Sfumature

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commento

Quella domenica mattina il mare era viola. Non lilla né indaco né porpora, ma il viola carico della lavanda, delle melanzane o, appunto, delle viole.
Alina se lo ricordava perché, tra le tante sfumature assunte nel tempo, quella era una delle più stravaganti e vistose. Se lo ricordava anche perché si trattava di una delle prime gite con la famiglia.
La spiaggia abbracciava i contorni orientali della grande città e distava poco più di un’ora dal loro appartamento-alveare in periferia, ma ci erano stati poche volte prima che il padre riuscisse a comperare un’auto. Era una scatola metallica uguale a centinaia di altre, ma l’orgoglio di possederla riusciva a sembrare comunque del tutto personale.
Ad Alina era rimasta impressa una sola gita precedente a quella, quando aveva cinque anni e la signora per cui la madre faceva le pulizie aveva accompagnato lei e i gemellini fino alla spiaggia pubblica a prendere un gelato. Del gelato in sé, o del sorriso bianco-rosso ed eccessivamente statico della signora ricordava poco, ma era quasi certa che quella volta il mare fosse blu.
Un uomo seduto sulla riva, con una barba ruvida come sabbia e il volto scolpito dalla salsedine, aveva fermato la mano con cui suonava la chitarra per guardare la bambina, e aveva sorriso del suo stupore mentre immergeva i piedini in quell’acqua blu. Le aveva assicurato che il mare era così, in tutto il mondo.
Alina non riusciva a espandere l’immaginazione fino ad altre spiagge in altre parti del mondo, ma si era schermata di riflesso gli occhi dal sole per fissare l’orizzonte e cercare di scorgere dove finisse. Aveva creduto senza esitare al vecchio. Dopotutto, anche volendo, non riusciva a pensare a una sfumatura più adatta a quell’enorme distesa liquida che rifletteva in parte il cielo, ma solo in superficie. Era un blu che non si poteva paragonare a nient’altro se non, appunto, al colore del mare, e che da lì in poi sarebbe stato di ispirazione per tutti i suoi disegni a tema: il blu-mare e l’azzurro-cielo erano sempre tra i pastelli che si consumavano più in fretta.
Questo finché non aveva capito che non era il suo colore definitivo e stabile. Avrebbe dovuto esserlo, ma tra ciò che dovrebbe essere e ciò che è c’è sempre differenza. Alina lo avrebbe imparato solo col tempo, quando ormai non serviva più.
Quando il mare diventò viola, Alina aveva già sette anni e aveva trovato strana la cosa, ma neanche più di tanto. Gli adulti erano agitati e rumorosi fin dalla sera precedente, proprio come i giornalisti che starnazzavano dalla scatola TV appena comprata. Qualcosa era successo da qualche parte, lontano ma non troppo.
Alina non ricordava affatto quel luogo dalle lezioni di geografia, ma dopo mesi in cui la voce della scatola parlante era divenuta una presenza fissa in casa, aveva imparato a giudicare le distanze degli accadimenti che narrava dal tono dei giornalisti o dalla lunghezza delle discussioni in proposito. Lei non sapeva perché un incidente a una centrale di qualche tipo causasse tanta agitazione, ma imparò presto a collegare l’umore che percepiva nella gente intorno a lei con i cambiamenti del mare.
Era corsa dai genitori, sollevando sbuffi di sabbia rovente da sotto i piedi nudi, per condividere la sua scoperta. La madre aveva finto di essere immersa nella rivista che teneva in mano, il padre era distratto a frugare nella borsa termica in cerca di una birra. I due fratellini le avevano lanciato identiche occhiate incuriosite, mentre armeggiavano con palette e secchielli per costruire quello che voleva essere un castello.
Il mare non era solo acqua, pesci, navi e città che vi si specchiavano, né un pastello blu mezzo consumato, o un buon posto per il sole dove tramontare. La maggior parte della vita marina si svolgeva sotto la superficie, lì dove il riflesso di ogni cosa, compreso quello di Alina, pallida e ossuta nel suo costume da bagno, si inabissava fino a distorcersi e scomparire.
Era del tutto naturale che qualcosa di così immenso e misterioso non potesse non rispecchiare ciò che di immenso e misterioso vi era nel mondo e nelle genti che lo abitavano.
Quattro anni dopo, però, quando si avvicinò alla linea dell’acqua, esitò a immergervi i piedi. Fu con timore che li guardò sprofondare sotto la coltre grigia ricoperta di una sottile schiuma bianca. I piedi sparirono, come inghiottiti, e Alina provò un senso di nausea. Avrebbe voluto lanciarsi dentro e nuotare, per mettere alla prova le lezioni di nuoto appena concluse, ma non se la sentì.
Voltò la testa verso i genitori, accampati al solito posto, tra un palo dell’elettricità e un basso muretto che delimitava il viale d’accesso. Non era il posto migliore della spiaggia, ma ormai l’avevano scelto, e lo difendevano con barricate di borsoni, asciugamani e secchielli, per una sorta di puntiglio territoriale.
La madre era impegnata a leggere la sua rivista. Il padre osservava il mare, con le sopracciglia aggrottate, e Alina credette di scorgere nella sua espressione un accenno dei suoi stessi pensieri, ma non riuscì in alcun modo ad attirarne lo sguardo.
I gemelli bisticciavano rotolandosi nella sabbia. Nessuno tentava di dividerli, perché ormai era chiaro che litigavano semplicemente per dimostrare ai genitori e forse al mondo che, sebbene gemelli, non erano la stessa entità. Ma i loro bisticci erano tanto sciocchi e fasulli che nessuno li prendeva sul serio. D’altronde Alina era abbastanza grande da sapere che si può litigare anche con se stessi.
Nessuno guardava verso di lei. Il vecchio suonatore di chitarra non c’era più. Al suo posto c’era un giovanotto abbronzato con una radio, che metteva a tutto volume canzoni straniere per fare colpo su una ragazza in bikini lì a fianco.
Alina pensò che fosse tempo sprecato chiedere a qualcuno di loro il perché di quel colore. Diede un piccolo calcio all’acqua, per far capire al mare che era arrabbiata, e gli voltò le spalle con un brivido per tornare al suo piccolo accampamento familiare e prendere le monete per un gelato. Non aveva davvero voglia di mangiare, ma non sapeva di cosa avesse voglia, quindi tanto valeva mangiare un gelato.
La madre borbottava tra sé e sé di qualche articolo riportato dalla sua rivista, infiltratosi chissà come tra la foto scandalo della moglie di un calciatore in topless e il cruciverbone delle vacanze. Alina colse solo le parole “vertice climatico” e “in disaccordo”. Le parve qualcosa che causava inquietudine nelle persone, ma con poca enfasi. I commenti indignati degli adulti avevano l’andamento lento e limaccioso delle onde grigie sulla battigia.
Anche quando Alina iniziò a frequentare il Liceo nella grande città, le occasioni di andare fino alla spiaggia rimasero poche. I suoi amici preferivano le discoteche, dove nuove canzoni straniere infiammavano i giovani, sebbene molti non le capissero. E poi sedevano nei parchi cittadini e parlavano di cose. L’argomento non aveva importanza purché fossero cose nuove, idee nuove. Il passato era qualcosa di ammuffito e soffocato di ragnatele, ma il futuro sembrava possedere ogni sorta di qualità, solo a nominarlo sprizzava intorno scintille di luce. E a dimostrarlo stava anche il fatto che il passato rimaneva relegato nei musei e nelle ingessate cerimonie pubbliche, mentre il futuro si celebrava e si accoglieva in luoghi pieni di vita come i centri commerciali, gli stadi e i locali notturni.
Il mare stava scivolando rapidamente tra le cose vecchie, quelle di cui era noioso e inutile occuparsi. I suoi continui cambi di umore e colore erano giudicati fastidiosamente retrò dalla maggior parte dei ragazzi della sua età.
Quando poté comperare un computer, si accorse che permetteva una connessione e una conoscenza col resto del mondo molto più vasta, immediata e chiara rispetto ai volubili e indecifrabili messaggi marini.
Alina non rifiutava di andare in spiaggia, quando lo proponevano i suoi amici, prendendosi in giro loro per primi per quei riti fuori moda: le feste, i falò, le canzoni alla chitarra e l’alcol a volontà. Ma non faceva più caso se l’acqua fosse blu, arancio, verde o che altro. Tutt’al più, dopo i vent’anni, una volta entrata in possesso di uno smartphone, il colore divenne una questione di fondo: se indossava un vestito rosa, era impensabile avere uno sfondo arancione, toccava modificarlo.
La città e il mare presero nella sua mente strade inconciliabili. Il mare non era più una meta ma un contorno, come le zucchine saltate intorno al suo hamburger vegano del venerdì sera.
Oppure un luogo dove portare i figli a prendere un gelato e qualche sprazzo di sole, ammonendoli però a non entrare in acqua. Neanche tanto per l’inquinamento, ma perché quel suo rispecchiare così sfacciatamente problemi ed emozioni umane che potevano benissimo restare nascosti era quantomai inopportuno.
Molti anni dopo, al matrimonio del suo primo figlio, la sposa prese la decisione discutibile di celebrare i festeggiamenti in riva al mare. Così, usciti dalla chiesa, parenti e ospiti si incolonnarono in un lungo e religioso corteo di macchine con garofani bianchi schiacciati nei tergicristalli, per arenarsi nel parcheggio della spiaggia cittadina.
Poco più in là si aprivano enormi ombrelloni bianchi rettangolari, a coprire tavoli imbanditi con ogni sorta di cibi da buffet, dove la facevano da padrone quelli a base di pesce, sebbene non fosse pescato lì — ormai l’inquinamento e lo sfruttamento eccessivo avevano ucciso da tempo qualunque velleità in tal senso — ma importato a caro prezzo.
Attorno ai tavoli stavano camerieri col papillon e cameriere dal sorriso bianco-rosso e fisso, e ci stavano vasi di fiori chini e asfissiati nella calura estiva, e sculture di ghiaccio a forma di amorini, le cui guance paffute andavano dimagrendo e intristendosi mentre si scioglievano.
Gli sposi erano in testa, e la processione parentale appena dietro, un muro compatto di sostegno e felicità.
L’intero fronte si fermò quasi all’unisono, non appena scorse il mare alle spalle dei padiglioni. Non fu una cosa pensata né voluta, solo che nessuno, proprio nessuno, l’aveva mai visto di quel colore. In ognuna delle decine di teste lì presenti passarono le stesse immagini: il mare viola, grigio, verde scuro, arancione — così deleterio per le foto.
Ma nessuno riusciva a ricordarlo così, e questo soltanto spaventava. Nessuno, negli eleganti abiti da cerimonia o nelle scarpe troppo strette in punta, nessuno dietro il cappello nastrato o i boccoli riflessati con cura dal parrucchiere, nessuno si chiese perché.
A sconvolgere era solo quell’impossibile colore: rosso. Non carminio né scarlatto né ruggine, ma il rosso carico del sangue. L’unica cosa a cui fosse possibile paragonarlo.
Dopo vari istanti di silenzio, la prima timida voce a levarsi espresse dispiacere per quel non intonarsi al resto delle decorazioni, in un classico stile matrimoniale bianco e rosa. Incoraggiato da quell’esternazione di sano buon senso, qualcun altro deplorò la sfortuna ed espresse ad alta voce il timore generale: le fotografie non sarebbero venute come previsto.
Alina era confusa: divisa tra lo sposo — che mostrava segni di turbamento — il proprio dovere di ospite, i sorrisi di circostanza che vegliavano angelici sugli antipasti e quel mare così ostile.
Ma a consolare il figlio stava già pensando la nuora, convincendolo che si trattava di un buon auspicio, sulla base di un articolo new age letto anni prima. Al buffet ci pensavano gli invitati, che, dopo il momento di sconcerto iniziale, avevano stabilito che nessun colore poteva avere la precedenza sul sacrosanto appetito derivato da un’ora passata in piedi in una chiesa. E dopotutto i crostacei e le ostriche non si potevano sprecare, o sarebbero morti invano.
L’ostilità del mare sembrava però una faccenda più personale, e così la prese Alina, che si avvicinò al bagnasciuga, faticando a non rimanere piantata coi tacchi nella sabbia.
Le onde lambivano la riva in modo ritmico e pacifico, solo il loro oltraggioso colore irrideva ogni volontà e illusione che fosse tutto normale.
Per la prima volta dopo decenni, Alina si sforzò di capire quell’elemento tanto instabile quanto criptico.
Sì, la sera precedente c’era stata la notizia dello scoppio di una guerra. Alina l’aveva colta di sfuggita alla TV, ma era impegnata al telefono con la tizia delle bomboniere, che nel bigliettino aveva sbagliato a scrivere il nome dello sposo. Non si potevano certo distribuire così, e la tizia aveva assicurato che avrebbe subito risolto il problema. Nonostante ciò, Alina era giustamente preoccupata, e non aveva seguito granché quelle chiacchiere inscatolate piene di agitazione.
E comunque le guerre erano cosa spiacevole ma già vista. Ciò che era ingiusto e incomprensibile era che una cosa insulsa come una sfumatura di colore avesse potuto gettare un’ombra su una giornata in cui lei aveva messo tanta fatica. Non importava che detestasse la nuora, qui era questione di principio. Quale principio non avrebbe saputo spiegarlo chiaramente, ma di sicuro ce n’era uno.
Avrebbe voluto sgridare il mare per questo suo atteggiamento, per questa insistenza irragionevole nel mostrare alla gente qualcosa che a nessuno interessava. Ma non ricordava più i gesti e i termini che le venivano spontanei da bambina. Si limitò a increspare le labbra in modo più sprezzante possibile, pur senza rovinare il rossetto, e poi fece dietro-front, in cerca di un antipasto e un bicchiere di spumante.
Fu solo un paio d’anni dopo che la TV, quella scatola ormai obsoleta e limitata, subito prima di spegnersi per sempre diede la notizia che da qualche parte — vicino o lontano, stavolta non aveva importanza — un fosco trio di persone aveva messo mano a certi codici segreti, attivando una catastrofica reazione a catena.
Alina non sentì la notizia, in quel momento era sulla spiaggia. Aveva portato il nipotino a prendere un gelato e a familiarizzare con quell’entità estranea mai davvero compresa chiamata mare.
Lasciò il bambino a giocare con le conchiglie e fece qualche passo sul bagnasciuga, seguendo un richiamo derivato forse dall’abitudine. Ma per quanto avanzasse non riusciva a raggiungere la linea dell’acqua: la sabbia proseguiva e proseguiva, senza mai finire.
Impiegò diversi istanti prima di accorgersi che il mare non c’era più.
Ci capita di non avere davvero la consapevolezza di quanto potere abbiamo, di quanto possiamo essere forti (A. Navalny)
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Re: Sfumature

2
Elegante, intenso e dagli svariati significati, lo ho apprezzato molto. L'unico elemento che mi ha lasciato un po' perplesso è l'apparente natura immaginaria o metafisica dei colori del mare, che sembra rompersi senza motivo durante la scena del matrimonio, durante il quale tra l'altro le reazioni degli invitati sono decisamente surreali ( ma devo dire anche divertenti ) . Il tema della crescita e dell'invecchiamento mi provoca sempre una certa malinconia 

Re: Sfumature

3
Francis ha scritto: L'unico elemento che mi ha lasciato un po' perplesso è l'apparente natura immaginaria o metafisica dei colori del mare, che sembra rompersi senza motivo durante la scena del matrimonio
Sì, in effetti l'idea era di scrivere un racconto surreale, pur con elementi di realtà, quindi il mare diventa uno specchio per ciò che accade nel mondo. So che forse non è immediato, infatti l'ho pubblicato proprio per capire le reazioni. Sono contenta che in generale ti sia piaciuto, e ti ringrazio molto per il commento
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Re: Sfumature

4
Questo racconto formalmente surreale usa descrizioni molto dettagliate e realistiche che ben definiscono potenti segnali della natura contrapposti all'ottusa e voluta cecità dell'egocentrismo umano. Alina, la protagonista, ed il suo crescere dal punto di vista anagrafico diventa il simbolo dell'umanità intera: da piccola attiva un legame ed una comprensione immediata con il mare( simbolo a sua volta della natura) che però già pochi anni dopo intuisce non essere condivisibile con gli adulti, presi dal recitare la parte che avevano scelto per calcare il palcoscenico della vita cercando solo di non farsi distrarre dal proprio ruolo. La tecnologia e il suo veloce sviluppo ( televisione, cellulari, computer) è  un altro personaggio della storia, apparentemente di secondo piano, ma in effetti rivale in potenza della natura che può arrivare a manipolare ed addirittura a cambiare. L'età adulta ci consegna Alina ormai identica a tutti i suoi coetanei, presa solo dai suoi problemi quotidiani, come la stereotipata non accettazione della nuora, e completamente insensibile ai segnali di pericolo lanciati dal mare che scomparirà nello stupore e che Alina e con lei tutti riuscirà a percepire solo dopo "diversi istanti". Mi è piaciuto lo stile pacato, leggero e che  che permette una lettura senza fatica scelto per un racconto che tratta l'argomento dell'invecchiamento non solo anagrafico ma soprattutto  degli slanci e dell'entusiasmo tipici di un'età dove i sogni sono forse più importanti della realtà.  

Re: Sfumature

5
Sarano ha scritto: Questo racconto formalmente surreale usa descrizioni molto dettagliate e realistiche che ben definiscono potenti segnali della natura contrapposti all'ottusa e voluta cecità dell'egocentrismo umano.
Grazie mille per il commento. Sono contenta che almeno due dei temi, come la distanza sempre maggiore tra l'uomo e la voce della natura e la tendenza degli adulti a uniformarsi, siano chiari (l'altro è la distruzione dell'ambiente e della vita in generale, fino all'estremo dell'Apocalisse nucleare, forse meno chiaro). Sono molto contenta anche che lo stile risulti comprensibile e scorrevole, quindi molte grazie!
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Re: Sfumature

6
Ciao @Silverwillow 

Bel racconto, dalla morale molto amara.

Un racconto sull’ignavia, l’indifferenza, il disimpegno per pigrizia, la trascuratezza criminale della specie umana.
E’ anche la cronaca del disimpegno, dell’accettazione della cose come sono, perché non sappiamo come opporci, perché la responsabilità del male che ci affligge è di qualcun altro: le istituzioni, la politica, la cattiveria del mondo, Dio stesso, se siamo credenti.
Tutto è buono per giustificare a noi stessi il disinteresse che poniamo verso le cose che lentamente, giorno dopo giorno, si deteriorano, incancreniscono, fino al punto in cui non si può fare più nulla,  divengono irrecuperabili, si perdono per sempre.

E’ un racconto distopico, catastrofico, che potremo identificare come appartenente al ramo “Dying Earth”, ovvero della - “Terra morente” che è un genere della fantascienza che si svolge in un lontano futuro al termine della vita sulla Terra o alla fine del tempo, quando le leggi stesse dell'universo iniziano a fallire. Dominano temi come la stanchezza del mondo, l'innocenza (tradita o altro), idealismo, entropia, esaurimento permanente di tutte le risorse e la speranza di rinnovo. -

Il racconto si sviluppa durante tutto l’arco dell’esistenza della protagonista, è suggestivo e commovente vedere il mare attraverso i suoi occhi di bambina, e la percezione delle lente variazioni di colore che subisce negli anni, mentre lei diviene adulta e in fine l’amaro finale a cui deve assistere nel tempo della sua anzianità.

Un racconto molto forte, che ha purtroppo la qualità di mostrarci come in uno specchio tragico, la realtà contemporanea che noi tutti viviamo, e verso la quale ci poniamo con la stessa inerzia suicida della tua protagonista.

Complimenti amica mia, bella prova.
Un saluto e un abbraccio. <3

Re: Sfumature

7
Nightafter ha scritto: Bel racconto, dalla morale molto amara.
Sono molto contenta che ti sia piaciuto. Non mi ero mai cimentata nel genere distopico, quindi mi è molto utile sapere se il racconto funziona e se si capisce quel che voleva esprimere (anche se spesso non so nemmeno io di preciso cosa voglio esprimere, mentre scrivo :P  ).
Grazie mille per il passaggio e per quest'analisi così approfondita!
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Re: Sfumature

8
Ciao @Silverwillow
Mi piacciono i racconti che parlano del mare. La prima parte mi ha ricordato la mia infanzia quando mio padre, dopo tanti sacrifici, comprò la mitica Fiat 850 Special color avorio, uguale a tante altre ma per noi unica.
Descrivi con una distopia il futuro che sembra già decretato per la Terra, basandoti sui colori del mare che varieranno in base all’inquinamento o agli effetti di guerre catastrofiche. Tutto vero ma io, almeno da questo punto di vista, cerco di essere ottimista. Concordo sugli effetti deleteri dell’inquinamento naturalmente, ma dalle mie parti per fortuna ancora non l’ho visto sul mare e nemmeno nella campagna o nelle cittadine. Il mare è ancora come lo descriveva Omero nei suoi poemi. L’acqua è di molto superiore alla Terra come superficie e ritengo che abbia la forza di smaltire i rifiuti, così come penso che per la Terra sia indifferente il numero degli esseri umani. In antichi poemi indiani si descrive una Terra con cento miliardi di abitanti, cibo per tutti e vaste estensioni ricche di pianure e foreste. La guerra è preoccupante, questo si. Ci sono bombe sconosciute ai più, non necessariamente atomiche, che se esplodessero nelle profondità marine scatenerebbero maremoti con onde alte centinaia di metri.
Nel tuo racconto descrivi un’umanità indifferente ai cambiamenti di colore del mare, dovuti a varie cause non naturali. Interpretano quei colori alla stregua di scocciature con cui accompagnare i colori degli abiti nelle cerimonie. Questo è indicativo, serve, se ce ne fosse bisogno, a far risaltare la pochezza umana che anche davanti alle catastrofi si perde dietro particolari irrilevanti, si accoda all’idea in voga. Solo Alina, prima da piccola e poi da adulta, sembra capire, indignarsi per il cambio di colore dell’acqua, quasi come un tradimento alla sua infanzia. Questo grazioso particolare mi è piaciuto molto. Io ritengo inquinante per il mare oltre all’inquinamento vero e proprio anche la massa dei turisti, la loro maleducazione, l’indifferenza delle istituzioni nel mettere regole ferree e certe o, se lo fanno, creare labirinti legislativi assurdi e incomprensibili, non rispettosi degli esseri umani, dei loro luoghi, tradizioni, finalizzati soltanto a motivazioni puramente economiche e di parte.
Nel tuo racconto cosa succederebbe se Alina ricordasse alla gente che un tempo il mare aveva anche il colore del vino in prossimità delle scogliere? Io lo vedo ancora oggi.
Racconto molto delicato nei punti dove interviene Alina, sia da bambina che da adulta. È l’unica persona consapevole.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: Sfumature

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Alberto Tosciri ha scritto: Descrivi con una distopia il futuro che sembra già decretato per la Terra, basandoti sui colori del mare che varieranno in base all’inquinamento o agli effetti di guerre catastrofiche. Tutto vero ma io, almeno da questo punto di vista, cerco di essere ottimista.
Intanto grazie mille per essere passato e aver commentato questo vecchio racconto (non ricordavo neanche di averlo condiviso...). Credo di avere pochi tuoi commenti a miei racconti, e mi fanno sempre piacere perché hai una visione molto personale.
In realtà la mia ambizione era molto più ampia: il racconto non voleva concentrarsi solo sull'inquinamento, la messa a rischio di ambiente e persone o le guerre. Voleva essere piuttosto un'analisi sull'indifferenza e superficialità che spesso ci accompagnano, senza che ce ne accorgiamo. Il ruolo del mare nel racconto è proprio quello di mostrare in modo concreto ciò che di solito preferiamo non vedere. E questo non a caso: il mare è da sempre simbolo dell'anima e delle emozioni più profonde (e lo è soprattutto qui, prima ancora di essere un elemento naturale minacciato).
Alberto Tosciri ha scritto: Nel tuo racconto descrivi un’umanità indifferente ai cambiamenti di colore del mare, dovuti a varie cause non naturali. Interpretano quei colori alla stregua di scocciature con cui accompagnare i colori degli abiti nelle cerimonie. Questo è indicativo, serve, se ce ne fosse bisogno, a far risaltare la pochezza umana che anche davanti alle catastrofi si perde dietro particolari irrilevanti, si accoda all’idea in voga.
Non parlerei di pochezza, quanto di distrazione e di incapacità di considerare il mondo come qualcosa di a sé stante, diverso da un posto prevedibile, organizzabile e in tinta con le nostre volontà.
Profondità e attenzione è proprio ciò che manca ai personaggi, anche ad Alina, il cui percorso nelle mie intenzioni voleva mostrare la perdita graduale della spontaneità dell'infanzia a favore di un adeguamento alla massa. Lei non è migliore degli altri, perché quella consapevolezza spontanea la perde, come quasi tutti, quindi alla fine neppure lei sa più interpretare i messaggi dell'anima. E proprio per questo si arrabbia. Ma nemmeno la sua rabbia ha una qualche profondità, e sparisce dopo un aperitivo.
Insomma, forse volevo esprimere qualcosa di troppo complesso, e ci sono riuscita solo parzialmente. Ma è un tentativo, e i commenti altrui mi sono molto utili per migliorare. Grazie ancora  :rosa: 
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Re: Sfumature

10
@Silverwillow
@
Ho letto (due volte) questo tuo testo molto pregno, denso. Secondo me, e lo specifico senza tirarmela ma avendo avuto delle esperienze al riguardo, lo stile è molto scorrevole e molto, in modo efficace e comprensibile, interessante il mare, attraverso i colori. Ho compreso, per la prima volta, il titolo di una raccolta di racconti, che indicherò solo su richiesta e che molti conosceranno. Tornando al racconto, trovo che nelle parole vadano rinvenute delle interpretazioni personali, non, necessariamente, quelle dell'autore\autrice. L'autrice però deve esprimersi. Allora, come la mettiamo? Personalmente, cerco nella lettura caratteristiche che tento di avvicinare alle mie. Ci sei riuscita, dai commenti e per quella relativa a me. Cosa ti interessa davvero? 
Per quel che riguarda la trama, hai dato dimostrazione di saper costruire una storia, di condurla, di saperla descrivere. Unico consiglio che mi sento di dare, senza offendere o timore di venir giudicata, è di continuare a scrivere cercando quello che soddisfi soprattutto te. A rileggerti!

Re: Sfumature

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confusa ha scritto: Per quel che riguarda la trama, hai dato dimostrazione di saper costruire una storia, di condurla, di saperla descrivere. Unico consiglio che mi sento di dare, senza offendere o timore di venir giudicata, è di continuare a scrivere cercando quello che soddisfi soprattutto te. A rileggerti!
Grazie mille per il passaggio e il commento! Il tema qui non l'avevo scelto io, mi hanno chiesto di scrivere un racconto sul tema "mare", e ho pensato che fosse uno spunto buono per parlare di molte altre cose. Ho iniziato a scrivere partendo da una prima immagine spontanea che mi è venuta (il mare di un colore diverso), che portava già con sé domande e storie.
Il fatto che ognuno possa vederci significati  (o "sfumature" :rolleyes: ) diversi credo sia un buon risultato. Significa che il testo fa riflettere. Insomma, non risulta banale o indifferente.
Spesso realizzo davvero quello che voglio dire solo mentre lo scrivo, per questo non sono mai sicura di riuscire a trametterlo agli altri. I commenti mi sono sempre molto utili. Grazie ancora  <3
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