[CC23] Le luci di Ukube - Malefica
Posted: Mon Feb 27, 2023 12:19 am
Traccia n. 4 - Luce/i
Boa: Deve comparire almeno una maschera
Titolo: Le luci di Ukube
Boa: Deve comparire almeno una maschera
Titolo: Le luci di Ukube
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Puntu arrivò a Ukube una mattina; in file di tre, i bambini, completamente nudi, camminavano legati uno all'altro per le caviglie, ondeggiavano sotto il peso della cesta, del martello e lo scalpello che portavano sul capo.Puntu, tra loro, era il più alto e snello; aveva la pelle scura e lucente, lo sguardo duro e la mascella tesa, come a ostentare una rabbia repressa.
L’Ombee diede l’ ordine di fermarsi, la voce arrivò sorda, smorzata dentro la maschera di legno che i guardiani portavano poggiata sulle spalle: una maschera pesante, con cerchi ossidiana al posto degli occhi, cosa che incuteva molto timore.
I ragazzi si arrestarono di colpo e alzarono le braccia per tenere ferme le ceste.
Puntu, fu assegnato al mio gruppo. Li osservai mentre distribuivo loro teli per coprirsi; tutti tenevamo gli occhi bassi, alcuni tremavano, erano sul punto di piangere. Puntu era diverso da ogni altro ragazzo che mi era stato assegnato fino a quel giorno.
Mi avvicinai a lui, il segnale era già risuonato e decine di ragazzini risalivano dai tunnel per fare spazio ai lavoratori del nuovo turno.
— Come ti chiami? — Cercai la traiettoria del suo sguardo; lui teneva gli occhi fissi in punto dietro di me.
—Guardami, devi imparare a riconoscere il tuo custode, quando saremo la sotto, io posso decidere se vivi o muori. Come ti chiami?
— Io sono Puntu. — Mi guardò senza perdere la sua fierezza.
— Come mai sei qui?
— Sono orfano, mio padre è morto.
— Vieni con me. Non spostarti mai dal mio fianco, metti il piede nella mia orma, stai attento al tuo martello e al tuo scalpello, non perderli mai di vista, se li perdi, assaggerai la frusta dell’Ombee.
Puntu era un ragazzo forte, strisciava nei cunicoli più stretti, scavava fino allo stremo senza mai lamentarsi. Da quella mattina mi seguì come un’ombra; Io gli insegnai a seguire il fiume di metallo e a capire la direzione da prendere quando, quello, spariva all’improvviso nella roccia, gli feci vedere come proteggersi le mani dai colpi accidentali, come curarsi le ferite e dove trovare erbe buone da masticare per non patire la fame.
Puntu obbediva ciecamente, non si mise nei guai una sola volta e io lo guardavo crescere con rimpianto: Nessuno lascia Ukube in vita.
Passò del tempo e Puntu, divenuto più alto di me, cominciò a fare domande, troppe domande.
Di giorno scavava in silenzio, gli avevo spiegato che parlare davanti agli altri era molto pericoloso, alcuni custodi amavano fare la spia, ma la sera, e a volte anche la notte, non mi lasciava riposare.
— Mkobu, Cosa sono quelle mura fuori dal campo? Tu lo sai vero?
— Quello è Ukube, noi siamo Ukube.
— Vuoi dire che tu non ti sei mai chiesto chi le ha messe lì?
Mi osservava con la sua aria di sfida, sapeva come costringermi a parlare e io sapevo come raccontare facendo in modo che non gli venisse mai la voglia di provare a fuggire.
— Ti racconterò la storia di Mdebe, — gli dissi.
Tanto tempo fa, Mdebe stava giocando vicino alla nonna che accudiva il fuoco. All’improvviso la donna sussultò, spalancò gli occhi cadde all'indietro, il tonfo sul terreno fece sobbalzare il bambino. La donna aveva un piccolo buco nel collo, tra la pelle rugosa brillarono alcune gocce di sangue: era morta. Mdebe non fece in tempo nemmeno a gridare il suo terrore che si senti sollevare alla schiena. Gli fu dato un martello uno scalpello e una cesta e, insieme ad altri bambini, li portarono qui. Gli adulti, anche loro scelti dagli dei, vivevano in un campo non molto lontano da qui. Mdebe era contento perché, ogni giorno, poteva scorgere la sagoma di suo padre nell'altra estremità della miniera.
Una sera, quando uscimmo sul sentiero, vedemmo l’Ukube che aveva cominciato a crescere e per questo, lui doveva cercare un punto sempre più in alto per continuare a vedere suo padre. In soli sei tramonti, il campo degli adulti sparì dietro alla grandezza di Ukube. Mdebe cercò di aggirare le mura, ma gli Ombee lo presero. Non lo rividi mai più.
Non osare sfidare gli dei, prega, Puntu, e chiedi pietà anche per i pensieri cattivi. Loro sanno tutto ciò che pensi, la tua vita è nelle mani degli dei, smetti di farti domande, se avessero voluto per te un altro destino oggi non saresti qui.
Quella sera sperai di aver impressionato il ragazzo e di aver soddisfatto la sua curiosità, ma la sera dopo…
— Mkobu, cosa c’è dentro le mura dell'Ukube? Perché non possiamo avvicinarci? Cosa ci fanno, gli dei, con il baur che rubiamo alla terra? Perché gli Ombee indossano quella maschera pesante? Che cosa sono quelle luci che brillano sulla montagna?…
— Ora basta, Puntu, Ukube è la casa del Baur, se la vedessi dall’interno potresti non credere a cosa stai guardando. Io un giorno ho posato i miei occhi sulla meraviglia degli dei, ho rischiato la vita. Io non volevo guardare, ma la benda, che L’Ombee mi aveva legata sul viso, scivolò un poco, avrei potuto morire, lo sai?
— Io un giorno andrò via da qui, Mkubu, e lo farò molto presto.
— Nessuno va via da qui, gli dei sanno sempre dove sei.
— Tu però,non sei stato punito per aver visto? Me lo sai spiegare questo?
Quella volta non seppi risponde, e il dubbio s’insinuo nella mia mente. Pensai: Ho fallito, gli dei hanno voluto mettermi alla prova, ora che ho raccontato al ragazzo che ho visto la loro meraviglia mi puniranno.
Quella notte pregai, chiesi perdono per aver rivelato il loro segreto. Poi pensai che anche Puntu rischiava la morte per aver ascoltato le mie parole e la cosa mi fece soffrire moltissimo.
Al mattino Puntu camminò sul sentiero, per la prima volta, davanti a me. Sulla cima della montagna, le luci degli dei sfumavano l’aurora, brillavano chiare come i fiori sulle rive dei ruscelli.
Puntu si girò, mi guardo ma non disse una parola, sapevo già di cosa avremmo parlato al nostro ritorno.
Dopo il turno, Puntu mi seguì alla sorgente, Mi gettavo acqua sul corpo quando sentii la sua voce.
— Devi dirmi cosa sono quei fuochi sulla montagna, Mboku.
— Non badarci Puntu, nessuno lo sa, nemmeno io.
— Mkubu, io devo andare lassù. Voglio vederle da vicino: Quale enorme fuoco può dare una simile luce?
— Tu sei pazzo! Quello è fuoco degli dei. Cosa vuoi sapere tu, nella mia vita ho visto scomparire le persone per aver deviato di qualche passo il sentiero. Devi smetterla con le tue domande o un giorno potresti non trovarmi più al tuo fianco.
Puntu non rispose, mi lasciò e se ne andò a riposare.
Al mattino prese di nuovo il suo posto dietro di me sul sentiero, mi risollevai pensando che avesse compreso il male che lo stava portando verso la morte, ma mi sbagliavo.
— Io non torno al campo.
— cosa vuoi fare?
— Non risalirò alla fine del turno, aspetterò il buio e mi metterò in cammino. Vado a vedere le luci.
— Ti troveranno, ti uccideranno.
— No, se tu non mi tradisci.
Non ci fu nulla che io potessi fare. Lo lasciai rannicchiato ad aspettare che la luce del giorno svanisse del tutto. Tornai al campo oppresso dai rimorsi.
Puntu sguscio fuori, il silenzio avvolgeva una notte senza luna, nessuna nuvola copriva la luce delle stelle.
Il ragazzo correva veloce sulla pianura, ma dentro la foresta prese un’ andatura più accorta: Suo padre era un cacciatore; gli aveva insegnato come orientarsi e a non farsi prendere di sorpresa da animali pericolosi. Camminò tutto il giorno e al tramonto, quando vide le luci bruciare la montagna in più punti, ebbe paura, si fermò. Le luci erano così forti che per guardarle doveva schermarsi gli occhi col palmo, alla fine, stanco, si addormentò. Quando si svegliò, le luci erano scomparse, ma era sicuro che al tramonto sarebbero tornate.
Guardò la pianura e la forma intera dell’Ukube. Dall’alto sembrava un enorme mucchio di escrementi, poco lontano c’era un piccolo punto scuro: il campo dei lavoratori, quello gli suggerì la grandezza dell’Ukube. Dalle mura partivano sentieri dove file di uomini trasportavano, quello che a lui e anche a me, che seguivo le sue mosse da lontano, sembrò moltissimo cibo e molti animali: greggi, asini e file interminabili di armenti. Puntu e io li osservammo sparire dietro uno sperone di roccia e là, potemmo vedere una costruzione ancora più grande dell’Ukube. Quella doveva contenere una ricchezza immensa e centinaia di dei, visto il cibo che arrivava.
Stordito da quella vista, non mi ero accorto che Puntu aveva ricominciato la marcia. Lo seguii di nuovo.
Arrivammo vicino a una delle luci che il sole stava tramontando, all’improvviso l’aria s’incendiò, la luce mi accecò, persi di vista il ragazzo, non riuscivo più a vedere nulla. Poi il mio sguardo si abituò e lo vidi: era accovacciato vicino alla sorgente della luce, quella si spargeva verso l’alto da una insolita pietra levigata. Puntu la strinse con entrambe le braccia, capii che cercava di staccare la pietra luminosa dal terreno. Io, affascinato, mi prostrai, vidi il segno nel cielo scuro senza stelle: Le canne di luce si univano insieme, luminose come un unico sole. “Gli dei sono grandi,“ pensai.
Un rumore vibrante d’insetto mi fece girare lo sguardo, vidi un essere simile a un uomo, indossava sandali che emanavano luce: stava in piedi all’altezza di due uomini dal terreno a osservare Puntu che cercava di prendere la pietra. Oh dei! Esclamai, La paura mi gettò in ginocchio. Volevo avvertire Puntu, ma il ragazzo, sussultò e cadde all’indietro. Quell’essere si spostò sul corpo del mio amico, poi sparì volando verso le luci di Ukube. Corsi a cercare Puntu. Lo trovai a terra, aveva gli occhi spalancati, un piccolo foro sul collo e sulla pelle scorrevano poche gocce di sangue.
Avrei potuto tornare al campo, avrei sopportato le frustate, avrei detto che mi ero perso nei tunnel per cercare il ragazzo e tutto sarebbe tornato come prima. Avrei potuto, ma non senza Puntu, e non dopo aver compreso chi sono gli dei.
Ho camminato sulla terra, ho visto decine di razze, ho visto così tanta acqua da nascondere la terra. Ma in tutti i posti in cui sono stato, c’erano sempre gli dei e la gente che scavava ignara.