I mercanti del tempio
Posted: Sun Apr 02, 2023 6:33 pm
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Il telefono squilla.
- Ciao, come va?
Cesare risponde lesto: - A parte la febbre direi bene.
Marco sembra quasi non sentire la risposta, ha troppo da raccontare per perdersi nelle formalità.
- Hai sentito il terremoto che è successo in ditta?
- Sono in malattia da tre giorni. ho spento ogni cosa. perfino i brutti pensieri.
- Stai tranquillo: il Direttore HR e i suoi accoliti si sono affondati da soli, senza bisogno di essere aiutati.
- Chi hanno tentato di uccidere?
- Peggio, li hanno beccati ubriachi ad un festino con prostitute e cocaina. Qualcuno li ha fotografati e la cosa è arrivata sulla scrivania del Presidente. ora per loro c’è solo la fucilazione senza onore.
- Per noi cambia poco, salirà il solito raccomandato o figlio di qualche potente amico del gran capo.
- E qui ti sbagli, hai poca fiducia nella considerazione che gli altri hanno di te: la maggioranza ha fatto il tuo nome e il Presidente non ha proferito parola contraria.
- Tutto questo mi spaventa, sei sicuro?
- Certo che lo sono, quando ci vediamo dobbiamo brindare.
- Certo, non mancherà l’occasione.
Quando riattacca pensa che se fosse vero non ci sarebbe motivo di festeggiare, ma per fortuna la sua diffidenza lo rassicura: Marco è uno che trasforma il falso in vero, è un credulone in buona fede che non si accerta mai della veridicità delle cose, non sarebbe certo la prima volta che grida al lupo senza neanche averlo visto.
Pensieroso cammina dentro il perimetro di casa, in tutto solo tre stanze, ma ben arredate: la sua preferita è il salotto dai colori accesi che tanto piacevano a Tommaso. Cesare non ha neanche il tempo di afferrare i ricordi che risuona il cellulare. E’ la segretaria del Presidente .
- Il dottor Malimbeni vorrebbe conferire con Lei. Lunedì le potrebbe andare bene?
Cesare è preso dall’ansia, è spiazzato e colpito da un dubbio: da quando Malimbeni chiede se uno può o non può, di solito ordina senza possibilità di replica, e perciò risponde sospettoso.
- Va bene per lunedì. Sa per caso di cosa si tratta?
La segretaria ha un attimo di silenzio: - Mi spiace, ho solo avuto la comunicazione di avvisarla se le andasse bene il lunedì.
La solita storia delle tre scimmie, diventano tutti sordi, ciechi e muti anche se poi sanno e sparlano di tutto. Non può essere solo una coincidenza.
Il suo cuore è disorientato: mai un sorriso se non fatto in maniera distante e beffarda, se fosse morto se ne sarebbero accorti forse dopo una settimana come con il povero Tommaso, neanche si erano presentati al funerali vigliacchi, meschini, ignobili. Ora sono allo sbando, hanno paura di affondare sapendo di non saper nuotare nel mare di melma dove si sono arenati: si sono guardati in giro e si sono ricordati di lui, qualcuno di loro avrà sicuramente alzato il sopracciglio, qualcuno avrà chiesto chi fosse, ricordandolo come quello amico di Tommaso Berni, quello che insomma, si dai che ci siamo capiti, quello diverso. Dicono diverso per non dire frocio, ricchione, e forse lo sospettano anche di lui.
Tommaso era un mare limpido, c’era in lui una varietà infinita di nuvole e sole, dava serenità vederlo camminare deciso in un mondo corrotto. Aveva le sue contraddizioni, lontano certo dalla perfezione amava la pace, ma era sempre nel conflitto, si definiva un guerriero in tanga fucsia. Aveva la forza di sostenere lo sguardo di tutti: fiero, acuto, intelligente, eppure, dietro questa apparenza marmorea, c’era un essere che soffriva e spesso quando calava la maschera lo confessava. Un giorno disse guardandolo con gli occhi accartocciati nel pianto: - Cesare sto male mi sento risucchiare dal buio.
Cesare gli dava dei consigli, ma erano negli ultimi tempi poca cosa rispetto al dolore che lo stava soffocando.
La notizia del suicidio l’aveva appresa per telefono perché prima di morire aveva scritto a chi lo avrebbe trovato di avvertirlo. “Suicidio”, la sola parola dava i brividi. Ne avevano parlato, ma Cesare deviava i suoi pensieri, lo faceva ridere continuando a circondarlo di parole come se fossero un recinto dal quale non potesse scappare. Alla fine aveva deciso, aveva fatto una scelta, il suicidio non come fuga, ma come atto di ribellione plateale, per urlare forte il suo sdegno verso l’ipocrisia, perché ormai il suo cuore registrava ferite che non si rimarginavano. In ditta avevano detto che lo aveva fatto per un esaurimento nervoso che da tempo lo tormentava, ma probabilmente chi pensava questo non lo conosceva. Tommaso l’aveva fatta grossa, omosessuale e suicida, troppo per persone che avevano percorso tutta la loro vita stando dentro le righe. Se Tommaso avesse visto i partecipanti al suo funerale si sarebbe alzato dalla bara per terrorizzarli e fino all’ultimo Cesare aveva sperato di sentire bussare da dentro quel legno di mogano e vederlo uscire con la solita calma per mettersi sui fianchi le corone di fiori dei dolenti parenti e ballare come fosse un hawaiano che accoglie i turisti.
Certe volte a Cesare pareva di sentire la sua voce e gli sembrava che dall’alto Tommaso lo stesse aiutando come ridendo gli aveva fatto promettere.
- Chi dei due muore prima, dall’alto aiuta l’altro.
E intanto che lo diceva rideva come se parlasse di qualcosa di leggero. Cesare crede in Dio, ma quelle parole suonavano stonate come una moneta di cioccolata che cade a terra. Tommaso era sempre molto critico nei confronti del padrone dell’universo, spesso diventava blasfemo e sorrideva con gli occhi quando si parlava dell’aldilà. In due si riparavano dalle stonature dell’azienda, prendevano sempre strade deserte mentre gli altri seguivano sui binari la loro vita quotidiana.
Cosa vuole il mondo da Cesare? Nonna Carla e Tommaso erano stati gli unici che non gli avevano mai chiesto nulla, lo accettavano nonostante i suoi silenzi .
Che bella era sua nonna, aveva la pelle color di luna, vellutata, i modi gentili e le orecchie vicino al cuore per ascoltare il suono del vento dei suoi pensieri: quando era scomparsa non aveva perso solo la nonna, ma l’unica voce che lo comprendeva senza portarlo ogni volta sotto processo. Poi, dopo tanti volti, arrivò Tommaso. Dopo una iniziale riluttanza, preda anche lui del giudizio degli altri, scoprì che essergli amico era la cosa più semplice. Tommaso gli si avvicinò al bar sotto la ditta, dove qualche volta si fermava a fare la colazione e sentendo che aveva dimenticato il portafoglio si offrì di pagare la colazione. A Cesare però non piacciono i debiti e dunque il giorno dopo era davanti a lui con i soldi in mano.
- Lascia stare, i soldi fanno solo danni, parliamo che ci fa bene.
Da allora le parole furono le rotaie sulle quali correva il loro treno. Cesare rimaneva sconcertato per come Tommaso scardinava le sue paure e la corazza che nel tempo aveva eretto.
Lunedi è arrivato dopo una domenica di pioggia fitta, sottile e dolorosa come aghi sulla pelle. Arrivato come sempre in anticipo è entrato nella sala riunioni. C’era solo l’uomo delle pulizie che rassettava tra le sedie al buio e dava l’impressione di un essere impaurito che non riusciva ad evitare le fauci aperte delle sedie. Sono arrivati tutti alla spicciolata, mai insieme, ma a piccoli gruppi, ogni gruppo una sua realtà che vive di una sua personale identità: quando si incontrano con altri gruppi si salutano, sorridono, qualcuno si odia a distanza di sguardo, altri si ignorano e questo molte volte per trent’anni, fino alla pensione.
Cesare si è subito defilato in disparte verso l’uscita, quasi stesse lì giusto per scappare, cosa che in effetti vorrebbe fare. In un attimo il tramestio di voci si è spento: è arrivato il Presidente. Quando entra nella sala pare lo faccia con fatica, ma poi riparte con piglio da cavaliere e avanza tra la gente che lo guarda deferente. Il Direttore Marketing gli si avvicina e gli stringe la mano, due passi indietro c’è il Vicepresidente, un uomo grigio che anche facendo sforzo di fantasia non si riesce ad immaginare giovane. Tutti si sono seduti come si fa ad una pièce teatrale. Il Presidente si è schiarito la voce e poi ha cominciato a parlarsi addosso facendo un discorso banale che tra l’altro aveva già fatto, poi ha spiegato che sono in corso dei cambiamenti e alla fine ha detto un nome: Cesare Tamburini.
Cesare ha sentito il peso in chilogrammi degli sguardi di chi lo cercava, si è dovuto a forza muovere, qualcuno ha fatto i complimenti, Bosi, che è il più sfrontato, passando lo ha afferrato per la manica e gli ha sussurrato qualcosa, ma Cesare non l’ha neanche guardato in faccia e ha tirato dritto. Ovazione, Cesare Tamburini è il nuovo Responsabile delle Risorse Umane, applausi e baci: a casa se lo era ripetuto cento volte e per cento volte avrebbe tanto voluto rispondere no, mi dispiace lo faccia fare ad un altro. Invece si è allineato, perché per navigare contro corrente bisogna essere marinai esperti e Cesare è uno invece che affoga nella vasca da bagno. Non ha mai voluto essere Direttore, ma rifiutare lo avrebbe messo in una situazione di conflitto con il Presidente e i suoi repubblicani e lui odia le tensioni. Le ha provate indirettamente con Tommaso, ma lui era una tempesta di parole e di sorrisi che dopo un po’ facevano saltare ogni barriera.
Sono passati sei mesi e a parte la stanchezza e i soliti sorrisi plastificati della segretaria tutto prosegue: oggi però c’è una novità, il Presidente lo ha convocato. Quando è entrato in quell’ ufficio con quadri e larghe poltrone c’era un bel sole e si sentiva stranamente contento, non sapeva che da lì a poco sarebbe arrivato il diluvio. Il Vicepresidente era stranamente anche lui presente pronto a dar man forte al suo capo. Dopo i complimenti per l’ottima gestione fatti con una caramellosa cerimonia è arrivato il vero motivo della sua convocazione.
- Deve licenziare, l’azienda deve fare dei tagli.
Cesare, dopo lo smarrimento iniziale, ha provato a replicare, ma ormai la ghigliottina era pronta, doveva tagliare delle teste. Uscendo la segretaria ha abilmente evitato il suo sguardo, il sole era sempre lì, ma sembrava che i dardi di fuoco si fossero gelati.
Per giorni ha cercato una soluzione, ma il Presidente non c’era mai e il Vicepresidente aveva risposto seccato.
- Mio caro l’azienda è come un albero, si tagliano dei rami per farlo sopravvivere.
Il paragone con l’albero gli era parso azzardato e lo aveva anche fatto notare, qui si trattava di mandare a casa padri di famiglia non rami, ma il vicepresidente non ha replicato, è suonato il telefono, si è messo a parlare e Cesare si è allontanato. Alla fine ha dovuto avvisarli e ad ogni telefonata il cuore perdeva colpi. Dopo ogni telefonata Cesare si doveva fermare e tentare di riprendere a respirare. Ha tenuto per ultimo Paolo Narducci, una montagna d’uomo con un lontano passato da pugile.
Nessuno aveva accettato di perdere il posto senza replicare, lo hanno perfino minacciato, hanno messo di mezzo i sindacati, caro Tommaso, si ripeteva Cesare, servo a fare il paralume a questi rapinatori d’anime. Narducci non si rassegna, è quello più coriaceo, ha mille ragioni per opporsi, ma Cesare è impotente, non sa più come spiegarlo che ha lo stesso potere di un lombrico sotto una suola, ma Narducci pare sordo.
-Dottore, lei mi deve aiutare se no faccio una sciocchezza.
Cesare fa fatica ad ammettere a se stesso che minacce e urla non lo hanno per nulla indurito, anzi davanti a Narducci si sente intimorito da quello sguardo diretto che non vuole e non conosce repliche. Torna con la precisione di un treno svizzero, lo ha anche aspettato due volte fuori, è anche entrato e per quanto la segretaria abbia cercato di placcarlo nulla è valso a fermarlo.
-Devo parlare con il Dottore.
Urla con quella voce bitonale e da vicino sembra ancora più grosso, ha le mani appoggiate sulla scrivania intanto che parla, se lo colpisse di Cesare rimarrebbe ben poco.
Non è tipo da girare intorno: - Dottore lei mi deve aiutare, mi dia una possibilità.
Cesare ha capito che, dopo averglielo detto venti volte, ogni spiegazione con lui sarebbe naufragata e allora alle strette mente come fanno i bambini per evitare le botte dai genitori. Se ne è andato, ma prima di farlo ha voluto affondare la mano nella sua facendola scomparire in quella morsa di carne e ossa.
Una volta a casa dopo aver bevuto tre bicchieri di vino pensa a lungo a Narducci, alle sue parole, a come lo guardava poi si addormenta come un sasso e non sente per il momento le urla della sua coscienza.
Sono passati mesi, ma quei volti spaventati ogni tanto tornano in sogno, ha tentato di seppellire ogni rimorso spiegando a se stesso che non c’entra nulla riuscendoci solo in parte. Narducci nel frattempo continua a chiamare e visto che ormai in azienda non lo fanno più entrare è arrivato a chiamare sotto falso nome, Per la prima volta nella sua vita Cesare era stato scortese.
- Narducci sta esagerando, sarò costretto a porre dei rimedi e sia chiaro che se chiama ancora avverto la polizia.
- Faccia pure se devo morire ne porto almeno qualcuno con me.
Cesare ha avuto il sospetto che non stesse scherzando, cosi ha pensato di mandare una mail al Presidente che puntualmente non ha risposto.
La domenica si è confessato: Don Pietro dopo averlo ascoltato lo ha perdonato con un po’ di Ave Maria e ha promesso che se può aiuterà lui Narducci. Uscendo si è sentito sollevato.
Si avvicina il venerdì l’isola settimanale su cui tutti vogliono approdare quando in azienda arriva una voce che presto diventa notizia: Narducci si è tolto la vita gettandosi sotto un treno. A Cesare la notizia arriva dalla segretaria che glielo dice sussurrando con voce da bambina. Cesare rimane come folgorato, immobile, ha un attacco d’ansia, lo devono fare sdraiare tra la gente che vocia e qualcuno incurante del dramma parla, ridacchia e fa battute. La notte la passa al Pronto Soccorso, poi stanco, sentendosi naufragare ha dato retta a chi gli parlava e via con due, tre pastiglie.
Le notti a casa da solo sembrano panni appesi che nessuno viene mai a ritirare, andare a lavorare è ora impossibile, la finzione da teatro finirebbe in una tragedia. Alla fine si è dimesso prima che gli chiedessero di farlo. La guerra, gli elmetti, le granate non sono per lui. Ha accettato una generosa buona uscita e se ne è andato, la sua presenza ormai elettrica come quella di Tommaso disturbava l’efficienza e la produttività . Andandosene non ha salutato nessuno, aveva pensato come vendicarsi nei vari momenti di sofferenza e ora che sta per prendere le sue cose in ufficio non sa cosa fare. Ha chiesto più volte aiuto a Tommaso, ma stavolta è solo e tocca a lui. Vestito di una tristezza che gli spegne la luce del cuore si infila non visto nel bagno della Direzione e con forza scrive in rosso “Narducci Pietro e Tommaso Domini restano presenti anche se assenti”.
Il telefono squilla.
- Ciao, come va?
Cesare risponde lesto: - A parte la febbre direi bene.
Marco sembra quasi non sentire la risposta, ha troppo da raccontare per perdersi nelle formalità.
- Hai sentito il terremoto che è successo in ditta?
- Sono in malattia da tre giorni. ho spento ogni cosa. perfino i brutti pensieri.
- Stai tranquillo: il Direttore HR e i suoi accoliti si sono affondati da soli, senza bisogno di essere aiutati.
- Chi hanno tentato di uccidere?
- Peggio, li hanno beccati ubriachi ad un festino con prostitute e cocaina. Qualcuno li ha fotografati e la cosa è arrivata sulla scrivania del Presidente. ora per loro c’è solo la fucilazione senza onore.
- Per noi cambia poco, salirà il solito raccomandato o figlio di qualche potente amico del gran capo.
- E qui ti sbagli, hai poca fiducia nella considerazione che gli altri hanno di te: la maggioranza ha fatto il tuo nome e il Presidente non ha proferito parola contraria.
- Tutto questo mi spaventa, sei sicuro?
- Certo che lo sono, quando ci vediamo dobbiamo brindare.
- Certo, non mancherà l’occasione.
Quando riattacca pensa che se fosse vero non ci sarebbe motivo di festeggiare, ma per fortuna la sua diffidenza lo rassicura: Marco è uno che trasforma il falso in vero, è un credulone in buona fede che non si accerta mai della veridicità delle cose, non sarebbe certo la prima volta che grida al lupo senza neanche averlo visto.
Pensieroso cammina dentro il perimetro di casa, in tutto solo tre stanze, ma ben arredate: la sua preferita è il salotto dai colori accesi che tanto piacevano a Tommaso. Cesare non ha neanche il tempo di afferrare i ricordi che risuona il cellulare. E’ la segretaria del Presidente .
- Il dottor Malimbeni vorrebbe conferire con Lei. Lunedì le potrebbe andare bene?
Cesare è preso dall’ansia, è spiazzato e colpito da un dubbio: da quando Malimbeni chiede se uno può o non può, di solito ordina senza possibilità di replica, e perciò risponde sospettoso.
- Va bene per lunedì. Sa per caso di cosa si tratta?
La segretaria ha un attimo di silenzio: - Mi spiace, ho solo avuto la comunicazione di avvisarla se le andasse bene il lunedì.
La solita storia delle tre scimmie, diventano tutti sordi, ciechi e muti anche se poi sanno e sparlano di tutto. Non può essere solo una coincidenza.
Il suo cuore è disorientato: mai un sorriso se non fatto in maniera distante e beffarda, se fosse morto se ne sarebbero accorti forse dopo una settimana come con il povero Tommaso, neanche si erano presentati al funerali vigliacchi, meschini, ignobili. Ora sono allo sbando, hanno paura di affondare sapendo di non saper nuotare nel mare di melma dove si sono arenati: si sono guardati in giro e si sono ricordati di lui, qualcuno di loro avrà sicuramente alzato il sopracciglio, qualcuno avrà chiesto chi fosse, ricordandolo come quello amico di Tommaso Berni, quello che insomma, si dai che ci siamo capiti, quello diverso. Dicono diverso per non dire frocio, ricchione, e forse lo sospettano anche di lui.
Tommaso era un mare limpido, c’era in lui una varietà infinita di nuvole e sole, dava serenità vederlo camminare deciso in un mondo corrotto. Aveva le sue contraddizioni, lontano certo dalla perfezione amava la pace, ma era sempre nel conflitto, si definiva un guerriero in tanga fucsia. Aveva la forza di sostenere lo sguardo di tutti: fiero, acuto, intelligente, eppure, dietro questa apparenza marmorea, c’era un essere che soffriva e spesso quando calava la maschera lo confessava. Un giorno disse guardandolo con gli occhi accartocciati nel pianto: - Cesare sto male mi sento risucchiare dal buio.
Cesare gli dava dei consigli, ma erano negli ultimi tempi poca cosa rispetto al dolore che lo stava soffocando.
La notizia del suicidio l’aveva appresa per telefono perché prima di morire aveva scritto a chi lo avrebbe trovato di avvertirlo. “Suicidio”, la sola parola dava i brividi. Ne avevano parlato, ma Cesare deviava i suoi pensieri, lo faceva ridere continuando a circondarlo di parole come se fossero un recinto dal quale non potesse scappare. Alla fine aveva deciso, aveva fatto una scelta, il suicidio non come fuga, ma come atto di ribellione plateale, per urlare forte il suo sdegno verso l’ipocrisia, perché ormai il suo cuore registrava ferite che non si rimarginavano. In ditta avevano detto che lo aveva fatto per un esaurimento nervoso che da tempo lo tormentava, ma probabilmente chi pensava questo non lo conosceva. Tommaso l’aveva fatta grossa, omosessuale e suicida, troppo per persone che avevano percorso tutta la loro vita stando dentro le righe. Se Tommaso avesse visto i partecipanti al suo funerale si sarebbe alzato dalla bara per terrorizzarli e fino all’ultimo Cesare aveva sperato di sentire bussare da dentro quel legno di mogano e vederlo uscire con la solita calma per mettersi sui fianchi le corone di fiori dei dolenti parenti e ballare come fosse un hawaiano che accoglie i turisti.
Certe volte a Cesare pareva di sentire la sua voce e gli sembrava che dall’alto Tommaso lo stesse aiutando come ridendo gli aveva fatto promettere.
- Chi dei due muore prima, dall’alto aiuta l’altro.
E intanto che lo diceva rideva come se parlasse di qualcosa di leggero. Cesare crede in Dio, ma quelle parole suonavano stonate come una moneta di cioccolata che cade a terra. Tommaso era sempre molto critico nei confronti del padrone dell’universo, spesso diventava blasfemo e sorrideva con gli occhi quando si parlava dell’aldilà. In due si riparavano dalle stonature dell’azienda, prendevano sempre strade deserte mentre gli altri seguivano sui binari la loro vita quotidiana.
Cosa vuole il mondo da Cesare? Nonna Carla e Tommaso erano stati gli unici che non gli avevano mai chiesto nulla, lo accettavano nonostante i suoi silenzi .
Che bella era sua nonna, aveva la pelle color di luna, vellutata, i modi gentili e le orecchie vicino al cuore per ascoltare il suono del vento dei suoi pensieri: quando era scomparsa non aveva perso solo la nonna, ma l’unica voce che lo comprendeva senza portarlo ogni volta sotto processo. Poi, dopo tanti volti, arrivò Tommaso. Dopo una iniziale riluttanza, preda anche lui del giudizio degli altri, scoprì che essergli amico era la cosa più semplice. Tommaso gli si avvicinò al bar sotto la ditta, dove qualche volta si fermava a fare la colazione e sentendo che aveva dimenticato il portafoglio si offrì di pagare la colazione. A Cesare però non piacciono i debiti e dunque il giorno dopo era davanti a lui con i soldi in mano.
- Lascia stare, i soldi fanno solo danni, parliamo che ci fa bene.
Da allora le parole furono le rotaie sulle quali correva il loro treno. Cesare rimaneva sconcertato per come Tommaso scardinava le sue paure e la corazza che nel tempo aveva eretto.
Lunedi è arrivato dopo una domenica di pioggia fitta, sottile e dolorosa come aghi sulla pelle. Arrivato come sempre in anticipo è entrato nella sala riunioni. C’era solo l’uomo delle pulizie che rassettava tra le sedie al buio e dava l’impressione di un essere impaurito che non riusciva ad evitare le fauci aperte delle sedie. Sono arrivati tutti alla spicciolata, mai insieme, ma a piccoli gruppi, ogni gruppo una sua realtà che vive di una sua personale identità: quando si incontrano con altri gruppi si salutano, sorridono, qualcuno si odia a distanza di sguardo, altri si ignorano e questo molte volte per trent’anni, fino alla pensione.
Cesare si è subito defilato in disparte verso l’uscita, quasi stesse lì giusto per scappare, cosa che in effetti vorrebbe fare. In un attimo il tramestio di voci si è spento: è arrivato il Presidente. Quando entra nella sala pare lo faccia con fatica, ma poi riparte con piglio da cavaliere e avanza tra la gente che lo guarda deferente. Il Direttore Marketing gli si avvicina e gli stringe la mano, due passi indietro c’è il Vicepresidente, un uomo grigio che anche facendo sforzo di fantasia non si riesce ad immaginare giovane. Tutti si sono seduti come si fa ad una pièce teatrale. Il Presidente si è schiarito la voce e poi ha cominciato a parlarsi addosso facendo un discorso banale che tra l’altro aveva già fatto, poi ha spiegato che sono in corso dei cambiamenti e alla fine ha detto un nome: Cesare Tamburini.
Cesare ha sentito il peso in chilogrammi degli sguardi di chi lo cercava, si è dovuto a forza muovere, qualcuno ha fatto i complimenti, Bosi, che è il più sfrontato, passando lo ha afferrato per la manica e gli ha sussurrato qualcosa, ma Cesare non l’ha neanche guardato in faccia e ha tirato dritto. Ovazione, Cesare Tamburini è il nuovo Responsabile delle Risorse Umane, applausi e baci: a casa se lo era ripetuto cento volte e per cento volte avrebbe tanto voluto rispondere no, mi dispiace lo faccia fare ad un altro. Invece si è allineato, perché per navigare contro corrente bisogna essere marinai esperti e Cesare è uno invece che affoga nella vasca da bagno. Non ha mai voluto essere Direttore, ma rifiutare lo avrebbe messo in una situazione di conflitto con il Presidente e i suoi repubblicani e lui odia le tensioni. Le ha provate indirettamente con Tommaso, ma lui era una tempesta di parole e di sorrisi che dopo un po’ facevano saltare ogni barriera.
Sono passati sei mesi e a parte la stanchezza e i soliti sorrisi plastificati della segretaria tutto prosegue: oggi però c’è una novità, il Presidente lo ha convocato. Quando è entrato in quell’ ufficio con quadri e larghe poltrone c’era un bel sole e si sentiva stranamente contento, non sapeva che da lì a poco sarebbe arrivato il diluvio. Il Vicepresidente era stranamente anche lui presente pronto a dar man forte al suo capo. Dopo i complimenti per l’ottima gestione fatti con una caramellosa cerimonia è arrivato il vero motivo della sua convocazione.
- Deve licenziare, l’azienda deve fare dei tagli.
Cesare, dopo lo smarrimento iniziale, ha provato a replicare, ma ormai la ghigliottina era pronta, doveva tagliare delle teste. Uscendo la segretaria ha abilmente evitato il suo sguardo, il sole era sempre lì, ma sembrava che i dardi di fuoco si fossero gelati.
Per giorni ha cercato una soluzione, ma il Presidente non c’era mai e il Vicepresidente aveva risposto seccato.
- Mio caro l’azienda è come un albero, si tagliano dei rami per farlo sopravvivere.
Il paragone con l’albero gli era parso azzardato e lo aveva anche fatto notare, qui si trattava di mandare a casa padri di famiglia non rami, ma il vicepresidente non ha replicato, è suonato il telefono, si è messo a parlare e Cesare si è allontanato. Alla fine ha dovuto avvisarli e ad ogni telefonata il cuore perdeva colpi. Dopo ogni telefonata Cesare si doveva fermare e tentare di riprendere a respirare. Ha tenuto per ultimo Paolo Narducci, una montagna d’uomo con un lontano passato da pugile.
Nessuno aveva accettato di perdere il posto senza replicare, lo hanno perfino minacciato, hanno messo di mezzo i sindacati, caro Tommaso, si ripeteva Cesare, servo a fare il paralume a questi rapinatori d’anime. Narducci non si rassegna, è quello più coriaceo, ha mille ragioni per opporsi, ma Cesare è impotente, non sa più come spiegarlo che ha lo stesso potere di un lombrico sotto una suola, ma Narducci pare sordo.
-Dottore, lei mi deve aiutare se no faccio una sciocchezza.
Cesare fa fatica ad ammettere a se stesso che minacce e urla non lo hanno per nulla indurito, anzi davanti a Narducci si sente intimorito da quello sguardo diretto che non vuole e non conosce repliche. Torna con la precisione di un treno svizzero, lo ha anche aspettato due volte fuori, è anche entrato e per quanto la segretaria abbia cercato di placcarlo nulla è valso a fermarlo.
-Devo parlare con il Dottore.
Urla con quella voce bitonale e da vicino sembra ancora più grosso, ha le mani appoggiate sulla scrivania intanto che parla, se lo colpisse di Cesare rimarrebbe ben poco.
Non è tipo da girare intorno: - Dottore lei mi deve aiutare, mi dia una possibilità.
Cesare ha capito che, dopo averglielo detto venti volte, ogni spiegazione con lui sarebbe naufragata e allora alle strette mente come fanno i bambini per evitare le botte dai genitori. Se ne è andato, ma prima di farlo ha voluto affondare la mano nella sua facendola scomparire in quella morsa di carne e ossa.
Una volta a casa dopo aver bevuto tre bicchieri di vino pensa a lungo a Narducci, alle sue parole, a come lo guardava poi si addormenta come un sasso e non sente per il momento le urla della sua coscienza.
Sono passati mesi, ma quei volti spaventati ogni tanto tornano in sogno, ha tentato di seppellire ogni rimorso spiegando a se stesso che non c’entra nulla riuscendoci solo in parte. Narducci nel frattempo continua a chiamare e visto che ormai in azienda non lo fanno più entrare è arrivato a chiamare sotto falso nome, Per la prima volta nella sua vita Cesare era stato scortese.
- Narducci sta esagerando, sarò costretto a porre dei rimedi e sia chiaro che se chiama ancora avverto la polizia.
- Faccia pure se devo morire ne porto almeno qualcuno con me.
Cesare ha avuto il sospetto che non stesse scherzando, cosi ha pensato di mandare una mail al Presidente che puntualmente non ha risposto.
La domenica si è confessato: Don Pietro dopo averlo ascoltato lo ha perdonato con un po’ di Ave Maria e ha promesso che se può aiuterà lui Narducci. Uscendo si è sentito sollevato.
Si avvicina il venerdì l’isola settimanale su cui tutti vogliono approdare quando in azienda arriva una voce che presto diventa notizia: Narducci si è tolto la vita gettandosi sotto un treno. A Cesare la notizia arriva dalla segretaria che glielo dice sussurrando con voce da bambina. Cesare rimane come folgorato, immobile, ha un attacco d’ansia, lo devono fare sdraiare tra la gente che vocia e qualcuno incurante del dramma parla, ridacchia e fa battute. La notte la passa al Pronto Soccorso, poi stanco, sentendosi naufragare ha dato retta a chi gli parlava e via con due, tre pastiglie.
Le notti a casa da solo sembrano panni appesi che nessuno viene mai a ritirare, andare a lavorare è ora impossibile, la finzione da teatro finirebbe in una tragedia. Alla fine si è dimesso prima che gli chiedessero di farlo. La guerra, gli elmetti, le granate non sono per lui. Ha accettato una generosa buona uscita e se ne è andato, la sua presenza ormai elettrica come quella di Tommaso disturbava l’efficienza e la produttività . Andandosene non ha salutato nessuno, aveva pensato come vendicarsi nei vari momenti di sofferenza e ora che sta per prendere le sue cose in ufficio non sa cosa fare. Ha chiesto più volte aiuto a Tommaso, ma stavolta è solo e tocca a lui. Vestito di una tristezza che gli spegne la luce del cuore si infila non visto nel bagno della Direzione e con forza scrive in rosso “Narducci Pietro e Tommaso Domini restano presenti anche se assenti”.