[Lab 11] Respirate oltre
Posted: Sun Nov 19, 2023 8:59 pm
Young adult 13+
Tema: Giochi
Nel cortile della scuola si stava facendo un ballo, una pesca di beneficienza e giochi vari a prezzo simbolico, fra cui in quel momento spiccava il salto della pozzanghera malsana aggrappati a una fune, per soli immunizzati da malattie tropicali nel caso si cadesse nell’acqua fetida, e il rotolamento in costume da bagno sopra pomodori e kaki creati con la stampante tridimensionale. I ragazzini o ragazzine, a seconda di come si erano dichiarati quella mattina sbarazzina, che si fossero lordati più degli altri nella poltiglia dei frutti, avrebbero ricevuto come premio l’ambito compito di portare di notte cibo e crediti di spesa nei quartieri più bisognosi della città, frequentati dai poveri ladri e spacciatori, con la possibilità oltre che di fare del bene gratis anche di dare tanta felicità con la propria presenza fisica a quella povera gente che spesso non sapeva come esprimere il proprio entusiasmo o anche la propria tristezza per non essere miliardari. La regola del portare e dare era sancita per legge e tutti erano entusiasti, genitori compresi, di obbedire alla legge, non capendo perché alcuni genitori si rifiutavano di mandare i propri figli a fare e ricevere del bene. Per fortuna c’era la legge. Oh yes.
I padri padri e le madri madri osservavano divertiti e compiaciuti le gare di lordura dei loro figli, mangiando affettati creati con la stampante tridimensionale della cucina del preside, tutto contento perché la moglie moglie aveva fatto in tempo a crearli dopo che era stata ripristinata la corrente, tolta per punizione perché non avevano pagato la multa della popò che il cane aveva fatto sulle strisce pedonali multicolori. Pagata la multa della popò, tornata la corrente, stampati gli affettati. Gioia gioia.
Bellissimi cartelli colorati tappezzavano il cortile della scuola con scritte che chiedevano la pace nel mondo e meno bombe il fine settimana.
Una ragazzina di nome Rosanna, ma senza panna, guardata male e ultima della classe perché voleva essere solo ragazzina e basta, si aggirava ai margini dei giochi nel suo abito di finta nuvola ecologica con un veletto di pizzo color azzurro cielo di una volta in testa che la faceva apparire come una fata o anche una strega, ma mediamente annoiata. Si vedeva troppo che a Rosanna non importava niente del clima, perché rideva bagnandosi sotto la pioggia e apriva la bocca sotto il sole, per pulirsi la gola. Fingeva di aspettare che una ragazzina ragazzina la invitasse al ballo del Glo Glo, con salto del filo spinato, ma tutte la ignoravano e i ragazzini ragazzini, che ballavano fra di loro, si guardavano bene dall’avvicinarla per non fare brutte figure e non essere considerati trogloditi.
Rosanna camminava cercando di saltellare come la vispa Teresa di una poesia del periodo in cui l’umanità era primitiva, e per fortuna non saltellava nell’erbetta e nei fiori con le farfalle che volavano sotto il cielo azzurro di una volta come il suo veletto, ma nel magnifico cortile di terra battuta del cortile della scuola, contornato e invaso da rifiuti multicolori, metalli arrugginiti e cartine di alluminio con graziosi elastici e siringhe luccicanti qua e là.
Rosanna vide un ragazzino di una classe superiore, che conosceva solo di vista, l’unico maschio che portava dei pantaloni lunghi addirittura. Spesso lo aveva sorpreso a scrivere con un mozzicone di matita sopra un pezzo di cartone durante la ricreazione e questa cosa l’aveva incuriosita. Anche lei scriveva a fatica con un pezzo di matita sulla carta igienica, ma solo a casa, nonostante i rimproveri della madre madre che non sapeva più dove mettere tutti gli schermi al plasma a scrittura vocale. Rosanna non conosceva il nome del ragazzo e questo la rese ancora più triste e solitaria. Avrebbe quasi voluto ululare come le avevano insegnato a scuola, per far sapere che aveva disperato bisogno di vicinanza, ma sapeva che non si sarebbe avvicinato nessuno a consolarla e poi non le piaceva ululare. Guardò in direzione del gruppo di madri madri fra cui c’era anche la sua che contava fagioli andati a male nel gioco assurdo dei monopoli, (che fatica contare mentalmente!) organizzato per i vecchietti seduti sulle sedie a rotelle e rilasciati provvisoriamente in libertà provvisoria dall’ospizio, ma decise di non rivolgersi a lei.
Con il cuore che batteva a mille giga più hard disk di riserva, piano piano, si avvicinò al ragazzo strano. Stava seduto sopra un mucchio di calcinacci immacolati e intorno a lui lo spazio appariva pulito come da strisciate di piede. Doveva essere stato lui a pulire il suo spazio, aveva le scarpe sporche infatti, e questo fatto lo rese simpatico a Rosanna. Anche lei amava la pulizia.
― What’s your name? ― gli domandò Rosanna.
Il ragazzo la guardò profondamente. ― Mi chiamo Gioele e lo dico come mi pare e piace!
― Io sono Rosanna.
― Tutta panna?
― Credo proprio senza. Anche se non so cosa vuol dire.
― Nemmeno io.
Rosanna si sedette vicino a Gioele. Fece cenno con il mento verso i vecchietti. ― Chi sono?
― Nonni, bisnonni di qualcuno.
― Hai parenti lì? ― chiese Rosanna guardandoli con tristezza.
― Avevo un nonno. Era bravo. Ma non c’era posto in casa per lui. Lo hanno portato all’ospizio e non è più tornato.
― Sarà morto?
Gioele scosse le spalle. ― Non me lo hanno detto.
In quel momento arrivò la ragazzina ragazzina Maguanella, una quasi cicciona ma non si doveva dire per non stressarla e farla poi diventare una serial killer di gattini, che stringeva la mano della sua ragazzina ragazzina Adelita Candelita.
Maguanella si avvicinò ai due mangiando un bombolone e con un sorriso macchiato di crema disse loro ― Malati! ― Andandosene via trotterellando trotterellando zoppicante e trascinando Adelita Candelita, zoppicante anche lei, che però strada facendo si voltò a guardare Gioele con una pericolosa simpatia.
― Mi piacerebbe che quei vecchietti si potessero alzare e tornare a camminare ― disse pensieroso Gioele.
― Anche a me.
― Forse forse, se mi dai una mano possiamo aiutarli! ― disse Gioele come se gli fosse venuta un’idea.
― Come potrei aiutarti? Cioè: lo so. Ma ho paura.
― Anche io lo so e ho paura.
Rosanna sorrise e si alzò, mentre Gioele le porgeva la mano per aiutarla a scendere dal mucchio di calcinacci.
Rosanna, al contatto della mano di Gioele, si sentì invadere da un grande calore. Anche per il ragazzo fu lo stesso, diventarono di un bel colore rosso acceso sano. Annuirono a vicenda e si diressero verso i vecchietti che a bocca aperta e con la testa che penzolava guardavano la madre madre di Rosanna che estraeva numeri da una scatola e metteva fagioli sulle cartelle della tombola. Qualcuno di loro chiedeva con voce flebile di andare al bagno mentre ragazzini e ragazzine misti li rimpinzavano di bomboloni e latte artificiale, macchiando i loro maglioni grigi a striscie e facendoli vomitare, ma i ragazzini e ragazzine stavano tranquilli, sereni, impassibili e insensibili perché erano immunizzati al vomito.
― Possiamo proporre un nuovo gioco? ― urlò Gioele e tutti si girarono a guardarlo. Rosanna era tutta contenta perchè Gioele aveva detto “possiamo”, quindi voleva dire che lei era con lui, che lui non la evitava. Non era più sola, che bella sensazione però! Come piaceva a lei però!
― Ma che gioco volete fare? ― chiese il Rappresentante della chiesa universale riformata, anche lui invitato ai giochi della scuola.
― Giochiamo che la mia damigella passa il suo velo color azzurro cielo di una volta sulla testa dei vecchietti e tutti si alzano in piedi e camminano!
― Cioè: voi sareste dunque una coppia? ― chiese il Rappresentante della chiesa riformata, diventando paonazzo e voltandosi verso il preside per chiedere spiegazioni.
― Sono gli ultimi della classe, non hanno storia! ― disse il preside sorridendo imbarazzatissimo.
Gioele e Rosanna si misero davanti ai vecchietti. Si era formata una piccola folla per osservare quale nuovo gioco volessero fare quel ragazzino e quella ragazzina impertinenti e fuori dalle regole. Rosanna si tolse il veletto di pizzo color azzurro cielo di una volta e correndo e saltellando con grazia lo posò sulla testa di ogni vecchio e di ogni vecchia. Giunta alla fine si voltò. Prima nel silenzio generale, poi con un attonito ― Oh!!! ― di meraviglia i vecchietti, uno dopo l’altro si alzarono dalla sedia, anche quelli con il capo che ciondolava e che era ridiventato dritto. Una vecchietta disse a voce alta, tradotto in linguaggio antico: ― Ho sentito l’odore della mia casa, della mia mamma quando ero piccola quando quella ragazzina mi ha toccato la testa con il suo veletto di pizzo color azzurro cielo di una volta!
― Anche io! ― disse un'altra e poi tutti i vecchietti assieme in coro.
― Ma questo è un miracolo! Possiamo camminare! Un miracolo! Possiamo addirittura ballare! ― E i vecchietti si misero a ballare, formando delle coppie di uomini e donne vecchie che ridevano spensierati al suono di una davvero vecchia musica che sentivano solo loro, perché tutt’intorno c’erano solo rumori che facevano contorcere lo stomaco.
― Un miracolo? ― dissero in molti nella folla. ― Presto! Chiamate il Rappresentante della chiesa riformata, così li denuncia tutti!
Ma il Rappresentante, accortosi che lo volevano coinvolgere cercò di scappare, con due bomboloni in mano. Quando alla fine lo bloccarono disse ― Ma quale miracolo! Ma non c’è nessun miracolo! Per favore tornate a giocare! Andiamo! ― Ma nessuno lo seguiva perché cominciò a non ispirare molta simpatia in alcuni, grandi e piccoli, che senza volerlo si erano messi addirittura a pensare.
― Ma come? Cento e passa vecchi paralitici che camminano all’improvviso non è un miracolo? E che cos’è? Che nuovo gioco è?
― Ma chi lo sa! Ma i miracoli non sono… Non ci sono… Non erano…
― Ma insomma: lei se ne intende, ha studiato questa roba vecchia. Cosa accidenti è successo dunque?
― Ma cosa volete che vi dica…
― Insomma! Ha studiato i miracoli? Ci spieghi! Deve spiegarci!
― Ma no! Io… Ecco: sì! Ecco: devo informarmi da chi ne sa di più!
― Perché, lei non lo sa?
― Ecco forse… Forse e senza forse: ecco! Sì! Mentre spiegavano i miracoli, questa cosa che non esiste, ovvio… Ecco io probabilmente, da giovane allievo del seminario riformato, è passata una vita da allora eh! Probabile che durante quella lezione, quando si dice il caso! Probabile che io ero comandato di pulizia ai cessi…
Fatto sta che quei cento e passa vecchietti e vecchiette ritornarono a camminare, ma la storiella non finisce molto bene, perché i loro parenti non li rivollero indietro, mentre nell’ospizio si arrabbiarono molto per questa novità, imponendo una maggiorazione della mensilità per riprenderli, perche era aumentato il lavoro di sorveglianza in quanto i vecchietti, potendo camminare con le loro gambe, potevano anche fuggire.
In quanto a Rossana e Gioele, per il momento non vissero felici e contenti, ci furono conseguenze, ma niente che non si potesse superare con la buona, continua e giusta disobbedienza. Attendiamo, fiduciosi, novità.
Tema: Giochi
Nel cortile della scuola si stava facendo un ballo, una pesca di beneficienza e giochi vari a prezzo simbolico, fra cui in quel momento spiccava il salto della pozzanghera malsana aggrappati a una fune, per soli immunizzati da malattie tropicali nel caso si cadesse nell’acqua fetida, e il rotolamento in costume da bagno sopra pomodori e kaki creati con la stampante tridimensionale. I ragazzini o ragazzine, a seconda di come si erano dichiarati quella mattina sbarazzina, che si fossero lordati più degli altri nella poltiglia dei frutti, avrebbero ricevuto come premio l’ambito compito di portare di notte cibo e crediti di spesa nei quartieri più bisognosi della città, frequentati dai poveri ladri e spacciatori, con la possibilità oltre che di fare del bene gratis anche di dare tanta felicità con la propria presenza fisica a quella povera gente che spesso non sapeva come esprimere il proprio entusiasmo o anche la propria tristezza per non essere miliardari. La regola del portare e dare era sancita per legge e tutti erano entusiasti, genitori compresi, di obbedire alla legge, non capendo perché alcuni genitori si rifiutavano di mandare i propri figli a fare e ricevere del bene. Per fortuna c’era la legge. Oh yes.
I padri padri e le madri madri osservavano divertiti e compiaciuti le gare di lordura dei loro figli, mangiando affettati creati con la stampante tridimensionale della cucina del preside, tutto contento perché la moglie moglie aveva fatto in tempo a crearli dopo che era stata ripristinata la corrente, tolta per punizione perché non avevano pagato la multa della popò che il cane aveva fatto sulle strisce pedonali multicolori. Pagata la multa della popò, tornata la corrente, stampati gli affettati. Gioia gioia.
Bellissimi cartelli colorati tappezzavano il cortile della scuola con scritte che chiedevano la pace nel mondo e meno bombe il fine settimana.
Una ragazzina di nome Rosanna, ma senza panna, guardata male e ultima della classe perché voleva essere solo ragazzina e basta, si aggirava ai margini dei giochi nel suo abito di finta nuvola ecologica con un veletto di pizzo color azzurro cielo di una volta in testa che la faceva apparire come una fata o anche una strega, ma mediamente annoiata. Si vedeva troppo che a Rosanna non importava niente del clima, perché rideva bagnandosi sotto la pioggia e apriva la bocca sotto il sole, per pulirsi la gola. Fingeva di aspettare che una ragazzina ragazzina la invitasse al ballo del Glo Glo, con salto del filo spinato, ma tutte la ignoravano e i ragazzini ragazzini, che ballavano fra di loro, si guardavano bene dall’avvicinarla per non fare brutte figure e non essere considerati trogloditi.
Rosanna camminava cercando di saltellare come la vispa Teresa di una poesia del periodo in cui l’umanità era primitiva, e per fortuna non saltellava nell’erbetta e nei fiori con le farfalle che volavano sotto il cielo azzurro di una volta come il suo veletto, ma nel magnifico cortile di terra battuta del cortile della scuola, contornato e invaso da rifiuti multicolori, metalli arrugginiti e cartine di alluminio con graziosi elastici e siringhe luccicanti qua e là.
Rosanna vide un ragazzino di una classe superiore, che conosceva solo di vista, l’unico maschio che portava dei pantaloni lunghi addirittura. Spesso lo aveva sorpreso a scrivere con un mozzicone di matita sopra un pezzo di cartone durante la ricreazione e questa cosa l’aveva incuriosita. Anche lei scriveva a fatica con un pezzo di matita sulla carta igienica, ma solo a casa, nonostante i rimproveri della madre madre che non sapeva più dove mettere tutti gli schermi al plasma a scrittura vocale. Rosanna non conosceva il nome del ragazzo e questo la rese ancora più triste e solitaria. Avrebbe quasi voluto ululare come le avevano insegnato a scuola, per far sapere che aveva disperato bisogno di vicinanza, ma sapeva che non si sarebbe avvicinato nessuno a consolarla e poi non le piaceva ululare. Guardò in direzione del gruppo di madri madri fra cui c’era anche la sua che contava fagioli andati a male nel gioco assurdo dei monopoli, (che fatica contare mentalmente!) organizzato per i vecchietti seduti sulle sedie a rotelle e rilasciati provvisoriamente in libertà provvisoria dall’ospizio, ma decise di non rivolgersi a lei.
Con il cuore che batteva a mille giga più hard disk di riserva, piano piano, si avvicinò al ragazzo strano. Stava seduto sopra un mucchio di calcinacci immacolati e intorno a lui lo spazio appariva pulito come da strisciate di piede. Doveva essere stato lui a pulire il suo spazio, aveva le scarpe sporche infatti, e questo fatto lo rese simpatico a Rosanna. Anche lei amava la pulizia.
― What’s your name? ― gli domandò Rosanna.
Il ragazzo la guardò profondamente. ― Mi chiamo Gioele e lo dico come mi pare e piace!
― Io sono Rosanna.
― Tutta panna?
― Credo proprio senza. Anche se non so cosa vuol dire.
― Nemmeno io.
Rosanna si sedette vicino a Gioele. Fece cenno con il mento verso i vecchietti. ― Chi sono?
― Nonni, bisnonni di qualcuno.
― Hai parenti lì? ― chiese Rosanna guardandoli con tristezza.
― Avevo un nonno. Era bravo. Ma non c’era posto in casa per lui. Lo hanno portato all’ospizio e non è più tornato.
― Sarà morto?
Gioele scosse le spalle. ― Non me lo hanno detto.
In quel momento arrivò la ragazzina ragazzina Maguanella, una quasi cicciona ma non si doveva dire per non stressarla e farla poi diventare una serial killer di gattini, che stringeva la mano della sua ragazzina ragazzina Adelita Candelita.
Maguanella si avvicinò ai due mangiando un bombolone e con un sorriso macchiato di crema disse loro ― Malati! ― Andandosene via trotterellando trotterellando zoppicante e trascinando Adelita Candelita, zoppicante anche lei, che però strada facendo si voltò a guardare Gioele con una pericolosa simpatia.
― Mi piacerebbe che quei vecchietti si potessero alzare e tornare a camminare ― disse pensieroso Gioele.
― Anche a me.
― Forse forse, se mi dai una mano possiamo aiutarli! ― disse Gioele come se gli fosse venuta un’idea.
― Come potrei aiutarti? Cioè: lo so. Ma ho paura.
― Anche io lo so e ho paura.
Rosanna sorrise e si alzò, mentre Gioele le porgeva la mano per aiutarla a scendere dal mucchio di calcinacci.
Rosanna, al contatto della mano di Gioele, si sentì invadere da un grande calore. Anche per il ragazzo fu lo stesso, diventarono di un bel colore rosso acceso sano. Annuirono a vicenda e si diressero verso i vecchietti che a bocca aperta e con la testa che penzolava guardavano la madre madre di Rosanna che estraeva numeri da una scatola e metteva fagioli sulle cartelle della tombola. Qualcuno di loro chiedeva con voce flebile di andare al bagno mentre ragazzini e ragazzine misti li rimpinzavano di bomboloni e latte artificiale, macchiando i loro maglioni grigi a striscie e facendoli vomitare, ma i ragazzini e ragazzine stavano tranquilli, sereni, impassibili e insensibili perché erano immunizzati al vomito.
― Possiamo proporre un nuovo gioco? ― urlò Gioele e tutti si girarono a guardarlo. Rosanna era tutta contenta perchè Gioele aveva detto “possiamo”, quindi voleva dire che lei era con lui, che lui non la evitava. Non era più sola, che bella sensazione però! Come piaceva a lei però!
― Ma che gioco volete fare? ― chiese il Rappresentante della chiesa universale riformata, anche lui invitato ai giochi della scuola.
― Giochiamo che la mia damigella passa il suo velo color azzurro cielo di una volta sulla testa dei vecchietti e tutti si alzano in piedi e camminano!
― Cioè: voi sareste dunque una coppia? ― chiese il Rappresentante della chiesa riformata, diventando paonazzo e voltandosi verso il preside per chiedere spiegazioni.
― Sono gli ultimi della classe, non hanno storia! ― disse il preside sorridendo imbarazzatissimo.
Gioele e Rosanna si misero davanti ai vecchietti. Si era formata una piccola folla per osservare quale nuovo gioco volessero fare quel ragazzino e quella ragazzina impertinenti e fuori dalle regole. Rosanna si tolse il veletto di pizzo color azzurro cielo di una volta e correndo e saltellando con grazia lo posò sulla testa di ogni vecchio e di ogni vecchia. Giunta alla fine si voltò. Prima nel silenzio generale, poi con un attonito ― Oh!!! ― di meraviglia i vecchietti, uno dopo l’altro si alzarono dalla sedia, anche quelli con il capo che ciondolava e che era ridiventato dritto. Una vecchietta disse a voce alta, tradotto in linguaggio antico: ― Ho sentito l’odore della mia casa, della mia mamma quando ero piccola quando quella ragazzina mi ha toccato la testa con il suo veletto di pizzo color azzurro cielo di una volta!
― Anche io! ― disse un'altra e poi tutti i vecchietti assieme in coro.
― Ma questo è un miracolo! Possiamo camminare! Un miracolo! Possiamo addirittura ballare! ― E i vecchietti si misero a ballare, formando delle coppie di uomini e donne vecchie che ridevano spensierati al suono di una davvero vecchia musica che sentivano solo loro, perché tutt’intorno c’erano solo rumori che facevano contorcere lo stomaco.
― Un miracolo? ― dissero in molti nella folla. ― Presto! Chiamate il Rappresentante della chiesa riformata, così li denuncia tutti!
Ma il Rappresentante, accortosi che lo volevano coinvolgere cercò di scappare, con due bomboloni in mano. Quando alla fine lo bloccarono disse ― Ma quale miracolo! Ma non c’è nessun miracolo! Per favore tornate a giocare! Andiamo! ― Ma nessuno lo seguiva perché cominciò a non ispirare molta simpatia in alcuni, grandi e piccoli, che senza volerlo si erano messi addirittura a pensare.
― Ma come? Cento e passa vecchi paralitici che camminano all’improvviso non è un miracolo? E che cos’è? Che nuovo gioco è?
― Ma chi lo sa! Ma i miracoli non sono… Non ci sono… Non erano…
― Ma insomma: lei se ne intende, ha studiato questa roba vecchia. Cosa accidenti è successo dunque?
― Ma cosa volete che vi dica…
― Insomma! Ha studiato i miracoli? Ci spieghi! Deve spiegarci!
― Ma no! Io… Ecco: sì! Ecco: devo informarmi da chi ne sa di più!
― Perché, lei non lo sa?
― Ecco forse… Forse e senza forse: ecco! Sì! Mentre spiegavano i miracoli, questa cosa che non esiste, ovvio… Ecco io probabilmente, da giovane allievo del seminario riformato, è passata una vita da allora eh! Probabile che durante quella lezione, quando si dice il caso! Probabile che io ero comandato di pulizia ai cessi…
Fatto sta che quei cento e passa vecchietti e vecchiette ritornarono a camminare, ma la storiella non finisce molto bene, perché i loro parenti non li rivollero indietro, mentre nell’ospizio si arrabbiarono molto per questa novità, imponendo una maggiorazione della mensilità per riprenderli, perche era aumentato il lavoro di sorveglianza in quanto i vecchietti, potendo camminare con le loro gambe, potevano anche fuggire.
In quanto a Rossana e Gioele, per il momento non vissero felici e contenti, ci furono conseguenze, ma niente che non si potesse superare con la buona, continua e giusta disobbedienza. Attendiamo, fiduciosi, novità.