[Lab8] E gli Uomini
Posted: Fri May 12, 2023 6:46 pm
Labocontest n. 8: Documentazione
Tema: Ricchezze
Nanziu e Clemente erano cresciuti assieme, le fattorie dei loro genitori erano adiacenti, separate da un piccolo cortile. Avevano la stessa età, ma Clemente era più gracile; fin da bambini Nanziu lo considerava come un fratello da proteggere e stavano sempre assieme. Quanto amavano andare a cavallo lungo la riva del mare! I loro cavalli sapevano nuotare e d’estate li facevano entrare in acqua. Clemente si spaventava, se fosse scivolato di sella non sapeva nuotare al contrario di Nanziu che rideva come un matto schizzandogli l’acqua addosso e recuperandogli il berretto che gli cadeva. Clemente sorrideva riconoscente.
― Tranquillo Clemè! ― gli diceva Nanziu. ― Ci sono io! Non avere paura!
Le navi carboniere si avvicinavano per caricare il carbone preparato dai boscaioli negli spazi liberi delle loro tanche, salutavano suonando la sirena e i due ragazzi rispondevano agitando i berretti. Clemente guardava le carboniere.
― Dove andranno, Nanziu?
― Oltre il mare.
― Sarà bello oltre il mare?
― Non lo so.
― Andremo un giorno a vedere?
― Non è mai venuto niente di buono dal mare per noi.
Passavano gli anni, sempre uguali, sempre belli per Nanziu e Clemente. Quante risate a girare la macina dell’uva, Clemente si stancava subito e Nanziu la girava anche per lui, ma senza farglielo pesare. Poi imparavano a dare gli ordini ai buoi aggiogati che trainavano l’aratro, manovrare a mano i piccoli vomeri laterali senza danneggiare i ceppi della vigna, perché era peccato perdere buon vino. La questione era di vitale importanza e i vecchi si arrabbiavano se estirpavi un ceppo per noncuranza o distrazione. Erano belle le sere radunati davanti al fuoco, le famiglie Sortales, Delugas e altre vicine, mentre le donne cuocevano il pane al forno e gli uomini raccontavano storie di uomini coraggiosi. Nanziu si sentiva crescere come uomo e immaginava che doveva essere così anche per Clemente, ma non osava chiedere. Si sapeva che doveva essere così. L’anno in cui entrambi ebbero questa consapevolezza, bella da una parte e paurosa dall’altra, fu il loro ultimo tempo felice in quel mondo.
Era scoppiata la guerra. Uomini che partivano, qualcuno che non tornava. C’era tristezza e timore nel paese e nelle tanche. Nanziu e Clemente non ci pensavano molto, erano ancora troppo giovani per partire in guerra. Erano nati nel 1899.
E poi come ogni anno ad agosto c’era la festa della Vergine Assunta, bisognava portare la statua della santa carica di rosari e catenine d’oro in processione per le vie intorno alla piccola chiesa bianca che dominava il mare, circondata da olivastri secolari. Is cunflarius (i confratelli) vestiti di bianco cantavano ritmando con le donne vestite di nero: ―Santa Maria mama de Deus, prega pro non attros peccadores… in s’ora de sa morte nostra…
Quanto faceva caldo nei vestiti della festa! Uomini a cavallo accompagnavano la Vergine sollevando nuvole di polvere aspra al respiro, mista all’odore acre del letame di cavallo, sparando in aria con i loro fucili in segno di saluto, urlando di gioia.
Clemente reggeva in spalla un braccio della portantina della Vergine, all’altro lato c’era Nanziu. Entrambi rossi e accaldati, grondavano sudore. Clemente sussultava per gli spari, Nanziu adocchiava le ragazze attaccate alle loro madri con i costumi della festa, i fazzoletti neri a rose rosse e gialle e le guance accese. A qualcuna sorrideva anche se la ragazza abbassava lo sguardo, poi ricambiandolo di nascosto, strattonata dalla madre.
Don Alfio camminava davanti alla Vergine, attorniato dai chierichetti, si accorgeva di tutta la storia e rallentava il passo facendo volteggiare il turibolo dell’incenso verso Nanziu e Clemente, soffocandoli di fumo, ma non lo faceva per cattiveria: si sa com’è la questione.
― Cantemus cun allerghia de sa Reina Maria, mama nostra…
(Cantiamo con allegria della Regina Maria, mamma nostra…)
I padri delle ragazze vedevano la scena attraverso il fumo che saliva dalle file di spiedi di capra in grandi fuochi situati in parte all’ombra degli olivastri, di uno in particolare, che aveva mille anni come la chiesa. Quando la processione stava per avvicinarsi si mettevano in posizione battendo come nulla fosse le fruste dei loro cavalli sui gambali della festa borchiati d’argento e impolverati, sorridendo sotto i baffoni mentre si toglievano il berretto segnandosi con la croce al passaggio della Vergine. Poi si voltavano, si scambiavano qualche battuta sui giovani galletti e ridevano fragorosamente, passandosi fiaschi di vinello leggero e fresco.
Dalla Guerra venivano brutte notizie. C’era stata una grande disfatta in un posto mai sentito, Caporetto, erano morti molti soldati e ne servivano altri. Le classi anziane già partite erano finite. Chiamarono quelli del 1899.
Bisognava andare oltre quel mare che li aveva sempre circondati e protetti. Quando fu il momento di salutare, le famiglie si radunarono nel cortile. Il vecchio Delugas nell’abbracciare Nanziu aveva le lacrime agli occhi, voleva dirgli qualcosa ma non ci riusciva, non voleva, non poteva.
Nanziu disse sottovoce: ― State tranquillo. Clemente è mio fratello. Veglierò su di lui.
Il vecchio Delugas aveva annuito con gli occhi pieni di lacrime.
Non era possibile che una nave fosse capace di strappare il cuore di un uomo, ma Nanziu sentì questo mentre vedeva la sua terra allontanarsi e sparire all’orizzonte, assieme all’odore dolce dei boschi. Era troppo arrabbiato.
Il colletto della divisa grigioverde stringeva il collo e le urla dei superiori erano insopportabili, i loro ordini incomprensibili.
― Come mai tutta la tua gente siete bassi e tu sei alto? ― chiese un giorno a Clemente un ufficialetto. Clemente guardava a terra senza rispondere, rispose Nanziu ― Anche io sono alto! In antico c’erano i giganti da noi! O non lo sai?
L’ufficialetto si adombrò.
― Devi darmi del lei, tanghero!
― Agli ordini di lei, tanghero!― rispose Nanziu, qualunque cosa significasse quella parola mai sentita.
Urla e consegna di rigore. Finito il breve addestramento partirono per il fronte, su delle lunghe tradotte. Nanziu e Clemente furono separati, destinati in reggimenti diversi. Era la prima volta che si lasciavano e il distacco non fu per niente facile. Dovettero lasciarsi.
Il fronte. In trincea.
Cammina basso. Mangia nella gavetta e nel fango. Bevete, questa è anice, si va all’assalto. Suona il fischietto, uscite! Filo spinato che ti taglia, striscia sotto. Le mitragliatrici falciano gli uomini come il grano! Andate avanti! Chi torna indietro sarà fucilato per codardia! Ma signor tenente: perché non passiamo ai fianchi della montagna, perché corriamo davanti alle mitragliatrici? Esegui gli ordini, soldato.
Di pattuglia nella terra di nessuno: mettere i piedi sulla schiena dei morti impastati nel fango, non sulle loro pance molli: scoppiano. Bravo soldato Sortales!
Abbiamo visto come fumi il sigaro di notte con la brace in bocca! I cecchini nemici non ti vedono! Insegnalo agli altri. Bravo soldato Sortales! Sai sparare molto bene, soldato Sortales!
Passarono mesi, Nanziu invecchiò di anni.
Quelle montagne di granito bianco assomigliavano alle montagne dell’orizzonte della sua tanca. Ma non erano quelle.
Un giorno ricevettero l’avvicendamento con un altro reparto e cominciarono a scendere incolonnati a valle, nelle retrovie. Transitarono nelle trincee di un battaglione dove c’era subbuglio, qualcuno si era ribellato. Una cinquantina di fanti si erano rifiutati di andare all’assalto in bocca alla mitragliatrici che li falciavano appena mettevano la testa fuori dalle trincee. Il loro comandante, un colonnello indignato, urlava: ― Decimazione! Non voglio sentire niente! Eseguo gli ordini io! Comando io! Decimazione!
Dai cinquanta ribelli furono estratti a sorte cinque soldati e condotti in un piccolo spiazzo, legati a dei pali.
Qualcuno suggerì al colonnello di usare come plotone d’esecuzione i fanti che andavano in retrovia; essendo di un altro battaglione non conoscevano quelli che dovevano fucilare, anche per non creare ulteriori malumori. L’idea fu accolta.
Nanziu stava in un angolo appoggiato al fucile, masticando svogliato un sigaro. Il suo capitano lo scelse per far parte dei cinque soldati del plotone d’esecuzione.
― Ognuno di voi avrà un solo bersaglio e voi siete i migliori tiratori. Non sbagliate.
Nanziu non era entusiasta, ma si mise in fila.
I condannati furono bendati, l’ultimo soldato a destra rifiutò la benda, quello che doveva fucilare Nanziu, e che iniziò a cantare con lo sguardo in alto ―Santa Maria mama de Deus, prega pro nos attros peccadores…
Anche Clemente era invecchiato.
Il capitano ordinò di far fuoco.
Cinque colpi echeggiarono nell’infinito, quattro uomini penzolarono avanti a capo chino, trattenuti dalle corde. Clemente era rimasto in piedi, Nanziu aveva sparato in alto.
Il colonnello urlò. ― Cosa succede? Chiedete a quel soldato perché non ha eseguito l’ordine!
Glielo chiesero, Nanziu non rispose.
― Esegui l’ordine figliolo! O sarai fucilato anche tu!
Clemente urlò ― Frade miu! Inongi ti deppìo accattare oe! Mischinu! (Fratello mio! Qui ti dovevo trovare oggi! Povero!)
Poi aggiunse, con voce imponente ― Faeddu tui! Morìmi tui frade miu! Assumancu tui bivas! (Fallo tu! Uccidimi tu fratello mio! Che almeno tu possa vivere!)
Nanziu gli puntò il fucile al cuore urlando ― Clemè! Oe torramus a dommu! Amos a essere in bonu mundu, chi Deus bolede! (Clemente! Oggi torniamo a casa! Saremo nel buon mondo se Dio vorrà!)
Clemente sorrise sollevando la testa al cielo. Tra poco sarebbero tornati a casa, avrebbero visto la Madre, la Figlia e la Sposa del loro Signore.
Riprese a cantare ― Cantemus cun allerghìa de sa Reina Maria, mama nostra…
Un colpo di moschetto risuonò sulle montagne.
Poi un secondo colpo.
https://www.vistanet.it/cagliari/2023/01/19/lo-sapevate-durante-la-prima-guerra-mondiale-i-militari-sardi-erano-i-piu-temuti-dai-nemici-austriaci/
https://www.conlabrigatasassari.sardinia.it/OLIVA.HTM
https://www.saporidisiciliamagazine.it/2018/11/il-rancio-dei-soldati-nella-grande-guerra-e-lunificazione-gastronomica/
https://cinecitta.com/IT/it-it/news/45/8744/disertori-e-ribelli-nella-grande-guerra.aspx
https://www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/I-guerra-mondiale-Gli-ammutinati-delle-trincee-03611d07-931a-494d-9c1b-7c144a9323d7.html
https://lascuolafanotizia.it/2021/04/19/i-disertori-italiani-della-grande-guerra/
https://www.artegrandeguerra.it/2013/04/1917-lanno-delle-decimazioni.html
bibliografia
Tema: Ricchezze
E gli Uomini
In paese i più vecchi ricordavano ancora Ignazio (Nanziu) Sortales e Clemente Delugas, due ragazzi belli e alti più di tutti i loro coetanei, che vivevano con le famiglie nelle tanche davanti al mare. Erano partiti per la Grande Guerra e non erano più tornati.Nanziu e Clemente erano cresciuti assieme, le fattorie dei loro genitori erano adiacenti, separate da un piccolo cortile. Avevano la stessa età, ma Clemente era più gracile; fin da bambini Nanziu lo considerava come un fratello da proteggere e stavano sempre assieme. Quanto amavano andare a cavallo lungo la riva del mare! I loro cavalli sapevano nuotare e d’estate li facevano entrare in acqua. Clemente si spaventava, se fosse scivolato di sella non sapeva nuotare al contrario di Nanziu che rideva come un matto schizzandogli l’acqua addosso e recuperandogli il berretto che gli cadeva. Clemente sorrideva riconoscente.
― Tranquillo Clemè! ― gli diceva Nanziu. ― Ci sono io! Non avere paura!
Le navi carboniere si avvicinavano per caricare il carbone preparato dai boscaioli negli spazi liberi delle loro tanche, salutavano suonando la sirena e i due ragazzi rispondevano agitando i berretti. Clemente guardava le carboniere.
― Dove andranno, Nanziu?
― Oltre il mare.
― Sarà bello oltre il mare?
― Non lo so.
― Andremo un giorno a vedere?
― Non è mai venuto niente di buono dal mare per noi.
Passavano gli anni, sempre uguali, sempre belli per Nanziu e Clemente. Quante risate a girare la macina dell’uva, Clemente si stancava subito e Nanziu la girava anche per lui, ma senza farglielo pesare. Poi imparavano a dare gli ordini ai buoi aggiogati che trainavano l’aratro, manovrare a mano i piccoli vomeri laterali senza danneggiare i ceppi della vigna, perché era peccato perdere buon vino. La questione era di vitale importanza e i vecchi si arrabbiavano se estirpavi un ceppo per noncuranza o distrazione. Erano belle le sere radunati davanti al fuoco, le famiglie Sortales, Delugas e altre vicine, mentre le donne cuocevano il pane al forno e gli uomini raccontavano storie di uomini coraggiosi. Nanziu si sentiva crescere come uomo e immaginava che doveva essere così anche per Clemente, ma non osava chiedere. Si sapeva che doveva essere così. L’anno in cui entrambi ebbero questa consapevolezza, bella da una parte e paurosa dall’altra, fu il loro ultimo tempo felice in quel mondo.
Era scoppiata la guerra. Uomini che partivano, qualcuno che non tornava. C’era tristezza e timore nel paese e nelle tanche. Nanziu e Clemente non ci pensavano molto, erano ancora troppo giovani per partire in guerra. Erano nati nel 1899.
E poi come ogni anno ad agosto c’era la festa della Vergine Assunta, bisognava portare la statua della santa carica di rosari e catenine d’oro in processione per le vie intorno alla piccola chiesa bianca che dominava il mare, circondata da olivastri secolari. Is cunflarius (i confratelli) vestiti di bianco cantavano ritmando con le donne vestite di nero: ―Santa Maria mama de Deus, prega pro non attros peccadores… in s’ora de sa morte nostra…
Quanto faceva caldo nei vestiti della festa! Uomini a cavallo accompagnavano la Vergine sollevando nuvole di polvere aspra al respiro, mista all’odore acre del letame di cavallo, sparando in aria con i loro fucili in segno di saluto, urlando di gioia.
Clemente reggeva in spalla un braccio della portantina della Vergine, all’altro lato c’era Nanziu. Entrambi rossi e accaldati, grondavano sudore. Clemente sussultava per gli spari, Nanziu adocchiava le ragazze attaccate alle loro madri con i costumi della festa, i fazzoletti neri a rose rosse e gialle e le guance accese. A qualcuna sorrideva anche se la ragazza abbassava lo sguardo, poi ricambiandolo di nascosto, strattonata dalla madre.
Don Alfio camminava davanti alla Vergine, attorniato dai chierichetti, si accorgeva di tutta la storia e rallentava il passo facendo volteggiare il turibolo dell’incenso verso Nanziu e Clemente, soffocandoli di fumo, ma non lo faceva per cattiveria: si sa com’è la questione.
― Cantemus cun allerghia de sa Reina Maria, mama nostra…
(Cantiamo con allegria della Regina Maria, mamma nostra…)
I padri delle ragazze vedevano la scena attraverso il fumo che saliva dalle file di spiedi di capra in grandi fuochi situati in parte all’ombra degli olivastri, di uno in particolare, che aveva mille anni come la chiesa. Quando la processione stava per avvicinarsi si mettevano in posizione battendo come nulla fosse le fruste dei loro cavalli sui gambali della festa borchiati d’argento e impolverati, sorridendo sotto i baffoni mentre si toglievano il berretto segnandosi con la croce al passaggio della Vergine. Poi si voltavano, si scambiavano qualche battuta sui giovani galletti e ridevano fragorosamente, passandosi fiaschi di vinello leggero e fresco.
Dalla Guerra venivano brutte notizie. C’era stata una grande disfatta in un posto mai sentito, Caporetto, erano morti molti soldati e ne servivano altri. Le classi anziane già partite erano finite. Chiamarono quelli del 1899.
Bisognava andare oltre quel mare che li aveva sempre circondati e protetti. Quando fu il momento di salutare, le famiglie si radunarono nel cortile. Il vecchio Delugas nell’abbracciare Nanziu aveva le lacrime agli occhi, voleva dirgli qualcosa ma non ci riusciva, non voleva, non poteva.
Nanziu disse sottovoce: ― State tranquillo. Clemente è mio fratello. Veglierò su di lui.
Il vecchio Delugas aveva annuito con gli occhi pieni di lacrime.
Non era possibile che una nave fosse capace di strappare il cuore di un uomo, ma Nanziu sentì questo mentre vedeva la sua terra allontanarsi e sparire all’orizzonte, assieme all’odore dolce dei boschi. Era troppo arrabbiato.
Il colletto della divisa grigioverde stringeva il collo e le urla dei superiori erano insopportabili, i loro ordini incomprensibili.
― Come mai tutta la tua gente siete bassi e tu sei alto? ― chiese un giorno a Clemente un ufficialetto. Clemente guardava a terra senza rispondere, rispose Nanziu ― Anche io sono alto! In antico c’erano i giganti da noi! O non lo sai?
L’ufficialetto si adombrò.
― Devi darmi del lei, tanghero!
― Agli ordini di lei, tanghero!― rispose Nanziu, qualunque cosa significasse quella parola mai sentita.
Urla e consegna di rigore. Finito il breve addestramento partirono per il fronte, su delle lunghe tradotte. Nanziu e Clemente furono separati, destinati in reggimenti diversi. Era la prima volta che si lasciavano e il distacco non fu per niente facile. Dovettero lasciarsi.
Il fronte. In trincea.
Cammina basso. Mangia nella gavetta e nel fango. Bevete, questa è anice, si va all’assalto. Suona il fischietto, uscite! Filo spinato che ti taglia, striscia sotto. Le mitragliatrici falciano gli uomini come il grano! Andate avanti! Chi torna indietro sarà fucilato per codardia! Ma signor tenente: perché non passiamo ai fianchi della montagna, perché corriamo davanti alle mitragliatrici? Esegui gli ordini, soldato.
Di pattuglia nella terra di nessuno: mettere i piedi sulla schiena dei morti impastati nel fango, non sulle loro pance molli: scoppiano. Bravo soldato Sortales!
Abbiamo visto come fumi il sigaro di notte con la brace in bocca! I cecchini nemici non ti vedono! Insegnalo agli altri. Bravo soldato Sortales! Sai sparare molto bene, soldato Sortales!
Passarono mesi, Nanziu invecchiò di anni.
Quelle montagne di granito bianco assomigliavano alle montagne dell’orizzonte della sua tanca. Ma non erano quelle.
Un giorno ricevettero l’avvicendamento con un altro reparto e cominciarono a scendere incolonnati a valle, nelle retrovie. Transitarono nelle trincee di un battaglione dove c’era subbuglio, qualcuno si era ribellato. Una cinquantina di fanti si erano rifiutati di andare all’assalto in bocca alla mitragliatrici che li falciavano appena mettevano la testa fuori dalle trincee. Il loro comandante, un colonnello indignato, urlava: ― Decimazione! Non voglio sentire niente! Eseguo gli ordini io! Comando io! Decimazione!
Dai cinquanta ribelli furono estratti a sorte cinque soldati e condotti in un piccolo spiazzo, legati a dei pali.
Qualcuno suggerì al colonnello di usare come plotone d’esecuzione i fanti che andavano in retrovia; essendo di un altro battaglione non conoscevano quelli che dovevano fucilare, anche per non creare ulteriori malumori. L’idea fu accolta.
Nanziu stava in un angolo appoggiato al fucile, masticando svogliato un sigaro. Il suo capitano lo scelse per far parte dei cinque soldati del plotone d’esecuzione.
― Ognuno di voi avrà un solo bersaglio e voi siete i migliori tiratori. Non sbagliate.
Nanziu non era entusiasta, ma si mise in fila.
I condannati furono bendati, l’ultimo soldato a destra rifiutò la benda, quello che doveva fucilare Nanziu, e che iniziò a cantare con lo sguardo in alto ―Santa Maria mama de Deus, prega pro nos attros peccadores…
Anche Clemente era invecchiato.
Il capitano ordinò di far fuoco.
Cinque colpi echeggiarono nell’infinito, quattro uomini penzolarono avanti a capo chino, trattenuti dalle corde. Clemente era rimasto in piedi, Nanziu aveva sparato in alto.
Il colonnello urlò. ― Cosa succede? Chiedete a quel soldato perché non ha eseguito l’ordine!
Glielo chiesero, Nanziu non rispose.
― Esegui l’ordine figliolo! O sarai fucilato anche tu!
Clemente urlò ― Frade miu! Inongi ti deppìo accattare oe! Mischinu! (Fratello mio! Qui ti dovevo trovare oggi! Povero!)
Poi aggiunse, con voce imponente ― Faeddu tui! Morìmi tui frade miu! Assumancu tui bivas! (Fallo tu! Uccidimi tu fratello mio! Che almeno tu possa vivere!)
Nanziu gli puntò il fucile al cuore urlando ― Clemè! Oe torramus a dommu! Amos a essere in bonu mundu, chi Deus bolede! (Clemente! Oggi torniamo a casa! Saremo nel buon mondo se Dio vorrà!)
Clemente sorrise sollevando la testa al cielo. Tra poco sarebbero tornati a casa, avrebbero visto la Madre, la Figlia e la Sposa del loro Signore.
Riprese a cantare ― Cantemus cun allerghìa de sa Reina Maria, mama nostra…
Un colpo di moschetto risuonò sulle montagne.
Poi un secondo colpo.
https://www.vistanet.it/cagliari/2023/01/19/lo-sapevate-durante-la-prima-guerra-mondiale-i-militari-sardi-erano-i-piu-temuti-dai-nemici-austriaci/
https://www.conlabrigatasassari.sardinia.it/OLIVA.HTM
https://www.saporidisiciliamagazine.it/2018/11/il-rancio-dei-soldati-nella-grande-guerra-e-lunificazione-gastronomica/
https://cinecitta.com/IT/it-it/news/45/8744/disertori-e-ribelli-nella-grande-guerra.aspx
https://www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/I-guerra-mondiale-Gli-ammutinati-delle-trincee-03611d07-931a-494d-9c1b-7c144a9323d7.html
https://lascuolafanotizia.it/2021/04/19/i-disertori-italiani-della-grande-guerra/
https://www.artegrandeguerra.it/2013/04/1917-lanno-delle-decimazioni.html
bibliografia