[Lab8] Io mi ricordo...
Posted: Thu May 11, 2023 1:48 am
Labocontest nr 8: Documentazione
Tema: Ricchezze
Il suo nome e cognome: Le uniche due parole che abbia mai saputo scrivere erano la sua firma.
Mia nonna raccontava con orgoglio quando, per avere la tessera annonaria per il pane e lo zucchero, passò una settimana a provare e riprovare finché non imparò a scrivere il suo nome.
Nonna Pia era una miniera di ricordi, che io considero diamanti… Sono nascosti in un cassetto segreto e ogni tanto mi tornano in mente.
L’erba cotta
Una volta mi disse, nel suo pittoresco dialetto che ormai ho dimenticato.
— Vieni, andiamo a raccogliere l’erba. — Eravamo nel mese di Marzo, una tiepida giornata di sole, il prato era in piena vegetazione; io cominciai a raccogliere fiori ma lei mi chiamò subito vicino a sé. — Che fai? Lascia stare i fiori che poi seccano e li devi buttare. Guarda qui! Solo in questo spazio tra me e te posso contare almeno venti tipi di erbe e quasi tutte buone da mangiare.
— Anche i papaveri? — Colsi il fiore e lo sventolai nell’aria.
— Anche quelli, nel periodo giusto però, prima della fioritura. Sai cosa davo da mangiare ai tuoi zii in tempo di guerra? — Stava china, con un coltello recideva le radichette appena sotto la terra, puliva bene la piantina e la metteva in un canestro. Mi accucciai vicino a lei, mi piaceva guardare i suoi occhi mentre raccontava. — No, non lo so, — mi tenni le ginocchia tra le braccia e alzai lo sguardo verso il suo viso.
— Gli davo lupini e crusca macinati e l’erba cotta non mancava mai, per fortuna io sapevo quali erbe si possono mangiare, altrimenti saremmo morti di fame quella volta.
— Quale volta?—
— Quella volta che c’era la guerra. Ma la guerra, figlia mia, non finisce mai, adesso qui non c’è, sta da un’altra parte. Ma quella fa il giro del mondo e poi ritorna.
È così dai tempi di Giuda. Lascia stare i fiori, impara a riconoscere le erbe, i funghi, la frutta selvatica, come accendere un fuoco…
Si sedette a terra, si tolse il fazzoletto dal capo e lo mise sull’erba.
— Siedi qui che te la racconto. — Il sole ci scaldava la schiena, il suono della sua voce accese la mia mente.
— Lo sai, vero, che tuo nonno ha paura del buio?— mi guardò dritta negli occhi. — No. Non lo sai, ma tu non dirgli che te l’ho detto, altrimenti saranno guai. Comunque per noi è stata una fortuna…
— Perché una fortuna, nonna?
— Questa è una storia un po’ triste, ma non preoccuparti, è finita bene.
Ero affascinata dai suoi modi, dalla serenità che trasmetteva. Si pettinava con una complicata acconciatura di trecce e a me sembrava che lei venisse da un altro mondo. Io non dissi niente e lei cominciò.
Il ricovero Boffi
— Era il ventuno gennaio, un freddo faceva… A contrada Cigliolo, dove stavamo noi, le bombe non arrivarono subito, per fortuna. Di giorno e di notte sentivamo i boati, il rombo cupo delle fortezze volanti e quello frizzante delle traccianti. Dall’orto, si vedeva tutta la pianura, Velletri in rovina e le colonne di fumo. A volte si sentivano le sirene che urlavano in città e subito gli aerei arrivavano a decine, fitti fitti come gli storni; il cielo si faceva scuro e dopo aver sganciato le bombe facevano inversione proprio sopra le vigne, a ridosso dell'Artemisio e tornavano verso il mare.
Le notizie che arrivavano insieme agli sfollati erano terribili.
I tedeschi erano il male minore: loro non ti cadevano sulla testa ma rubavano nelle vigne, davano fastidio alle donne, uccidevano chi si rifiutava di collaborare…
Da qualche giorno si era sparsa la voce che Velletri sarebbe stata rasa al suolo dagli alleati, sai? Quelli che ci hanno liberato. Ancora adesso non capisco perché per cacciare via i tedeschi hanno massacrato tanti civili e distrutto una città così bella.
Tutti avevano paura, La stazione dei treni era stata bombardata, erano morte delle persone, chi poteva, lasciava la città. Noi delle vigne ci sentivamo protetti, ma nessun posto era sicuro. Nella vigna vicina alla nostra c’era il comando tedesco, in altre stavano installando le contraeree, come si poteva stare tranquilli?
Io volevo andare a casa di mia madre e mio padre, riconciliarmi con loro: non avevano accettato che mi fossi sposata con un vignaiolo; erano commercianti da generazioni. Vivevano in città e non erano mai stati da noi, nonostante avessi già cinque figli. Per questo volevo andare da loro, in caso di pericolo, avrei potuto stargli vicino. A palazzo Boffi erano state aperte le cantine i sotterranei e le grotte per il vino, speravo che nel bisogno tutto si sarebbe appianato, e invece… Tuo nonno diceva che un posto valeva l’altro, c’era la grotta di sua sorella Adelina, che era abbastanza grande e vicino a casa nostra.
Quella mattina lui usci per andare all’osteria in cerca di notizie, a volte padre Laracca, che aveva una radio, diffondeva notizie sicure. Il tempo passava, mi aspettavo che tornasse a casa prima di mezzogiorno; i tuoi zii, tutti piccoli, avevano fame e lui non tornava. L’allarme aveva suonato e mi sentivo in petto una pena… Maria, la più grande, sapeva badare ai fratelli, così decisi di andargli incontro sulla via del ritorno. All’improvviso sbucò dalla curva Adalgisa, la figlia di Corrado; veniva dalla strada del mulino Agostinelli, correva con le mani nei capelli e urlava, chiamava la Madonna e chiedeva aiuto. Capii da ciò che diceva che Il mulino e l’osteria erano stati bombardati. Non mi sentii più le gambe, la donna mi superò e io dovetti sedermi per terra per non cadere svenuta; poi, tra le lacrime, che avevano cominciato a bagnarmi le guance, lo vidi risalire la via: sembrava un fantasma, bianco come un foglio di carta e coperto di polvere dalla testa ai piedi. Quando mi raggiunse mi disse che dovevamo andare via da casa, gli americani avevano cominciato a bombardare le vigne dove c’erano i tedeschi: dovevamo scappare. Non feci in tempo nemmeno a dirgli che l’avevo creduto morto, i bambini stavano soli e i ricognitori non smettevano di girare sopra la zona: corremmo di corsa a casa.
— Voglio andare al ricovero Boffi, — gli dissi, lui mi rispose se ero mica matta.
— Andare al centro di Velletri col pericolo di essere sorpresi sotto il fuoco dei mitragliatori prima di arrivare.
Mi misi a piangere. Ah, ma lui niente!
— Andiamo da mia sorella Adelina, c’è posto per tutti nella sua grotta. Io i miei figli a morire come i topi, in un buco buio, non ce li porto.
— E io non vengo da tua sorella! — Risposi mentre singhiozzavo, speravo che cedesse e che ci portasse tutti a palazzo Boffi. Ah, se era testardo!
Alla fine restammo a casa. Quella notte sentimmo le bombe, verso la mezzanotte, il rumore non finiva mai.
La pena per la gente che stava in paese, per la mia famiglia, il terrore che provavo al pensiero che le bombe prima o poi sarebbero arrivate anche sopra la nostra testa non mi fecero dormire.
Il giorno dopo, il ventidue Gennaio, era un sabato. Tuo nonno ci raccomandò di non uscire per nessun motivo fino a che non fosse tornato a casa. Poco dopo la sirena cominciò a urlare, stavolta la gente delle vigne si mosse: file di contadini correvano verso luoghi più sicuri, cantine, grotte… Tuo nonno tornò indietro, la sirena ancora urlava, il rombo nel cielo era come un tuono infinito.
— Sono arrivati! Lo stanno dicendo tutti! Gli americani sono sbarcati ad Anzio.
Prendemmo i bambini, un sacchetto di patate, una pentola e andammo sulla via di fonte Marcaccia. In mezzo alla macchia, non riuscivamo a vedere gli aerei ma dovevano essere centinaia. Più ci allontanavamo dal rumore e più la pena mi strappava il cuore.
Salivamo a bordo del sentiero, seguivamo i passi di nonno Enrico, tutti in fila senza un lamento: lui teneva Rolando sulle spalle e io, con Vittorio in braccio, tenevo la pentola, Maria portava il sacchetto di patate sulla testa e teneva la mano a Mirella, Marcello camminava dietro a suo padre imitandone i gesti.
Abbiamo camminato nella macchia fino a non poterne più. Sotto una grosso albero c'era uno sperone di roccia: abbiamo scavato lì sotto per fare un riparo per i bambini ma il freddo ci faceva battere i denti. Un ricognitore cominciò a ronzare proprio sopra di noi; non potevamo nemmeno accendere un fuoco, stavamo stretti e scomodi, in più eravamo affamati. Nonno era preoccupato. Continuava a girare in tondo per scaldarsi, né lui né io sapevamo cosa fare.
— Qua non si può stare. — Gli dissi. Era arrabbiato perché mi ero rifiutata di rifugiarci da sua sorella.
— Andiamo su alla fontana, cuciniamo le patate, vediamo di mangiare qualcosa. —
— Vacci tu!— risposi, — dovevamo andare al ricovero Boffi. — Ma lo seguii con tutti i figli attaccati alla gonna.
Il sole era alto quando arrivammo alla sorgente, doveva essere passata l’una, mangiammo le patate lesse e poi i bambini si addormentarono sfiniti. Nonno stava di guardia, pronto a spegnere il fuoco al minimo rumore.
Nel tardo pomeriggio ci rimettemmo in cammino, non potevamo passare la notte in quel posto senza cibo e senza vestiti buoni per l’inverno.
Quando arrivammo, davanti alla nostra casa c’era un gruppetto di gente. Appena ci videro arrivare alzarono le braccia al cielo.
— Eccoli! Adelina, eccoli sono tornati. — La sorella di mio marito si sentì male, Natale la sorreggeva, e sua moglie la sventolava sul viso con la sua parannanza. Nonno corse in casa, prese una sedia e un bicchiere d’acqua.
Adelina si riprese subito, ci spiegò che Il ricovero Boffi, dove lei credeva che noi fossimo andati, era crollato sotto i bombardamenti. Aveva sepolto più di trecento persone.
Mia cognata, poverina, ci aveva creduto morti sotto le macerie. Io tremai per i miei familiari ma per fortuna mi dissero che avevano sfollato anche loro nelle vigne.
Alla fine andammo a stare da Adelina fino all’arrivo degli Alleati a Velletri. Restammo da lei per quasi cinque mesi.
Non sempre le cose sono come ti sembrano
Adesso raccogliamo un po’ d’erba, la prossima volta ti racconto di quando nonno Enrico prese in pieno petto un pacchetto di sigarette americane. Quasi morì di paura quella volta: pensò che il soldato americano gli avesse lanciato una bomba a mano; restò nella grotta di Adelina per due giorni, senza parlare.
Tema: Ricchezze
Io mi ricordo…
Il suo nome e cognome: Le uniche due parole che abbia mai saputo scrivere erano la sua firma.
Mia nonna raccontava con orgoglio quando, per avere la tessera annonaria per il pane e lo zucchero, passò una settimana a provare e riprovare finché non imparò a scrivere il suo nome.
Nonna Pia era una miniera di ricordi, che io considero diamanti… Sono nascosti in un cassetto segreto e ogni tanto mi tornano in mente.
L’erba cotta
Una volta mi disse, nel suo pittoresco dialetto che ormai ho dimenticato.
— Vieni, andiamo a raccogliere l’erba. — Eravamo nel mese di Marzo, una tiepida giornata di sole, il prato era in piena vegetazione; io cominciai a raccogliere fiori ma lei mi chiamò subito vicino a sé. — Che fai? Lascia stare i fiori che poi seccano e li devi buttare. Guarda qui! Solo in questo spazio tra me e te posso contare almeno venti tipi di erbe e quasi tutte buone da mangiare.
— Anche i papaveri? — Colsi il fiore e lo sventolai nell’aria.
— Anche quelli, nel periodo giusto però, prima della fioritura. Sai cosa davo da mangiare ai tuoi zii in tempo di guerra? — Stava china, con un coltello recideva le radichette appena sotto la terra, puliva bene la piantina e la metteva in un canestro. Mi accucciai vicino a lei, mi piaceva guardare i suoi occhi mentre raccontava. — No, non lo so, — mi tenni le ginocchia tra le braccia e alzai lo sguardo verso il suo viso.
— Gli davo lupini e crusca macinati e l’erba cotta non mancava mai, per fortuna io sapevo quali erbe si possono mangiare, altrimenti saremmo morti di fame quella volta.
— Quale volta?—
— Quella volta che c’era la guerra. Ma la guerra, figlia mia, non finisce mai, adesso qui non c’è, sta da un’altra parte. Ma quella fa il giro del mondo e poi ritorna.
È così dai tempi di Giuda. Lascia stare i fiori, impara a riconoscere le erbe, i funghi, la frutta selvatica, come accendere un fuoco…
Si sedette a terra, si tolse il fazzoletto dal capo e lo mise sull’erba.
— Siedi qui che te la racconto. — Il sole ci scaldava la schiena, il suono della sua voce accese la mia mente.
— Lo sai, vero, che tuo nonno ha paura del buio?— mi guardò dritta negli occhi. — No. Non lo sai, ma tu non dirgli che te l’ho detto, altrimenti saranno guai. Comunque per noi è stata una fortuna…
— Perché una fortuna, nonna?
— Questa è una storia un po’ triste, ma non preoccuparti, è finita bene.
Ero affascinata dai suoi modi, dalla serenità che trasmetteva. Si pettinava con una complicata acconciatura di trecce e a me sembrava che lei venisse da un altro mondo. Io non dissi niente e lei cominciò.
Il ricovero Boffi
— Era il ventuno gennaio, un freddo faceva… A contrada Cigliolo, dove stavamo noi, le bombe non arrivarono subito, per fortuna. Di giorno e di notte sentivamo i boati, il rombo cupo delle fortezze volanti e quello frizzante delle traccianti. Dall’orto, si vedeva tutta la pianura, Velletri in rovina e le colonne di fumo. A volte si sentivano le sirene che urlavano in città e subito gli aerei arrivavano a decine, fitti fitti come gli storni; il cielo si faceva scuro e dopo aver sganciato le bombe facevano inversione proprio sopra le vigne, a ridosso dell'Artemisio e tornavano verso il mare.
Le notizie che arrivavano insieme agli sfollati erano terribili.
I tedeschi erano il male minore: loro non ti cadevano sulla testa ma rubavano nelle vigne, davano fastidio alle donne, uccidevano chi si rifiutava di collaborare…
Da qualche giorno si era sparsa la voce che Velletri sarebbe stata rasa al suolo dagli alleati, sai? Quelli che ci hanno liberato. Ancora adesso non capisco perché per cacciare via i tedeschi hanno massacrato tanti civili e distrutto una città così bella.
Tutti avevano paura, La stazione dei treni era stata bombardata, erano morte delle persone, chi poteva, lasciava la città. Noi delle vigne ci sentivamo protetti, ma nessun posto era sicuro. Nella vigna vicina alla nostra c’era il comando tedesco, in altre stavano installando le contraeree, come si poteva stare tranquilli?
Io volevo andare a casa di mia madre e mio padre, riconciliarmi con loro: non avevano accettato che mi fossi sposata con un vignaiolo; erano commercianti da generazioni. Vivevano in città e non erano mai stati da noi, nonostante avessi già cinque figli. Per questo volevo andare da loro, in caso di pericolo, avrei potuto stargli vicino. A palazzo Boffi erano state aperte le cantine i sotterranei e le grotte per il vino, speravo che nel bisogno tutto si sarebbe appianato, e invece… Tuo nonno diceva che un posto valeva l’altro, c’era la grotta di sua sorella Adelina, che era abbastanza grande e vicino a casa nostra.
Quella mattina lui usci per andare all’osteria in cerca di notizie, a volte padre Laracca, che aveva una radio, diffondeva notizie sicure. Il tempo passava, mi aspettavo che tornasse a casa prima di mezzogiorno; i tuoi zii, tutti piccoli, avevano fame e lui non tornava. L’allarme aveva suonato e mi sentivo in petto una pena… Maria, la più grande, sapeva badare ai fratelli, così decisi di andargli incontro sulla via del ritorno. All’improvviso sbucò dalla curva Adalgisa, la figlia di Corrado; veniva dalla strada del mulino Agostinelli, correva con le mani nei capelli e urlava, chiamava la Madonna e chiedeva aiuto. Capii da ciò che diceva che Il mulino e l’osteria erano stati bombardati. Non mi sentii più le gambe, la donna mi superò e io dovetti sedermi per terra per non cadere svenuta; poi, tra le lacrime, che avevano cominciato a bagnarmi le guance, lo vidi risalire la via: sembrava un fantasma, bianco come un foglio di carta e coperto di polvere dalla testa ai piedi. Quando mi raggiunse mi disse che dovevamo andare via da casa, gli americani avevano cominciato a bombardare le vigne dove c’erano i tedeschi: dovevamo scappare. Non feci in tempo nemmeno a dirgli che l’avevo creduto morto, i bambini stavano soli e i ricognitori non smettevano di girare sopra la zona: corremmo di corsa a casa.
— Voglio andare al ricovero Boffi, — gli dissi, lui mi rispose se ero mica matta.
— Andare al centro di Velletri col pericolo di essere sorpresi sotto il fuoco dei mitragliatori prima di arrivare.
Mi misi a piangere. Ah, ma lui niente!
— Andiamo da mia sorella Adelina, c’è posto per tutti nella sua grotta. Io i miei figli a morire come i topi, in un buco buio, non ce li porto.
— E io non vengo da tua sorella! — Risposi mentre singhiozzavo, speravo che cedesse e che ci portasse tutti a palazzo Boffi. Ah, se era testardo!
Alla fine restammo a casa. Quella notte sentimmo le bombe, verso la mezzanotte, il rumore non finiva mai.
La pena per la gente che stava in paese, per la mia famiglia, il terrore che provavo al pensiero che le bombe prima o poi sarebbero arrivate anche sopra la nostra testa non mi fecero dormire.
Il giorno dopo, il ventidue Gennaio, era un sabato. Tuo nonno ci raccomandò di non uscire per nessun motivo fino a che non fosse tornato a casa. Poco dopo la sirena cominciò a urlare, stavolta la gente delle vigne si mosse: file di contadini correvano verso luoghi più sicuri, cantine, grotte… Tuo nonno tornò indietro, la sirena ancora urlava, il rombo nel cielo era come un tuono infinito.
— Sono arrivati! Lo stanno dicendo tutti! Gli americani sono sbarcati ad Anzio.
Prendemmo i bambini, un sacchetto di patate, una pentola e andammo sulla via di fonte Marcaccia. In mezzo alla macchia, non riuscivamo a vedere gli aerei ma dovevano essere centinaia. Più ci allontanavamo dal rumore e più la pena mi strappava il cuore.
Salivamo a bordo del sentiero, seguivamo i passi di nonno Enrico, tutti in fila senza un lamento: lui teneva Rolando sulle spalle e io, con Vittorio in braccio, tenevo la pentola, Maria portava il sacchetto di patate sulla testa e teneva la mano a Mirella, Marcello camminava dietro a suo padre imitandone i gesti.
Abbiamo camminato nella macchia fino a non poterne più. Sotto una grosso albero c'era uno sperone di roccia: abbiamo scavato lì sotto per fare un riparo per i bambini ma il freddo ci faceva battere i denti. Un ricognitore cominciò a ronzare proprio sopra di noi; non potevamo nemmeno accendere un fuoco, stavamo stretti e scomodi, in più eravamo affamati. Nonno era preoccupato. Continuava a girare in tondo per scaldarsi, né lui né io sapevamo cosa fare.
— Qua non si può stare. — Gli dissi. Era arrabbiato perché mi ero rifiutata di rifugiarci da sua sorella.
— Andiamo su alla fontana, cuciniamo le patate, vediamo di mangiare qualcosa. —
— Vacci tu!— risposi, — dovevamo andare al ricovero Boffi. — Ma lo seguii con tutti i figli attaccati alla gonna.
Il sole era alto quando arrivammo alla sorgente, doveva essere passata l’una, mangiammo le patate lesse e poi i bambini si addormentarono sfiniti. Nonno stava di guardia, pronto a spegnere il fuoco al minimo rumore.
Nel tardo pomeriggio ci rimettemmo in cammino, non potevamo passare la notte in quel posto senza cibo e senza vestiti buoni per l’inverno.
Quando arrivammo, davanti alla nostra casa c’era un gruppetto di gente. Appena ci videro arrivare alzarono le braccia al cielo.
— Eccoli! Adelina, eccoli sono tornati. — La sorella di mio marito si sentì male, Natale la sorreggeva, e sua moglie la sventolava sul viso con la sua parannanza. Nonno corse in casa, prese una sedia e un bicchiere d’acqua.
Adelina si riprese subito, ci spiegò che Il ricovero Boffi, dove lei credeva che noi fossimo andati, era crollato sotto i bombardamenti. Aveva sepolto più di trecento persone.
Mia cognata, poverina, ci aveva creduto morti sotto le macerie. Io tremai per i miei familiari ma per fortuna mi dissero che avevano sfollato anche loro nelle vigne.
Alla fine andammo a stare da Adelina fino all’arrivo degli Alleati a Velletri. Restammo da lei per quasi cinque mesi.
Non sempre le cose sono come ti sembrano
Adesso raccogliamo un po’ d’erba, la prossima volta ti racconto di quando nonno Enrico prese in pieno petto un pacchetto di sigarette americane. Quasi morì di paura quella volta: pensò che il soldato americano gli avesse lanciato una bomba a mano; restò nella grotta di Adelina per due giorni, senza parlare.
bibliografia:
Il libro di padre Italo Laracca: lhttp://www.psmartinov.it/files/Tra-le-rovine-d ... ri1974.pdf
Le Fortezze Volanti: https://g.co/kgs/kcuJY6
Fonte Marcaccio sull'Artemisio: https://it.wikiloc.com/percorsi-escursi ... o-65163054
Il libro di padre Italo Laracca: lhttp://www.psmartinov.it/files/Tra-le-rovine-d ... ri1974.pdf
Le Fortezze Volanti: https://g.co/kgs/kcuJY6
Fonte Marcaccio sull'Artemisio: https://it.wikiloc.com/percorsi-escursi ... o-65163054