A filo d'acqua
Posted: Mon Jan 09, 2023 8:23 pm
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C’è un istante in cui due realtà completamente separate, create in modo da non potersi unire mai, si toccano. In quello spazio che a fatica si può chiamare “millimetro”, quando due universi nati per non incontrarsi mai si incontrano, nasce la magia.
C’è un istante in cui due realtà completamente separate, create in modo da non potersi unire mai, si toccano. In quello spazio che a fatica si può chiamare “millimetro”, quando due universi nati per non incontrarsi mai si incontrano, nasce la magia.
«Perché tessiamo il Bisso, mamma?» chiese la piccola, osservando i movimenti delle mani della madre. Precisi, millimetrici. Una sola azione in più, una sola in meno, e il filo dorato si sarebbe distrutto, vanificando così il lavoro di una giornata intera.
E così la bambina osservava attentamente le mani della madre, ipnotizzata. Dita lunghe, affusolate, piene di calli e di tagli: mani esperte.
Poi guardava le sue: mani di bambina, piccole, le dita ancora cicciottelle, le unghie sporche di terra e marmellata. Delle mani vergini, intoccate dal tempo e dal lavoro.
Eppure sapeva che un giorno le sue mani sarebbero state esattamente come quelle di sua mamma.
Un giorno, forse non troppo lontano, anche un lei avrebbe imparato l’antica arte di filare il Bisso.
Seta di mare.
Così la chiamavano, tanto era pregiata. Era un tessuto antichissimo, menzionato addirittura nella Bibbia e in ancor più antiche scritture ebraiche. In pochi avevano avuto l’onore di ricevere in dono vesti fatte con il Bisso. Era il filato dei faraoni e dei papi, dei re e degli imperatori.
Era un’arte morente, oramai poco redditizia in un mondo che avanzava velocemente, dove tutti si vestivano con tessuti meno pregiati ma resi più preziosi perché qualcuno di importante li aveva fatti, o perché quegli abiti, una volta indossati dalla persona giusta, venivano investiti di un’eminenza quasi sovrannaturale.
Ma tutto questo era perché l’uomo aveva deciso che fossero speciali.
I vestiti in Bisso, invece, erano speciali per loro natura.
Il Bisso, lo era.
E la bambina guardava la madre tirare, torcere e avvolgere la lunga e sottile linea dorata che dal rocchetto di Bisso grezzo andava a finire tra le sue dita, e in pochi istanti si trasformava in un unico filo perfetto.
Era come se la madre prendesse la luce del sole al tramonto e le desse forma tangibile.
Guardò i luccichii d’oro che saettavano sulle pareti ogniqualvolta un raggio di sole, intrufolatosi dalla finestra, schivando il vaso di gigli marittimi, picchiava sui rocchetti di Bisso. Per la bambina era come se il sole stesso prendesse vita e danzasse nel mondo.
«Perché tessiamo il Bisso, mamma?» tentò di nuovo.
Succedeva spesso che la donna si perdesse in chissà quale pensiero quando filava, e la bambina la vedeva guardare le sue mani muoversi rapidamente, con movimenti sicuri e antichi, ed eppure era come se non le stesse guardando.
I suoi occhi sì osservavano le dita, ma era come se guardassero oltre agli intrecci dorati che si piegavano e si muovevano; era come se vedessero qualche cosa al di là della dimensione in cui la bambina si trovava, al di là della luce, al di là del mondo, e quando ciò succedeva, quando la mamma era persa in quell’estasi dorata, la bambina la vedeva sorridere. Un sorriso di pace e di serenità, come se per lei non esistesse che quel momento, quel posto, e il Bisso.
«Mamma.» tentò di nuovo la bambina, afferrando la manica della madre e tirandogliela dolcemente, ben sapendo che quel lavoro era preciso e prezioso, e anche un solo strattone più forte del dovuto avrebbe mandato a monte ore e ore di lavoro.
«Mhh?» rispose finalmente la madre, scuotendo leggermente la testa, fermando le mani dolcemente, assicurandosi di non rovinare il lavoro fatto fino a lì.
«Che c’è, Alba?» le chiese sorridendo. Era un sorriso bellissimo, un sorriso di una madre che ti sveglia alla mattina, ma non era minimamente paragonabile al sorriso che aveva mentre filava il Bisso.
«Ti ho chiesto perché filiamo il Bisso.» rispose Alba, un poco scocciata.
«Perché filiamo il Bisso, mi chiedi?» chiese la madre, inclinando leggermente la testa, assumendo un’espressione tra il meravigliato e il pensieroso, come se non avesse compreso la domanda.
Restò per un po’ così, osservando i riflessi dorati del Bitto balenare oltre la testa della figlia, pensando ad una risposta che potesse andare bene.
«Se ti chiedessi che cos’è il Bisso, tu cosa mi risponderesti?» domandò, quando ebbe pensato abbastanza.
«Mhh…» fece la figlia, imitando i versi della madre. Ci pensò su un attimo, cercando di ricordarsi le parole che aveva ripetuto mille altre volte.
«Il Bisso, o seta di mare, è un filamento che si produce a partire dai filamenti che producono alcuni tipi di conchiglie bivalvi che vivono lungo le coste del Mediterraneo. Conosciuto fin dall’antichità, il Bisso è considerato una fibra pregiata al pari, se non più, della seta. Veniva utilizzato per tessere gli abiti degli uomini più potenti. Abbiamo tracce del suo impiego fin dall’antichità: babilonesi, greci, egizi, romani, felici…» disse la bambina in una voce monotona, contando i popoli sulle dita.
«Fenici, tesoro, non felici.» la corresse la madre, nascondendo con una mano un sorriso, lasciandosi andare in una risatina che sapeva di vento di aprile.
«Scusa, forse mi sono spiegata male.» continuò. «Cos’è il Bisso per te?»
Confusa da una domanda tanto strana, la figlia ci pensò su un istante.
«Beh, quello che ho detto: il filamento prodotto dalle conchiglie che raccogliamo e tessiamo. No?» fu il suo giudizio.
«Certo.» annuì la madre. «Ma per te il Bisso è questo? Solo questo?»
«Mhh…»
Alba increspò il viso in un’espressione di seria concentrazione, la stessa che faceva quando doveva calcolare quante mele le rimanevano dopo che ne aveva date tre a Luca.
«Sì, hai ragione nel dire che il Bisso è prodotto dai bivalvi che noi raccogliamo, che lo tessiamo e lo trasformiamo in vestiti ed altri oggetti.» intervenne in aiuta la donna, appoggiando con tutta la cura del mondo il rocchetto di Bisso che stava tessendo.
«Ma per noi è molto più di questo, sai?» continuò. «Per cui ti chiedo ancora: che cos’è il Bisso per te?»
Alba guardò confusa la madre. Non certo era la prima volta che le faceva quella domanda, però tutte le altre volte le era andata bene la definizione che si era imparata a memoria. Si limitò a boccheggiare, fissando imbambolata il volto della madre, con quell’espressione che solamente i bambini sono in grado di fare.
«Il Bisso non è solo qualcosa da vendere.» spiegò la madre, quando vide che la figlia non riusciva a trovare una risposta. «Per noi che lo lavoriamo, il Bisso è molto di più. Il Bisso è una parte di noi, ci fa capire chi siamo. È il nostro scarto con gli altri.»
La bambina si sforzò di capire. Corrucciò la fronte e continuò ad osservare la madre, aspettandosi un chiarimento che non tardò ad arrivare.
«Hai presente la Cina? Fino a qualche secolo fa era l’unico posto in cui la gente poteva produrre la seta. Divenne un impero potente anche grazie a quello. Quella era la cosa che li rendeva speciali, unici, diversi dagli altri, ma poi il segreto dei bachi da seta fu rubato da due mercanti travestiti da monaci pellegrini, e a poco a poco smisero di essere quello che erano sempre stati.»
«Capisco!» esclamò Alba sorridendo, convinta di avere trovato la risposta al quesito della madre. «Stai dicendo che dobbiamo stare attenti a chi mostriamo i nostri segreti! Che non dobbiamo fidarci se non vogliamo che ci rubino la nostra arte!»
«No, sciocchina. Non hai capito quello che volevo dire.» intervenne la madre, nascondendo un altro sorriso. «La storia della seta era solo un esempio per farti capire che alcune persone o popoli sono speciali per qualcosa, tutto qui.»
L’espressione di trionfo scomparve dal volto di Alba. Si sentì in imbarazzo, come ogni volta che credeva di avere detto una cosa intelligente solo per poi scoprire di avere detto una sciocchezza.
«Sta’ tranquilla, non c’è pericolo che arrivi qualcuno a rubarci il Bisso.» continuò la madre guardando fuori dalla finestra, verso il mare. «Vedi, le conchiglie che producono il Bisso non possono crescere da nessun’altra parte nel mondo, e anche qua nel Mediterraneo le zone dove viene prodotto sono pochissime e sempre meno. Per cui, finché avremo cura del nostro mare, ci sarà sempre il Bisso.»
La donna abbassò lo sguardo su Alba. La vide deglutire una lacrima, ma le bastò un sorriso per far capire alla figlia che era tutto a posto, che era normale alla sua età pensare che tutto al mondo fosse così semplice, e Alba rispose al sorriso, asciugandosi il naso con il dorso della mano, pulendoselo sul vestitino.
«Scusa tesoro, non intendevo dire che la tua risposta fosse sbagliata. Effettivamente il Bisso è anche quello che dici tu: niente più che un filamento prodotto dalle conchiglie. Però conosci la leggenda che si tramanda tra noi filatrici di seta di mare, no?»
Alba scosse la testa. In realtà la leggenda la conosceva benissimo, ma amava quando la madre gliela raccontava. Il racconto la avvolgeva in un torpore antico e sicuro, potente e meraviglioso al tempo stesso, che la faceva sentire tutt’una con il mare stesso.
La madre le fece cenno di avvicinarsi, e la figlia ubbidì.
«Secondo la leggenda, il Bisso è luce in forma tangibile.» disse, porgendole le palme, e Alba capì subito. Poggiò le sue mani, morbide e bianche, su quelle della madre, ingiallite e percorse da ragnatele di cicatrici. La donna accettò quel regalo senza dire niente, e prese ad accarezzargliele con dolcezza.
La piccola sentì i calli e i tagli sui polpastrelli sondarle la pelle alla ricerca di una qualsiasi imperfezione, proprio come faceva quando scrutava il Bisso filato alla ricerca di punti troppo deboli o spessi nel filato.
La donna, attraverso la cute callosa, percepì il calore della figlia e la virginità di quelle mani, ancora troppo inesperte per lavorare con sicurezza. Ci sarebbe voluto ancora un po’ di tempo prima che la piccola potesse iniziare il suo apprendistato, giudicò, ma del resto andava bene così.
Alba aveva solo otto anni, e per lei il mondo era ancora quello che quelle mani potevano afferrare e poco più. E tuttavia era proprio quella l’età più cruciale, quando gli occhi di un bambino non sono ancora offuscati dallo sporco del mondo. Quando ancora la magia primitiva dell’universo, la stessa magia che aveva creato il Bisso, era ancora ben.
La donna pensò che avrebbe fatto di tutto per far sì che sua figlia preservasse nei suoi occhi blu scuro quella magia che la faceva meravigliare ogni volta che vedeva il Bisso far danzare la luce del sole.
Ancora più dei calli e dei tagli, ancora dell’esperienza e dei movimenti precisi e antichi, era quel sentimento di meraviglia il vero segreto delle tessitrici di Bisso. Poco importava che Alba pensasse ancora che il Bisso non fosse altro che un prodotto ricercato; lei avrebbe fatto in modo che quella meraviglia non abbandonasse mai il cuore della figlia. Sarebbe invecchiata, sì, ma i suoi occhi sarebbero rimasti gli occhi di quella bambina innocente, ancora sporca di marmellata e di terra, in grado di stupirsi di fronte al mondo e di chiedere per l’ennesima volta quale fosse il motivo per cui si fila il Bisso, nonostante quel dolce teatrino tra madre e figlia si ripetesse da che Alba aveva imparato a parlare.
«Quando la luce del tramonto e quella dell’alba toccano la superfice del mare esse rimangono intrappolate sul filo dell’acqua.» riprese la donna, senza smettere di accarezzare le mani della figlia.
«Hai presente quando nuoti e ti stai immergendo, e i tuoi occhi sono a metà tra il sopra e il sotto dell’acqua, e ti sembra di vedere una membrana tra il cielo e il mare, una membrana che in realtà non esiste?» domandò la madre, e Alba rispose con un cenno del capo.
«Ecco, secondo la leggenda è lì sul filo dell’acqua che la luce del sole rimane intrappolata. Immagina: intrappolata tra due mondi che per loro natura non potranno mai incontrarsi, ed eppure la luce rimane intrappolata tra di loro. Rimane lì quanto basta per assorbire sia l’uno che l’altro elemento: aria e acqua.»
«Mhh.» commentò Alba, le labbra curvate in un dolce sorriso, ora che stava arrivando la sua parte preferita della leggenda.
«È solo grazie all’incontro di questi due elementi che il Bisso può nascere. La luce rimane lì, in quello spessore tra acqua e aria che non esiste nemmeno, e aspetta e assorbe. Assorbe l’uno e assorbe l’altra. E quando è troppo pesante, quando è pronta, la luce scende verso il fondo del mare, e lì si dona a chiunque ne abbia bisogno, e solamente le conchiglie ne sanno fare buon uso. Come uno scrigno del tesoro, chiudono in sé la luce del sole, e non la lasciano uscire finché non è Bisso.»
«Mhh!»
Alba, le manine ancora intrecciate in quelle della madre, si voltò verso la finestra e guardò il vaso di vetro dove stavano appassendo i gigli di mare che aveva colto per la mamma proprio l’altro giorno.
Osservò l’acqua al suo interno, guardò quel “filo d’acqua” dove stavano morendo i fiori, e per un breve, insignificante istante le parve di vedere del pulviscolo dorato vorticare e scendere verso il basso, e si sentì stranamente felice e in pace con l’universo. Si sforzò di guardare meglio, ma in un battito di ciglia la polvere dorata era già scomparsa.
Distratta dalle carezze della madre, Alba non seppe decidersi se quella fosse davvero luce solare intrappolata sul filo dell’acqua o solo polline, ma decise che non le importava. L’importante era quell’improvvisa e familiare sensazione di calore che aveva provato nel vederla danzare nel vaso.
«Sai perché le vesti in Bisso una volta erano donate, bada bene “donate”, non vendute, alle persone?» domandò la madre, riportando Alba alla realtà. «Sai perché ancora oggi, a volte, regaliamo gli indumenti e gli oggetti creati dal Bisso alle persone?»
«Mh-mh!» rispose muta la bimba scuotendo la testa, incapace di parlare, ancora meravigliata dalla visione.
«Perché non tutti possono meritarsi un vestito in Bisso. O almeno, non del Bisso più puro. Noi, tessitrici di Bisso, non abbiamo mai regalato un vestito di questo tessuto a una persona che non se lo meritasse. Non tutti sanno unire le cose più diverse e dare loro un senso. Solo chi sa amare il mondo nonostante la sua infinita complessità e sa utilizzare questa capacità merita di vestirsi della luce del sole.»
La madre lasciò andare le mani della figlia, e si fece passare le trecce di Alba tra le dita con lo stesso elegante movimento di quando srotolava il Bisso grezzo prima di iniziare a tesserlo.
«Ecco perché il Bisso è il tessuto più pregiato.» disse. «Perché chi ne veste se unire le cose che cose che mai si penserebbero unibili, proprio come nessuno pensa che il mare e il cielo si possano unire. Ed eppure si uniscono, l’aria e l’acqua, in quello spazio così minuscolo, così inesprimibile tranne che per quelli che hanno il coraggio di cercarlo.»
La madre si fermò un attimo. Poi continuò.
«Certo, quello che creiamo con il Bisso viene venduto, ma solamente chi ne è meritevole sa farne buon uso. Proprio come un re non è niente di speciale senza i suoi sudditi, un vestito di seta di mare non è nient’altro che un vestito normale se indossato da una persona qualunque.»
Alba rimase in silenzio, soppesando la fine di quel racconto che aveva sentito mille altre volte. Forse era ancora una storia troppo grande e importante per essere capita appieno, ma ora, alla milleunesima volta che l’aveva sentita, le pareva di iniziare a vederci chiaro.
«Mhh!» rispose con un cenno affermativo del capo.
La stanza era immersa nella luce del tramonto. Rimbalzava sulla superfice del mare, entrava dalla finestra aperta e, dribblando il vaso di gigli marittimi, si infrangeva sui rocchetti dorati disposti sul tavolo, facendo sembrare che ci fossero mille altri soli nella stanza.
E in quella stanza dai mille soli di mare c’erano due donne: una oramai matura, che sapeva vedere il mondo, l’altra che aveva iniziato a vederlo.
E così la bambina osservava attentamente le mani della madre, ipnotizzata. Dita lunghe, affusolate, piene di calli e di tagli: mani esperte.
Poi guardava le sue: mani di bambina, piccole, le dita ancora cicciottelle, le unghie sporche di terra e marmellata. Delle mani vergini, intoccate dal tempo e dal lavoro.
Eppure sapeva che un giorno le sue mani sarebbero state esattamente come quelle di sua mamma.
Un giorno, forse non troppo lontano, anche un lei avrebbe imparato l’antica arte di filare il Bisso.
Seta di mare.
Così la chiamavano, tanto era pregiata. Era un tessuto antichissimo, menzionato addirittura nella Bibbia e in ancor più antiche scritture ebraiche. In pochi avevano avuto l’onore di ricevere in dono vesti fatte con il Bisso. Era il filato dei faraoni e dei papi, dei re e degli imperatori.
Era un’arte morente, oramai poco redditizia in un mondo che avanzava velocemente, dove tutti si vestivano con tessuti meno pregiati ma resi più preziosi perché qualcuno di importante li aveva fatti, o perché quegli abiti, una volta indossati dalla persona giusta, venivano investiti di un’eminenza quasi sovrannaturale.
Ma tutto questo era perché l’uomo aveva deciso che fossero speciali.
I vestiti in Bisso, invece, erano speciali per loro natura.
Il Bisso, lo era.
E la bambina guardava la madre tirare, torcere e avvolgere la lunga e sottile linea dorata che dal rocchetto di Bisso grezzo andava a finire tra le sue dita, e in pochi istanti si trasformava in un unico filo perfetto.
Era come se la madre prendesse la luce del sole al tramonto e le desse forma tangibile.
Guardò i luccichii d’oro che saettavano sulle pareti ogniqualvolta un raggio di sole, intrufolatosi dalla finestra, schivando il vaso di gigli marittimi, picchiava sui rocchetti di Bisso. Per la bambina era come se il sole stesso prendesse vita e danzasse nel mondo.
«Perché tessiamo il Bisso, mamma?» tentò di nuovo.
Succedeva spesso che la donna si perdesse in chissà quale pensiero quando filava, e la bambina la vedeva guardare le sue mani muoversi rapidamente, con movimenti sicuri e antichi, ed eppure era come se non le stesse guardando.
I suoi occhi sì osservavano le dita, ma era come se guardassero oltre agli intrecci dorati che si piegavano e si muovevano; era come se vedessero qualche cosa al di là della dimensione in cui la bambina si trovava, al di là della luce, al di là del mondo, e quando ciò succedeva, quando la mamma era persa in quell’estasi dorata, la bambina la vedeva sorridere. Un sorriso di pace e di serenità, come se per lei non esistesse che quel momento, quel posto, e il Bisso.
«Mamma.» tentò di nuovo la bambina, afferrando la manica della madre e tirandogliela dolcemente, ben sapendo che quel lavoro era preciso e prezioso, e anche un solo strattone più forte del dovuto avrebbe mandato a monte ore e ore di lavoro.
«Mhh?» rispose finalmente la madre, scuotendo leggermente la testa, fermando le mani dolcemente, assicurandosi di non rovinare il lavoro fatto fino a lì.
«Che c’è, Alba?» le chiese sorridendo. Era un sorriso bellissimo, un sorriso di una madre che ti sveglia alla mattina, ma non era minimamente paragonabile al sorriso che aveva mentre filava il Bisso.
«Ti ho chiesto perché filiamo il Bisso.» rispose Alba, un poco scocciata.
«Perché filiamo il Bisso, mi chiedi?» chiese la madre, inclinando leggermente la testa, assumendo un’espressione tra il meravigliato e il pensieroso, come se non avesse compreso la domanda.
Restò per un po’ così, osservando i riflessi dorati del Bitto balenare oltre la testa della figlia, pensando ad una risposta che potesse andare bene.
«Se ti chiedessi che cos’è il Bisso, tu cosa mi risponderesti?» domandò, quando ebbe pensato abbastanza.
«Mhh…» fece la figlia, imitando i versi della madre. Ci pensò su un attimo, cercando di ricordarsi le parole che aveva ripetuto mille altre volte.
«Il Bisso, o seta di mare, è un filamento che si produce a partire dai filamenti che producono alcuni tipi di conchiglie bivalvi che vivono lungo le coste del Mediterraneo. Conosciuto fin dall’antichità, il Bisso è considerato una fibra pregiata al pari, se non più, della seta. Veniva utilizzato per tessere gli abiti degli uomini più potenti. Abbiamo tracce del suo impiego fin dall’antichità: babilonesi, greci, egizi, romani, felici…» disse la bambina in una voce monotona, contando i popoli sulle dita.
«Fenici, tesoro, non felici.» la corresse la madre, nascondendo con una mano un sorriso, lasciandosi andare in una risatina che sapeva di vento di aprile.
«Scusa, forse mi sono spiegata male.» continuò. «Cos’è il Bisso per te?»
Confusa da una domanda tanto strana, la figlia ci pensò su un istante.
«Beh, quello che ho detto: il filamento prodotto dalle conchiglie che raccogliamo e tessiamo. No?» fu il suo giudizio.
«Certo.» annuì la madre. «Ma per te il Bisso è questo? Solo questo?»
«Mhh…»
Alba increspò il viso in un’espressione di seria concentrazione, la stessa che faceva quando doveva calcolare quante mele le rimanevano dopo che ne aveva date tre a Luca.
«Sì, hai ragione nel dire che il Bisso è prodotto dai bivalvi che noi raccogliamo, che lo tessiamo e lo trasformiamo in vestiti ed altri oggetti.» intervenne in aiuta la donna, appoggiando con tutta la cura del mondo il rocchetto di Bisso che stava tessendo.
«Ma per noi è molto più di questo, sai?» continuò. «Per cui ti chiedo ancora: che cos’è il Bisso per te?»
Alba guardò confusa la madre. Non certo era la prima volta che le faceva quella domanda, però tutte le altre volte le era andata bene la definizione che si era imparata a memoria. Si limitò a boccheggiare, fissando imbambolata il volto della madre, con quell’espressione che solamente i bambini sono in grado di fare.
«Il Bisso non è solo qualcosa da vendere.» spiegò la madre, quando vide che la figlia non riusciva a trovare una risposta. «Per noi che lo lavoriamo, il Bisso è molto di più. Il Bisso è una parte di noi, ci fa capire chi siamo. È il nostro scarto con gli altri.»
La bambina si sforzò di capire. Corrucciò la fronte e continuò ad osservare la madre, aspettandosi un chiarimento che non tardò ad arrivare.
«Hai presente la Cina? Fino a qualche secolo fa era l’unico posto in cui la gente poteva produrre la seta. Divenne un impero potente anche grazie a quello. Quella era la cosa che li rendeva speciali, unici, diversi dagli altri, ma poi il segreto dei bachi da seta fu rubato da due mercanti travestiti da monaci pellegrini, e a poco a poco smisero di essere quello che erano sempre stati.»
«Capisco!» esclamò Alba sorridendo, convinta di avere trovato la risposta al quesito della madre. «Stai dicendo che dobbiamo stare attenti a chi mostriamo i nostri segreti! Che non dobbiamo fidarci se non vogliamo che ci rubino la nostra arte!»
«No, sciocchina. Non hai capito quello che volevo dire.» intervenne la madre, nascondendo un altro sorriso. «La storia della seta era solo un esempio per farti capire che alcune persone o popoli sono speciali per qualcosa, tutto qui.»
L’espressione di trionfo scomparve dal volto di Alba. Si sentì in imbarazzo, come ogni volta che credeva di avere detto una cosa intelligente solo per poi scoprire di avere detto una sciocchezza.
«Sta’ tranquilla, non c’è pericolo che arrivi qualcuno a rubarci il Bisso.» continuò la madre guardando fuori dalla finestra, verso il mare. «Vedi, le conchiglie che producono il Bisso non possono crescere da nessun’altra parte nel mondo, e anche qua nel Mediterraneo le zone dove viene prodotto sono pochissime e sempre meno. Per cui, finché avremo cura del nostro mare, ci sarà sempre il Bisso.»
La donna abbassò lo sguardo su Alba. La vide deglutire una lacrima, ma le bastò un sorriso per far capire alla figlia che era tutto a posto, che era normale alla sua età pensare che tutto al mondo fosse così semplice, e Alba rispose al sorriso, asciugandosi il naso con il dorso della mano, pulendoselo sul vestitino.
«Scusa tesoro, non intendevo dire che la tua risposta fosse sbagliata. Effettivamente il Bisso è anche quello che dici tu: niente più che un filamento prodotto dalle conchiglie. Però conosci la leggenda che si tramanda tra noi filatrici di seta di mare, no?»
Alba scosse la testa. In realtà la leggenda la conosceva benissimo, ma amava quando la madre gliela raccontava. Il racconto la avvolgeva in un torpore antico e sicuro, potente e meraviglioso al tempo stesso, che la faceva sentire tutt’una con il mare stesso.
La madre le fece cenno di avvicinarsi, e la figlia ubbidì.
«Secondo la leggenda, il Bisso è luce in forma tangibile.» disse, porgendole le palme, e Alba capì subito. Poggiò le sue mani, morbide e bianche, su quelle della madre, ingiallite e percorse da ragnatele di cicatrici. La donna accettò quel regalo senza dire niente, e prese ad accarezzargliele con dolcezza.
La piccola sentì i calli e i tagli sui polpastrelli sondarle la pelle alla ricerca di una qualsiasi imperfezione, proprio come faceva quando scrutava il Bisso filato alla ricerca di punti troppo deboli o spessi nel filato.
La donna, attraverso la cute callosa, percepì il calore della figlia e la virginità di quelle mani, ancora troppo inesperte per lavorare con sicurezza. Ci sarebbe voluto ancora un po’ di tempo prima che la piccola potesse iniziare il suo apprendistato, giudicò, ma del resto andava bene così.
Alba aveva solo otto anni, e per lei il mondo era ancora quello che quelle mani potevano afferrare e poco più. E tuttavia era proprio quella l’età più cruciale, quando gli occhi di un bambino non sono ancora offuscati dallo sporco del mondo. Quando ancora la magia primitiva dell’universo, la stessa magia che aveva creato il Bisso, era ancora ben.
La donna pensò che avrebbe fatto di tutto per far sì che sua figlia preservasse nei suoi occhi blu scuro quella magia che la faceva meravigliare ogni volta che vedeva il Bisso far danzare la luce del sole.
Ancora più dei calli e dei tagli, ancora dell’esperienza e dei movimenti precisi e antichi, era quel sentimento di meraviglia il vero segreto delle tessitrici di Bisso. Poco importava che Alba pensasse ancora che il Bisso non fosse altro che un prodotto ricercato; lei avrebbe fatto in modo che quella meraviglia non abbandonasse mai il cuore della figlia. Sarebbe invecchiata, sì, ma i suoi occhi sarebbero rimasti gli occhi di quella bambina innocente, ancora sporca di marmellata e di terra, in grado di stupirsi di fronte al mondo e di chiedere per l’ennesima volta quale fosse il motivo per cui si fila il Bisso, nonostante quel dolce teatrino tra madre e figlia si ripetesse da che Alba aveva imparato a parlare.
«Quando la luce del tramonto e quella dell’alba toccano la superfice del mare esse rimangono intrappolate sul filo dell’acqua.» riprese la donna, senza smettere di accarezzare le mani della figlia.
«Hai presente quando nuoti e ti stai immergendo, e i tuoi occhi sono a metà tra il sopra e il sotto dell’acqua, e ti sembra di vedere una membrana tra il cielo e il mare, una membrana che in realtà non esiste?» domandò la madre, e Alba rispose con un cenno del capo.
«Ecco, secondo la leggenda è lì sul filo dell’acqua che la luce del sole rimane intrappolata. Immagina: intrappolata tra due mondi che per loro natura non potranno mai incontrarsi, ed eppure la luce rimane intrappolata tra di loro. Rimane lì quanto basta per assorbire sia l’uno che l’altro elemento: aria e acqua.»
«Mhh.» commentò Alba, le labbra curvate in un dolce sorriso, ora che stava arrivando la sua parte preferita della leggenda.
«È solo grazie all’incontro di questi due elementi che il Bisso può nascere. La luce rimane lì, in quello spessore tra acqua e aria che non esiste nemmeno, e aspetta e assorbe. Assorbe l’uno e assorbe l’altra. E quando è troppo pesante, quando è pronta, la luce scende verso il fondo del mare, e lì si dona a chiunque ne abbia bisogno, e solamente le conchiglie ne sanno fare buon uso. Come uno scrigno del tesoro, chiudono in sé la luce del sole, e non la lasciano uscire finché non è Bisso.»
«Mhh!»
Alba, le manine ancora intrecciate in quelle della madre, si voltò verso la finestra e guardò il vaso di vetro dove stavano appassendo i gigli di mare che aveva colto per la mamma proprio l’altro giorno.
Osservò l’acqua al suo interno, guardò quel “filo d’acqua” dove stavano morendo i fiori, e per un breve, insignificante istante le parve di vedere del pulviscolo dorato vorticare e scendere verso il basso, e si sentì stranamente felice e in pace con l’universo. Si sforzò di guardare meglio, ma in un battito di ciglia la polvere dorata era già scomparsa.
Distratta dalle carezze della madre, Alba non seppe decidersi se quella fosse davvero luce solare intrappolata sul filo dell’acqua o solo polline, ma decise che non le importava. L’importante era quell’improvvisa e familiare sensazione di calore che aveva provato nel vederla danzare nel vaso.
«Sai perché le vesti in Bisso una volta erano donate, bada bene “donate”, non vendute, alle persone?» domandò la madre, riportando Alba alla realtà. «Sai perché ancora oggi, a volte, regaliamo gli indumenti e gli oggetti creati dal Bisso alle persone?»
«Mh-mh!» rispose muta la bimba scuotendo la testa, incapace di parlare, ancora meravigliata dalla visione.
«Perché non tutti possono meritarsi un vestito in Bisso. O almeno, non del Bisso più puro. Noi, tessitrici di Bisso, non abbiamo mai regalato un vestito di questo tessuto a una persona che non se lo meritasse. Non tutti sanno unire le cose più diverse e dare loro un senso. Solo chi sa amare il mondo nonostante la sua infinita complessità e sa utilizzare questa capacità merita di vestirsi della luce del sole.»
La madre lasciò andare le mani della figlia, e si fece passare le trecce di Alba tra le dita con lo stesso elegante movimento di quando srotolava il Bisso grezzo prima di iniziare a tesserlo.
«Ecco perché il Bisso è il tessuto più pregiato.» disse. «Perché chi ne veste se unire le cose che cose che mai si penserebbero unibili, proprio come nessuno pensa che il mare e il cielo si possano unire. Ed eppure si uniscono, l’aria e l’acqua, in quello spazio così minuscolo, così inesprimibile tranne che per quelli che hanno il coraggio di cercarlo.»
La madre si fermò un attimo. Poi continuò.
«Certo, quello che creiamo con il Bisso viene venduto, ma solamente chi ne è meritevole sa farne buon uso. Proprio come un re non è niente di speciale senza i suoi sudditi, un vestito di seta di mare non è nient’altro che un vestito normale se indossato da una persona qualunque.»
Alba rimase in silenzio, soppesando la fine di quel racconto che aveva sentito mille altre volte. Forse era ancora una storia troppo grande e importante per essere capita appieno, ma ora, alla milleunesima volta che l’aveva sentita, le pareva di iniziare a vederci chiaro.
«Mhh!» rispose con un cenno affermativo del capo.
La stanza era immersa nella luce del tramonto. Rimbalzava sulla superfice del mare, entrava dalla finestra aperta e, dribblando il vaso di gigli marittimi, si infrangeva sui rocchetti dorati disposti sul tavolo, facendo sembrare che ci fossero mille altri soli nella stanza.
E in quella stanza dai mille soli di mare c’erano due donne: una oramai matura, che sapeva vedere il mondo, l’altra che aveva iniziato a vederlo.