[Lab3] Macchie gialle
Posted: Mon Jul 18, 2022 11:26 pm
MACCHIE GIALLE
La penna rotolò dalla scrivania e cadde per terra. Mi chinai per prenderla, ma era finita vicino ai tacchi di Regina.
«Pronto? Sono Regina, ciao. Come stai, caro?»
Il tacco destro si alzò e scattò sul pavimento. Stump! Scansai la mano in tempo.
«Perdonami, ti devo chiedere un favore... come dici? Ha ha!»
Il tacco si rialzò e stump! Mi sollevai, mi sistemai la gonna e andai a prendere un'altra penna.
Silvia alzò un sopracciglio e continuò a ticchettare sulla tastiera.
«Senza dubbio. Certo, tesoro!» Stump! Questa volta centrò la penna, che scricchiolò.
«Ciao, a domani.» «Quel deficiente non capisce niente.»
«Chi era?» Chiesi.
«Il Teccucci.» Si alzò, afferrò un plico di fogli e lo sbatté sul tavolo. Lo riagguantò e lo risbatté di nuovo. La voce si trasformò in quella di una cornacchia. «Dico, io. Se non lo sai fare, cambia mestiere - colpetto di tosse - no, io... io... Tocca farlo a me, come sempre.» Colpetto di tosse. Si sedette e frustò la scrivania coi pendagli dei braccialetti. Ciaf! Ciaf! Mentre spostava fogli e scriveva al PC. Ciaf! Ciaf! Ciaf! Il sottofondo sonoro delle nostre giornate in ufficio.
Arrivò Felicita. «Che succede?»
«Il fornitore della carta» dissi a bassa voce.
«Ah, ritorniamo a quello di prima?»
«Chee? Manco per idea! Ivo lo mandò via. Era da un anno che gli dicevo non-fa-per-no-i. Io ottengo sempre quello che voglio.» Colpetto di tosse.
Silvia ficcò il collo dentro le spalle e picchiettò più veloce sui tasti.
«Mi serve un caffè.» Regina si alzò e barcollò sui tacchi fino alle scale. Era bassa, nonostante i tacchi.
Incrociò il portiere che stava salendo. Lui indicò giù con una mano e con l'altra fece segno di domanda.
«Niente, le solite cose.» Risposi.
«È arrivato Fedroni per l'allaccio del gas. Lo faccio salire?»
«Finalmente! Fallo pure salire, intanto avverto Ivo.»
Il tipo si presentò con la cartellina dell'Ente e in bermuda. Ivo lo portò in cortile dal contatore.
Regina tornò e li guardò dalla finestra. «Noo, non ci credo. È venuto in bermuda? Ma è questo il modo di presentarsi al lavoro? No, io proprio... Ma guardatelo! Io, io...» Agitava le unghie laccate come se volesse graffiare il vetro, le vene gonfie sporgevano dalle mani, girava in circolo come una belva in gabbia. Faceva per allontanarsi dalla finestra e ci ritornava a guardare fuori. Solo la chioma rimase perfetta, persino nella concitazione non aveva un capello fuori posto.
Ritornò Ivo. «Quando vengono per l'allaccio?» Chiesi.
«See» disse lui. Sfregò pollice e indice «vuole questi.»
Sgranai gli occhi «ma dai, davvero?»
«E con quale naturalezza me li ha chiesti! Altrimenti se ne parla a Settembre...»
Ci guardammo allargando le sopracciglia. Tutte tranne Regina. Lei tornò a sedersi. «Eh, ragazzi, è il mondo!» Doppio colpetto di tosse. Prese la cornetta del telefono e digitò un numero.
Silvia strabuzzò gli occhi.
«Ma ciao, meraviglia d'una ragazza! Ti sei ricordata di mand... Sei la numero uno, brava! A casa tutto bene? Quanto ha tuo figlio ora? Il mio 22. Va all'università. La macchina? No, lo porto io. Preferisco.» Colpetto di tosse. «Cosa non si farebbe per i figli, vero?» Colpetto di tosse. «E pensare che certi genitori li fanno e poi non li seguono» colpetto di tosse. Ricordati di mandarmi la copia, eh? Ciao. Ciao ciao. Ciao»
Nel pomeriggio mi capitò tra le mani il faldone Berti.
«Come è andata poi col Berti, Regina? L'ingiunzione va avanti?»
«Guarda, sono andata là e nessuno sapeva come fare. C'era un penalista e due tributaristi. Pieni di scrupoli, e se poi, e se quando... Alla fine gli ho detto io come fare.» Colpetto di tosse.
Spensi il computer, erano già le 19. Felicita e Regina fecero lo stesso, misero in spalla le loro Chanel e Hermès e imboccarono le scale. Silvia stava finendo una email, la salutai. Le altre erano già uscite senza salutarla.
Il giorno dopo arrivai per prima. Poi arrivarono i tacchi di Regina e poi lei. Anzi, no, prima i tacchi, poi la suoneria del suo cellulare, e poi lei. Gli AC/DC invasero l'ufficio con le loro chitarre elettriche e mi svegliarono del tutto.
«Buongiorno, Regina.»
Mi salutò con la mano mentre rispondeva al telefono. «Dimmi, amore. Hai preso 8 al compito? Brava!»
«Ha preso 8 la mia figliuola - mi disse col petto in fuori - è molto brava. Io alla sua età ero uguale. Mio marito invece...»
«Buongiorno, Felicita! Lo sai che la mia figliuola ha preso 8?»
Arrivò Silvia, salutò e si mise alla scrivania. Io e Felicita la salutammo. Regina grugnì un buongiorno che sapeva di minaccia.
«Chi vuole un caffé?» Scese le scale a stonfi di tacco ogni gradino.
Mentre era giù, scattò l'assolo di chitarra degli AC/DC. Dopo 7 secondi si aggiunsero anche i colpi della batteria, e dopo 20 secondi partirono pure gli strilli di Brian Johnson, che non capivi con chi ce l'avesse, ma dagli strilli era inc. zz.to parecchio. La suoneria terminò e tirammo tutte un sospiro di sollievo.
«Ti suonava il telefono» dissi a Regina, quando rispuntò.
«Ah, grazie.» Prese in mano il cellulare, lo guardò e lo rimise sul tavolo. «La Bernardini. La richiamerò. Se tanto ti premeva, non ti separavi, cara. Si è separata dal marito. Mah, oggigiorno!»
«Che ne sai del motivo, magari...» Silvia non riuscì a finire, trafitta da dardi infuocati.
«Sono sposata da 35 anni, io. Mio marito deve solo baciare dove cammino. Faccio tutto io. Bisogna saperla gestire la famiglia. GESTIRE la casa, GESTIRE i figliuoli, GESTIRE il marito...»
Ci guardammo e ci immergemmo ognuna al di sotto del proprio separé.
Silvia l'incauta si sporse dalla scrivania. «Regina, scusa, hai il numero interno dell'ufficio tributi del comune?»
«Non ce l'ho.» Ciaf, ciaf, i pendagli dei bracciali sulla scrivania.
«Ma tu con chi parli di solito?»
«Cercati il numero in rete.» Ciaf, ciaf.
«Ci ho guardato, ma c'è solo il numero del centralino.»
«E allora chiama il centralino.» Ciaf, ciaf, ciaf.
«Parlare con lo stesso contatto agevolerebbe, no?»
«E io come ho fatto, secondo te?» Alzò la voce di due toni. «Ho chiamato il centralino e col tempo ho capito con chi dovevo parlare.»
«Appunto.»
La tempesta era vicina. Felicita se la svignò.
«Coosa?» La voce stridula stava assomigliando sempre più a quella degli AC/DC.
«Lavori qui da 30 anni, Regina. Forse potresti darmi qualche dritta. Agevoleresti il lavoro dell'azienda.»
«Qui ognuno se la cava da solo! All'azienda gioverebbero dipendenti furbi, piuttosto!»
Digitai tasti a raffica a casaccio.
L'arrivo di Ivo mi tolse dall'impiccio. Girò lo sguardo a destra e a sinistra per cercare un appoggio e posò sulla mia scrivania un pacchetto di paste.
«Oh, è il tuo compleanno?» Dissi.
«Auguri!» Gli gridammo tutte e quattro.
Andai a prendere dei bicchieri di plastica, Felicita prese dal frigo una bottiglia di spumante e Silvia qualche salvietta. Ne porse una a Regina, che si era imbrattata aprendo il pacchetto. Lei gliela strappò di mano.
Scelsi un pasticcino al cioccolato.
«Il cioccolato non mi piace» commentò Regina.
Felicita ne prese uno alla frutta. Ivo alla crema. Silvia quello con la panna.
Regina emise un suono nasale di disappunto. Scelse la più piccola, di semplice pasta frolla. Poi si allontanò a ingurgitare acqua dalla sua bottiglia.
Eravamo al secondo giro di paste e Silvia si avvicinò al vassoio, si sistemò la maglietta che le tirava un po' troppo sulla pancia e prese un'altra pasta. Regina le piantò gli occhi negli occhi come un giaguaro a caccia, la scandagliò dalla testa ai piedi e col mento in su e labbra a grugno sputò: «Brava Felicita, che non fa il bis! Lei sì che ci tiene alla linea!»
Mi avvicinai a Regina e le indicai gli occhi. «Cos'hai qui?» Delle macchie gialle erano sparse sulle sue palpebre, un po' in rilievo, come dei grumi di burro.
Prese dalla borsetta uno specchietto tondo. «Il trucco» tagliò corto.
Il giorno dopo arrivò in ufficio con uno strato spesso di ombretto giallo.
«Nuovo look?» Chiesi.
«Sì», si limitò a dire.
Il giorno successivo l'ombretto giallo era anche al di sotto degli occhi. «Vuoi lanciare una nuova moda?» Scherzai.
“C-ci stai bene...» la compiacque Felicita.
Il terzo giorno il suo viso era giallo dagli occhi fino a metà guancia. In rilievo, come una maschera di velluto. Si piazzò con nonchalance alla sua scrivania.
«Il dottore dice che lavoro troppo.» Gonfiò il petto «Ma non è mai troppo!» Prese due caffè e si mise al computer.
Il quarto giorno anche Felicita arrivò con metà faccia gialla. Scossi la mano con le dita raggruppate in forma interrogativa. Lei scosse le mani per dirmi di tacere, tirò fuori da una busta un tubetto, lo sventolò e lo rimise subito via.
All'uscita andai a comprare lo stesso tubetto. Per ben 5 giorni mi spalmai di giallo prima di andare al lavoro.
Silvia fu l'unica che non si dipinse mai. Saltellava qui e là. Troppo serena, per una che stava per essere licenziata.
Ivo se ne stava chiuso nel suo ufficio al piano di sopra. Poteva capitare qualsiasi cosa, purché non sparisse il pezzo da 90 di Regina.
«Dov'è il tomo terzo?» Chiese Silvia.
«È nel...» Regina sovrastò la mia voce: «Sempre stato nell'armadio. Ancora non lo sai?»
«Non l'ho mai usato.»
«Mai sentito che ne parlavamo noi?» Alzò il labbro come uno che ha appena pestato una cacca.
L'anta della finestra si aprì di scatto e la maniglia sbatté contro il monitor di Regina.
Crash! Il rumore fece scendere Ivo.
Dissi: «Ma questo monitor non è uguale a quello che dobbiamo ancora spacchettare? È per caso lo stesso codice di prodotto?»
L'indice di Ivo ondeggiò verso di me mentre faceva sì con la testa. «Mmh... Hai ragione, si potrebbe dire che è arrivato con il vetro rotto per utilizzare quella garanzia...»
Regina mi applaudì. «Brava così! È importante essere furbi nella vita.»
Mi stavo trasformando in Regina? Guardai la me stessa di 20 anni dopo, vidi una cornacchia dare del cretino a chiunque non mi riconoscesse superiore.
La mattina successiva aprii il mio tubetto di colore, lo capovolsi e ne uscirono solo tre gocce. Deglutii. Forse avrei fatto in tempo ad andare a comprarne un altro...
Presi la borsa e andai diretta al lavoro. Pulita.
La penna rotolò dalla scrivania e cadde per terra. Mi chinai per prenderla, ma era finita vicino ai tacchi di Regina.
«Pronto? Sono Regina, ciao. Come stai, caro?»
Il tacco destro si alzò e scattò sul pavimento. Stump! Scansai la mano in tempo.
«Perdonami, ti devo chiedere un favore... come dici? Ha ha!»
Il tacco si rialzò e stump! Mi sollevai, mi sistemai la gonna e andai a prendere un'altra penna.
Silvia alzò un sopracciglio e continuò a ticchettare sulla tastiera.
«Senza dubbio. Certo, tesoro!» Stump! Questa volta centrò la penna, che scricchiolò.
«Ciao, a domani.» «Quel deficiente non capisce niente.»
«Chi era?» Chiesi.
«Il Teccucci.» Si alzò, afferrò un plico di fogli e lo sbatté sul tavolo. Lo riagguantò e lo risbatté di nuovo. La voce si trasformò in quella di una cornacchia. «Dico, io. Se non lo sai fare, cambia mestiere - colpetto di tosse - no, io... io... Tocca farlo a me, come sempre.» Colpetto di tosse. Si sedette e frustò la scrivania coi pendagli dei braccialetti. Ciaf! Ciaf! Mentre spostava fogli e scriveva al PC. Ciaf! Ciaf! Ciaf! Il sottofondo sonoro delle nostre giornate in ufficio.
Arrivò Felicita. «Che succede?»
«Il fornitore della carta» dissi a bassa voce.
«Ah, ritorniamo a quello di prima?»
«Chee? Manco per idea! Ivo lo mandò via. Era da un anno che gli dicevo non-fa-per-no-i. Io ottengo sempre quello che voglio.» Colpetto di tosse.
Silvia ficcò il collo dentro le spalle e picchiettò più veloce sui tasti.
«Mi serve un caffè.» Regina si alzò e barcollò sui tacchi fino alle scale. Era bassa, nonostante i tacchi.
Incrociò il portiere che stava salendo. Lui indicò giù con una mano e con l'altra fece segno di domanda.
«Niente, le solite cose.» Risposi.
«È arrivato Fedroni per l'allaccio del gas. Lo faccio salire?»
«Finalmente! Fallo pure salire, intanto avverto Ivo.»
Il tipo si presentò con la cartellina dell'Ente e in bermuda. Ivo lo portò in cortile dal contatore.
Regina tornò e li guardò dalla finestra. «Noo, non ci credo. È venuto in bermuda? Ma è questo il modo di presentarsi al lavoro? No, io proprio... Ma guardatelo! Io, io...» Agitava le unghie laccate come se volesse graffiare il vetro, le vene gonfie sporgevano dalle mani, girava in circolo come una belva in gabbia. Faceva per allontanarsi dalla finestra e ci ritornava a guardare fuori. Solo la chioma rimase perfetta, persino nella concitazione non aveva un capello fuori posto.
Ritornò Ivo. «Quando vengono per l'allaccio?» Chiesi.
«See» disse lui. Sfregò pollice e indice «vuole questi.»
Sgranai gli occhi «ma dai, davvero?»
«E con quale naturalezza me li ha chiesti! Altrimenti se ne parla a Settembre...»
Ci guardammo allargando le sopracciglia. Tutte tranne Regina. Lei tornò a sedersi. «Eh, ragazzi, è il mondo!» Doppio colpetto di tosse. Prese la cornetta del telefono e digitò un numero.
Silvia strabuzzò gli occhi.
«Ma ciao, meraviglia d'una ragazza! Ti sei ricordata di mand... Sei la numero uno, brava! A casa tutto bene? Quanto ha tuo figlio ora? Il mio 22. Va all'università. La macchina? No, lo porto io. Preferisco.» Colpetto di tosse. «Cosa non si farebbe per i figli, vero?» Colpetto di tosse. «E pensare che certi genitori li fanno e poi non li seguono» colpetto di tosse. Ricordati di mandarmi la copia, eh? Ciao. Ciao ciao. Ciao»
Nel pomeriggio mi capitò tra le mani il faldone Berti.
«Come è andata poi col Berti, Regina? L'ingiunzione va avanti?»
«Guarda, sono andata là e nessuno sapeva come fare. C'era un penalista e due tributaristi. Pieni di scrupoli, e se poi, e se quando... Alla fine gli ho detto io come fare.» Colpetto di tosse.
Spensi il computer, erano già le 19. Felicita e Regina fecero lo stesso, misero in spalla le loro Chanel e Hermès e imboccarono le scale. Silvia stava finendo una email, la salutai. Le altre erano già uscite senza salutarla.
Il giorno dopo arrivai per prima. Poi arrivarono i tacchi di Regina e poi lei. Anzi, no, prima i tacchi, poi la suoneria del suo cellulare, e poi lei. Gli AC/DC invasero l'ufficio con le loro chitarre elettriche e mi svegliarono del tutto.
«Buongiorno, Regina.»
Mi salutò con la mano mentre rispondeva al telefono. «Dimmi, amore. Hai preso 8 al compito? Brava!»
«Ha preso 8 la mia figliuola - mi disse col petto in fuori - è molto brava. Io alla sua età ero uguale. Mio marito invece...»
«Buongiorno, Felicita! Lo sai che la mia figliuola ha preso 8?»
Arrivò Silvia, salutò e si mise alla scrivania. Io e Felicita la salutammo. Regina grugnì un buongiorno che sapeva di minaccia.
«Chi vuole un caffé?» Scese le scale a stonfi di tacco ogni gradino.
Mentre era giù, scattò l'assolo di chitarra degli AC/DC. Dopo 7 secondi si aggiunsero anche i colpi della batteria, e dopo 20 secondi partirono pure gli strilli di Brian Johnson, che non capivi con chi ce l'avesse, ma dagli strilli era inc. zz.to parecchio. La suoneria terminò e tirammo tutte un sospiro di sollievo.
«Ti suonava il telefono» dissi a Regina, quando rispuntò.
«Ah, grazie.» Prese in mano il cellulare, lo guardò e lo rimise sul tavolo. «La Bernardini. La richiamerò. Se tanto ti premeva, non ti separavi, cara. Si è separata dal marito. Mah, oggigiorno!»
«Che ne sai del motivo, magari...» Silvia non riuscì a finire, trafitta da dardi infuocati.
«Sono sposata da 35 anni, io. Mio marito deve solo baciare dove cammino. Faccio tutto io. Bisogna saperla gestire la famiglia. GESTIRE la casa, GESTIRE i figliuoli, GESTIRE il marito...»
Ci guardammo e ci immergemmo ognuna al di sotto del proprio separé.
Silvia l'incauta si sporse dalla scrivania. «Regina, scusa, hai il numero interno dell'ufficio tributi del comune?»
«Non ce l'ho.» Ciaf, ciaf, i pendagli dei bracciali sulla scrivania.
«Ma tu con chi parli di solito?»
«Cercati il numero in rete.» Ciaf, ciaf.
«Ci ho guardato, ma c'è solo il numero del centralino.»
«E allora chiama il centralino.» Ciaf, ciaf, ciaf.
«Parlare con lo stesso contatto agevolerebbe, no?»
«E io come ho fatto, secondo te?» Alzò la voce di due toni. «Ho chiamato il centralino e col tempo ho capito con chi dovevo parlare.»
«Appunto.»
La tempesta era vicina. Felicita se la svignò.
«Coosa?» La voce stridula stava assomigliando sempre più a quella degli AC/DC.
«Lavori qui da 30 anni, Regina. Forse potresti darmi qualche dritta. Agevoleresti il lavoro dell'azienda.»
«Qui ognuno se la cava da solo! All'azienda gioverebbero dipendenti furbi, piuttosto!»
Digitai tasti a raffica a casaccio.
L'arrivo di Ivo mi tolse dall'impiccio. Girò lo sguardo a destra e a sinistra per cercare un appoggio e posò sulla mia scrivania un pacchetto di paste.
«Oh, è il tuo compleanno?» Dissi.
«Auguri!» Gli gridammo tutte e quattro.
Andai a prendere dei bicchieri di plastica, Felicita prese dal frigo una bottiglia di spumante e Silvia qualche salvietta. Ne porse una a Regina, che si era imbrattata aprendo il pacchetto. Lei gliela strappò di mano.
Scelsi un pasticcino al cioccolato.
«Il cioccolato non mi piace» commentò Regina.
Felicita ne prese uno alla frutta. Ivo alla crema. Silvia quello con la panna.
Regina emise un suono nasale di disappunto. Scelse la più piccola, di semplice pasta frolla. Poi si allontanò a ingurgitare acqua dalla sua bottiglia.
Eravamo al secondo giro di paste e Silvia si avvicinò al vassoio, si sistemò la maglietta che le tirava un po' troppo sulla pancia e prese un'altra pasta. Regina le piantò gli occhi negli occhi come un giaguaro a caccia, la scandagliò dalla testa ai piedi e col mento in su e labbra a grugno sputò: «Brava Felicita, che non fa il bis! Lei sì che ci tiene alla linea!»
Mi avvicinai a Regina e le indicai gli occhi. «Cos'hai qui?» Delle macchie gialle erano sparse sulle sue palpebre, un po' in rilievo, come dei grumi di burro.
Prese dalla borsetta uno specchietto tondo. «Il trucco» tagliò corto.
Il giorno dopo arrivò in ufficio con uno strato spesso di ombretto giallo.
«Nuovo look?» Chiesi.
«Sì», si limitò a dire.
Il giorno successivo l'ombretto giallo era anche al di sotto degli occhi. «Vuoi lanciare una nuova moda?» Scherzai.
“C-ci stai bene...» la compiacque Felicita.
Il terzo giorno il suo viso era giallo dagli occhi fino a metà guancia. In rilievo, come una maschera di velluto. Si piazzò con nonchalance alla sua scrivania.
«Il dottore dice che lavoro troppo.» Gonfiò il petto «Ma non è mai troppo!» Prese due caffè e si mise al computer.
Il quarto giorno anche Felicita arrivò con metà faccia gialla. Scossi la mano con le dita raggruppate in forma interrogativa. Lei scosse le mani per dirmi di tacere, tirò fuori da una busta un tubetto, lo sventolò e lo rimise subito via.
All'uscita andai a comprare lo stesso tubetto. Per ben 5 giorni mi spalmai di giallo prima di andare al lavoro.
Silvia fu l'unica che non si dipinse mai. Saltellava qui e là. Troppo serena, per una che stava per essere licenziata.
Ivo se ne stava chiuso nel suo ufficio al piano di sopra. Poteva capitare qualsiasi cosa, purché non sparisse il pezzo da 90 di Regina.
«Dov'è il tomo terzo?» Chiese Silvia.
«È nel...» Regina sovrastò la mia voce: «Sempre stato nell'armadio. Ancora non lo sai?»
«Non l'ho mai usato.»
«Mai sentito che ne parlavamo noi?» Alzò il labbro come uno che ha appena pestato una cacca.
L'anta della finestra si aprì di scatto e la maniglia sbatté contro il monitor di Regina.
Crash! Il rumore fece scendere Ivo.
Dissi: «Ma questo monitor non è uguale a quello che dobbiamo ancora spacchettare? È per caso lo stesso codice di prodotto?»
L'indice di Ivo ondeggiò verso di me mentre faceva sì con la testa. «Mmh... Hai ragione, si potrebbe dire che è arrivato con il vetro rotto per utilizzare quella garanzia...»
Regina mi applaudì. «Brava così! È importante essere furbi nella vita.»
Mi stavo trasformando in Regina? Guardai la me stessa di 20 anni dopo, vidi una cornacchia dare del cretino a chiunque non mi riconoscesse superiore.
La mattina successiva aprii il mio tubetto di colore, lo capovolsi e ne uscirono solo tre gocce. Deglutii. Forse avrei fatto in tempo ad andare a comprarne un altro...
Presi la borsa e andai diretta al lavoro. Pulita.