[CDP1] Riemersione
Posted: Tue Apr 11, 2023 8:34 pm
Traccia n. 2 - Passaggio da persona coniugata a nubile
(Ma anche traccia n. 1 - passaggio da persona reclusa a libera)
viewtopic.php?p=48904#p48904
Riemersione
Maria? È così che si chiamava? Era quello il suo nome?
Strano. Le suonava così poco familiare. Come tutto il resto, d’altronde.
Provò a scostare lo scaffale di legno che le premeva sotto al costato e le mozzava il fiato. Nulla, non si smuoveva. L’armadio la schiacciava con il peso di Dio solo sa quanta roba, tra i vestiti contenuti di consueto e i detriti, mattoni e calcinacci che vi erano finiti sopra. Doveva averla colpita al capo e stesa al suolo, poc’anzi, perché le doleva la fronte. Ma quell’armadio era stato pure la sua salvezza, meglio sbattere contro i maglioni che contro le pietre.
Maria… Un nome così semplice, pulito. No, non ci si ritrovava. Era un nome da vite ordinarie e lineari, mentre la sua, di vita, doveva esser stata complessa e singolare. A ricordarsela…
Non aveva idea di che ora fosse, né da quanto tempo si trovasse lì. Una mezz’ora da quand’era cosciente, ma prima doveva aver perso i sensi. Da qualche dove filtrava luce, il che voleva dire che c’era aria, e anche che con ogni probabilità sarebbero riusciti a trarla in salvo, prima o poi.
Ma non è per questo che era così calma. Si sentiva calma comunque, come se insieme alla memoria avesse perso anche l’inquietudine di vivere e di morire. Si disse che era un vantaggio: doveva pur avere delle ragioni per voler restare in vita, dei figli, un amore, delle passioni. Ma dal momento che ora tutto era cancellato non c’era nulla che avesse paura di perdere.
Dunque, Maria. Maria in un paese in guerra, sotto una bomba? Maria sepolta da un terremoto? Maria alla cui vicina è esplosa la bombola del gas? Non lo sapeva.
Maria e chi altri? Con chi viveva? Chi era rimasto lì sotto insieme a lei, vivo o morto?
Era sposata? Non ricordava alcun marito, né figli. Si tastò il seno per istinto con la mano rimasta libera. Si attribuì una quarantina d’anni.
Nessun marito, ci avrebbe giurato, ma aveva la sensazione che, al momento dello schianto, fosse in compagnia.
Maria… quel nome… Maria…
L’armadio si smosse liberando un po’ l’addome. Finalmente riusciva a respirare normalmente, le sembrò di recuperare lucidità. Un maglione le cadde sul viso oscurandole la vista. La cosa la fece ridere. E ridacchiando le venne in mente. Maria, la signora delle pulizie! Ecco chi era in casa con lei, povera donna!
Erano insieme in camera da letto, lei che rovistava nell’armadio, l’altra che le raccontava della cognata, con l’aspirapolvere in mano, e poi aveva urlato: «Signora!». Lei si era voltata e aveva visto il volto di Maria scolorirsi, come se i pigmenti le fossero colati via dalla pelle, e poi il nero.
Aveva recuperato un ricordo. Solo quello, tuttavia.
«Signora», così l’aveva chiamata. Non per nome, purtroppo; come si chiamasse ancora non era dato sapere. A rigore, però, quel “signora” significava che ad essere sposata era sposata.
«Maria! Maria!», prese a gridare. I pelucchi del maglione le solleticavano la lingua. Nessuna risposta.
Non doveva essere per forza morta. Forse, come lei, aveva perso i sensi. Forse erano divise da troppi strati di macerie perché potessero sentirsi. «Maria! Maria!», riprovò. In fondo in quel momento era l’unica persona della sua vita. Niente.
L’armadio si smosse di nuovo. C’era il rischio di finirne schiacciata. Si chiese se fosse un moto di assestamento spontaneo o se da su stessero conducendo le ricerche provocando quegli smottamenti. Certo, era strano che ancora non arrivassero soccorsi. Mica davvero era in una città bombardata, con centinaia di altre persone nella sua situazione da soccorrere? Sperò di no, più per gli altri che per sé, la cui situazione rimaneva più o meno la stessa.
Dunque doveva essere sposata. E con chi? Pensò che se aveva recuperato il ricordo del crollo, poteva recuperare anche gli altri. Provò a immaginare il contatto sulle guance di una pelle non sua. Cosa le sembrava familiare, una pelle barbuta? Glabra? Grassa? Ruvida?
«Maria! Maria!». Il grido rimbalzò tra le macerie e la roba accatastata. Ma non era stata lei a emetterlo, stavolta. «Maria!». Gridavano da sopra. Qualcuno le stava cercando.
Sulle prime rimase zitta. Non era lei, Maria. O forse sì, forse anche lei si chiamava Maria? La questione era sciocca, comunque. Maria o non Maria avrebbe dovuto rispondere ai soccorritori, e invece cincischiava. Finché non gridarono: «Alice!».
Alice! Sì, lei era Alice! Come aveva fatto a dimenticarselo. Di colpo si rivestì di se stessa: una donna piacente, formosa, dai lunghi capelli castani. Un viso tondo da luna piena, fronte alta, naso dritto. Labbra larghe e sottili, talvolta spaccate. Guance spesso livide. Occhi pesti.
Lorenzo. Chi la picchiava si chiamava Lorenzo. Ecco chi era suo marito.
«Aiuto!», grido, quasi più per salvarsi dal ricordo riemerso che dalle macerie.
«Veniamo a prenderti», si sentì rispondere, «tieni duro».
Tenere duro. Sarebbe stato meglio non ritrovarla, la memoria, riemergere dalle macerie e farsi un vita nuova.
Maria, da tanto, non aveva un uomo accanto al suo letto. Era rimasta vedova a venticinque anni, e da allora faceva le pulizie. Per questo, generalmente, quando entrava nelle case degli altri, invidiava che ci fossero un lui e una lei, dei bambini, del casino da risistemare.
Non quando entrava nella casa di Alice. Lei, proprio non la invidiava, con quello lì.
Ora che era morta, con una trave che le aveva penetrato la gola, poteva dirlo: l’idea era buona, peccato fosse andata a finire così!
Era come aveva supposto: non ricordare nulla della propria vita l’aveva messa al riparo dall’ansia di rimanere inghiottita nelle macerie. Adesso che i ricordi le affioravano, con tutte le brutture, i dolori e le infelicità, le si risvegliava dentro quell’ottuso senso di attaccamento alla vita. Tante più ragioni aveva di lasciarsi sprofondare, tanto più le prendeva l’angoscia della morte.
E poi, adesso che il salvataggio era stato preannunciato, aveva qualcosa da aspettare, il che nutriva la sua ansia. Quanto ci avrebbero impiegato a raggiungerla? A giudicare dalle voci dei soccorritori, tra lei e il mondo esterno non dovevano esserci che cinque o sei metri. Certo, cinque o sei metri di macello.
È molto più facile lasciare un uomo mansueto che un uomo violento. Il divorzio è questione di diritto civile per le sole persone civili. La sera prima l’aveva picchiata di nuovo. Le aveva premuto la fronte contro al muro, fino a farla sanguinare. Ecco cos’era quel bernoccolo, altro che armadio. Aveva preso le carte dell’avvocato e gliele aveva ficcate in bocca, tanto che si era sentita soffocare. Le aveva sputate via a conati. Era tornato, dopo un paio d’ore, col fiato alcolico, piangente, per chiederle scusa. Si era umiliato, prima, poi si era autocommiserato. Alice ormai rimaneva inerte alle botte come alle sue prostrazioni.
Che la venissero a salvare dai suoi pensieri! Che li lasciassero sepolti sotto le macerie. In effetti, era probabile: quei “pensieri” forse erano sepolti. Lorenzo, qualche ora fa, pure era in casa.
Era stata lei, Maria, a darle il contatto dell’avvocato. Che lui la picchiava lo sapeva da un pezzo, i segni erano evidenti. Poi l’aveva trovata quella mattina in cucina, seduta con lo sguardo nel vuoto, la tazza di latte raffreddata tra le mani. Allora le aveva detto: «Quando mio marito è morto, prima di morire, mi ha fatto tutto l’elenco delle cose che nella vita non gli andavano bene, e che però aveva lasciato stare là al proprio posto. Mi ha detto che non lo sapeva che doveva morire così presto, se no era da un pezzo che le aveva cambiate via, e che ora che moriva, essendosi tenuto tutte quelle cose amare, si sentiva truffato. Aveva sempre pensato che tempo ci sarebbe voluto, se ne sarebbero andate via da sole. Tra quelle cose c’era anche che io non avevo voluto dargli un bambino, anche se col senno di poi era meglio così, che non voleva fare un figlio orfano. E poi era morto. Tu, tuo marito, quando te lo levi di torno?». Poi le aveva parlato di questo cugino avvocato matrimonialista, bravissimo.
Alice le aveva risposto che lo avrebbe chiamato, ma che lo sapeva già che era un buco nell’acqua, altrimenti non se ne sarebbe rimasta così, con lo sguardo nel vuoto, a pregare perché le venisse l’illuminazione che la rendesse libera senza metterla a dormire per strada.
Alice respirava a fatica, tirava dalle narici un’aria pastosa che le pesava sulle palpebre. Fece un mezzo sogno di crolli e di immersioni. Doveva essersi addormentata, o aveva perso proprio i sensi, quando si sentì strattonare a un braccio.
Riemerse alla luce dei vivi. L’avvolsero in una specie di carta stagnola e la fecero salire in autoambulanza. Nel tragitto chiese di Maria. Deceduta, le dissero. Poi chiese di suo marito.
Lorenzo era stato il primo a morire. La notizia, sparata così a bruciapelo, quasi la rattristò. Era nel garage quando il palazzo era venuto giù. Poi apprese che lo scoppio aveva avuto origine dal proprio dal loro box. Il serbatoio del Suv di Lorenzo era esploso alla messa in moto. In quel carnaio, era difficile cercare di risalire alle cause. Le fiamme avevano poi raggiunto le caldaie condominiali.
Qualcos’altro di non ben distinto riaffiorò alla memoria di Alice, ma lei volle tenerlo via. Si sentiva in diritto di essere stanca. L’infermiere la spingeva dall’ambulanza all’ingresso dell’ospedale. Che i ricordi e le macerie restassero fuori, indietro, giù.
Il divorzio è questione di diritto civile per le sole persone civili. Vero. E Maria, per un cugino avvocato che aveva, ne aveva altri dieci delinquenti. Glielo aveva detto alla signora, che oltre all’avvocato si poteva pure rispondere alle botte con le botte. Alice aveva fatto un cenno con la mano come a dire “ma figurati”. Dopo alcune settimane, livida in faccia, però, l’aveva cercata. Non ce la faceva più.
Maria, quando aveva parlato con uno dei suoi cugini, la situazione l’aveva spiegata in ogni dettaglio. La casa la conosceva meglio dei suoi proprietari.
Il cugino pensava. E, tra una cosa e l’altra le aveva detto, «Quindi ha la macchina a Gpl?».
(Ma anche traccia n. 1 - passaggio da persona reclusa a libera)
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Riemersione
Maria? È così che si chiamava? Era quello il suo nome?
Strano. Le suonava così poco familiare. Come tutto il resto, d’altronde.
Provò a scostare lo scaffale di legno che le premeva sotto al costato e le mozzava il fiato. Nulla, non si smuoveva. L’armadio la schiacciava con il peso di Dio solo sa quanta roba, tra i vestiti contenuti di consueto e i detriti, mattoni e calcinacci che vi erano finiti sopra. Doveva averla colpita al capo e stesa al suolo, poc’anzi, perché le doleva la fronte. Ma quell’armadio era stato pure la sua salvezza, meglio sbattere contro i maglioni che contro le pietre.
Maria… Un nome così semplice, pulito. No, non ci si ritrovava. Era un nome da vite ordinarie e lineari, mentre la sua, di vita, doveva esser stata complessa e singolare. A ricordarsela…
Non aveva idea di che ora fosse, né da quanto tempo si trovasse lì. Una mezz’ora da quand’era cosciente, ma prima doveva aver perso i sensi. Da qualche dove filtrava luce, il che voleva dire che c’era aria, e anche che con ogni probabilità sarebbero riusciti a trarla in salvo, prima o poi.
Ma non è per questo che era così calma. Si sentiva calma comunque, come se insieme alla memoria avesse perso anche l’inquietudine di vivere e di morire. Si disse che era un vantaggio: doveva pur avere delle ragioni per voler restare in vita, dei figli, un amore, delle passioni. Ma dal momento che ora tutto era cancellato non c’era nulla che avesse paura di perdere.
Dunque, Maria. Maria in un paese in guerra, sotto una bomba? Maria sepolta da un terremoto? Maria alla cui vicina è esplosa la bombola del gas? Non lo sapeva.
Maria e chi altri? Con chi viveva? Chi era rimasto lì sotto insieme a lei, vivo o morto?
Era sposata? Non ricordava alcun marito, né figli. Si tastò il seno per istinto con la mano rimasta libera. Si attribuì una quarantina d’anni.
Nessun marito, ci avrebbe giurato, ma aveva la sensazione che, al momento dello schianto, fosse in compagnia.
Maria… quel nome… Maria…
L’armadio si smosse liberando un po’ l’addome. Finalmente riusciva a respirare normalmente, le sembrò di recuperare lucidità. Un maglione le cadde sul viso oscurandole la vista. La cosa la fece ridere. E ridacchiando le venne in mente. Maria, la signora delle pulizie! Ecco chi era in casa con lei, povera donna!
Erano insieme in camera da letto, lei che rovistava nell’armadio, l’altra che le raccontava della cognata, con l’aspirapolvere in mano, e poi aveva urlato: «Signora!». Lei si era voltata e aveva visto il volto di Maria scolorirsi, come se i pigmenti le fossero colati via dalla pelle, e poi il nero.
Aveva recuperato un ricordo. Solo quello, tuttavia.
«Signora», così l’aveva chiamata. Non per nome, purtroppo; come si chiamasse ancora non era dato sapere. A rigore, però, quel “signora” significava che ad essere sposata era sposata.
«Maria! Maria!», prese a gridare. I pelucchi del maglione le solleticavano la lingua. Nessuna risposta.
Non doveva essere per forza morta. Forse, come lei, aveva perso i sensi. Forse erano divise da troppi strati di macerie perché potessero sentirsi. «Maria! Maria!», riprovò. In fondo in quel momento era l’unica persona della sua vita. Niente.
L’armadio si smosse di nuovo. C’era il rischio di finirne schiacciata. Si chiese se fosse un moto di assestamento spontaneo o se da su stessero conducendo le ricerche provocando quegli smottamenti. Certo, era strano che ancora non arrivassero soccorsi. Mica davvero era in una città bombardata, con centinaia di altre persone nella sua situazione da soccorrere? Sperò di no, più per gli altri che per sé, la cui situazione rimaneva più o meno la stessa.
Dunque doveva essere sposata. E con chi? Pensò che se aveva recuperato il ricordo del crollo, poteva recuperare anche gli altri. Provò a immaginare il contatto sulle guance di una pelle non sua. Cosa le sembrava familiare, una pelle barbuta? Glabra? Grassa? Ruvida?
«Maria! Maria!». Il grido rimbalzò tra le macerie e la roba accatastata. Ma non era stata lei a emetterlo, stavolta. «Maria!». Gridavano da sopra. Qualcuno le stava cercando.
Sulle prime rimase zitta. Non era lei, Maria. O forse sì, forse anche lei si chiamava Maria? La questione era sciocca, comunque. Maria o non Maria avrebbe dovuto rispondere ai soccorritori, e invece cincischiava. Finché non gridarono: «Alice!».
Alice! Sì, lei era Alice! Come aveva fatto a dimenticarselo. Di colpo si rivestì di se stessa: una donna piacente, formosa, dai lunghi capelli castani. Un viso tondo da luna piena, fronte alta, naso dritto. Labbra larghe e sottili, talvolta spaccate. Guance spesso livide. Occhi pesti.
Lorenzo. Chi la picchiava si chiamava Lorenzo. Ecco chi era suo marito.
«Aiuto!», grido, quasi più per salvarsi dal ricordo riemerso che dalle macerie.
«Veniamo a prenderti», si sentì rispondere, «tieni duro».
Tenere duro. Sarebbe stato meglio non ritrovarla, la memoria, riemergere dalle macerie e farsi un vita nuova.
Maria, da tanto, non aveva un uomo accanto al suo letto. Era rimasta vedova a venticinque anni, e da allora faceva le pulizie. Per questo, generalmente, quando entrava nelle case degli altri, invidiava che ci fossero un lui e una lei, dei bambini, del casino da risistemare.
Non quando entrava nella casa di Alice. Lei, proprio non la invidiava, con quello lì.
Ora che era morta, con una trave che le aveva penetrato la gola, poteva dirlo: l’idea era buona, peccato fosse andata a finire così!
Era come aveva supposto: non ricordare nulla della propria vita l’aveva messa al riparo dall’ansia di rimanere inghiottita nelle macerie. Adesso che i ricordi le affioravano, con tutte le brutture, i dolori e le infelicità, le si risvegliava dentro quell’ottuso senso di attaccamento alla vita. Tante più ragioni aveva di lasciarsi sprofondare, tanto più le prendeva l’angoscia della morte.
E poi, adesso che il salvataggio era stato preannunciato, aveva qualcosa da aspettare, il che nutriva la sua ansia. Quanto ci avrebbero impiegato a raggiungerla? A giudicare dalle voci dei soccorritori, tra lei e il mondo esterno non dovevano esserci che cinque o sei metri. Certo, cinque o sei metri di macello.
È molto più facile lasciare un uomo mansueto che un uomo violento. Il divorzio è questione di diritto civile per le sole persone civili. La sera prima l’aveva picchiata di nuovo. Le aveva premuto la fronte contro al muro, fino a farla sanguinare. Ecco cos’era quel bernoccolo, altro che armadio. Aveva preso le carte dell’avvocato e gliele aveva ficcate in bocca, tanto che si era sentita soffocare. Le aveva sputate via a conati. Era tornato, dopo un paio d’ore, col fiato alcolico, piangente, per chiederle scusa. Si era umiliato, prima, poi si era autocommiserato. Alice ormai rimaneva inerte alle botte come alle sue prostrazioni.
Che la venissero a salvare dai suoi pensieri! Che li lasciassero sepolti sotto le macerie. In effetti, era probabile: quei “pensieri” forse erano sepolti. Lorenzo, qualche ora fa, pure era in casa.
Era stata lei, Maria, a darle il contatto dell’avvocato. Che lui la picchiava lo sapeva da un pezzo, i segni erano evidenti. Poi l’aveva trovata quella mattina in cucina, seduta con lo sguardo nel vuoto, la tazza di latte raffreddata tra le mani. Allora le aveva detto: «Quando mio marito è morto, prima di morire, mi ha fatto tutto l’elenco delle cose che nella vita non gli andavano bene, e che però aveva lasciato stare là al proprio posto. Mi ha detto che non lo sapeva che doveva morire così presto, se no era da un pezzo che le aveva cambiate via, e che ora che moriva, essendosi tenuto tutte quelle cose amare, si sentiva truffato. Aveva sempre pensato che tempo ci sarebbe voluto, se ne sarebbero andate via da sole. Tra quelle cose c’era anche che io non avevo voluto dargli un bambino, anche se col senno di poi era meglio così, che non voleva fare un figlio orfano. E poi era morto. Tu, tuo marito, quando te lo levi di torno?». Poi le aveva parlato di questo cugino avvocato matrimonialista, bravissimo.
Alice le aveva risposto che lo avrebbe chiamato, ma che lo sapeva già che era un buco nell’acqua, altrimenti non se ne sarebbe rimasta così, con lo sguardo nel vuoto, a pregare perché le venisse l’illuminazione che la rendesse libera senza metterla a dormire per strada.
Alice respirava a fatica, tirava dalle narici un’aria pastosa che le pesava sulle palpebre. Fece un mezzo sogno di crolli e di immersioni. Doveva essersi addormentata, o aveva perso proprio i sensi, quando si sentì strattonare a un braccio.
Riemerse alla luce dei vivi. L’avvolsero in una specie di carta stagnola e la fecero salire in autoambulanza. Nel tragitto chiese di Maria. Deceduta, le dissero. Poi chiese di suo marito.
Lorenzo era stato il primo a morire. La notizia, sparata così a bruciapelo, quasi la rattristò. Era nel garage quando il palazzo era venuto giù. Poi apprese che lo scoppio aveva avuto origine dal proprio dal loro box. Il serbatoio del Suv di Lorenzo era esploso alla messa in moto. In quel carnaio, era difficile cercare di risalire alle cause. Le fiamme avevano poi raggiunto le caldaie condominiali.
Qualcos’altro di non ben distinto riaffiorò alla memoria di Alice, ma lei volle tenerlo via. Si sentiva in diritto di essere stanca. L’infermiere la spingeva dall’ambulanza all’ingresso dell’ospedale. Che i ricordi e le macerie restassero fuori, indietro, giù.
Il divorzio è questione di diritto civile per le sole persone civili. Vero. E Maria, per un cugino avvocato che aveva, ne aveva altri dieci delinquenti. Glielo aveva detto alla signora, che oltre all’avvocato si poteva pure rispondere alle botte con le botte. Alice aveva fatto un cenno con la mano come a dire “ma figurati”. Dopo alcune settimane, livida in faccia, però, l’aveva cercata. Non ce la faceva più.
Maria, quando aveva parlato con uno dei suoi cugini, la situazione l’aveva spiegata in ogni dettaglio. La casa la conosceva meglio dei suoi proprietari.
Il cugino pensava. E, tra una cosa e l’altra le aveva detto, «Quindi ha la macchina a Gpl?».