[Lab8] Una storia da riscrivere
Posted: Sun May 14, 2023 7:04 pm
“Non si vedono prospettive per la gioventù cubana”. Non mi piace.
“Cuba: Una perla in fondo al mare?” Che discorso è questo? Non so dove andrei a parare.
“Dopo la mitica visita di Obama del 2016 pare che niente sia cambiato”.
Ci mancava Obama. I cubani non hanno mai creduto alle sue promesse. É un vero dilemma iniziare questo pezzo. Davide mi ha ordinato di scriverlo secondo le sue linee editoriali; ho le sue parole che mi ronzano ancora dentro le orecchie.
“Niente romanticismo sul passato. Nessuna rappresentazione mitologica dell’epoca Castrista. Una storia senza eroi e vincitori. Metti da parte patriottismo, ideologie, e tira fuori un pezzo duro che finisca di incenerire quello che rimane del loro fottuto socialismo”.
La fa semplice, lui. Sono appena tornato dal viaggio e sento ancora l’aria calda che mi ha fatto sudare non poco. Duemila euro di spese tra volo e soggiorno low cost all’Avana, per scrivere della Cuba di oggi. Ed io cosa avrei dovuto trovarci? A detta di qualcuno che mi ha informato prima di muovermi, Il solito puttanaio folkloristico, città dalle solite facciate colorate, le vecchie Cadillac e Chevrolet degli anni sessanta. Sempre tutto molto Vintage.
“Ecco la Cuba di oggi che cerca la sua ispirazione. Archiviata l’epoca di Fidel, i giovani tentano la strada della digitalizzazione e… “
E poi? Neanche ce l’hanno un pc, uno smartphone, non c’è la rete per tutti, ancora. E se partissi dal viaggio in aereo? L’hostess che mi ha servito il Martini era una gnocca pazzesca: non potrei dimenticarla!
Ricominciamo d’accapo su questa maledetta introduzione...
“Dopo dieci ore e più di volo eccomi all’Avana, la terra accarezzata dall’equatore, dalla sabbia bianca e mare azzurro. Terra di palme e coltivazioni di canna da zucchero, caffè. Terra indomabile dal cuore duro e roccioso della Sierra Maestra.”
Così mi pare l’inizio di uno spot pubblicitario.. Merda! Potessi almeno infilarci qualcosa di politico, del tipo “la storia mi assolverà”. Sai quanto gliene fregherebbe a Davide di quello che disse Fidel nel 53 di fronte ai giudici dopo il fallito attacco alla caserma Moncada. Storia vecchia oramai, e che non interessa più a nessuno. E se partissi dal mio soggiorno? Quando sono arrivato in albergo mi sono gettato in doccia per togliermi di dosso i vestiti appiccicosi. Strano. Mi è piaciuta di più la sensazione di nudità che lo scivolare dell’acqua sulla pelle, la schiuma sui piedi del bagnoschiuma all’olio di argan. Sarà che la gente lì è poco vestita e si respira un’aria eccitante. Mi sono lasciato prendere dal piacere di stare nudo senza rendermi conto che dentro la stanza era entrata la cameriera. Sono uscito dalla doccia senza mettermi l’accappatoio: me la sono ritrovata di fronte all’improvviso. Che figura! Però lei è stata garbata, facendo finta di niente.
Benché le abbia detto che mi chiamo Raffaele, lei mi chiama “Lelito”, non capisco se lo faccia affettuosamente o per sfottermi.
L’ho incontrata verso l’inizio della sera, lungo la Plaza de Armas. Sono uscito per una breve passeggiata, dato che devo recuperare lo stress da fuso orario.
Mi accorgo di lei per caso, mentre chiacchiera con due amiche e guarda caso che fa? Con certi sorrisini maliziosi mi addita alle altre. Quando si accorge che anch’io la sto guardando, penso che si sia accorta che io abbia capito l’argomento tra di loro. Poi le due amiche la lasciano sola, appoggiata alla staccionata di un dehor. Lei rimane a guardarmi come se aspettasse che mi faccia avanti. “Hola! Ciao, come stai? Ti riprendi dal lavoro?”, faccio io.
“Si!” mi ha risposto, senza mostrarsi sorpresa del fatto che conosca la sua lingua.
Io sono invogliato a scrutarle gli occhi neri, in contrasto col bianco latte dei suoi denti, che mostra sorridendo e aprendo le carnose labbra.
“Sei qui per il mare e le ragazze, vero?”
“No! Per niente. Devo scrivere un pezzo sulla Cuba di oggi per la rivista per cui lavoro.
“Lavori per il Times?”
“Magari! Si chiama Capital world. Però i nostri lettori sono molto simili. Uomini e donne d’affari”.
“Pervertidos con mucho dinero”, risponde lei.
Faccio finta di non capire e le sparo la domanda a bruciapelo: “Cosa ne pensi della tua vita in questo posto? Cosa sta cambiando a Cuba da quando non ci sono più i fratelli Castro?”
Mi guarda sorpresa. “Che domande strane fai! Tutto il mondo sa come viviamo. Sei un giornalista, no? Dovresti saperlo. Forse siete solo morbosi: così si dice?”.
“Beh! Ci piace essere informati. La cosa è diversa!”.
“A sì! Non si usa più dalle vostre parti “fatti i cazzi tuoi?”
“Me li faccio tutti i giorni! Però mi spiace di questo pregiudizio”, rispondo sentendomi colpito e affondato. Ho cercato di assorbire il colpo e nascondere l’imbarazzo.
“Scommetto che il tuo capo ti ha dato l’incarico di parlare di noi e della nostra terra per dimostrare ai vostri ricchi lettori depravati quanto il capitalismo è meglio del socialismo”.
Mi sento perduto. Penso che questa donna mi legga dritto nella mente. Cerco di tirare qualche frecciatina anch’io: “Non mi pare che siate un popolo felice che sta bene, dopo cinquant’anni di embargo”.
“Ma che cazzo ne sai tu? Vieni qui a Cuba, ti metti palle all’aria, pensando che appena la cameriera mi vede mi salta addosso, e scopiamo alla grande e gli rifilo cinque euro”.
Non capisco il suo tono aspro, tutto mi sembra degenerare nell’incomprensione: “Guarda che ti sbagli”, rilancio.
“Non mi sbaglio per niente. Questa è l’idea che avete di noi. Quello che mi fa incazzare che nessuno vi cerca e voi continuate a dipingerci come l’esempio di un fallimento sociale.
Avete bisogno di dimostrare ai lavoratori che in fin dei conti siete dei benefattori e non degli sfruttatori. Far vedere come siamo ridotti noi è un modo per lavare la loro coscienza nera. Vedete come si finisce a credere in cose che non funzionano? A fare le puttane e prendere il sole dalla mattina alla sera senza fare un cazzo”.
Non so perché ma a questo punto mi è scattato l’embolo: “Ei, bella, hai mai provato a lamentarti con il tuo tanto amato Fidel?”
Lei è rimasta di sasso e ha spalancato gli occhi: mi ha preso a insulti: “Fottuto giornalista dei miei coglioni! Prima di parlare di Fidel lavati la bocca”.
Il tono della sua voce ha attirato l’attenzione dei passanti che si sono fermati e mi hanno guardato come se fossi un pezzente molestatore.
Intanto Concita si è allontanata mandandomi più volte affanculo e lasciandomi con la coda tra le gambe. Me ne sono tornato in albergo: serata rovinata.
La mattina seguente non esco di stanza: non vedo cosa serva uscire. Penso di aver capito cosa pensano le donne cubane. In effetti Concita non sbaglia a ritenere questo viaggio inutile. Appena mi sono messo a scrivere il pezzo come vuole Davide, ecco che si è ripresentata. L’ho guardata entrare disinvolta e con sottobraccio lenzuola e asciugamani di ricambio.
“Meno male che sei vestito. Non dovresti essere per le strade a fare le interviste”, mi chiede.
Ribatto con lo stesso tenore sarcastico: “Ne ho fatta una ieri sera che basta e avanza”.
“Te la sei cercata, caro mio”.
“Hai ragione, non ti preoccupare, non hai tutti i torti”.
E a questo punto che l’ho vista rasserenarsi e abbandonare quell’atteggiamento diffidente, dicendomi: “Senti un po’, se vuoi veramente sapere di noi, sono disposta a farti conoscere Esteban e gli altri”.
“Chi sarebbe questo? Un ex ragazzino che ha vissuto la revolucion a fianco del lider maximo?” Sorrido io.
“Che fai, sfotti? Se sei sincero, conoscerlo ti servirà. Io sono di riposo dopo pranzo e se vuoi…”
Ho accettato l’invito, più per togliermi di dosso l’etichetta che mi ha appioppato, che per l’utilità sul mio lavoro. Ho preso a noleggio la vecchia Mercedes parcheggiata nel piazzale e quando vado a prenderla, Concita è già lì che mi aspetta. “Bella e terribile”, così mi appare.
Usciamo dalla città in direzione porto. Lungo la strada non posso fare a meno di notare le navi ormeggiate che producono l’elettricità per tutta la città. Senza petrolio per far andare avanti le loro centrali, l’isola è in crisi energetica.
Dopo circa mezzora arriviamo al comune di Las Laias dove ho conosciuto Esteban e tanti altri cuentapropistas. Scopro così la nuova economia cubana dei riciclatori di rifiuti, nati a seguito della riforma economica voluta da Raùl Castro del 2011. Uno dei settori in cui si è buttata una nuova inedita piccola imprenditoria. In questo momento ci sono 5.800 “recuperatori” con tale licenza. E poi, Concita, mi ha portato a conoscere altre realtà in pieno sviluppo: quella della ecoagricoltura, della permacoltura, la fabbrica di Stato dello smartphone.
Verso l’imbrunire abbiamo fatto una sosta per mangiare qualcosa in uno dei tanti posti frequentati dagli stessi locali, senza l’ombra di un turista.
Lei mi ha presentato a tutti: “Questo è Lelito, un amico”. Abbiamo mangiato tranquilli su di un tavolo che a malapena stava in piedi. Ma l’atmosfera è calda e serena. Alla fine, Concita, si è scalzata e si è messa a ballare a ritmo di salsa, trascinando alcuni di loro.
Scopro che questa è la loro ricchezza. Una forma di socialità frutto della loro rivoluzione, che non si è mai disgregata e che sta dando vita alla rinascita di Cuba partendo dal basso.
Concita… Non ci siamo neanche salutati alla mia partenza il giorno dopo. Le ho lasciato cento euro e un biglietto sul tavolino della stanza con scritto “grazie”. Ho saputo che benché fa la cameriera si sta laureando.
Ed eccomi ancora qui. Con impresso i contrasti di colore di lei. Il bianco latte della polpa della noce di cocco, i suoi denti, e il noce scuro del guscio, la sua pelle. Il contrasto tra anima e quella ruvida dolcezza, tra dignità e umiltà. Colori che si mischiano fino a confondersi col l’azzurro del loro cielo e del mare. Tra la bianca sabbia delle spiagge.
Mi spiace dover scrivere quello che non penso, ne sono obbligato. Però, l’incipit mi pare giusto che sia questo. Vado deciso, questa volta.
Cuba: Una storia da riscrivere.
“Cuba: Una perla in fondo al mare?” Che discorso è questo? Non so dove andrei a parare.
“Dopo la mitica visita di Obama del 2016 pare che niente sia cambiato”.
Ci mancava Obama. I cubani non hanno mai creduto alle sue promesse. É un vero dilemma iniziare questo pezzo. Davide mi ha ordinato di scriverlo secondo le sue linee editoriali; ho le sue parole che mi ronzano ancora dentro le orecchie.
“Niente romanticismo sul passato. Nessuna rappresentazione mitologica dell’epoca Castrista. Una storia senza eroi e vincitori. Metti da parte patriottismo, ideologie, e tira fuori un pezzo duro che finisca di incenerire quello che rimane del loro fottuto socialismo”.
La fa semplice, lui. Sono appena tornato dal viaggio e sento ancora l’aria calda che mi ha fatto sudare non poco. Duemila euro di spese tra volo e soggiorno low cost all’Avana, per scrivere della Cuba di oggi. Ed io cosa avrei dovuto trovarci? A detta di qualcuno che mi ha informato prima di muovermi, Il solito puttanaio folkloristico, città dalle solite facciate colorate, le vecchie Cadillac e Chevrolet degli anni sessanta. Sempre tutto molto Vintage.
“Ecco la Cuba di oggi che cerca la sua ispirazione. Archiviata l’epoca di Fidel, i giovani tentano la strada della digitalizzazione e… “
E poi? Neanche ce l’hanno un pc, uno smartphone, non c’è la rete per tutti, ancora. E se partissi dal viaggio in aereo? L’hostess che mi ha servito il Martini era una gnocca pazzesca: non potrei dimenticarla!
Ricominciamo d’accapo su questa maledetta introduzione...
“Dopo dieci ore e più di volo eccomi all’Avana, la terra accarezzata dall’equatore, dalla sabbia bianca e mare azzurro. Terra di palme e coltivazioni di canna da zucchero, caffè. Terra indomabile dal cuore duro e roccioso della Sierra Maestra.”
Così mi pare l’inizio di uno spot pubblicitario.. Merda! Potessi almeno infilarci qualcosa di politico, del tipo “la storia mi assolverà”. Sai quanto gliene fregherebbe a Davide di quello che disse Fidel nel 53 di fronte ai giudici dopo il fallito attacco alla caserma Moncada. Storia vecchia oramai, e che non interessa più a nessuno. E se partissi dal mio soggiorno? Quando sono arrivato in albergo mi sono gettato in doccia per togliermi di dosso i vestiti appiccicosi. Strano. Mi è piaciuta di più la sensazione di nudità che lo scivolare dell’acqua sulla pelle, la schiuma sui piedi del bagnoschiuma all’olio di argan. Sarà che la gente lì è poco vestita e si respira un’aria eccitante. Mi sono lasciato prendere dal piacere di stare nudo senza rendermi conto che dentro la stanza era entrata la cameriera. Sono uscito dalla doccia senza mettermi l’accappatoio: me la sono ritrovata di fronte all’improvviso. Che figura! Però lei è stata garbata, facendo finta di niente.
Benché le abbia detto che mi chiamo Raffaele, lei mi chiama “Lelito”, non capisco se lo faccia affettuosamente o per sfottermi.
L’ho incontrata verso l’inizio della sera, lungo la Plaza de Armas. Sono uscito per una breve passeggiata, dato che devo recuperare lo stress da fuso orario.
Mi accorgo di lei per caso, mentre chiacchiera con due amiche e guarda caso che fa? Con certi sorrisini maliziosi mi addita alle altre. Quando si accorge che anch’io la sto guardando, penso che si sia accorta che io abbia capito l’argomento tra di loro. Poi le due amiche la lasciano sola, appoggiata alla staccionata di un dehor. Lei rimane a guardarmi come se aspettasse che mi faccia avanti. “Hola! Ciao, come stai? Ti riprendi dal lavoro?”, faccio io.
“Si!” mi ha risposto, senza mostrarsi sorpresa del fatto che conosca la sua lingua.
Io sono invogliato a scrutarle gli occhi neri, in contrasto col bianco latte dei suoi denti, che mostra sorridendo e aprendo le carnose labbra.
“Sei qui per il mare e le ragazze, vero?”
“No! Per niente. Devo scrivere un pezzo sulla Cuba di oggi per la rivista per cui lavoro.
“Lavori per il Times?”
“Magari! Si chiama Capital world. Però i nostri lettori sono molto simili. Uomini e donne d’affari”.
“Pervertidos con mucho dinero”, risponde lei.
Faccio finta di non capire e le sparo la domanda a bruciapelo: “Cosa ne pensi della tua vita in questo posto? Cosa sta cambiando a Cuba da quando non ci sono più i fratelli Castro?”
Mi guarda sorpresa. “Che domande strane fai! Tutto il mondo sa come viviamo. Sei un giornalista, no? Dovresti saperlo. Forse siete solo morbosi: così si dice?”.
“Beh! Ci piace essere informati. La cosa è diversa!”.
“A sì! Non si usa più dalle vostre parti “fatti i cazzi tuoi?”
“Me li faccio tutti i giorni! Però mi spiace di questo pregiudizio”, rispondo sentendomi colpito e affondato. Ho cercato di assorbire il colpo e nascondere l’imbarazzo.
“Scommetto che il tuo capo ti ha dato l’incarico di parlare di noi e della nostra terra per dimostrare ai vostri ricchi lettori depravati quanto il capitalismo è meglio del socialismo”.
Mi sento perduto. Penso che questa donna mi legga dritto nella mente. Cerco di tirare qualche frecciatina anch’io: “Non mi pare che siate un popolo felice che sta bene, dopo cinquant’anni di embargo”.
“Ma che cazzo ne sai tu? Vieni qui a Cuba, ti metti palle all’aria, pensando che appena la cameriera mi vede mi salta addosso, e scopiamo alla grande e gli rifilo cinque euro”.
Non capisco il suo tono aspro, tutto mi sembra degenerare nell’incomprensione: “Guarda che ti sbagli”, rilancio.
“Non mi sbaglio per niente. Questa è l’idea che avete di noi. Quello che mi fa incazzare che nessuno vi cerca e voi continuate a dipingerci come l’esempio di un fallimento sociale.
Avete bisogno di dimostrare ai lavoratori che in fin dei conti siete dei benefattori e non degli sfruttatori. Far vedere come siamo ridotti noi è un modo per lavare la loro coscienza nera. Vedete come si finisce a credere in cose che non funzionano? A fare le puttane e prendere il sole dalla mattina alla sera senza fare un cazzo”.
Non so perché ma a questo punto mi è scattato l’embolo: “Ei, bella, hai mai provato a lamentarti con il tuo tanto amato Fidel?”
Lei è rimasta di sasso e ha spalancato gli occhi: mi ha preso a insulti: “Fottuto giornalista dei miei coglioni! Prima di parlare di Fidel lavati la bocca”.
Il tono della sua voce ha attirato l’attenzione dei passanti che si sono fermati e mi hanno guardato come se fossi un pezzente molestatore.
Intanto Concita si è allontanata mandandomi più volte affanculo e lasciandomi con la coda tra le gambe. Me ne sono tornato in albergo: serata rovinata.
La mattina seguente non esco di stanza: non vedo cosa serva uscire. Penso di aver capito cosa pensano le donne cubane. In effetti Concita non sbaglia a ritenere questo viaggio inutile. Appena mi sono messo a scrivere il pezzo come vuole Davide, ecco che si è ripresentata. L’ho guardata entrare disinvolta e con sottobraccio lenzuola e asciugamani di ricambio.
“Meno male che sei vestito. Non dovresti essere per le strade a fare le interviste”, mi chiede.
Ribatto con lo stesso tenore sarcastico: “Ne ho fatta una ieri sera che basta e avanza”.
“Te la sei cercata, caro mio”.
“Hai ragione, non ti preoccupare, non hai tutti i torti”.
E a questo punto che l’ho vista rasserenarsi e abbandonare quell’atteggiamento diffidente, dicendomi: “Senti un po’, se vuoi veramente sapere di noi, sono disposta a farti conoscere Esteban e gli altri”.
“Chi sarebbe questo? Un ex ragazzino che ha vissuto la revolucion a fianco del lider maximo?” Sorrido io.
“Che fai, sfotti? Se sei sincero, conoscerlo ti servirà. Io sono di riposo dopo pranzo e se vuoi…”
Ho accettato l’invito, più per togliermi di dosso l’etichetta che mi ha appioppato, che per l’utilità sul mio lavoro. Ho preso a noleggio la vecchia Mercedes parcheggiata nel piazzale e quando vado a prenderla, Concita è già lì che mi aspetta. “Bella e terribile”, così mi appare.
Usciamo dalla città in direzione porto. Lungo la strada non posso fare a meno di notare le navi ormeggiate che producono l’elettricità per tutta la città. Senza petrolio per far andare avanti le loro centrali, l’isola è in crisi energetica.
Dopo circa mezzora arriviamo al comune di Las Laias dove ho conosciuto Esteban e tanti altri cuentapropistas. Scopro così la nuova economia cubana dei riciclatori di rifiuti, nati a seguito della riforma economica voluta da Raùl Castro del 2011. Uno dei settori in cui si è buttata una nuova inedita piccola imprenditoria. In questo momento ci sono 5.800 “recuperatori” con tale licenza. E poi, Concita, mi ha portato a conoscere altre realtà in pieno sviluppo: quella della ecoagricoltura, della permacoltura, la fabbrica di Stato dello smartphone.
Verso l’imbrunire abbiamo fatto una sosta per mangiare qualcosa in uno dei tanti posti frequentati dagli stessi locali, senza l’ombra di un turista.
Lei mi ha presentato a tutti: “Questo è Lelito, un amico”. Abbiamo mangiato tranquilli su di un tavolo che a malapena stava in piedi. Ma l’atmosfera è calda e serena. Alla fine, Concita, si è scalzata e si è messa a ballare a ritmo di salsa, trascinando alcuni di loro.
Scopro che questa è la loro ricchezza. Una forma di socialità frutto della loro rivoluzione, che non si è mai disgregata e che sta dando vita alla rinascita di Cuba partendo dal basso.
Concita… Non ci siamo neanche salutati alla mia partenza il giorno dopo. Le ho lasciato cento euro e un biglietto sul tavolino della stanza con scritto “grazie”. Ho saputo che benché fa la cameriera si sta laureando.
Ed eccomi ancora qui. Con impresso i contrasti di colore di lei. Il bianco latte della polpa della noce di cocco, i suoi denti, e il noce scuro del guscio, la sua pelle. Il contrasto tra anima e quella ruvida dolcezza, tra dignità e umiltà. Colori che si mischiano fino a confondersi col l’azzurro del loro cielo e del mare. Tra la bianca sabbia delle spiagge.
Mi spiace dover scrivere quello che non penso, ne sono obbligato. Però, l’incipit mi pare giusto che sia questo. Vado deciso, questa volta.
Cuba: Una storia da riscrivere.