[Lab7] Nero
Posted: Sun Mar 26, 2023 8:36 pm
[Lab7] Nero
Nonna Anna (così la chiamavano tutti da molti anni) era china sulla sua rivista da uncinetto. Con mano tremante, scostò gli occhiali dal naso, poi riprese a contare le asole. Un cane dall’aspetto trasandato la guardava dall’angolo del tappeto dove si era steso. Aveva un'espressione giudicante.
- Lo so, lo so, - si giustificò l’anziana signora, - non mi vengono più bene come un tempo… la vista non è più la stessa.
La nonna aggiustò con movimenti lenti il consumato plaid azzurro sulle ginocchia. Era una signora che un tempo aveva dato filo da torcere a molti ragazzi: chi l’aveva conosciuta all’epoca, avrebbe (forse) potuto riconoscere un lampo di vivacità nello sguardo che indirizzò al cane. O almeno l’eco di quel lampo.
- Faresti meglio ad andare fuori a farti una corsa, piuttosto che fare compagnia a una vecchia come me. Non potresti stare qui, cagnaccio…
Dal fondo della cucina arrivava un odore di cipolla, cavolo e la voce arrabbiata della mamma:
- Lisa! Dove stai entrando con quelle scarpe piene di fango?!
- Sto cercando Nero.
- Cosa? Si è di nuovo intrufolato in casa? Santo cielo, mi farete impazzire voi due!
Mentre la donna stava ancora gridando rimproveri, Lisa aveva fatto in tempo a rubare una manciata di caramelle dal barattolo per gli ospiti e sgattaiolare dalla porta sul retro, seguita dal meticcio scodinzolante.
Nero, contrariamente al nome, non era nero. Era bianco, a parte qualche chiazza marrone sparsa lungo il corpo. Non era un bel cane, anzi, era piuttosto bruttino: sembrava che qualcuno gli avesse accorciato le zampe, giusto per rovinare le proporzioni; le orecchie non si capiva se fossero dritte o cadenti; il pelo passava più tempo da sporco che da pulito e mancava la parte finale della coda, persa chissà dove e chissà quando. Nonostante questo era il miglior amico di Lisa.
- Ci sarà gente a cena, - disse la bambina passando la caramella da una parte all’altra della guancia, - quindi dobbiamo tenerci alla larga dalla cucina. Non voglio passare il pomeriggio a pelare patate. Dove andiamo?
Nero la ascoltò con attenzione e si avvicinò per annusare la mano appicicaticcia.
- E va bene, ma solo una, - gli allungo un confetto, - ci sono! Che ne dici del fiume?
Il sole picchiava alto sopra le loro teste, crogiolandosi nello frinire delle cicale, abbrustolendo la strada di terra battuta che si srotolava tra le case. I fiori di Sant'Anna, spuntati sul bordo, tingevano di magenta i muretti. Lisa li sfiorava canticchiando, mentre avanzava a passo rapido.
Quando arrivarono a un canale, con aria esperta, cercò il grosso tubo di cemento che collegava una riva all’altra. Era un gioco che faceva con i propri compagni di classe. Si mettevano a cavalcioni sul tubo e, pochi centimetri per volta, strisciavano sul sedere fino all'altra sponda.
La cosa non piacque a Nero. Cominciò ad agitarsi. Piagnucolò, poi abbaiò e corse su e giù lungo la riva.
- Dai, Nero, non fare il fifone. Non è fondo, ci passi.
Il cagnolino la raggiunse con il pelo della pancia che gocciolava acqua. Lui odiava l’acqua.
La stava ancora seguendo a rancorosa distanza, quando sentirono un pigro e lento battito di zoccoli. Lisa smise di strisciare i piedi per terra e Nero drizzò le orecchie. Era il signor Nicola che portava a spasso la sua cavalla.
Tutti in paese conoscevano Nicola e la sua cavalla. “Non muore ancora, la vecchia puledra”, diceva, “finirà che tirerò le cuoia per primo”. Prometteva di disfarsene, ma poi la portava a passeggio per la briglia a “sgranchirsi le gambe”. Lo raccontava a tutti quelli che passavano.
- Tu guarda, la ragazzina della casa sul confine, - la salutò quando fu abbastanza vicino, - che ci fai qui?
- Gita al fiume.
Lisa si mise uno stelo d’erba in bocca, come aveva visto fare dai maschi della sua classe.
A quel movimento, la cavalla si scosse dal suo torpore. Mosse il grosso capo, lo allungò in avanti e allargò le narici. Bastò questo per far scattare Nero all’indietro. Cercò di farsi piccolo, nascondendo il mozzicone di coda da qualche parte sotto la pancia.
- Il tuo cane ha mica paura della mia vecchia puledra? - sghignazzò l’uomo, - questa è bella! Da dove hai tirato fuori una bestia così vigliacca?
Lisa sputò lo stelo d’erba e si irrigidì.
- Tutti hanno paura di qualcosa, - disse con cautela.
- Sarà, ma bisogna essere proprio scemi per aver paura di lei, - Nicola diede un’allegra pacca sulla spalla della cavalla.
Ora sì che Lisa era arrabbiata. Gli venne incontro, poggiò i pugni sui fianchi e cercò nella testa le parole più velenose che poteva dire a un adulto, ma a quel gesto anche Nero scattò in avanti. Abbaiando come una furia, il pelo rizzato sulla schiena, aveva sfoderato tutta la sua collezione di denti. L’uomo impallidì e fece un passo indietro.
- …ad esempio tu hai paura di Nero, - mormorò sorpresa la bambina.
- Tienilo a bada! - le stava ancora gridando, ma Lisa era già corsa via, tagliando per i campi di grano.
Il cane la raggiunse al galoppo. Lo accolse con un sorriso smagliante:
- Spero non vada a lamentarsi dalla mamma! - disse, ma erano entrambi tornati di ottimo umore.
La brezza che si era alzata alle loro spalle, solleticando il collo e andando a impigliarsi tra i capelli della bambina, muoveva con lentezza quel secco mare tinto di oro. Le spighe chinavano i capi, creando flemmatiche, indolenti onde. Li spingevano in avanti.
Non passò molto prima che il paesaggio cominciasse a cambiare.
Erano quasi giunti al fiume. Le spighe ora, sempre più rarefatte, si stavano sciogliendo tra le canne alte e legnose. Tra di esse si sentivano gli starnazzi delle anatre.
- Ci sarà un nido? - sussurrò Lisa con emozione.
Nero stava annusando l’aria. Zampettava in mezzo ad antiche radici che spuntavano in asole dal terreno argilloso, sepolcri di chissà quali alberi cresciuti lì un tempo. Il canneto rendeva il posto riparato dal mondo esterno.
- Eccole! Eccole!
La bambina indicò un baluginio di piume che aveva intravisto in mezzo al verde. Le anatre la sentirono.
- No, aspettate… - fece solo in tempo a dire, prima che la frase terminasse in un urlo.
I pennuti volarono via con un gran frastuono d’ali.
Lisa era scivolata. Il piede, incastrato tra le radici, l’aveva fatta ruzzolare nelle acque basse della riva. Una canna particolarmente robusta le aveva frustato la spalla, delle frasche le avevano graffiato il naso, ma era la caviglia quella messa peggio. Non aveva retto la caduta. Si stava già gonfiando, livida e pulsante.
Nero l’aveva raggiunta con il bianco degli occhi strabuzzato per il panico. Continuava a schizzare acqua da tutte le parti, dimentico della sua avversione per l’umido.
- Fa male, - le labbra di Lisa tremarono, - fa male, Nero.
Il cane puntò il tartufo contro la sua guancia. La leccò nervosamente un paio di volte. La bambina lo spinse via, mentre scoppiava a piangere:
- Devi andare a chiamare qualcuno.
Nero insistette. Guaiva mentre le lavava via le lacrime con la sua calda, morbida lingua.
- Ti prego. Ti prego, Nero. Fa così male!
In lontananza si sentì il nitrito lamentoso della cavalla. Nero sollevò di scatto la testa. Ancora mugolando, corse in quella direzione.
Adesso che il cane non era più con lei, il ricordo del pelo bagnato contro la sua mano era l’unico conforto che le restava. Mai il tempo le sembrò scorrere più lentamente.
- Nero, - continuava a piagnucolare, come una nenia, - Nero…
Dopo quello che sembrò un’eternità, lo squillante abbaio del suo amico riempì di nuovo lo spazio tra le canne, seguito dal pesante incedere di un uomo. Nero sfrecciò tra le sue braccia e dopo poco li raggiunse Nicola.
- Oh mio Dio, oh mio Dio, - esclamò alla vista di Lisa.
- Oh mio Dio, - ripeté, quando con gesti imbranati cercò di tirarla su.
La bambina strinse le labbra per fermare i tremiti.
- Ce la fai a stare in piedi? Certo che non ce la fai. Ti porto dalla vecchia puledra, riesci a stare in groppa? Non ti farà cadere, non ti preoccupare, non ha mai fatto cadere nessuno. Oh mio Dio, oh mio Dio, meno male che ho seguito quel cane fuori di testa… Oh mio Dio, sei bagnata? Certo che lo sei, forse ho ancora un plaid nella bisaccia, oh mio Dio, ti va bene? Certo che ti va bene, tieni, tieni…
Nicola continuò a parlare per tutto il tragitto, mentre Lisa, avvolta in un morbido plaid azzurro, dondolava sulla groppa della cavalla. Nero trottava al suo fianco, senza distogliere lo sguardo dalla bambina. Era un caldo pomeriggio d’estate.
Nonna Anna diede un’altra carezza al plaid, prima di tirarlo un po’ più su sulle ginocchia. Era consunto dall’uso, sbiadito e non più del bel celeste acceso di una volta, ma ancora in buono stato.
- Non se lo è mai ripreso, il signor Nicola, - l’anziana appoggiò la testa allo schienale della poltrona, - nemmeno quando lo avevamo lavato per benino. Ne sono contenta. E’ un caro ricordo.
La nonna sospirò con dolcezza:
- Ne abbiamo passate di belle io e te, eh, Nero?
- Nonna Anna? Nonna Anna, mi senti? Annalisa?
Al suono del suo nome completo, l’anziana signora si scosse.
- Cosa c’è, cara? - chiese alla nuora, accorgendosi che era ferma in piedi sull’uscio della stanza.
- Nonna Anna, stavi parlando di nuovo da sola… - il volto della donna era preoccupato, - sono venuta a chiederti se volevi del tè.
- A un tè non ci rinuncio, grazie.
Quando se ne fu andata, Annalisa si voltò verso il cane sdraiato poco distante. Si era stiracchiato e aveva allungato le zampe sul tappeto.
- Cagnaccio testardo, sei sempre stato così. Non te ne andrai senza di me, vero? Mi stai aspettando da così tanti anni.
Nero accennò uno scodinzolio. Si sollevò in piedi e diede un pacato tocco con il naso al lembo di plaid cascante.
- Lo so, ce ne andremo avvolti nell’azzurro, io e te. Andrai a chiamare qualcuno, come quella volta. Quando sarà la nostra ora. Quando verrà la nostra ora.
Nero si appoggiò con la spalla alle sue gambe. Annalisa sorrise e chiuse gli occhi.
Nonna Anna (così la chiamavano tutti da molti anni) era china sulla sua rivista da uncinetto. Con mano tremante, scostò gli occhiali dal naso, poi riprese a contare le asole. Un cane dall’aspetto trasandato la guardava dall’angolo del tappeto dove si era steso. Aveva un'espressione giudicante.
- Lo so, lo so, - si giustificò l’anziana signora, - non mi vengono più bene come un tempo… la vista non è più la stessa.
La nonna aggiustò con movimenti lenti il consumato plaid azzurro sulle ginocchia. Era una signora che un tempo aveva dato filo da torcere a molti ragazzi: chi l’aveva conosciuta all’epoca, avrebbe (forse) potuto riconoscere un lampo di vivacità nello sguardo che indirizzò al cane. O almeno l’eco di quel lampo.
- Faresti meglio ad andare fuori a farti una corsa, piuttosto che fare compagnia a una vecchia come me. Non potresti stare qui, cagnaccio…
Dal fondo della cucina arrivava un odore di cipolla, cavolo e la voce arrabbiata della mamma:
- Lisa! Dove stai entrando con quelle scarpe piene di fango?!
- Sto cercando Nero.
- Cosa? Si è di nuovo intrufolato in casa? Santo cielo, mi farete impazzire voi due!
Mentre la donna stava ancora gridando rimproveri, Lisa aveva fatto in tempo a rubare una manciata di caramelle dal barattolo per gli ospiti e sgattaiolare dalla porta sul retro, seguita dal meticcio scodinzolante.
Nero, contrariamente al nome, non era nero. Era bianco, a parte qualche chiazza marrone sparsa lungo il corpo. Non era un bel cane, anzi, era piuttosto bruttino: sembrava che qualcuno gli avesse accorciato le zampe, giusto per rovinare le proporzioni; le orecchie non si capiva se fossero dritte o cadenti; il pelo passava più tempo da sporco che da pulito e mancava la parte finale della coda, persa chissà dove e chissà quando. Nonostante questo era il miglior amico di Lisa.
- Ci sarà gente a cena, - disse la bambina passando la caramella da una parte all’altra della guancia, - quindi dobbiamo tenerci alla larga dalla cucina. Non voglio passare il pomeriggio a pelare patate. Dove andiamo?
Nero la ascoltò con attenzione e si avvicinò per annusare la mano appicicaticcia.
- E va bene, ma solo una, - gli allungo un confetto, - ci sono! Che ne dici del fiume?
Il sole picchiava alto sopra le loro teste, crogiolandosi nello frinire delle cicale, abbrustolendo la strada di terra battuta che si srotolava tra le case. I fiori di Sant'Anna, spuntati sul bordo, tingevano di magenta i muretti. Lisa li sfiorava canticchiando, mentre avanzava a passo rapido.
Quando arrivarono a un canale, con aria esperta, cercò il grosso tubo di cemento che collegava una riva all’altra. Era un gioco che faceva con i propri compagni di classe. Si mettevano a cavalcioni sul tubo e, pochi centimetri per volta, strisciavano sul sedere fino all'altra sponda.
La cosa non piacque a Nero. Cominciò ad agitarsi. Piagnucolò, poi abbaiò e corse su e giù lungo la riva.
- Dai, Nero, non fare il fifone. Non è fondo, ci passi.
Il cagnolino la raggiunse con il pelo della pancia che gocciolava acqua. Lui odiava l’acqua.
La stava ancora seguendo a rancorosa distanza, quando sentirono un pigro e lento battito di zoccoli. Lisa smise di strisciare i piedi per terra e Nero drizzò le orecchie. Era il signor Nicola che portava a spasso la sua cavalla.
Tutti in paese conoscevano Nicola e la sua cavalla. “Non muore ancora, la vecchia puledra”, diceva, “finirà che tirerò le cuoia per primo”. Prometteva di disfarsene, ma poi la portava a passeggio per la briglia a “sgranchirsi le gambe”. Lo raccontava a tutti quelli che passavano.
- Tu guarda, la ragazzina della casa sul confine, - la salutò quando fu abbastanza vicino, - che ci fai qui?
- Gita al fiume.
Lisa si mise uno stelo d’erba in bocca, come aveva visto fare dai maschi della sua classe.
A quel movimento, la cavalla si scosse dal suo torpore. Mosse il grosso capo, lo allungò in avanti e allargò le narici. Bastò questo per far scattare Nero all’indietro. Cercò di farsi piccolo, nascondendo il mozzicone di coda da qualche parte sotto la pancia.
- Il tuo cane ha mica paura della mia vecchia puledra? - sghignazzò l’uomo, - questa è bella! Da dove hai tirato fuori una bestia così vigliacca?
Lisa sputò lo stelo d’erba e si irrigidì.
- Tutti hanno paura di qualcosa, - disse con cautela.
- Sarà, ma bisogna essere proprio scemi per aver paura di lei, - Nicola diede un’allegra pacca sulla spalla della cavalla.
Ora sì che Lisa era arrabbiata. Gli venne incontro, poggiò i pugni sui fianchi e cercò nella testa le parole più velenose che poteva dire a un adulto, ma a quel gesto anche Nero scattò in avanti. Abbaiando come una furia, il pelo rizzato sulla schiena, aveva sfoderato tutta la sua collezione di denti. L’uomo impallidì e fece un passo indietro.
- …ad esempio tu hai paura di Nero, - mormorò sorpresa la bambina.
- Tienilo a bada! - le stava ancora gridando, ma Lisa era già corsa via, tagliando per i campi di grano.
Il cane la raggiunse al galoppo. Lo accolse con un sorriso smagliante:
- Spero non vada a lamentarsi dalla mamma! - disse, ma erano entrambi tornati di ottimo umore.
La brezza che si era alzata alle loro spalle, solleticando il collo e andando a impigliarsi tra i capelli della bambina, muoveva con lentezza quel secco mare tinto di oro. Le spighe chinavano i capi, creando flemmatiche, indolenti onde. Li spingevano in avanti.
Non passò molto prima che il paesaggio cominciasse a cambiare.
Erano quasi giunti al fiume. Le spighe ora, sempre più rarefatte, si stavano sciogliendo tra le canne alte e legnose. Tra di esse si sentivano gli starnazzi delle anatre.
- Ci sarà un nido? - sussurrò Lisa con emozione.
Nero stava annusando l’aria. Zampettava in mezzo ad antiche radici che spuntavano in asole dal terreno argilloso, sepolcri di chissà quali alberi cresciuti lì un tempo. Il canneto rendeva il posto riparato dal mondo esterno.
- Eccole! Eccole!
La bambina indicò un baluginio di piume che aveva intravisto in mezzo al verde. Le anatre la sentirono.
- No, aspettate… - fece solo in tempo a dire, prima che la frase terminasse in un urlo.
I pennuti volarono via con un gran frastuono d’ali.
Lisa era scivolata. Il piede, incastrato tra le radici, l’aveva fatta ruzzolare nelle acque basse della riva. Una canna particolarmente robusta le aveva frustato la spalla, delle frasche le avevano graffiato il naso, ma era la caviglia quella messa peggio. Non aveva retto la caduta. Si stava già gonfiando, livida e pulsante.
Nero l’aveva raggiunta con il bianco degli occhi strabuzzato per il panico. Continuava a schizzare acqua da tutte le parti, dimentico della sua avversione per l’umido.
- Fa male, - le labbra di Lisa tremarono, - fa male, Nero.
Il cane puntò il tartufo contro la sua guancia. La leccò nervosamente un paio di volte. La bambina lo spinse via, mentre scoppiava a piangere:
- Devi andare a chiamare qualcuno.
Nero insistette. Guaiva mentre le lavava via le lacrime con la sua calda, morbida lingua.
- Ti prego. Ti prego, Nero. Fa così male!
In lontananza si sentì il nitrito lamentoso della cavalla. Nero sollevò di scatto la testa. Ancora mugolando, corse in quella direzione.
Adesso che il cane non era più con lei, il ricordo del pelo bagnato contro la sua mano era l’unico conforto che le restava. Mai il tempo le sembrò scorrere più lentamente.
- Nero, - continuava a piagnucolare, come una nenia, - Nero…
Dopo quello che sembrò un’eternità, lo squillante abbaio del suo amico riempì di nuovo lo spazio tra le canne, seguito dal pesante incedere di un uomo. Nero sfrecciò tra le sue braccia e dopo poco li raggiunse Nicola.
- Oh mio Dio, oh mio Dio, - esclamò alla vista di Lisa.
- Oh mio Dio, - ripeté, quando con gesti imbranati cercò di tirarla su.
La bambina strinse le labbra per fermare i tremiti.
- Ce la fai a stare in piedi? Certo che non ce la fai. Ti porto dalla vecchia puledra, riesci a stare in groppa? Non ti farà cadere, non ti preoccupare, non ha mai fatto cadere nessuno. Oh mio Dio, oh mio Dio, meno male che ho seguito quel cane fuori di testa… Oh mio Dio, sei bagnata? Certo che lo sei, forse ho ancora un plaid nella bisaccia, oh mio Dio, ti va bene? Certo che ti va bene, tieni, tieni…
Nicola continuò a parlare per tutto il tragitto, mentre Lisa, avvolta in un morbido plaid azzurro, dondolava sulla groppa della cavalla. Nero trottava al suo fianco, senza distogliere lo sguardo dalla bambina. Era un caldo pomeriggio d’estate.
Nonna Anna diede un’altra carezza al plaid, prima di tirarlo un po’ più su sulle ginocchia. Era consunto dall’uso, sbiadito e non più del bel celeste acceso di una volta, ma ancora in buono stato.
- Non se lo è mai ripreso, il signor Nicola, - l’anziana appoggiò la testa allo schienale della poltrona, - nemmeno quando lo avevamo lavato per benino. Ne sono contenta. E’ un caro ricordo.
La nonna sospirò con dolcezza:
- Ne abbiamo passate di belle io e te, eh, Nero?
- Nonna Anna? Nonna Anna, mi senti? Annalisa?
Al suono del suo nome completo, l’anziana signora si scosse.
- Cosa c’è, cara? - chiese alla nuora, accorgendosi che era ferma in piedi sull’uscio della stanza.
- Nonna Anna, stavi parlando di nuovo da sola… - il volto della donna era preoccupato, - sono venuta a chiederti se volevi del tè.
- A un tè non ci rinuncio, grazie.
Quando se ne fu andata, Annalisa si voltò verso il cane sdraiato poco distante. Si era stiracchiato e aveva allungato le zampe sul tappeto.
- Cagnaccio testardo, sei sempre stato così. Non te ne andrai senza di me, vero? Mi stai aspettando da così tanti anni.
Nero accennò uno scodinzolio. Si sollevò in piedi e diede un pacato tocco con il naso al lembo di plaid cascante.
- Lo so, ce ne andremo avvolti nell’azzurro, io e te. Andrai a chiamare qualcuno, come quella volta. Quando sarà la nostra ora. Quando verrà la nostra ora.
Nero si appoggiò con la spalla alle sue gambe. Annalisa sorrise e chiuse gli occhi.