[CDP1] VILLA ARZILLA
Posted: Fri Apr 14, 2023 9:52 pm
@Modea72
Traccia n.1 – “Passaggio da persona libera a reclusa o viceversa”
Commento
“Ingrati, ecco cosa siete, degli ingrati, io vi ho pulito il culo, credete che abbia sacrificato la mia vita per voi per farmi abbandonare come uno straccio del cazzo?”
La vecchia dalle dita ritorte e lo sguardo acquoso cercava il contatto visivo con la figlia Margherita seduta accanto, mentre con le braccia ossute provava a colpire il figlio Giovanni alla guida, rischiando un brutto incidente.
La vecchia malediva la sua sordità anche se si era sempre, categoricamente, rifiutata anche solo di provare un apparecchio acustico ed ora non riusciva a sentire cosa dicevano quei due idioti di figli, non vedendo neanche il labiale per la scomoda posizione.
“Ma da quando la mamma dice parolacce? Ma non è che ha una massa in testa? Oddio ti prego, ferma con queste mani!”
Giovanni le guardava dallo specchietto retrovisore rassegnato, la madre aveva graffiato sul viso la sorella e le urlava che le stava bene, che non era una figlia, che era una stronza. Margherita aveva gli occhi dilatati fuori misura, stava cominciando a piangere, Giovanni buttò un occhio al navigatore, mancavano solo otto minuti, forse sarebbero riusciti a non schiantarsi.
Stava per rispondere alla sorella che la madre non era mai stata tenera e che semplicemente ora non aveva più freni, quando Margherita riprese piagnucolando:
“Ma come facciamo a farla stare in questa struttura se fa così, non si tiene, ma non senti cosa ci dice? Cosa penseranno di noi… mi sento morire”
La vecchia aveva percepito il senso del discorso, puntò gli occhi infuocati sulla figlia urlando con voce catarrosa che lo avrebbe detto a tutti che razza di figli si ritrovava, che la volevano rinchiudere, l'avrebbe urlato senza sosta, che l’avrebbero dovuta ammazzare o rimandare a casa, perché li avrebbe fatti impazzire tutti.
Giovanni aveva parcheggiato nel piazzale di villa Arzilla, aprì la portiera alla madre e con voce calma, ma decisa, mettendole una mano sulla spalla, la costrinse a guardarlo mentre le diceva che era una soluzione temporanea per fare velocemente tutti gli esami che le erano necessari per la salute ed evitare le attese agli ospedali con tutta la folla e i dottori che la guardavano frettolosamente.
Le sorrideva mentre le diceva che non doveva arrabbiarsi per il trattamento di lusso che le stavano riservando.
La vecchia addolcì lo sguardo, lasciando che le fruste che si erano impossessate delle sue braccia si placassero, Margherita era contrita, si mordeva il labbro pensando al diverso atteggiamento della madre quando aveva a che fare con il figlio maschio.
Vennero accolti appena usciti dall’abitacolo da una donnina rubiconda vestita da suora.
“Ecco la signora Ada! Benvenuta, la stavamo aspettando! Ero uscita a fare un po’ di cicorietta e ho visto sul figlio scendere, meglio così, ci presentiamo subito, io sono suor Assunta, sono la responsabile del reparto donne”
Ada la guardava incuriosita, anche a lei piaceva fare la cicoria fino a pochi anni prima, quando le mani non erano ancora deformate dall’artrite.
La suorina aveva un tono di voce decisamente alto, Ada pensò fosse il caso di chiarire subito che lei era responsabile di sé stessa, che si sarebbe fermata il tempo di fare le analisi e poi via, perché non era una vecchia rincitrullita da rinchiudere, non potevano imprigionarla in una struttura per vecchi decrepiti, aveva il suo appartamento e le sue cose da fare e che non pensassero di metterla in stanza con delle dementi, perché altrimenti non si sarebbe fermata un minuto di più.
Suor Assunta le diede una fin troppo vigorosa pacca sulle spalle e ridendo le disse che aveva due compagne di stanza deliziose e che contava sull’aiuto di chi era ancora in gamba come l’Ada per tenere un po’ a bada la struttura e scambiare due chiacchiere piacevoli, concludendo con una strizzata d’occhio.
Non mancò lungo il percorso il vecchietto seduto a giocare a carte che squadrò la nuova arrivata con un fischio di ammirazione, con il risultato di un’Ada che camminava più dritta, si sistemava le ciocche dei capelli e brontolava che lei l’aveva detto che questi posti sono pieni di rincitrulliti.
Quando Giovanni andò ad espletare le pratiche amministrative Ada tornò alla carica con la figlia, questa volta meno aggressiva, ma molto lamentosa, quasi disperata. Continuava a ripetere che lei lo sapeva che quello era un ospizio, che si stavano liberando di lei, che lei voleva morire a casa, che non avrebbe mai pensato le potessero fare questo, si sentiva soffocare, imprigionata.
Margherita si sentiva inerme, non osava guardare la madre negli occhi, ci pensò una suora più anziana e robusta a risolvere la situazione, con modi allegramente bruschi e apparentemente sbrigativi disse ai due accompagnatori che era ora che andassero, li spinse letteralmente fuori dalla stanza cogliendo anche Ada di sorpresa, che si ritrovò appoggiata ad un deambulatore, attrezzo da lei mai e poi mai voluto, a fare un giro per conoscere la struttura.
Le suore dissero a Gianluca e Margherita che l’inserimento sarebbe stato molto più facile se non si fossero fatti vedere i primi tre giorni, sconsigliarono anche di telefonare il giorno seguente, rassicurandoli che in caso fosse stato necessario, avrebbero chiamato loro e comunque Ada aveva il suo telefono.
Nel suo giro Ada si era a tratti infuriata, vedendo uomini e donne chiaramente dementi o comunque non autosufficienti; a tratti sorpresa, trovando gruppetti di uomini e donne impegnati in varie attività, che ridevano e scherzavano pienamente a loro agio; decise comunque di non farsi abbindolare e di rimanere sulla difensiva, decisa a tornare nel suo appartamento appena possibile.
Di fondo, sentiva un profondo disagio.
La notte Ada aveva avuto bisogno di alzarsi per andare al bagno diverse volte, quando si svegliava perdeva il senso dell’orientamento, non riconosceva il luogo, una volta aveva sbattuto rumorosamente la spalla su una mensola, un’altra volta aveva perso parte della pipì prima di riuscire ad arrivare in bagno e l’infermiera di notte era agitata e poco comprensiva.
Ada si sentiva bloccata in un incubo, era decisa a fare di tutto per andare via di lì.
La mattina guardò di sottecchi le due compagne di stanza per capire se si fossero rese conto della sua goffaggine o, peggio ancora, dell’incidente con la pipì.
Quella al letto vicino alla finestra sembrava abbastanza assente, sicuramente sorda, guardandola Ada si sentì quasi disgustata, lei non era così, era assurdo che l’avessero rinchiusa lì dentro.
La donna al letto centrale si alzò guardandola con aria furba e complice e non si limitò a presentarsi:
“Piacere! Io sono Maria. Non ti fare un cruccio per la Marika, quella è sempre agitata, ha scoperto che il marito le mette le corna ma se lo tiene a casa e ora lui lo fa proprio allo scoperto, capirai che è nervosa. Comunque ti posso regalare un paio di pannoloni per la notte, così se una volta non ti vuoi alzare, stai tranquilla, io li metto tutte le sere, fatteli portare.”
Ada frenò in tempo la lingua, d’istinto stava per urlarle che lei non era una pisciona, ma i fatti dicevano altro e Maria le stava offrendo un’uscita dignitosa da quella situazione.
I giorni a seguire Ada avrebbe voluto passarli a letto a lamentarsi dei suoi figli, ma si ritrovò impegnata in diversi compiti, a turno apparecchiavano, due volte a settimana aveva la posturale, la coinvolsero nella preparazione di golfini di lana ai ferri per i bambini delle case famiglia, qualche volta giocava a carte, ma la maggior parte del tempo lo passava in giardino, al sole, con gruppi di altri ospiti a chiacchierare.
Quando Giovanni l’andò a trovare, la trovò più energica, gli occhi più vispi.
Margherita era tornata a casa sua, a 300 chilometri di distanza, divorata da sensi di colpa che duravano il tempo del viaggio in treno.
Ada si lamentò tantissimo con il figlio, gli disse che non stava facendo nessuna analisi e che doveva assolutamente tornare a casa, che in quel posto la trattavano male e che lei non era demente come tutti gli altri.
Il figlio era spiazzato, non la vedeva così bene da tempo.
Quando Giovanni si allontanò per andare a parlare con la suora e avere un quadro della situazione, Ada si sentì veramente soddisfatta di avergliene cantate.
Guardò di sbieco Maria, che aveva assistito alla scena, immaginandola offesa e trovandola che al contrario cercava di captare il suo sguardo compiaciuta, assentendo con la testa:
“Brava, hai fatto bene! ‘Sti figli… che si preoccupassero di chi li ha cresciuti. Fortuna che noi siamo sveglie, perché hai proprio ragione, qui ce ne stanno di dementi!”.
Ad Ada veniva da ridere, era tempo che non si faceva due risate con un’amica.
Si bloccò di colpo, pensò che forse, in vita sua, era la prima volta che aveva pensato di avere un’amica e si sentì improvvisamente fragile:
“Non avevo tutti questi problemi prima che mi chiudessero qui dentro, vogliono farmi impazzire”.
Maria assentiva, sembrava davvero seria mentre le rispondeva:
“Hai proprio ragione, almeno uno a casa propria sta con i propri pensieri, guarda i ricordi di una vita, che poi muori e mica te li porti dietro e non devi stare a parlare con gli altri, che poi se ti viene da ridere il pannolone lo devi mettere anche di giorno”.
Ada sentì il figlio che entrando le diceva di provare almeno un’altra settimana, che a detta delle suore stava meglio, ma se veramente qualcuno la trattava male, doveva spiegargli bene, perché avrebbe preso provvedimenti e l’avrebbe portata via subito.
Ada sentì una stretta allo stomaco, l’espressione più afflitta che mai:
“Vai, vai, vai via tranquillo, non ti preoccupare per me, tanto più dolore di quello che mi avete dato tu e tua sorella, nessuno me lo può dare, sarete voi a farmi morire.“
Giovanni la guardava ragionando sulle parole non dette, tanto eloquenti, mentre Maria conduceva Ada al suo deambulatore, scuotendo la testa e convenendo con lei, che tanto tutti i figli sono uguali, tutti ingrati.
Traccia n.1 – “Passaggio da persona libera a reclusa o viceversa”
Commento
“Ingrati, ecco cosa siete, degli ingrati, io vi ho pulito il culo, credete che abbia sacrificato la mia vita per voi per farmi abbandonare come uno straccio del cazzo?”
La vecchia dalle dita ritorte e lo sguardo acquoso cercava il contatto visivo con la figlia Margherita seduta accanto, mentre con le braccia ossute provava a colpire il figlio Giovanni alla guida, rischiando un brutto incidente.
La vecchia malediva la sua sordità anche se si era sempre, categoricamente, rifiutata anche solo di provare un apparecchio acustico ed ora non riusciva a sentire cosa dicevano quei due idioti di figli, non vedendo neanche il labiale per la scomoda posizione.
“Ma da quando la mamma dice parolacce? Ma non è che ha una massa in testa? Oddio ti prego, ferma con queste mani!”
Giovanni le guardava dallo specchietto retrovisore rassegnato, la madre aveva graffiato sul viso la sorella e le urlava che le stava bene, che non era una figlia, che era una stronza. Margherita aveva gli occhi dilatati fuori misura, stava cominciando a piangere, Giovanni buttò un occhio al navigatore, mancavano solo otto minuti, forse sarebbero riusciti a non schiantarsi.
Stava per rispondere alla sorella che la madre non era mai stata tenera e che semplicemente ora non aveva più freni, quando Margherita riprese piagnucolando:
“Ma come facciamo a farla stare in questa struttura se fa così, non si tiene, ma non senti cosa ci dice? Cosa penseranno di noi… mi sento morire”
La vecchia aveva percepito il senso del discorso, puntò gli occhi infuocati sulla figlia urlando con voce catarrosa che lo avrebbe detto a tutti che razza di figli si ritrovava, che la volevano rinchiudere, l'avrebbe urlato senza sosta, che l’avrebbero dovuta ammazzare o rimandare a casa, perché li avrebbe fatti impazzire tutti.
Giovanni aveva parcheggiato nel piazzale di villa Arzilla, aprì la portiera alla madre e con voce calma, ma decisa, mettendole una mano sulla spalla, la costrinse a guardarlo mentre le diceva che era una soluzione temporanea per fare velocemente tutti gli esami che le erano necessari per la salute ed evitare le attese agli ospedali con tutta la folla e i dottori che la guardavano frettolosamente.
Le sorrideva mentre le diceva che non doveva arrabbiarsi per il trattamento di lusso che le stavano riservando.
La vecchia addolcì lo sguardo, lasciando che le fruste che si erano impossessate delle sue braccia si placassero, Margherita era contrita, si mordeva il labbro pensando al diverso atteggiamento della madre quando aveva a che fare con il figlio maschio.
Vennero accolti appena usciti dall’abitacolo da una donnina rubiconda vestita da suora.
“Ecco la signora Ada! Benvenuta, la stavamo aspettando! Ero uscita a fare un po’ di cicorietta e ho visto sul figlio scendere, meglio così, ci presentiamo subito, io sono suor Assunta, sono la responsabile del reparto donne”
Ada la guardava incuriosita, anche a lei piaceva fare la cicoria fino a pochi anni prima, quando le mani non erano ancora deformate dall’artrite.
La suorina aveva un tono di voce decisamente alto, Ada pensò fosse il caso di chiarire subito che lei era responsabile di sé stessa, che si sarebbe fermata il tempo di fare le analisi e poi via, perché non era una vecchia rincitrullita da rinchiudere, non potevano imprigionarla in una struttura per vecchi decrepiti, aveva il suo appartamento e le sue cose da fare e che non pensassero di metterla in stanza con delle dementi, perché altrimenti non si sarebbe fermata un minuto di più.
Suor Assunta le diede una fin troppo vigorosa pacca sulle spalle e ridendo le disse che aveva due compagne di stanza deliziose e che contava sull’aiuto di chi era ancora in gamba come l’Ada per tenere un po’ a bada la struttura e scambiare due chiacchiere piacevoli, concludendo con una strizzata d’occhio.
Non mancò lungo il percorso il vecchietto seduto a giocare a carte che squadrò la nuova arrivata con un fischio di ammirazione, con il risultato di un’Ada che camminava più dritta, si sistemava le ciocche dei capelli e brontolava che lei l’aveva detto che questi posti sono pieni di rincitrulliti.
Quando Giovanni andò ad espletare le pratiche amministrative Ada tornò alla carica con la figlia, questa volta meno aggressiva, ma molto lamentosa, quasi disperata. Continuava a ripetere che lei lo sapeva che quello era un ospizio, che si stavano liberando di lei, che lei voleva morire a casa, che non avrebbe mai pensato le potessero fare questo, si sentiva soffocare, imprigionata.
Margherita si sentiva inerme, non osava guardare la madre negli occhi, ci pensò una suora più anziana e robusta a risolvere la situazione, con modi allegramente bruschi e apparentemente sbrigativi disse ai due accompagnatori che era ora che andassero, li spinse letteralmente fuori dalla stanza cogliendo anche Ada di sorpresa, che si ritrovò appoggiata ad un deambulatore, attrezzo da lei mai e poi mai voluto, a fare un giro per conoscere la struttura.
Le suore dissero a Gianluca e Margherita che l’inserimento sarebbe stato molto più facile se non si fossero fatti vedere i primi tre giorni, sconsigliarono anche di telefonare il giorno seguente, rassicurandoli che in caso fosse stato necessario, avrebbero chiamato loro e comunque Ada aveva il suo telefono.
Nel suo giro Ada si era a tratti infuriata, vedendo uomini e donne chiaramente dementi o comunque non autosufficienti; a tratti sorpresa, trovando gruppetti di uomini e donne impegnati in varie attività, che ridevano e scherzavano pienamente a loro agio; decise comunque di non farsi abbindolare e di rimanere sulla difensiva, decisa a tornare nel suo appartamento appena possibile.
Di fondo, sentiva un profondo disagio.
La notte Ada aveva avuto bisogno di alzarsi per andare al bagno diverse volte, quando si svegliava perdeva il senso dell’orientamento, non riconosceva il luogo, una volta aveva sbattuto rumorosamente la spalla su una mensola, un’altra volta aveva perso parte della pipì prima di riuscire ad arrivare in bagno e l’infermiera di notte era agitata e poco comprensiva.
Ada si sentiva bloccata in un incubo, era decisa a fare di tutto per andare via di lì.
La mattina guardò di sottecchi le due compagne di stanza per capire se si fossero rese conto della sua goffaggine o, peggio ancora, dell’incidente con la pipì.
Quella al letto vicino alla finestra sembrava abbastanza assente, sicuramente sorda, guardandola Ada si sentì quasi disgustata, lei non era così, era assurdo che l’avessero rinchiusa lì dentro.
La donna al letto centrale si alzò guardandola con aria furba e complice e non si limitò a presentarsi:
“Piacere! Io sono Maria. Non ti fare un cruccio per la Marika, quella è sempre agitata, ha scoperto che il marito le mette le corna ma se lo tiene a casa e ora lui lo fa proprio allo scoperto, capirai che è nervosa. Comunque ti posso regalare un paio di pannoloni per la notte, così se una volta non ti vuoi alzare, stai tranquilla, io li metto tutte le sere, fatteli portare.”
Ada frenò in tempo la lingua, d’istinto stava per urlarle che lei non era una pisciona, ma i fatti dicevano altro e Maria le stava offrendo un’uscita dignitosa da quella situazione.
I giorni a seguire Ada avrebbe voluto passarli a letto a lamentarsi dei suoi figli, ma si ritrovò impegnata in diversi compiti, a turno apparecchiavano, due volte a settimana aveva la posturale, la coinvolsero nella preparazione di golfini di lana ai ferri per i bambini delle case famiglia, qualche volta giocava a carte, ma la maggior parte del tempo lo passava in giardino, al sole, con gruppi di altri ospiti a chiacchierare.
Quando Giovanni l’andò a trovare, la trovò più energica, gli occhi più vispi.
Margherita era tornata a casa sua, a 300 chilometri di distanza, divorata da sensi di colpa che duravano il tempo del viaggio in treno.
Ada si lamentò tantissimo con il figlio, gli disse che non stava facendo nessuna analisi e che doveva assolutamente tornare a casa, che in quel posto la trattavano male e che lei non era demente come tutti gli altri.
Il figlio era spiazzato, non la vedeva così bene da tempo.
Quando Giovanni si allontanò per andare a parlare con la suora e avere un quadro della situazione, Ada si sentì veramente soddisfatta di avergliene cantate.
Guardò di sbieco Maria, che aveva assistito alla scena, immaginandola offesa e trovandola che al contrario cercava di captare il suo sguardo compiaciuta, assentendo con la testa:
“Brava, hai fatto bene! ‘Sti figli… che si preoccupassero di chi li ha cresciuti. Fortuna che noi siamo sveglie, perché hai proprio ragione, qui ce ne stanno di dementi!”.
Ad Ada veniva da ridere, era tempo che non si faceva due risate con un’amica.
Si bloccò di colpo, pensò che forse, in vita sua, era la prima volta che aveva pensato di avere un’amica e si sentì improvvisamente fragile:
“Non avevo tutti questi problemi prima che mi chiudessero qui dentro, vogliono farmi impazzire”.
Maria assentiva, sembrava davvero seria mentre le rispondeva:
“Hai proprio ragione, almeno uno a casa propria sta con i propri pensieri, guarda i ricordi di una vita, che poi muori e mica te li porti dietro e non devi stare a parlare con gli altri, che poi se ti viene da ridere il pannolone lo devi mettere anche di giorno”.
Ada sentì il figlio che entrando le diceva di provare almeno un’altra settimana, che a detta delle suore stava meglio, ma se veramente qualcuno la trattava male, doveva spiegargli bene, perché avrebbe preso provvedimenti e l’avrebbe portata via subito.
Ada sentì una stretta allo stomaco, l’espressione più afflitta che mai:
“Vai, vai, vai via tranquillo, non ti preoccupare per me, tanto più dolore di quello che mi avete dato tu e tua sorella, nessuno me lo può dare, sarete voi a farmi morire.“
Giovanni la guardava ragionando sulle parole non dette, tanto eloquenti, mentre Maria conduceva Ada al suo deambulatore, scuotendo la testa e convenendo con lei, che tanto tutti i figli sono uguali, tutti ingrati.