C18
Posted: Fri Jul 22, 2022 7:09 pm
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NB: RACCONTO HORROR E SPLATTER
C18
Sara stava con gli occhi dritti su quel grande tavolo bianco, ben illuminato da una lampada che pendeva sopra di esso.
Scrutava ogni singola arma che vi era poggiata sopra. Armi di ogni tipo, tutte pulite e messe in ordine come in una vetrina di un negozio. Pistole, fucili, coltelli, asce, bastoni, spranghe, corde e vari strumenti di tortura: seghe da ferro, morse, tenaglie, pinze, martelli, forbici appuntite.
A pochi passi da Sara il negoziante le stava addosso con lo sguardo. Era lo sguardo di un venditore navigato, ma che si emozionava ancora quando fiutava il profumo dei dollari.
Quell’uomo teneva la bocca appena aperta, come se aspettasse il momento giusto per consigliare e assecondare Sara.
«Ti prego, non lo fare!» urlò una giovane donna legata in piedi attorno a un palo, praticamente nuda.
Quelle parole interruppero la strana calma che si respirava nella stanza delle armi e sia Sara sia il negoziante si voltarono verso quella donna impaurita.
Il negoziante la fissò con sguardo nero, al di là della vetrata che divideva le due stanze.
«Silenzio C18!» tuonò l’uomo.
Poi si voltò sorridente verso Sara per assecondarla di nuovo nella scelta dell’arma, ma la ritrovò un po’ dubbiosa.
«Signorina, non ci faccia caso, lo so che sembra umana, è normale. Sono cloni C di diciottesima generazione! La loro struttura genetica è stata aggiornata e perfezionata per ben diciotto volte. Proprio per questo l’esperienza sarà autentica.»
Sara continuò a osservare curiosa quella bionda legata attorno a un palo. E C18 a sua volta non distolse mai lo sguardo da Sara. La fissava con gli stessi occhi che un cagnolino di un canile offre a qualsiasi visitatore. C18 un po’ ci sperava che la giovane Sara la capisse, ma quello non era un canile e Sara non era una semplice visitatrice…
«È molto bella» disse Sara, senza sorridere.
L’anziano negoziante si voltò di nuovo verso C18 e disse: «Il modello C18 è molto bello, ispirato alle migliori modelle di razza bianca. Guarda che corpo, guarda che seno, guarda che gambe… per non parlare del suo volto, sembra un angioletto. Se vuoi ci puoi anche fare qualche giochetto strano, tutto il suo corpo è come se fosse vero. Anche lì sotto…»
«Non mi interessano queste cose.»
«Sì, facevo per dire, si vede che lei non è quel tipo di persona… per quelle cose ci sono i bordelli. Lei bada al sodo, giustamente!»
Sara tornò a guardare le armi presenti sul tavolo, mentre C18 rimase sospesa a guardarla.
«Scelgo quella» disse Sara indicando una spranga di ferro.
«Mi piace, il classico non sbaglia mai, vedrà!» affermò il negoziante mentre raccoglieva la spranga.
C18 riprese a dimenarsi e a sbraitare come una matta.
Sara continuò la sua selezione, puntando un coltello a serramanico.
«Non so se questo o un coltello da cucina.»
«Ti posso dare del tu Sara?»
«Sì.»
«Lo vuoi un consiglio? »
«Certo, è la prima volta.»
«Ascoltami, con il coltellone da cucina basta un fendente ben fatto e lei è già andata, con il serramanico invece puoi giocare un po’, prima di dare il colpo del ko, mi segui? Ovviamente se le tagli la gola anche col serramanico finisce subito, ma se inizi da qua, poi qua,» mentre si indicava alcuni punti delle braccia e delle gambe, «senza prendere la femorale però! Lei perde sangue più lentamente e puoi andare avanti anche quindici minuti buoni, forse più.»
Sara ascoltava con interesse.
«Sì, meglio il serramanico» disse lei.
Ormai nessuno faceva più caso alle urla di C18.
«Te ne manca una signorina.»
Sara aveva gli occhi puntati sulle armi da tiro e il negoziante se n’era accorto, immaginando già cosa avrebbe scelto.
«La pistola.»
«La semiautomatica?»
«Sì.»
«No!» gridò in sottofondo C18, senza scalfire i due.
«Non so perché ma me lo sentivo» disse il negoziante facendo un sorrisetto.
10 minuti dopo
Sara entrò da sola nella stanza di C18 con passo fermo, la spranga in una mano e il coltello nell’altra.
La stanza aveva un alto soffitto, più che una stanza sembrava un laboratorio industriale. Si respirava aria umida provenire dal cemento delle pareti. Proprio al centro del laboratorio vi era il palo e una forte luce bianca pendente illuminava prepotente C18.
«Ti prego, non lo fare, non mi fare del male!» le urlò contro mentre la vedeva avvicinarsi.
Sara si fermò, si voltò verso il negoziante e disse al microfono: «Sono fatti proprio bene» riferendosi ai cloni C.
«Sono come te non vedi» aggiunse C18.
La voce del negoziante non tardò a raggiungere il laboratorio attraverso gli altoparlanti: «Non ti preoccupare Sara è normale, non ci devi parlare, sono brave a ingannarti. Vai convinta mi raccomando».
«Sara, non lo fare, ti prego! Puoi comprarmi, farò tutto quello che vuoi. Se lo farai poi dovrai conviverci. Hai dei figli?»
Sara a fatica non disse niente, poi tolse pian piano il suo sguardo da C18 e guardò il pavimento. Era uno di quei pavimenti lucidi di colore grigio, facili da pulire. Ma nonostante questo qualche macchia era rimasta.
In quella stanza Sara non era davvero sola con il clone: dagli altoparlanti poteva udire diversi bisbiglii.
Alzò lo sguardo verso una piccola tribuna che si affacciava allo spettacolo dietro a un vetro. Al di là c’erano una decina di persone, per lo più uomini, di un po’ tutte le età. Stavano osservando Sara con attenzione, mentre parlottavano tra di loro a bassa voce.
Uno di loro era più serio degli altri: un uomo vestito impeccabilmente, con una barba brizzolata, curata. Stava con le braccia conserte e il Rolex argentato che teneva al polso brillava anche da quella distanza.
Sara cercava lo sguardo di una sola persona in quel mucchio, ma lui non fece trasparire alcuna emozione.
Le suppliche di C18 riportarono Sara a concentrarsi su quello che stava facendo.
Si avvicinò al clone facendo strisciare la spranga sul pavimento. Appena arrivò a pochi centimetri da C18 strinse forte la spranga con entrambe le mani; la posizionò all’altezza della tibia del clone, appoggiandola alla sua pelle. Sembrava una giocatrice di golf concentrata a colpire con precisione la sua pallina.
«Cosa stai facendo? No! No! Fermati, ti prego!»
Sara caricò lentamente il colpo e il panico aggredì C18. Un panico vero, di quelli che ti tagliano il respiro e ti rivoltano lo stomaco.
Poi arrivò la sprangata, tirata con tutta la forza che aveva. La tibia fece lo stesso crack di un ramo secco spezzato. Il ferro si conficcò dentro la carne e al di là dell’osso.
C18 svenne con la testa penzolante in avanti.
«Tirale su la testa Sara, sennò non respira bene» urlò qualcuno dalla tribuna.
Sara voleva prima riprendersi la sua spranga conficcata nella gamba del clone. Pestò il piede di C18 e tirò forte a sé la spranga con due mani. Venne via con fatica e appena Sara si riprese l’arma, la gamba maciullata di C18 iniziò a pisciare sangue scuro.
Sara non sapeva cosa fare mentre dall’alto le continuavano a suggerire il da farsi.
«Ti conviene bloccare l’emorragia.»
Sara corse verso un tavolo degli attrezzi a pochi metri da lei e prese un nastro adesivo marrone. Poi tornò di fretta e lo avvolse stretto attorno alla gamba di C18, all’altezza di metà coscia.
C18 si risvegliò per qualche secondo, drogata dalle endorfine, poi si guardò quel che restava della sua tibia e svenne di nuovo.
Nel frattempo Sara riuscì a bloccare l’emorragia e si mise a camminare avanti e indietro pensierosa.
La situazione iniziava a caricarsi: i consigli sbraitati, le risate e i commenti da bar inondavano la testa di Sara dagli altoparlanti.
«Non aspettare, ti rimangono pochi minuti!»
«Vai! Vai bambina che ci sai fare!»
«Respira! Respira e passa al coltello!»
Sara non riusciva più a pensare con la calma tipica del suo carattere e mentre camminava i suoi occhi rimbalzavano tra la tribuna, il coltello che teneva in mano e l’immagine di C18 priva di sensi, rimasta in piedi solo per le strette corde che la stringevano al palo.
«Brava Sara, per essere la prima volta, ottimo colpo! Non ti distrarre…» disse il negoziante con sguardo preso, affacciato in prima fila al di là del vetro che lo separava dal laboratorio.
Il respiro di Sara si fece più affannoso: non era panico, ma si stava facendo trasportare dal fermento di quel caos. Non riusciva più a impugnare saldamente il timone di quell’esperienza. Oramai era un subbuglio crescente: una spirale di parole e parolacce che rimbalzavano nella stanza e nelle orecchie di Sara. Si voltò ancora una volta verso il suo pubblico e il tempo sembrò rallentare, quasi fermandosi. Le decine di parole che uscivano una sopra l’altra dall’altoparlante si erano ammassate e fuse in un brusio costante.
Sara stava galleggiando con i suoi pensieri, ma sapeva che doveva tornare a fare quello che voleva fare.
D’un tratto scattò come una tigre nervosa, aprì il coltello a serramanico e si precipitò contro C18, ancora svenuta da prima. Conficcò la lama nell’avambraccio del clone, recidendo pelle, tendini, vene e arterie.
C18 spalancò gli occhi e venne ricatapultata in quell’incubo, poi riprese a gridare.
Sara si riprese con forza il coltello dal braccio del clone e cercò lo sguardo di C18.
«Ti prego uccidimi! Ti prego! Ti prego! Per favore ti scongiuro uccidimi adesso!» esclamò C18, sputando vomito e saliva.
Sara non badava più a quelle parole, voleva solo capire quanto ancora potesse andare avanti.
Arretrò di un passo e si accovacciò per studiarla.
«Perché? Perché lo fai? Ma cosa cazzo sei? Un mostro? Aiuto! Aiutooo!»
C18 aveva perso molto sangue e il suo volto era sempre più pallido, ma le sue suppliche passarono inosservate come grida nello spazio profondo.
Sara si voltò ancora verso il suo uomo e lo fissò per lunghi secondi.
Lui non la perse mai di vista e osservava ogni suo singolo gesto con seria attenzione.
Sara fece un cenno di assenso e si voltò determinata verso C18. Si scaraventò contro di lei con una furia mai avuta prima.
Appena C18 capì che cosa stesse per succederle, strizzò d’istinto gli occhi e espulse tutto quello che aveva in corpo: voce, sudore, urine e sangue.
Sara affondò e riaffondò di scatto la lama nella pancia del clone. Quel piccolo coltello a serramanico entrava e usciva veloce dalla carne, entrava e usciva, entrava e usciva… la pancia di C18 divenne un colabrodo e a un tratto i muscoli dell’addome vomitarono fuori anche le budella. Sara continuava a muovere il suo braccio avanti e indietro, ormai era imbrattata di sangue e interiora. C18 aveva già da diversi secondi la testa penzolante in avanti che sballottava come un sacco di patate. Ma Sara non rallentò neanche per un attimo, andò avanti e continuò a infierire finché il suo braccio fu bloccato dai crampi.
Poi Sara gettò via il coltello, indietreggiò di un passo, prese in mano la pistola, la scarrellò e di getto scaricò l’intero caricatore sulla testa di C18: quindici colpi.
I primi proiettili bucarono la sua testa e uscirono dall’altro lato in piccoli fori precisi di 9 mm. Furono gli ultimi proiettili che spezzarono tutte le ossa del cranio e spaccarono in diversi pezzi il volto della donna, come un cocomero preso a mazzate.
La semiautomatica si fermò ancora fumante, Sara rimase con la pistola scarica in mano e con il fiato corto. Continuava a guardare la sua vittima, con un senso di stanca soddisfazione. Di C18 era rimasta solo della poltiglia, come fosse stata masticata e sputata da un gigante.
Dall’alto della tribuna il pubblico applaudiva e si congratulava con Sara. Qualcuno era euforico a tal punto da saltellare ed esultare a tutta voce.
Erano tutti su di giri, tranne lui: non si era ancora scomposto, sembrava stesse aspettando qualcosa.
Sara riprese fiato e mentre cadevano pezzi di C18 sul pavimento, si girò verso la tribuna e alzò lo sguardo, verso di lui.
Lo guardò come se stesse guardando suo padre, anche se quell’uomo non era suo padre. Lo guardò conscia di avere dato tutto.
L’uomo liberò le sue braccia conserte e iniziò un lungo e lento applauso, accompagnato da un sorriso.
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NB: RACCONTO HORROR E SPLATTER
C18
Sara stava con gli occhi dritti su quel grande tavolo bianco, ben illuminato da una lampada che pendeva sopra di esso.
Scrutava ogni singola arma che vi era poggiata sopra. Armi di ogni tipo, tutte pulite e messe in ordine come in una vetrina di un negozio. Pistole, fucili, coltelli, asce, bastoni, spranghe, corde e vari strumenti di tortura: seghe da ferro, morse, tenaglie, pinze, martelli, forbici appuntite.
A pochi passi da Sara il negoziante le stava addosso con lo sguardo. Era lo sguardo di un venditore navigato, ma che si emozionava ancora quando fiutava il profumo dei dollari.
Quell’uomo teneva la bocca appena aperta, come se aspettasse il momento giusto per consigliare e assecondare Sara.
«Ti prego, non lo fare!» urlò una giovane donna legata in piedi attorno a un palo, praticamente nuda.
Quelle parole interruppero la strana calma che si respirava nella stanza delle armi e sia Sara sia il negoziante si voltarono verso quella donna impaurita.
Il negoziante la fissò con sguardo nero, al di là della vetrata che divideva le due stanze.
«Silenzio C18!» tuonò l’uomo.
Poi si voltò sorridente verso Sara per assecondarla di nuovo nella scelta dell’arma, ma la ritrovò un po’ dubbiosa.
«Signorina, non ci faccia caso, lo so che sembra umana, è normale. Sono cloni C di diciottesima generazione! La loro struttura genetica è stata aggiornata e perfezionata per ben diciotto volte. Proprio per questo l’esperienza sarà autentica.»
Sara continuò a osservare curiosa quella bionda legata attorno a un palo. E C18 a sua volta non distolse mai lo sguardo da Sara. La fissava con gli stessi occhi che un cagnolino di un canile offre a qualsiasi visitatore. C18 un po’ ci sperava che la giovane Sara la capisse, ma quello non era un canile e Sara non era una semplice visitatrice…
«È molto bella» disse Sara, senza sorridere.
L’anziano negoziante si voltò di nuovo verso C18 e disse: «Il modello C18 è molto bello, ispirato alle migliori modelle di razza bianca. Guarda che corpo, guarda che seno, guarda che gambe… per non parlare del suo volto, sembra un angioletto. Se vuoi ci puoi anche fare qualche giochetto strano, tutto il suo corpo è come se fosse vero. Anche lì sotto…»
«Non mi interessano queste cose.»
«Sì, facevo per dire, si vede che lei non è quel tipo di persona… per quelle cose ci sono i bordelli. Lei bada al sodo, giustamente!»
Sara tornò a guardare le armi presenti sul tavolo, mentre C18 rimase sospesa a guardarla.
«Scelgo quella» disse Sara indicando una spranga di ferro.
«Mi piace, il classico non sbaglia mai, vedrà!» affermò il negoziante mentre raccoglieva la spranga.
C18 riprese a dimenarsi e a sbraitare come una matta.
Sara continuò la sua selezione, puntando un coltello a serramanico.
«Non so se questo o un coltello da cucina.»
«Ti posso dare del tu Sara?»
«Sì.»
«Lo vuoi un consiglio? »
«Certo, è la prima volta.»
«Ascoltami, con il coltellone da cucina basta un fendente ben fatto e lei è già andata, con il serramanico invece puoi giocare un po’, prima di dare il colpo del ko, mi segui? Ovviamente se le tagli la gola anche col serramanico finisce subito, ma se inizi da qua, poi qua,» mentre si indicava alcuni punti delle braccia e delle gambe, «senza prendere la femorale però! Lei perde sangue più lentamente e puoi andare avanti anche quindici minuti buoni, forse più.»
Sara ascoltava con interesse.
«Sì, meglio il serramanico» disse lei.
Ormai nessuno faceva più caso alle urla di C18.
«Te ne manca una signorina.»
Sara aveva gli occhi puntati sulle armi da tiro e il negoziante se n’era accorto, immaginando già cosa avrebbe scelto.
«La pistola.»
«La semiautomatica?»
«Sì.»
«No!» gridò in sottofondo C18, senza scalfire i due.
«Non so perché ma me lo sentivo» disse il negoziante facendo un sorrisetto.
10 minuti dopo
Sara entrò da sola nella stanza di C18 con passo fermo, la spranga in una mano e il coltello nell’altra.
La stanza aveva un alto soffitto, più che una stanza sembrava un laboratorio industriale. Si respirava aria umida provenire dal cemento delle pareti. Proprio al centro del laboratorio vi era il palo e una forte luce bianca pendente illuminava prepotente C18.
«Ti prego, non lo fare, non mi fare del male!» le urlò contro mentre la vedeva avvicinarsi.
Sara si fermò, si voltò verso il negoziante e disse al microfono: «Sono fatti proprio bene» riferendosi ai cloni C.
«Sono come te non vedi» aggiunse C18.
La voce del negoziante non tardò a raggiungere il laboratorio attraverso gli altoparlanti: «Non ti preoccupare Sara è normale, non ci devi parlare, sono brave a ingannarti. Vai convinta mi raccomando».
«Sara, non lo fare, ti prego! Puoi comprarmi, farò tutto quello che vuoi. Se lo farai poi dovrai conviverci. Hai dei figli?»
Sara a fatica non disse niente, poi tolse pian piano il suo sguardo da C18 e guardò il pavimento. Era uno di quei pavimenti lucidi di colore grigio, facili da pulire. Ma nonostante questo qualche macchia era rimasta.
In quella stanza Sara non era davvero sola con il clone: dagli altoparlanti poteva udire diversi bisbiglii.
Alzò lo sguardo verso una piccola tribuna che si affacciava allo spettacolo dietro a un vetro. Al di là c’erano una decina di persone, per lo più uomini, di un po’ tutte le età. Stavano osservando Sara con attenzione, mentre parlottavano tra di loro a bassa voce.
Uno di loro era più serio degli altri: un uomo vestito impeccabilmente, con una barba brizzolata, curata. Stava con le braccia conserte e il Rolex argentato che teneva al polso brillava anche da quella distanza.
Sara cercava lo sguardo di una sola persona in quel mucchio, ma lui non fece trasparire alcuna emozione.
Le suppliche di C18 riportarono Sara a concentrarsi su quello che stava facendo.
Si avvicinò al clone facendo strisciare la spranga sul pavimento. Appena arrivò a pochi centimetri da C18 strinse forte la spranga con entrambe le mani; la posizionò all’altezza della tibia del clone, appoggiandola alla sua pelle. Sembrava una giocatrice di golf concentrata a colpire con precisione la sua pallina.
«Cosa stai facendo? No! No! Fermati, ti prego!»
Sara caricò lentamente il colpo e il panico aggredì C18. Un panico vero, di quelli che ti tagliano il respiro e ti rivoltano lo stomaco.
Poi arrivò la sprangata, tirata con tutta la forza che aveva. La tibia fece lo stesso crack di un ramo secco spezzato. Il ferro si conficcò dentro la carne e al di là dell’osso.
C18 svenne con la testa penzolante in avanti.
«Tirale su la testa Sara, sennò non respira bene» urlò qualcuno dalla tribuna.
Sara voleva prima riprendersi la sua spranga conficcata nella gamba del clone. Pestò il piede di C18 e tirò forte a sé la spranga con due mani. Venne via con fatica e appena Sara si riprese l’arma, la gamba maciullata di C18 iniziò a pisciare sangue scuro.
Sara non sapeva cosa fare mentre dall’alto le continuavano a suggerire il da farsi.
«Ti conviene bloccare l’emorragia.»
Sara corse verso un tavolo degli attrezzi a pochi metri da lei e prese un nastro adesivo marrone. Poi tornò di fretta e lo avvolse stretto attorno alla gamba di C18, all’altezza di metà coscia.
C18 si risvegliò per qualche secondo, drogata dalle endorfine, poi si guardò quel che restava della sua tibia e svenne di nuovo.
Nel frattempo Sara riuscì a bloccare l’emorragia e si mise a camminare avanti e indietro pensierosa.
La situazione iniziava a caricarsi: i consigli sbraitati, le risate e i commenti da bar inondavano la testa di Sara dagli altoparlanti.
«Non aspettare, ti rimangono pochi minuti!»
«Vai! Vai bambina che ci sai fare!»
«Respira! Respira e passa al coltello!»
Sara non riusciva più a pensare con la calma tipica del suo carattere e mentre camminava i suoi occhi rimbalzavano tra la tribuna, il coltello che teneva in mano e l’immagine di C18 priva di sensi, rimasta in piedi solo per le strette corde che la stringevano al palo.
«Brava Sara, per essere la prima volta, ottimo colpo! Non ti distrarre…» disse il negoziante con sguardo preso, affacciato in prima fila al di là del vetro che lo separava dal laboratorio.
Il respiro di Sara si fece più affannoso: non era panico, ma si stava facendo trasportare dal fermento di quel caos. Non riusciva più a impugnare saldamente il timone di quell’esperienza. Oramai era un subbuglio crescente: una spirale di parole e parolacce che rimbalzavano nella stanza e nelle orecchie di Sara. Si voltò ancora una volta verso il suo pubblico e il tempo sembrò rallentare, quasi fermandosi. Le decine di parole che uscivano una sopra l’altra dall’altoparlante si erano ammassate e fuse in un brusio costante.
Sara stava galleggiando con i suoi pensieri, ma sapeva che doveva tornare a fare quello che voleva fare.
D’un tratto scattò come una tigre nervosa, aprì il coltello a serramanico e si precipitò contro C18, ancora svenuta da prima. Conficcò la lama nell’avambraccio del clone, recidendo pelle, tendini, vene e arterie.
C18 spalancò gli occhi e venne ricatapultata in quell’incubo, poi riprese a gridare.
Sara si riprese con forza il coltello dal braccio del clone e cercò lo sguardo di C18.
«Ti prego uccidimi! Ti prego! Ti prego! Per favore ti scongiuro uccidimi adesso!» esclamò C18, sputando vomito e saliva.
Sara non badava più a quelle parole, voleva solo capire quanto ancora potesse andare avanti.
Arretrò di un passo e si accovacciò per studiarla.
«Perché? Perché lo fai? Ma cosa cazzo sei? Un mostro? Aiuto! Aiutooo!»
C18 aveva perso molto sangue e il suo volto era sempre più pallido, ma le sue suppliche passarono inosservate come grida nello spazio profondo.
Sara si voltò ancora verso il suo uomo e lo fissò per lunghi secondi.
Lui non la perse mai di vista e osservava ogni suo singolo gesto con seria attenzione.
Sara fece un cenno di assenso e si voltò determinata verso C18. Si scaraventò contro di lei con una furia mai avuta prima.
Appena C18 capì che cosa stesse per succederle, strizzò d’istinto gli occhi e espulse tutto quello che aveva in corpo: voce, sudore, urine e sangue.
Sara affondò e riaffondò di scatto la lama nella pancia del clone. Quel piccolo coltello a serramanico entrava e usciva veloce dalla carne, entrava e usciva, entrava e usciva… la pancia di C18 divenne un colabrodo e a un tratto i muscoli dell’addome vomitarono fuori anche le budella. Sara continuava a muovere il suo braccio avanti e indietro, ormai era imbrattata di sangue e interiora. C18 aveva già da diversi secondi la testa penzolante in avanti che sballottava come un sacco di patate. Ma Sara non rallentò neanche per un attimo, andò avanti e continuò a infierire finché il suo braccio fu bloccato dai crampi.
Poi Sara gettò via il coltello, indietreggiò di un passo, prese in mano la pistola, la scarrellò e di getto scaricò l’intero caricatore sulla testa di C18: quindici colpi.
I primi proiettili bucarono la sua testa e uscirono dall’altro lato in piccoli fori precisi di 9 mm. Furono gli ultimi proiettili che spezzarono tutte le ossa del cranio e spaccarono in diversi pezzi il volto della donna, come un cocomero preso a mazzate.
La semiautomatica si fermò ancora fumante, Sara rimase con la pistola scarica in mano e con il fiato corto. Continuava a guardare la sua vittima, con un senso di stanca soddisfazione. Di C18 era rimasta solo della poltiglia, come fosse stata masticata e sputata da un gigante.
Dall’alto della tribuna il pubblico applaudiva e si congratulava con Sara. Qualcuno era euforico a tal punto da saltellare ed esultare a tutta voce.
Erano tutti su di giri, tranne lui: non si era ancora scomposto, sembrava stesse aspettando qualcosa.
Sara riprese fiato e mentre cadevano pezzi di C18 sul pavimento, si girò verso la tribuna e alzò lo sguardo, verso di lui.
Lo guardò come se stesse guardando suo padre, anche se quell’uomo non era suo padre. Lo guardò conscia di avere dato tutto.
L’uomo liberò le sue braccia conserte e iniziò un lungo e lento applauso, accompagnato da un sorriso.