[MI176] Fresh Service
Posted: Thu Jun 22, 2023 12:03 am
Traccia n 2
"La violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci."
«Venga. Il direttore adesso può riceverla» disse l’arcigna segretaria.
Non c’era nessun motivo per farlo aspettare quaranta minuti, ne era certo.
Ne ebbe la conferma quando restò impalato davanti all’immensa scrivania, mentre il vecchio sembrava intento a pulirsi gli occhiali con una pezzolina. Due lenti, non le vetrate di Notre Dame.
Come dio volle l’impresa giunse a compimento.
Il vecchio cominciò a scrutarlo.
Nessun cenno di saluto, nessun prego, si accomodi.
«Immagino sappia perché l’ho voluta vedere» disse cupo.
Lo sapeva, ma scosse la testa con aria innocente.
«Saprà pure che in casi del genere la questione viene risolta una denuncia e relativo processo»
Giunse le mani sul mento e chiuse gli occhi «È solo per l’amicizia che mi lega alla famiglia dei suoi suoceri che ho deciso di evitarlo» aprì gli occhi e lo fissò torvo «In queste condizioni, lei capirà, che la nostra collaborazione deve ritenersi conclusa».
«Ma io quei soldi li avrei restituiti!»
L’altro richiuse gli occhi, come a dire non voglio nemmeno vederti mentre spari queste scemenze.
«Mi sta licenziando. È così?» disse Alberto.
«Sarebbe più opportuno che fosse lei a rassegnare le dimissioni. Per una questione di dignità, se ancora ne conosce il senso»
L’altro allargò le braccia scuotendo al testa. L’immagine dell’incredulità.
«Adesso, se vuole scusarmi» fece il vecchio.
Come per magia la porta si aprì e apparve l’arcigna con l’aria di una che all’occorrenza, l’avrebbe cacciato a pedate, e pure con una certa soddisfazione.
Fu così che il giovane Alberto Vallecchi, quasi avvocato, quasi dirigente e molto sposato con Anna Carla Sensini uscì dalla banca dove per sei anni aveva finto di lavorare, in attesa di coltivare la sua vera e unica passione: il poker.
Montò sull’Audi A4, innestò la retro, fracassò il muso di una Mercedes classe S e partì sgommando al grido di Fottetevi tutti, brutti stronzi.
Tutto stava andando per il verso sbagliato. E il fatto di esserselo in qualche modo cercato, non migliorava le cose.
Sfrecciò sulla Cassia, direzione Olgiata, infrangendo mezzo codice stradale, obbligò un paio di camionisti a fare illazioni sulla virtù di sua madre. Entrò nel vialetto di casa, lasciò l’auto di traverso ed entrò in casa sbattendo la porta.
Amina uscì dalla cucina con una padella e uno strofinaccio. Occhi sbarrati, lo fissava con il mento tremante.
«Allora?» ruggì Alberto.
La ragazza scappò in cucina mugolando.
Seduta in soggiorno, Anna Carla sfogliava l’ultimo numero di Vogue «Vedo che sei di buon umore» disse senza alzare lo sguardo
«Evita, che oggi non è giornata» riempì mezzo bicchiere di wodka, la buttò giù e si diresse verso la scala «Vado a farmi una doccia».
«Tra dieci minuti si cena» disse lei.
«E chissene frega».
Alberto si sentiva una merda. Tutto era una merda. La sua vita, la casa e Anna Carla.
Lei, che i soldi li aveva sempre avuti, che non aveva mai avuto una preoccupazione per quanto era stupida. Perché l’aveva sposata?
Famiglia di rincoglioniti, a cominciare da Filippo, undici anni e già mezza checca. A calci in culo, vedi come lo raddrizzo. Minù, sei anni, botolo di lardo senza collo. Tre me ne ha fatti fare la stronza. Tre! E dire che le era venuto bene solo il primo, poteva fermarsi lì. Invece no, me lo faceva apposta.
Solo il primo le era venuto bene.
Al pensiero si rasserenò.
Carlo. Bello, aitante e canaglia. Tutto suo padre.
Scese le scale, entrò in sala da pranzo e andò a sedersi a capotavola con la faccia scura.
Amina andava e veniva dalla cucina tirando su col naso.
Lui la guardò «Che ha quella?»
Anna Carla si strinse nelle spalle.
«Imparasse a cucinare, piuttosto, che sta merda manco ai maiali» disse e a braccio teso, come fosse un remo, scaraventò tutto per terra.
Anna Carla strinse le labbra. Non disse niente. Si alzò.
«Venite, bambini. Andiamo a mangiare di là».
«Posso prendere la maionese?» disse Minù.
«No»
«Perché no?»
«Perché sei grassa» disse il padre « Come un maiale» fece un paio di grugniti e scoppiò a ridere.
«Non è vero!» urlò quella piangendo mentre la madre la portava via.
In quel momento entrò Amina, vide i cocci per terra e tornò con la scopa per raccoglierli.
«Signore?»
«Che c’è?»
«Adesso che siamo soli, vorrei parlarle».
«Che vuoi?»
«Sono incinta».
«Mi fa piacere» disse con sussiego «E chi è il fortunato?»
Amina sgranò gli occhi «Come chi è? Lei, signore».
Alberto tirò un gran respiro.
Aveva un mucchio di opzioni. Dalla più razionale Puoi dimostrarlo, puttanella? alla più sanguigna Non diciamo cazzate tuttavia, sfiancato dall’incalzare degli eventi, optò per la spiazzante «Ma ti pare il momento?».
La ragazza scoppiò a piangere e corse in cucina.
«Non ne vuole sapere, vero?»
Amina si girò si scatto. Il ragazzo, alto e secco come una pertica, si sporgeva dalla finestra a mezzo busto, ancora qualche centimetro e avrebbe potuto poggiare i gomiti sul bordo dell’acquaio.
«Vadim, che ci fai lì?» disse tra i singhiozzi «Non è un po’ tardi per curare il giardino?»
«Vuoi raccontarmi?»
«Dopo. Adesso vattene a casa».
«Mamma si preoccupa se ti vede così».
«Non mi vedrà così. Vai, metto in ordine e arrivo».
«Allora le dico che mia sorella è felice».
«Scemo! Fatti gli affari tuoi».
«Sono affari miei» disse con la faccia da uomo, che a diciassette anni cominciava a stargli giusta.
Lo disse con un tono che stava a significare un mucchio di cose, prima fra tutte che sulle questioni di sangue e rispetto c’era una legge sola.
«Ti faccio vedere una cosa» allungò il braccio stecco.
Amina guardò la lama lucente «È un machete».
«No, è una roncola. È più pesante del machete, più robusto e va bene per togliere di mezzo quello che non serve».
Si guardarono negli occhi per un momento.
«Vai adesso» disse lei.
«Mamma ha fatto il couscous. Ci ha lavorato per ore. Se fai tardi si arrabbia».
Notte stellata. Grilli canterini e profumo di gelsomini.
Con la sua Wodka bordo piscina, Alberto Vallecchi cercava di dimenticare quella giornata di merda.
E la partita che era stata la sua rovina.
Colore servito. Nessuno avrebbe resistito. Perse tutto.
L’omino con gli occhiali d’oro si avvicinò sorridendo «Non si scoraggi. C’è sempre una soluzione».
Gli offrì quel cartoncino come fosse il numero del dentista.
Fresh Service. Discrezione Efficienza.
«Lei ha una famiglia, come dire… abbiente. Io posso aspettare. Quando avrà risolto mi farà sapere».
Una folllia, non avrebbe dovuto nemmeno pensarci. Eppure.
In quel momento una voce impastata dal folto degli alberi «Papà!» era Carlo. Ubriaco marcio, che barcollava verso di lui.
«Hai fatto presto stasera. Cos’è, non te l’ha data?»
«Nina tette di marmo. Mesi che le sto appresso. La da a tutti meno che a me».
«Vacca precisa. Bevi una wodka con tuo padre?»
Gli riempì il bicchiere. Carlo l’annusò.
«Se non ti piace devi buttarla giù tutta d’un fiato. Credi che i Russi avessero la cannuccia?»
Riti da maschi.
«Chi si somiglia si piglia» sentenziò Alberto.
«Nel senso?»
«Segui il ragionamento, figliolo. Le donne sono tutte stronze. Mi segui?»
Carlo non capiva, ma annuì lo stesso.
« È una legge di natura» disse Alberto «Quindi per averle tutte o almeno quelle tutte che vuoi…»
«Devo essere stronzo».
«Esatto».
«Non sembra difficile».
«Infatti» Si girò verso il ragazzo, ma quello già russava come una motosega. Beata gioventù.
Una decina di metri più su, dalla finestra delle loro camerette Filippo e Minù li guardavano.
Avevano la faccia seria e forse si rigiravano tra le mani qualcosa che non avrebbero dovuto. Qualcosa come un cacciavite o un coltello, che per i bambini non era certo una cosa buona.
Qualcuno avrebbe potuto farsi male.
Anna Carla veleggiava per la cucina in accappatoio e turbante di spugna.
«Ti cerca la banca».
Lui fece la faccia stupita, ma sapeva benissimo perché: conto in rosso come un tramonto sul Bosforo, ma molto meno romantico, carte di credito bloccate, ipoteca sulla casa che valeva meno della carta igienica.
«Per il pranzo arrangiati» cinguettò «Passo dai miei, dicono che devono parlarmi».
Di bene in meglio. Il vecchio sicuramente sapeva tutto, l’aveva detto alla strega e adesso volevano snocciolare tutti i Te l’avevamo detto, ma tu niente. Devi prendere una decisione prima che sia troppo tardi.
No, lui doveva prendere una decisione. La marea di merda stava per sommergerlo.
Tirò fuori il cartoncino dalla tasca. Fresh Service.
Decise di farci un salto. Giusto un’occhiata per rendersi conto.
«Posso aiutarla?»
No, non se l’aspettava così.
Un angelo. Capelli ramati, pelle d’avorio, occhi smeraldini.
«Volevo solo…»
«Qualche informazione?».
«Sì…»
«Questa è la nostra brochure. Ci sono tutti i nostri servizi. Se le interessa qualcosa, in fondo c’è il numero per contattarci».
«No, posso dire fin da ora che sono interessato».
«Molto bene. Se ha la gentilezza di accomodarsi, appena possibile il nostro addetto alle Relazioni&Contratti la riceverà».
Gli indicò un salottino verde mela. Riviste di viaggi, uno schermo con video promozionali.
Se quello era l’Inferno, non sembrava poi tanto male.
«Signor Vallecchi, prego.»
Brizzolato, atletico, età indefinibile, sorriso accattivante.
Lo fece accomodare in un separè circondato dal plexiglass.
Dopo meno di dieci minuti era in strada soddisfatto e frastornato.
C’era una grossa lista d’attesa, chi l’avrebbe detto? Avrebbe dovuto aspettare, l’avrebbero contattato appena possibile.
E così Alberto Vallecchi aspettò.
Due giorni, tre, al parco come un pensionato rincoglionito, mentre tutti credevano fosse al lavoro.
Il quarto giorno, quando ormai pure i piccioni si erano stancati di girargli intorno, eccolo: il cellulare che vibra.
Era la segretaria smeraldina.
«È ancora interessato ai nostri servizi?»
«Certo»
«Bene. Allora domani alle 19.30 al Florian. Dica solo Fresh Service. C’è un tavolo per lei».
Ristorante di lusso, cena imperiale, vini d’annata.
Il brizzolato atletico accattivante, volle sapere tutti i perché e i percome.
«Non mi prenda per indiscreto, ma ho bisogno di capire quanto lei sia determinato ad andare fino in fondo. Capirà, sono cose delicate. Ne va della reputazione dell’Azienda».
Al dessert, crema catalana di rara delicatezza, il tipo gli mostrò un catalogo con modi e tariffe.
Lo fece tirando fuori un album rilegato in pelle. Col gesto elegante di chi ti mostra gli ultimi modelli di sneaker.
«Ha già qualche idea?»
No, non ce l’aveva. Ed è allora che il colloquio si fece più diretto. In fondo stavano parlando di far fuori una persona e i dettagli erano decisivi.
«Veleno? Incidente? Rapina a mano armata, in quel caso però, se la signora non esce da sola, dovrebbe esserci anche lei…»
I pro e i contro. Il tipo sapeva il fatto suo.
Lui avrebbe voluto qualcosa di sobrio, che non la facesse soffrire troppo. Un po’ di umanità, che diamine.
«Allora folgorazione. Con quella si risolverebbe tutto senza problemi. Prezzo contenuto poiché non ci sono materiali extra. Dovrebbe avere solo l’accortezza di non essere in casa, lo dico per lei. Inventi qualcosa, un viaggio di lavoro, o cose così. Vuole pensarci?»
«No. Meglio di no. È il genere di cose che…»
«Certo. Capisco.» il tipo era uno che capiva «Allora facciamo per…» tirò fuori l’agenda.
«No. Se non le dispiace preferirei non saperlo».
«Certo. Capisco. Mi faccia solo sapere quando intende partire».
«D’accordo». Fece per tirare fuori la carta di credito.
La mano vellutata lo bloccò «Le auguro una buona serata». La squisitezza.
Viaggio di lavoro, certo.
Alberto Vallecchi aveva passato il Rubicone. A breve avrebbe risolto tutti i suo problemi ma, inutile negarlo, la cosa gli dava una certa agitazione.
Ci voleva un bagno. Candeline profumate e tv sul canale sport. Tennis. Niente come il tennis per distendere i nervi.
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dall’acqua tiepida.
Poi lo strano silenzio. Lo strano rumore.
Nella dependance della villa, appena prima del cancello, Vadim cercava di consolare la sorella che non la smetteva di piangere.
«Non ti preoccupare, è tutto a posto».
Lei alzò gli occhi «Ti sei messo nei guai?»
Lui la guardò con la faccia che diceva senti chi parla
«Che hai fatto, Vadim? Dimmelo!»
Lui sospirò «Non ci pensare».
«Ci penso, invece. Ci manca solo che ti fai mettere dentro un’altra volta».
«Allora, visto che ti va di pensare, pensa che quello era una merda. La toccheresti tu la merda? No, ci giri intorno, stai attento a non sporcarti e tiri dritto. Questo si fa con la merda».
«E io invece non l’ho fatto!» disse e ricominciò a piangere.
«Perché sei cretina» le dolci parole della mamma.
Vadim guardava la sua roncola lucente. Le ha appena rifatto il filo e brillava come un gioiello.
Quattro e mezza. Notte stellata. Senza le luci era un vero spettacolo.
L’uomo in grigio pensò che un giorno avrebbe dovuto portarci Rosa. Senza andare troppo lontano. Sarebbe andato bene anche uno dei parchi in città, come facevano da fidanzati, sdraiati sul plaid che dopo cinque minuti si capiva che le stelle erano solo una scusa.
Dev’essere stata una di quelle sere che avevano fatto Danielina.
Mise la mano nello zaino, siamai si fosse dimenticato la radio. Sarebbe andato bene anche un fon, ma no, troppo rumore.
Aprì il cancello con il paspartout, percorse il vialetto, e vide il corpo nella piscina a faccia in giù. Non stava prendendo il fresco. E questo non andava bene.
Fece scorrere la vetrata, entrò in soggiorno. Dallo schermo al plasma, la D’urso sorrideva con le mani sul cuore. Sul divano candido la donna sembrava appisolata. Anche Rosa si appennicava con la D’Urso, però senza tutto quel sangue.
La donna non respirava. Qualcuno le aveva tagliato la gola. Nemmeno questo andava bene.
Salì le scale. Trovò la porta del bagno. Alberto Vallecchi era in ammollo. La testa troncata di netto, galleggiava con la bocca spalancata e lo sguardo vitreo. In mezzo alla schiuma, tra le ginocchia e i piedi, lo schermo di un altro televisore. La staffa che lo fissava al muro aveva ceduto. Roba elettrica sopra la vasca. Bisognava essere proprio coglioni. Ricchi e coglioni.
Ma il punto non era questo. Era tutto sbagliato. Il contratto non diceva questo.
Guardò il corpo nella vasca. Folgorato e decapitato. C’era bisogno di tutto quel putiferio?
Oppure.
Un pensiero odioso. Qui c’era passato Prezzolini. Il viscido.
E certo, quello non s’era mai saputo regolare e adesso, proprio l’ultimo giorno di servizio prima della pensione, voleva farlo passare per un vecchio così rincoglionito da sbagliare pure persona.
Volgare e pure stronzo.
Chiamò l’Agenzia.
«Lasci stare. Venga via».
«Ma la pratica…»
«Venga via. Non vorrà mica metterci un volantino con le promozioni autunno inverno».
Uomo spiritoso e intelligente. Con uno così il Prezzolini finiva in archivio. Ben gli sta.
«Piuttosto, mi raccomando domani, non si faccia aspettare».
Domani. Calici di plastica, spumantino, manate sulle spalle, Beato te che finalmente ti godi la libertà, il pacchettino con qualche cagata inutile, ma di pregio, il biglietto con le firme. Squallori aziendali.
«No, non si preoccupi» gli aveva letto nel pensiero «soltanto un saluto per ringraziarla di tanti anni di onorato servizio».
Si avviò per il corridoio. Una porta azzurrina, una sagoma di legno a forma di barca dei pirati e la scritta Filippo. Di fronte, una color ciclamino e una fatina con la scritta Minù. Le stanze dei bambini. Si affacciò. Dormivano come angioletti. Facile quando sono così piccoli, i problemi grossi arrivano dopo, lo sapeva bene con Danielina. È questa l’ora di tornare? La vita è mia. I vaffanculo dietro le porte sbattute. Non era padre da schiaffoni, ma certe volte…
Alle otto e mezza il caffè brontolava nella moca.
«Ma hai sentito?»
L’uomo in grigio tese la tazzina «No, sì… Che devo sapere?»
«Villa all’Olgiata, famiglia bene. Una carneficina».
L’uomo in grigio alzò le sopracciglia, mise due cucchiaini di zucchero e prese a girare il suo caffè.
«E lo sai che dicono? Che forse sono stati i figli più piccoli».
Lui scosse la testa come a dire roba da pazzi, che si deve sentire.
«Ciao, pà, ciao mà. Io vado». Danielina.
Lui la guardò uscire. Rossetto nero, scarpe da minatore e culo di fuori.
«Rosa, ma quella esce così?»
«E dai, è la festa di fine anno, mica la prima comunione».
«Vabbè, però…»
"La violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci."
«Venga. Il direttore adesso può riceverla» disse l’arcigna segretaria.
Non c’era nessun motivo per farlo aspettare quaranta minuti, ne era certo.
Ne ebbe la conferma quando restò impalato davanti all’immensa scrivania, mentre il vecchio sembrava intento a pulirsi gli occhiali con una pezzolina. Due lenti, non le vetrate di Notre Dame.
Come dio volle l’impresa giunse a compimento.
Il vecchio cominciò a scrutarlo.
Nessun cenno di saluto, nessun prego, si accomodi.
«Immagino sappia perché l’ho voluta vedere» disse cupo.
Lo sapeva, ma scosse la testa con aria innocente.
«Saprà pure che in casi del genere la questione viene risolta una denuncia e relativo processo»
Giunse le mani sul mento e chiuse gli occhi «È solo per l’amicizia che mi lega alla famiglia dei suoi suoceri che ho deciso di evitarlo» aprì gli occhi e lo fissò torvo «In queste condizioni, lei capirà, che la nostra collaborazione deve ritenersi conclusa».
«Ma io quei soldi li avrei restituiti!»
L’altro richiuse gli occhi, come a dire non voglio nemmeno vederti mentre spari queste scemenze.
«Mi sta licenziando. È così?» disse Alberto.
«Sarebbe più opportuno che fosse lei a rassegnare le dimissioni. Per una questione di dignità, se ancora ne conosce il senso»
L’altro allargò le braccia scuotendo al testa. L’immagine dell’incredulità.
«Adesso, se vuole scusarmi» fece il vecchio.
Come per magia la porta si aprì e apparve l’arcigna con l’aria di una che all’occorrenza, l’avrebbe cacciato a pedate, e pure con una certa soddisfazione.
Fu così che il giovane Alberto Vallecchi, quasi avvocato, quasi dirigente e molto sposato con Anna Carla Sensini uscì dalla banca dove per sei anni aveva finto di lavorare, in attesa di coltivare la sua vera e unica passione: il poker.
Montò sull’Audi A4, innestò la retro, fracassò il muso di una Mercedes classe S e partì sgommando al grido di Fottetevi tutti, brutti stronzi.
Tutto stava andando per il verso sbagliato. E il fatto di esserselo in qualche modo cercato, non migliorava le cose.
Sfrecciò sulla Cassia, direzione Olgiata, infrangendo mezzo codice stradale, obbligò un paio di camionisti a fare illazioni sulla virtù di sua madre. Entrò nel vialetto di casa, lasciò l’auto di traverso ed entrò in casa sbattendo la porta.
Amina uscì dalla cucina con una padella e uno strofinaccio. Occhi sbarrati, lo fissava con il mento tremante.
«Allora?» ruggì Alberto.
La ragazza scappò in cucina mugolando.
Seduta in soggiorno, Anna Carla sfogliava l’ultimo numero di Vogue «Vedo che sei di buon umore» disse senza alzare lo sguardo
«Evita, che oggi non è giornata» riempì mezzo bicchiere di wodka, la buttò giù e si diresse verso la scala «Vado a farmi una doccia».
«Tra dieci minuti si cena» disse lei.
«E chissene frega».
Alberto si sentiva una merda. Tutto era una merda. La sua vita, la casa e Anna Carla.
Lei, che i soldi li aveva sempre avuti, che non aveva mai avuto una preoccupazione per quanto era stupida. Perché l’aveva sposata?
Famiglia di rincoglioniti, a cominciare da Filippo, undici anni e già mezza checca. A calci in culo, vedi come lo raddrizzo. Minù, sei anni, botolo di lardo senza collo. Tre me ne ha fatti fare la stronza. Tre! E dire che le era venuto bene solo il primo, poteva fermarsi lì. Invece no, me lo faceva apposta.
Solo il primo le era venuto bene.
Al pensiero si rasserenò.
Carlo. Bello, aitante e canaglia. Tutto suo padre.
Scese le scale, entrò in sala da pranzo e andò a sedersi a capotavola con la faccia scura.
Amina andava e veniva dalla cucina tirando su col naso.
Lui la guardò «Che ha quella?»
Anna Carla si strinse nelle spalle.
«Imparasse a cucinare, piuttosto, che sta merda manco ai maiali» disse e a braccio teso, come fosse un remo, scaraventò tutto per terra.
Anna Carla strinse le labbra. Non disse niente. Si alzò.
«Venite, bambini. Andiamo a mangiare di là».
«Posso prendere la maionese?» disse Minù.
«No»
«Perché no?»
«Perché sei grassa» disse il padre « Come un maiale» fece un paio di grugniti e scoppiò a ridere.
«Non è vero!» urlò quella piangendo mentre la madre la portava via.
In quel momento entrò Amina, vide i cocci per terra e tornò con la scopa per raccoglierli.
«Signore?»
«Che c’è?»
«Adesso che siamo soli, vorrei parlarle».
«Che vuoi?»
«Sono incinta».
«Mi fa piacere» disse con sussiego «E chi è il fortunato?»
Amina sgranò gli occhi «Come chi è? Lei, signore».
Alberto tirò un gran respiro.
Aveva un mucchio di opzioni. Dalla più razionale Puoi dimostrarlo, puttanella? alla più sanguigna Non diciamo cazzate tuttavia, sfiancato dall’incalzare degli eventi, optò per la spiazzante «Ma ti pare il momento?».
La ragazza scoppiò a piangere e corse in cucina.
«Non ne vuole sapere, vero?»
Amina si girò si scatto. Il ragazzo, alto e secco come una pertica, si sporgeva dalla finestra a mezzo busto, ancora qualche centimetro e avrebbe potuto poggiare i gomiti sul bordo dell’acquaio.
«Vadim, che ci fai lì?» disse tra i singhiozzi «Non è un po’ tardi per curare il giardino?»
«Vuoi raccontarmi?»
«Dopo. Adesso vattene a casa».
«Mamma si preoccupa se ti vede così».
«Non mi vedrà così. Vai, metto in ordine e arrivo».
«Allora le dico che mia sorella è felice».
«Scemo! Fatti gli affari tuoi».
«Sono affari miei» disse con la faccia da uomo, che a diciassette anni cominciava a stargli giusta.
Lo disse con un tono che stava a significare un mucchio di cose, prima fra tutte che sulle questioni di sangue e rispetto c’era una legge sola.
«Ti faccio vedere una cosa» allungò il braccio stecco.
Amina guardò la lama lucente «È un machete».
«No, è una roncola. È più pesante del machete, più robusto e va bene per togliere di mezzo quello che non serve».
Si guardarono negli occhi per un momento.
«Vai adesso» disse lei.
«Mamma ha fatto il couscous. Ci ha lavorato per ore. Se fai tardi si arrabbia».
Notte stellata. Grilli canterini e profumo di gelsomini.
Con la sua Wodka bordo piscina, Alberto Vallecchi cercava di dimenticare quella giornata di merda.
E la partita che era stata la sua rovina.
Colore servito. Nessuno avrebbe resistito. Perse tutto.
L’omino con gli occhiali d’oro si avvicinò sorridendo «Non si scoraggi. C’è sempre una soluzione».
Gli offrì quel cartoncino come fosse il numero del dentista.
Fresh Service. Discrezione Efficienza.
«Lei ha una famiglia, come dire… abbiente. Io posso aspettare. Quando avrà risolto mi farà sapere».
Una folllia, non avrebbe dovuto nemmeno pensarci. Eppure.
In quel momento una voce impastata dal folto degli alberi «Papà!» era Carlo. Ubriaco marcio, che barcollava verso di lui.
«Hai fatto presto stasera. Cos’è, non te l’ha data?»
«Nina tette di marmo. Mesi che le sto appresso. La da a tutti meno che a me».
«Vacca precisa. Bevi una wodka con tuo padre?»
Gli riempì il bicchiere. Carlo l’annusò.
«Se non ti piace devi buttarla giù tutta d’un fiato. Credi che i Russi avessero la cannuccia?»
Riti da maschi.
«Chi si somiglia si piglia» sentenziò Alberto.
«Nel senso?»
«Segui il ragionamento, figliolo. Le donne sono tutte stronze. Mi segui?»
Carlo non capiva, ma annuì lo stesso.
« È una legge di natura» disse Alberto «Quindi per averle tutte o almeno quelle tutte che vuoi…»
«Devo essere stronzo».
«Esatto».
«Non sembra difficile».
«Infatti» Si girò verso il ragazzo, ma quello già russava come una motosega. Beata gioventù.
Una decina di metri più su, dalla finestra delle loro camerette Filippo e Minù li guardavano.
Avevano la faccia seria e forse si rigiravano tra le mani qualcosa che non avrebbero dovuto. Qualcosa come un cacciavite o un coltello, che per i bambini non era certo una cosa buona.
Qualcuno avrebbe potuto farsi male.
Anna Carla veleggiava per la cucina in accappatoio e turbante di spugna.
«Ti cerca la banca».
Lui fece la faccia stupita, ma sapeva benissimo perché: conto in rosso come un tramonto sul Bosforo, ma molto meno romantico, carte di credito bloccate, ipoteca sulla casa che valeva meno della carta igienica.
«Per il pranzo arrangiati» cinguettò «Passo dai miei, dicono che devono parlarmi».
Di bene in meglio. Il vecchio sicuramente sapeva tutto, l’aveva detto alla strega e adesso volevano snocciolare tutti i Te l’avevamo detto, ma tu niente. Devi prendere una decisione prima che sia troppo tardi.
No, lui doveva prendere una decisione. La marea di merda stava per sommergerlo.
Tirò fuori il cartoncino dalla tasca. Fresh Service.
Decise di farci un salto. Giusto un’occhiata per rendersi conto.
«Posso aiutarla?»
No, non se l’aspettava così.
Un angelo. Capelli ramati, pelle d’avorio, occhi smeraldini.
«Volevo solo…»
«Qualche informazione?».
«Sì…»
«Questa è la nostra brochure. Ci sono tutti i nostri servizi. Se le interessa qualcosa, in fondo c’è il numero per contattarci».
«No, posso dire fin da ora che sono interessato».
«Molto bene. Se ha la gentilezza di accomodarsi, appena possibile il nostro addetto alle Relazioni&Contratti la riceverà».
Gli indicò un salottino verde mela. Riviste di viaggi, uno schermo con video promozionali.
Se quello era l’Inferno, non sembrava poi tanto male.
«Signor Vallecchi, prego.»
Brizzolato, atletico, età indefinibile, sorriso accattivante.
Lo fece accomodare in un separè circondato dal plexiglass.
Dopo meno di dieci minuti era in strada soddisfatto e frastornato.
C’era una grossa lista d’attesa, chi l’avrebbe detto? Avrebbe dovuto aspettare, l’avrebbero contattato appena possibile.
E così Alberto Vallecchi aspettò.
Due giorni, tre, al parco come un pensionato rincoglionito, mentre tutti credevano fosse al lavoro.
Il quarto giorno, quando ormai pure i piccioni si erano stancati di girargli intorno, eccolo: il cellulare che vibra.
Era la segretaria smeraldina.
«È ancora interessato ai nostri servizi?»
«Certo»
«Bene. Allora domani alle 19.30 al Florian. Dica solo Fresh Service. C’è un tavolo per lei».
Ristorante di lusso, cena imperiale, vini d’annata.
Il brizzolato atletico accattivante, volle sapere tutti i perché e i percome.
«Non mi prenda per indiscreto, ma ho bisogno di capire quanto lei sia determinato ad andare fino in fondo. Capirà, sono cose delicate. Ne va della reputazione dell’Azienda».
Al dessert, crema catalana di rara delicatezza, il tipo gli mostrò un catalogo con modi e tariffe.
Lo fece tirando fuori un album rilegato in pelle. Col gesto elegante di chi ti mostra gli ultimi modelli di sneaker.
«Ha già qualche idea?»
No, non ce l’aveva. Ed è allora che il colloquio si fece più diretto. In fondo stavano parlando di far fuori una persona e i dettagli erano decisivi.
«Veleno? Incidente? Rapina a mano armata, in quel caso però, se la signora non esce da sola, dovrebbe esserci anche lei…»
I pro e i contro. Il tipo sapeva il fatto suo.
Lui avrebbe voluto qualcosa di sobrio, che non la facesse soffrire troppo. Un po’ di umanità, che diamine.
«Allora folgorazione. Con quella si risolverebbe tutto senza problemi. Prezzo contenuto poiché non ci sono materiali extra. Dovrebbe avere solo l’accortezza di non essere in casa, lo dico per lei. Inventi qualcosa, un viaggio di lavoro, o cose così. Vuole pensarci?»
«No. Meglio di no. È il genere di cose che…»
«Certo. Capisco.» il tipo era uno che capiva «Allora facciamo per…» tirò fuori l’agenda.
«No. Se non le dispiace preferirei non saperlo».
«Certo. Capisco. Mi faccia solo sapere quando intende partire».
«D’accordo». Fece per tirare fuori la carta di credito.
La mano vellutata lo bloccò «Le auguro una buona serata». La squisitezza.
Viaggio di lavoro, certo.
Alberto Vallecchi aveva passato il Rubicone. A breve avrebbe risolto tutti i suo problemi ma, inutile negarlo, la cosa gli dava una certa agitazione.
Ci voleva un bagno. Candeline profumate e tv sul canale sport. Tennis. Niente come il tennis per distendere i nervi.
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dall’acqua tiepida.
Poi lo strano silenzio. Lo strano rumore.
Nella dependance della villa, appena prima del cancello, Vadim cercava di consolare la sorella che non la smetteva di piangere.
«Non ti preoccupare, è tutto a posto».
Lei alzò gli occhi «Ti sei messo nei guai?»
Lui la guardò con la faccia che diceva senti chi parla
«Che hai fatto, Vadim? Dimmelo!»
Lui sospirò «Non ci pensare».
«Ci penso, invece. Ci manca solo che ti fai mettere dentro un’altra volta».
«Allora, visto che ti va di pensare, pensa che quello era una merda. La toccheresti tu la merda? No, ci giri intorno, stai attento a non sporcarti e tiri dritto. Questo si fa con la merda».
«E io invece non l’ho fatto!» disse e ricominciò a piangere.
«Perché sei cretina» le dolci parole della mamma.
Vadim guardava la sua roncola lucente. Le ha appena rifatto il filo e brillava come un gioiello.
Quattro e mezza. Notte stellata. Senza le luci era un vero spettacolo.
L’uomo in grigio pensò che un giorno avrebbe dovuto portarci Rosa. Senza andare troppo lontano. Sarebbe andato bene anche uno dei parchi in città, come facevano da fidanzati, sdraiati sul plaid che dopo cinque minuti si capiva che le stelle erano solo una scusa.
Dev’essere stata una di quelle sere che avevano fatto Danielina.
Mise la mano nello zaino, siamai si fosse dimenticato la radio. Sarebbe andato bene anche un fon, ma no, troppo rumore.
Aprì il cancello con il paspartout, percorse il vialetto, e vide il corpo nella piscina a faccia in giù. Non stava prendendo il fresco. E questo non andava bene.
Fece scorrere la vetrata, entrò in soggiorno. Dallo schermo al plasma, la D’urso sorrideva con le mani sul cuore. Sul divano candido la donna sembrava appisolata. Anche Rosa si appennicava con la D’Urso, però senza tutto quel sangue.
La donna non respirava. Qualcuno le aveva tagliato la gola. Nemmeno questo andava bene.
Salì le scale. Trovò la porta del bagno. Alberto Vallecchi era in ammollo. La testa troncata di netto, galleggiava con la bocca spalancata e lo sguardo vitreo. In mezzo alla schiuma, tra le ginocchia e i piedi, lo schermo di un altro televisore. La staffa che lo fissava al muro aveva ceduto. Roba elettrica sopra la vasca. Bisognava essere proprio coglioni. Ricchi e coglioni.
Ma il punto non era questo. Era tutto sbagliato. Il contratto non diceva questo.
Guardò il corpo nella vasca. Folgorato e decapitato. C’era bisogno di tutto quel putiferio?
Oppure.
Un pensiero odioso. Qui c’era passato Prezzolini. Il viscido.
E certo, quello non s’era mai saputo regolare e adesso, proprio l’ultimo giorno di servizio prima della pensione, voleva farlo passare per un vecchio così rincoglionito da sbagliare pure persona.
Volgare e pure stronzo.
Chiamò l’Agenzia.
«Lasci stare. Venga via».
«Ma la pratica…»
«Venga via. Non vorrà mica metterci un volantino con le promozioni autunno inverno».
Uomo spiritoso e intelligente. Con uno così il Prezzolini finiva in archivio. Ben gli sta.
«Piuttosto, mi raccomando domani, non si faccia aspettare».
Domani. Calici di plastica, spumantino, manate sulle spalle, Beato te che finalmente ti godi la libertà, il pacchettino con qualche cagata inutile, ma di pregio, il biglietto con le firme. Squallori aziendali.
«No, non si preoccupi» gli aveva letto nel pensiero «soltanto un saluto per ringraziarla di tanti anni di onorato servizio».
Si avviò per il corridoio. Una porta azzurrina, una sagoma di legno a forma di barca dei pirati e la scritta Filippo. Di fronte, una color ciclamino e una fatina con la scritta Minù. Le stanze dei bambini. Si affacciò. Dormivano come angioletti. Facile quando sono così piccoli, i problemi grossi arrivano dopo, lo sapeva bene con Danielina. È questa l’ora di tornare? La vita è mia. I vaffanculo dietro le porte sbattute. Non era padre da schiaffoni, ma certe volte…
Alle otto e mezza il caffè brontolava nella moca.
«Ma hai sentito?»
L’uomo in grigio tese la tazzina «No, sì… Che devo sapere?»
«Villa all’Olgiata, famiglia bene. Una carneficina».
L’uomo in grigio alzò le sopracciglia, mise due cucchiaini di zucchero e prese a girare il suo caffè.
«E lo sai che dicono? Che forse sono stati i figli più piccoli».
Lui scosse la testa come a dire roba da pazzi, che si deve sentire.
«Ciao, pà, ciao mà. Io vado». Danielina.
Lui la guardò uscire. Rossetto nero, scarpe da minatore e culo di fuori.
«Rosa, ma quella esce così?»
«E dai, è la festa di fine anno, mica la prima comunione».
«Vabbè, però…»