque figli e lui era sempre distratto da mille cose da fare per aiutarla.
— Ci sono i paesani, Gino, ci tengono d’occhio, ti ricordi l’anno scorso? La guerra del sale… credo che non abbiano ancora digerito la sconfitta. Comunque non si sa mai, noi le armi le portiamo.
Patrizia alzò la mano per intervenire.
— Io devo portare Lisetta, mamma domani fa le punture alla signora Aspasia, quando va in paese sta via tutto il pomeriggio…
— Va bene, portiamo pure Lisetta! Però ci pensi tu, è tua sorella.
— Certo! Ci penso io. Patrizia era una ragazzina educata e responsabile, il pensiero di portare anche la sua sorellina sicuramente le creava un po’ d’ansia ma lei la ricacciò subito indietro, non avrebbe mancato l’appuntamento per nulla al mondo.
Ombre scure strisciarono lungo il muro bianco della tramoggia. Sulla polvere calcarea, fina come borotalco, c’erano le impronte profonde lasciate da Mauro, Pietro e Silvestro. Ci ritrovammo sotto il susino, dietro la casetta del compressore; Il sacco con le armi era nascosto dietro il tronco dell’albero, Gino aveva fatto il suo dovere.
— Fammi vedere la bandiera, Silvestro.
— È perfetta, Pietro, guarda che bel lavoro che ho fatto! Pietro controllò le legature, l’asta era dritta e senza sbavature, la sventolò in aria, era davvero bellissima.
— Si! Bel lavoro, Silvestro, non vedo l’ora di vederla piantata lassù. Tutti e quattro ci parammo gli occhi con il palmo; i raggi del sole riflessi sulla cava ci offuscavano la vista.
La montagna scura, alta almeno sei metri, brillava all’orizzonte, era simile a una gigantesca bestia nera addormentata sulla spianata; ci separava da lei un territorio pieno di insidie e pericoli che dovevamo superare prima di arrivare ai suoi piedi. C’erano mezzi di trasporto ovunque, ruspe, camion e pale meccaniche oltre a nastri trasportatori, grossi mucchi di roccia caduta dalle ultime esplosioni, tronchi sparsi dappertutto e alberi interi strappati alla collina.
Arrivò Bruno correndo.
— stanno arrivando, — gridò, — Lisetta cammina troppo piano, era meglio non portarla.
— O tutti o nessuno, lo sai! Gli rispose Pietro. — Hai visto la bandiera? — La federa sventolò contro il cielo, bianca come la neve.
Mauro fece segno con la mano di sbrigarsi al drappello che arrivava.
Giada aveva le trecce lunghe legate assieme sulla nuca e si era messa i pantaloni di suo fratello, ogni tanto sua madre l’accontentava. Patrizia era scalza, portava in mano i sandali nuovi per non rovinarli, aveva il vestitino corto; le ginocchia scoperte erano così magre che sembravano dover cedere da un momento all’altro, Lisetta le dava la mano; aveva i codini legati con un bel nastro rosa e un abitino bianco con piccoli fiori ricamati. Per ultimo le seguiva Maurizio che portava un rotolo di corda intorno al collo, zampettava come una papera, le sue scarpe erano troppo grosse e faceva una gran fatica per raggiungere gli altri.
— L’arco con le frecce, meglio di no, — disse Mauro, — prendiamo soltanto le fionde, la scalata sarà dura, guardate come è alta, non portiamoci dietro armi pesanti, ci serviranno tutte e due le mani per salire lassù.
Prendemmo tutti le fionde, chi l'aveva la mise in tasca, gli altri se la misero al collo, le munizioni erano ovunque sul terreno.
Pietro fece un fischio lungo in due tonalità, era il segnale convenuto, il gioco aveva inizio.
— Svelti! Tutti dietro a me, in fila indiana, seguitemi al passo. E, Il nostro capo davanti a tutti, cominciammo a trotterellare tra polvere, solchi lasciati da grossi pneumatici e detriti di ogni grandezza. Dietro ogni macchinario potevano nascondersi i paesani in agguato. Procedemmo a tappe: di corsa fino alla ruspa, tutti accucciati, al segnale di Mauro di nuovo di corsa fino al camion, poi fino al cumulo di rocce, aggirato quello...ci trovammo di fronte a un enorme lago acido che ci impediva il passaggio, la patina bianca che galleggiava sul pelo dell’acqua faceva terrore puro, un solo schizzo e potevamo lasciarci la pelle. Bruno salì sulla roccia e si schermò gli occhi.
— C’è un guado laggiù! — Gridò, — ma dobbiamo tornare indietro, fino alla ruspa, e poi dobbiamo andare verso nord.
Mauro fischiò ancora, due brevi fischi, bruno saltò a terra e cominciammo di nuovo a correre. Arrivati alla ruspa, Giada si fermò di colpo, — ci sono i paesani, guardate! Impronte piccole, non come quelle degli scarponi degli operai!
— Secondo me sono in tre, — disse Claudio con gli occhi bassi per scrutare il terreno, — si, sono tre scarpe diverse.—
— presto! — Gridò Pietro, — alla montagna! O faranno prima di noi, dobbiamo superarli!
Tutti scattammo di corsa allo sbaraglio, avevamo davanti a noi almeno centocinquanta metri allo scoperto da superare, prima di arrivare alla base e cominciare la scalata; rischiammo di essere visti ma non potevamo fare altro che correre.
Lisetta restava indietro, Patrizia la prese in braccio, non si perse d’animo, sapeva il motto della banda: O tutti o nessuno!
Mauro correndo cercò di intercettare i paesani, ora non c’erano più ostacoli dove nascondersi, la montagna svettava davanti a noi ed era sempre più vicina…
Arrivati ai piedi dell'enorme cumulo di carbone ci guardammo intorno; sembrava che fossimo soli, dei nostri rivali nemmeno l’ombra.
— Forse sono andati via, hanno rinunciato per adesso, quando torneranno troveranno la nostra bandiera sulla cima. Pietro ne era convinto e noi, finalmente riprendemmo fiato.
I nostri capi cominciarono a valutare la strategia di scalata.
— Il versante sud è troppo ripido, meglio salire da est, guardate come scende, il dislivello all’inizio è minimo, dovremmo farcela…
La frase morì sulla bocca di Mauro: tre ragazzi apparvero dal nulla. Erano Ernesto, Mario e Ciccio. Forse si erano sdraiati a terra per non farsi vedere e ora stavano in piedi sotto al versante est, a una ventina di metri da noi. Ci bloccavano la strada, ridevano come se avessero già la vittoria in pugno. Cominciarono a lanciare pezzi di carbone, a dire parolacce e a darci dei fifoni; la sfida era lanciata e la gara ebbe inizio.
Al segnale di Mauro, tutti cominciammo a salire e quelli fecero la stessa cosa.
A ogni passo bisognava infilare bene la punta del piede: il carbone appena scaricato era instabile, dovevamo fare attenzione a non fare troppo velocemente per non provocare piccole slavine.
— Fate piano! Continuavano a raccomandarsi i ragazzi più grandi.
Silvestro, con la bandiera, restava troppo indietro, Claudio, a ogni metro guadagnato si fermava a prenderla per far avanzare il suo compagno; in questo modo si davano il cambio e la bandiera saliva con loro. Patrizia, ancora non sapeva come fare con la sorellina, si mise a spingerla davanti a sé e poi reggendola, quasi trascinandola, faceva qualche metro. Gino Maurizio e Giada erano dietro a Bruno, Pietro e Mauro, loro erano molto veloci e ogni tanto gettavano occhiate ai nostri rivali che si arrampicavano sul muro nero a est.
I tre paesani avanzavano sulla parte meno ripida ma più distante dalla cima.
— Ce la possiamo fare, forza non fermatevi, li incitava Ernesto, il loro capo, un tipo grosso che sembrava un uomo fatto, con una bandana legata sulla testa. ed era già a metà percorso. Mario lo seguiva a poca distanza.
— Ciccio, sbrigati, Maledizione!
Il ragazzotto un po’ in carne ce la stava mettendo tutta ma a ogni passo perdeva centimetri: Il carbone franava inesorabile sotto il suo peso.
Sull’altro versante, Mauro era quasi in cima, Claudio gli passò la bandiera e con due salti conquistarono insieme la vetta, li seguì Pietro che incominciò a incitare gli altri.
— Dai patrizia, passa Lisetta a Silvestro, gridò. Ma l’operazione era difficile, Lisetta aveva cominciato a piangere e non voleva lasciare la sorella, le righe chiare lasciate dalle lacrime sul piccolo volto ormai nero, le davano un aspetto terribile, sembrava una piccola orfana abbandonata.
Il carbone franò sotto i piedi di Silvestro che si ritrovò fianco a fianco a Lisetta, tutto da rifare! I due compagni cominciarono, a turno, a tenere Lisetta in modo che non scivolasse indietro ma avanzavano troppo lentamente mentre gli altri erano tutti quasi in cima, e intanto i paesani avevano guadagnato parecchio terreno.
Ernesto e Mario erano in pari, tutti e due stavano per raggiungere la cima. Ciccio stava lottando con tutte le sue forze almeno tre metri più in basso, alzò la mano, cercò di tranquillizzare i suoi compagni ma il suo gesto gli fece perdere l’equilibrio; le sue gambe affondarono nel carbone in movimento e fu trascinato di nuovo verso il punto di partenza. — Ciccione maledetto, alzati! Ci stai facendo perdere, te la farò pagare cara se non ti alzi immediatamente.
A quelle parole il povero ragazzo si rimise in piedi e a quattro zampe ricominciò a salire, la posizione semi sdraiata sembrò funzionare, cominciò a guadagnare velocità.
Mauro calcolò che in pochi minuti sarebbero stati tutti e tre sulla cima: stavamo perdendo.
Avremmo riportato a casa la nostra bandiera con tutta la nostra delusione.
Ciccio scivolò ancora ma non perse terreno, Lisetta, invece, aveva smesso di piangere e si arrampicava con le manine quando sua sorella la spingeva verso l’alto, Silvestro aveva recuperato i metri che aveva perso, Bruno e Gino erano in cima e incitavano Giada e Patrizia. Maurizio, inaspettatamente, ce la fece con facilità; le sue scarpe erano andate perse nel carbone.
Quando il capo dei loro avversari conquistò la vetta, Pietro capì che Lisetta non ce l’avrebbe mai fatta a superare Ciccio.
Fu la decisione di un attimo, — Dammi la corda, — disse a Maurizio, — tu tieni questo capo e si mise l’altro capo fra i denti. Il nostro comandante si buttò a volo d’angelo, atterrò a pochi centimetri da Lisetta, le legò la corda intorno al torace e la fissò bene sotto le ascelle della bambina; Claudio, Bruno, Gino e Maurizio cominciarono subito a tirare. Lisetta volò letteralmente sulla vetta, seguita in pochi minuti da Patrizia Giada e Silvestro
Ciccio rotolò di nuovo a pochi centimetri dalla meta e continuò a farlo ancora e ancora…
Ma ormai nessuno badava più a quei tre, eravamo cosi felici sotto la nostra bandiera, sporchi, sudati e con le facce impiastrate, perfino Lisetta rideva felice col suo abitino nero come il carbone, La federa, ormai grigia, sventolava contro il bagliore della cava, con al centro l’impronta nera di una mano.
Si racconta che, da quelle parti, nessuno sia mai riuscito a battere la banda della mano nera, né a quella né a nessuna altra sfida. Non si sa per quanto tempo la banda abbia infierito per quelle campagne, si sa soltanto che generazioni di bambini e adolescenti, abitanti della casa del guardiano, si avvicendarono nell'impegno di dar filo da torcere agli adulti e ai ragazzi paesani, nelle cui orecchie rimane ancora l’eco del nostro motto: O tutti o nessuno.
[Lab11] Tema: Giochi
La banda della mano nera
(La leggenda)
Bruno, l’informatore, si avvicinò a passi misurati, aveva un sorriso stretto tra le labbra, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni e ostentava un’aria soddisfatta.
Claudio lo vide ma restò concentrato, schiccherò la biglia e quella andò in buca sorvolando la stradina che Matteo aveva scavato con cura; ci buttavamo i tacchi delle scarpe in quella operazione, Matteo di più, lui era il più bravo a costruire i percorsi per le biglie con il tallone.
L’informatore si accucciò sul campo di gioco e tutti ci accostammo a lui a formare un cerchio.
— Arriva domani! Disse.
—Yheeeeaah, un coro di approvazione si disperse nell’aria calma di un pomeriggio estivo.
Le mamme, sedute all’ombra, davanti al portone di casa, alzarono lo sguardo dai lavori che tenevano tra le mani, ci osservarono a occhi stretti. Trascorsero cinque lunghi secondi di terrore, poi tornarono alle chiacchiere, rasserenate dal nostro far finta di niente.
— Come hai fatto a saperlo? Disse Matteo, che era sempre a caccia di notizie: voleva diventare lui l’informatore, sapeva che c’era da aspettare per salire di grado, ma voleva tenersi pronto.
— Sono entrato in ufficio di nascosto, ho sentito l’assistente che parlava al telefono: domani mattina alle cinque arriva alla stazione, manderanno tre autotreni.
— Caspita! Lo scaricheranno dalla rampa, è l’unico modo per un carico così grosso; Maurizio era piccolo ma molto intelligente, l’aritmetica e la geometria erano il suo forte;
—Tre autotreni!, sarà una montagna altissima, sarà una scalata molto pericolosa; Silvestro invece si preoccupava sempre di ogni cosa, non era un fifone ma spesso aveva delle uscite materne.
— Lo scaricheranno nella spianata sotto la cava, — confermò Bruno. — A mezzogiorno la cima si vedrà anche da qui. Noi agiremo nel pomeriggio. Domani è sabato, per fortuna, non ci sarà nessuno in giro.
— A proposito, — disse poi rivolto a Giada e Silvestro, — avete procurato la stoffa che ci serve? Pianteremo la nostra bandiera in cima alla montagna domani?
— Ho rubato una federa, Mia madre m’ammazza, lo so.
Gli occhi di Giada cercarono l’approvazione di Bruno, ma avrebbe voluto tanto che fossero presenti Mauro e Pietro: i capi in carica di quella e altre estati passate.
Mauro e Pietro avevano terminato le medie ormai, e di pomeriggio spesso non potevano giocare. Comunque erano loro che distribuivano i gradi e le medaglie al valore; Giada sperava di diventare maggiore capo delle femmine, anche se desiderava comandare il gruppo dei maschi.
— Una federa! Rispose l’informatore sinceramente colpito dall’audacia di Giada. — Accidenti! Sei stata grande. Silvestro, tu ti occuperai di costruire la bandiera e sarai il suo portatore, Maurizio, tu devi procurare della corda, potrebbe servirci e tu, Gino, penserai alle armi, tua madre ha sempre da fare, sei l’unico che può uscire dopo cena senza essere visto, devi nascondere le armi dietro alla casetta del compressore, domani alle tre ci vediamo tutti là, ci saranno anche Pietro e Mauro, decideranno loro quali armi portare, non possiamo sapere cosa o chi troveremo lassù.
— Pensi che qualcuno ci abbia rubato l’idea? Chi altro c'è, siamo solo noi.
Gino cadeva sempre dalle nuvole, bisognava ripetergli sempre quello che doveva fare, sua madre era vedova con cinque figli e lui era sempre distratto da mille cose da fare per aiutarla.
— Ci sono i paesani, Gino, ci tengono d’occhio, ti ricordi l’anno scorso? La guerra del sale… credo che non abbiano ancora digerito la sconfitta. Comunque non si sa mai, noi le armi le portiamo.
Patrizia alzò la mano per intervenire.
— Io devo portare Lisetta, mamma domani fa le punture alla signora Aspasia, quando va in paese sta via tutto il pomeriggio…
— Va bene, portiamo pure Lisetta! Però ci pensi tu, è tua sorella.
— Certo! Ci penso io. Patrizia era una ragazzina educata e responsabile, il pensiero di portare anche la sua sorellina sicuramente le creava un po’ d’ansia ma lei la ricacciò subito indietro, non avrebbe mancato l’appuntamento per nulla al mondo.
Ombre scure strisciarono lungo il muro bianco della tramoggia. Sulla polvere calcarea, fina come borotalco, c’erano le impronte profonde lasciate da Mauro, Pietro e Silvestro. Ci ritrovammo sotto il susino, dietro la casetta del compressore; Il sacco con le armi era nascosto dietro il tronco dell’albero, Gino aveva fatto il suo dovere.
— Fammi vedere la bandiera, Silvestro.
— È perfetta, Pietro, guarda che bel lavoro che ho fatto! Pietro controllò le legature, l’asta era dritta e senza sbavature, la sventolò in aria, era davvero bellissima.
— Si! Bel lavoro, Silvestro, non vedo l’ora di vederla piantata lassù. Tutti e quattro ci parammo gli occhi con il palmo; i raggi del sole riflessi sulla cava ci offuscavano la vista.
La montagna scura, alta almeno sei metri, brillava all’orizzonte, era simile a una gigantesca bestia nera addormentata sulla spianata; ci separava da lei un territorio pieno di insidie e pericoli che dovevamo superare prima di arrivare ai suoi piedi. C’erano mezzi di trasporto ovunque, ruspe, camion e pale meccaniche oltre a nastri trasportatori, grossi mucchi di roccia caduta dalle ultime esplosioni, tronchi sparsi dappertutto e alberi interi strappati alla collina.
Arrivò Bruno correndo.
— stanno arrivando, — gridò, — Lisetta cammina troppo piano, era meglio non portarla.
— O tutti o nessuno, lo sai! Gli rispose Pietro. — Hai visto la bandiera? — La federa sventolò contro il cielo, bianca come la neve.
Mauro fece segno con la mano di sbrigarsi al drappello che arrivava.
Giada aveva le trecce lunghe legate assieme sulla nuca e si era messa i pantaloni di suo fratello, ogni tanto sua madre l’accontentava. Patrizia era scalza, portava in mano i sandali nuovi per non rovinarli, aveva il vestitino corto; le ginocchia scoperte erano così magre che sembravano dover cedere da un momento all’altro, Lisetta le dava la mano; aveva i codini legati con un bel nastro rosa e un abitino bianco con piccoli fiori ricamati. Per ultimo le seguiva Maurizio che portava un rotolo di corda intorno al collo, zampettava come una papera, le sue scarpe erano troppo grosse e faceva una gran fatica per raggiungere gli altri.
— L’arco con le frecce, meglio di no, — disse Mauro, — prendiamo soltanto le fionde, la scalata sarà dura, guardate come è alta, non portiamoci dietro armi pesanti, ci serviranno tutte e due le mani per salire lassù.
Prendemmo tutti le fionde, chi l'aveva la mise in tasca, gli altri se la misero al collo, le munizioni erano ovunque sul terreno.
Pietro fece un fischio lungo in due tonalità, era il segnale convenuto, il gioco aveva inizio.
— Svelti! Tutti dietro a me, in fila indiana, seguitemi al passo. E, Il nostro capo davanti a tutti, cominciammo a trotterellare tra polvere, solchi lasciati da grossi pneumatici e detriti di ogni grandezza. Dietro ogni macchinario potevano nascondersi i paesani in agguato. Procedemmo a tappe: di corsa fino alla ruspa, tutti accucciati, al segnale di Mauro di nuovo di corsa fino al camion, poi fino al cumulo di rocce, aggirato quello...ci trovammo di fronte a un enorme lago acido che ci impediva il passaggio, la patina bianca che galleggiava sul pelo dell’acqua faceva terrore puro, un solo schizzo e potevamo lasciarci la pelle. Bruno salì sulla roccia e si schermò gli occhi.
— C’è un guado laggiù! — Gridò, — ma dobbiamo tornare indietro, fino alla ruspa, e poi dobbiamo andare verso nord.
Mauro fischiò ancora, due brevi fischi, bruno saltò a terra e cominciammo di nuovo a correre. Arrivati alla ruspa, Giada si fermò di colpo, — ci sono i paesani, guardate! Impronte piccole, non come quelle degli scarponi degli operai!
— Secondo me sono in tre, — disse Claudio con gli occhi bassi per scrutare il terreno, — si, sono tre scarpe diverse.—
— presto! — Gridò Pietro, — alla montagna! O faranno prima di noi, dobbiamo superarli!
Tutti scattammo di corsa allo sbaraglio, avevamo davanti a noi almeno centocinquanta metri allo scoperto da superare, prima di arrivare alla base e cominciare la scalata; rischiammo di essere visti ma non potevamo fare altro che correre.
Lisetta restava indietro, Patrizia la prese in braccio, non si perse d’animo, sapeva il motto della banda: O tutti o nessuno!
Mauro correndo cercò di intercettare i paesani, ora non c’erano più ostacoli dove nascondersi, la montagna svettava davanti a noi ed era sempre più vicina…
Arrivati ai piedi dell'enorme cumulo di carbone ci guardammo intorno; sembrava che fossimo soli, dei nostri rivali nemmeno l’ombra.
— Forse sono andati via, hanno rinunciato per adesso, quando torneranno troveranno la nostra bandiera sulla cima. Pietro ne era convinto e noi, finalmente riprendemmo fiato.
I nostri capi cominciarono a valutare la strategia di scalata.
— Il versante sud è troppo ripido, meglio salire da est, guardate come scende, il dislivello all’inizio è minimo, dovremmo farcela…
La frase morì sulla bocca di Mauro: tre ragazzi apparvero dal nulla. Erano Ernesto, Mario e Ciccio. Forse si erano sdraiati a terra per non farsi vedere e ora stavano in piedi sotto al versante est, a una ventina di metri da noi. Ci bloccavano la strada, ridevano come se avessero già la vittoria in pugno. Cominciarono a lanciare pezzi di carbone, a dire parolacce e a darci dei fifoni; la sfida era lanciata e la gara ebbe inizio.
Al segnale di Mauro, tutti cominciammo a salire e quelli fecero la stessa cosa.
A ogni passo bisognava infilare bene la punta del piede: il carbone appena scaricato era instabile, dovevamo fare attenzione a non fare troppo velocemente per non provocare piccole slavine.
— Fate piano! Continuavano a raccomandarsi i ragazzi più grandi.
Silvestro, con la bandiera, restava troppo indietro, Claudio, a ogni metro guadagnato si fermava a prenderla per far avanzare il suo compagno; in questo modo si davano il cambio e la bandiera saliva con loro. Patrizia, ancora non sapeva come fare con la sorellina, si mise a spingerla davanti a sé e poi reggendola, quasi trascinandola, faceva qualche metro. Gino Maurizio e Giada erano dietro a Bruno, Pietro e Mauro, loro erano molto veloci e ogni tanto gettavano occhiate ai nostri rivali che si arrampicavano sul muro nero a est.
I tre paesani avanzavano sulla parte meno ripida ma più distante dalla cima.
— Ce la possiamo fare, forza non fermatevi, li incitava Ernesto, il loro capo, un tipo grosso che sembrava un uomo fatto, con una bandana legata sulla testa. ed era già a metà percorso. Mario lo seguiva a poca distanza.
— Ciccio, sbrigati, Maledizione!
Il ragazzotto un po’ in carne ce la stava mettendo tutta ma a ogni passo perdeva centimetri: Il carbone franava inesorabile sotto il suo peso.
Sull’altro versante, Mauro era quasi in cima, Claudio gli passò la bandiera e con due salti conquistarono insieme la vetta, li seguì Pietro che incominciò a incitare gli altri.
— Dai patrizia, passa Lisetta a Silvestro, gridò. Ma l’operazione era difficile, Lisetta aveva cominciato a piangere e non voleva lasciare la sorella, le righe chiare lasciate dalle lacrime sul piccolo volto ormai nero, le davano un aspetto terribile, sembrava una piccola orfana abbandonata.
Il carbone franò sotto i piedi di Silvestro che si ritrovò fianco a fianco a Lisetta, tutto da rifare! I due compagni cominciarono, a turno, a tenere Lisetta in modo che non scivolasse indietro ma avanzavano troppo lentamente mentre gli altri erano tutti quasi in cima, e intanto i paesani avevano guadagnato parecchio terreno.
Ernesto e Mario erano in pari, tutti e due stavano per raggiungere la cima. Ciccio stava lottando con tutte le sue forze almeno tre metri più in basso, alzò la mano, cercò di tranquillizzare i suoi compagni ma il suo gesto gli fece perdere l’equilibrio; le sue gambe affondarono nel carbone in movimento e fu trascinato di nuovo verso il punto di partenza. — Ciccione maledetto, alzati! Ci stai facendo perdere, te la farò pagare cara se non ti alzi immediatamente.
A quelle parole il povero ragazzo si rimise in piedi e a quattro zampe ricominciò a salire, la posizione semi sdraiata sembrò funzionare, cominciò a guadagnare velocità.
Mauro calcolò che in pochi minuti sarebbero stati tutti e tre sulla cima: stavamo perdendo.
Avremmo riportato a casa la nostra bandiera con tutta la nostra delusione.
Ciccio scivolò ancora ma non perse terreno, Lisetta, invece, aveva smesso di piangere e si arrampicava con le manine quando sua sorella la spingeva verso l’alto, Silvestro aveva recuperato i metri che aveva perso, Bruno e Gino erano in cima e incitavano Giada e Patrizia. Maurizio, inaspettatamente, ce la fece con facilità; le sue scarpe erano andate perse nel carbone.
Quando il capo dei loro avversari conquistò la vetta, Pietro capì che Lisetta non ce l’avrebbe mai fatta a superare Ciccio.
Fu la decisione di un attimo, — Dammi la corda, — disse a Maurizio, — tu tieni questo capo e si mise l’altro capo fra i denti. Il nostro comandante si buttò a volo d’angelo, atterrò a pochi centimetri da Lisetta, le legò la corda intorno al torace e la fissò bene sotto le ascelle della bambina; Claudio, Bruno, Gino e Maurizio cominciarono subito a tirare. Lisetta volò letteralmente sulla vetta, seguita in pochi minuti da Patrizia Giada e Silvestro
Ciccio rotolò di nuovo a pochi centimetri dalla meta e continuò a farlo ancora e ancora…
Ma ormai nessuno badava più a quei tre, eravamo cosi felici sotto la nostra bandiera, sporchi, sudati e con le facce impiastrate, perfino Lisetta rideva felice col suo abitino nero come il carbone, La federa, ormai grigia, sventolava contro il bagliore della cava, con al centro l’impronta nera di una mano.
Si racconta che, da quelle parti, nessuno sia mai riuscito a battere la banda della mano nera, né a quella né a nessuna altra sfida. Non si sa per quanto tempo la banda abbia infierito per quelle campagne, si sa soltanto che generazioni di bambini e adolescenti, abitanti della casa del guardiano, si avvicendarono nell'impegno di dar filo da torcere agli adulti e ai ragazzi paesani, nelle cui orecchie rimane ancora l’eco del nostro motto: O tutti o nessuno.