[LMI 171] Alla ricerca del grande pesce siluro
Posted: Wed Jul 06, 2022 7:07 pm
Terza traccia: La valigia
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Giacomo era un bambino molto curioso, affascinato da tutti gli animali che circolavano intorno alla sua casa. Gli insetti erano la maggioranza: grosse cavallette, cicale, vari coleotteri. Non mancavano le lucertole e anche le bisce. Ma quando si trovò di fronte un castoro, lo stupore fu così grande che andò subito a dirlo al papà.
“Non credo che ci siano castori da queste parti. Avrai visto sicuramente una nutria che, in effetti, viene chiamata anche castorino” rispose il papà, smorzando l'entusiasmo del figlio.
“Quindi è un piccolo castoro?”
“Più o meno, oppure un grande topaccio.”
“Eh!”
“Qualcuno la pensa così, ma in realtà non ha niente del topo. Purtroppo la sua storia è triste: fu importata dal Sud America per allevarla e farne delle pellicce. Poi quando queste non furono più di moda, le povere cavie rimaste furono messe in libertà e così si adattarono e prolificarono nel nuovo ambiente a tal punto che oggi sono considerate una minaccia e le prendono a scoppiettate, se va bene. Fu così che le chiamarono nutrie: brutte, sporche, simili ai topi. Perché ammazzare dei castorini avrebbe indignato i sentimenti della gente comune” spiegò il padre, anch'egli appassionato di animali.
“Oh cavolo. Quindi anche queste verranno ammazzate?”
“Per il momento no, e spero che non succederà.”
Il bambino uscì di nuovo di casa per osservale sotto questa nuova luce.
“Giacomo!” si sentì chiamare da lontano.
“Ciao Luigi, cosa è successo? Hai una faccia...”
“Nelle acque basse del fiume ho visto un pesce siluro gigantesco. Sembrava uno squalo. Vieni, andiamo a vedere insieme.”
“Ma non è pericoloso? Ho sentito dire che mangiano i bambini.”
“Macché! Sono tutte invenzioni.”
Si avvicinarono nella zona in cui era stato avvistato, un'ansa del fiume in un punto più profondo e abbastanza limpido, ma non c'era traccia di nessun pesce.
“Sono sicuro, era qui poco fa, sarà stato di almeno tre metri. Riproveremo domani. Devo tornare a casa, mi stanno aspettando già da un po'.”
“Ok, a domani.”
Giacomo decise di perlustrare la zona per vedere se il pescione si fosse spostato, anche se aveva un po' di timore. Aveva il terrore che potesse fare un balzo fuori dall'acqua e saltargli addosso. Cautamente valutò che era meglio rientrare. Mentre camminava nella sabbia morbida che di solito era coperta dal fiume, ora in secca per una persistente siccità, notò qualcosa che fuoriusciva dal terreno. Sembrava una vecchia valigia o un baule.
“Magari è un tesoro” pensò preso da eccitazione. Scavò intorno, per mettere in luce quello strano contenitore.
“Un tesoro dei pirati!” fantasticava con la mente, anche se lo sfiorava qualche perplessità.
“Magari c'erano dei pirati anche sul Po” continuava a vagare con la fantasia. Quando l'ebbe liberata dalla sabbia, si presentava come una valigia piccola, con delle borchie di metallo che la contornavano lungo i bordi. Era completamente scolorita anche se delle tracce di rosso si percepivano qua e là. Paura e curiosità si alternavano nella sua testa. Provò a scostarla e con delusione constatò che era leggerissima.
“Addio tesoro” pensò.
Sperava davvero che potessero esserci delle monete d'oro o chissà cos'altro di prezioso, ma quel peso leggero non aiutava le sue aspettative.
“Magari ci sono delle banconote, frutto di una rapina” insistette con il suo desiderio di fare fortuna. Prese coraggio e cercò di capire come aprirla. Non c'erano pulsanti, nessuna forma di chiusura e sembrava saldata, ossidata, nelle giunture di metallo.
Gli venne un colpo quando sentì un rumore provenire dall'interno. Come uno scricchiolio crescente e poi... una voce, di donna: “Deve esserci una chiave sotto la maniglia: prendila, inseriscila nel buco e girala.”
“AHHH!” urlò d'istinto mentre se la diede a gambe levate.
“Dove vai! Torna qui! È più di cinquant'anni che aspetto questo momento” si sentì urlare dall'interno.
Il bambino si bloccò. Non sapeva più cosa pensare. Avrebbe voluto chiudere la faccenda, aprire la valigia e scoprire che era solo frutto della sua fantasia, anche se non era la prima volta che sentiva delle voci strane: tempo fa aveva sentito un rospo parlare. Ritornò sui suoi passi e tastò sotto la maniglia della valigia: c'era veramente una chiave. La prese e con la mano tremolante la inserì nella serratura. Non dovette fare nessuno sforzo: la valigia si aprì da sola.
“Finalmente! Mi sento tutta raggrinzita dopo tanti anni nella stessa posizione.”
Giacomo, impietrito, osservò la scena a bocca aperta con un filo di bava che gli colava di lato.
“Non so come ringraziarti!” continuò commossa quella voce femminile.
Ma il peggio doveva arrivare.
“Ciao, io sono Marika, tu come ti chiami?” Una mandibola si muoveva su e giù in sincrono con le parole pronunciate: era un teschio, che lentamente si ergeva trascinando il resto delle ossa, coperte da quel che restava di un vestito.
“Capisco che può sembrarti tutto un po' strano, ma dimmi: cosa c'è di normale nella vita?”
“Ma chi sei?”
“Te l'ho detto poco fa, sei sordo? Mi chiamo Marika e faccio la contorsionista. O, forse, sarebbe più giusto dire: facevo la contorsionista. La mia specialità era entrare in una valigia, proprio questa. Peccato che qualche simpaticone ha pensato di chiudermi a chiave dopo l'ultimo numero, lasciandomi qui dentro tutto questo tempo.”
“Tutto ciò non è possibile, come fai a non essere morta?” balbettò il bambino.
“Ma sono morta! Che domande fai! E lo sarei stata a breve anche senza questo scherzetto: una malattia rara alle ossa, avevano detto. Quello che vedi è il mio spiritello in carne e oss... no, solo ossa.”
“Ma tutto ciò non ha senso.”
“Perché, un rospo che parla ha senso?”
Il bambino sbiancò letteralmente.
“Non ti preoccupare, non c'è niente di male anzi, un po' di fantasia aiuta nella vita. Io lo so chi è stata a farmi questo: l'incantatrice di serpenti, quella vipera. Era gelosa del mio successo anche se a lei non le mancava di sicuro. Ma voleva essere l'unica diva. E dire che pensavo mi volesse bene.”
“Ma lavoravate in un circo?”
“Sì, il migliore. Ricordo ancora quell'ultima serata estiva, sulle rive del fiume, di tanti anni fa. Fu un successo incredibile. Poi arrivò un violento temporale con un vento pazzesco che in poco tempo spazzò via tutto. Tutti se la svignarono in fretta e in breve la zona fu completamente allagata. E io, chiusa qua dentro, iniziai il mio viaggio.”
“Non so se c'entra qualcosa, ma si dice che c'è un'anziana signora che vive in una baracca di legno con tanti serpenti. Io non l'ho mai vista però conosco la zona dove è stata avvistata.”
“Cosa aspetti! Andiamo a trovarla.”
“Ma, come fai... riesci a camminare?”
“Ma che domande. Ti sembra? Hai mai visto uno scheletro camminare per strada? Rimettimi dentro e portami tu, tanto sono piccola e leggera.”
Non potendosi più tirare indietro, non gli rimaneva altro che intraprendere questo viaggio. Dopo un tratto tra paludi prosciugate e resti di vecchie barche abbandonate, si addentrarono in un bosco di pioppi, fitto, buio, di quelli che incutono un certo timore; sembrava di stare in un labirinto. Poi la vista si schiarì, con la luce che riprendeva spazio. In lontananza si vedeva una grande duna di sabbia.
“Credo che siamo vicini” disse Giacomo con voce terrorizzata.
“Da cosa lo capisci?”
“C'è un'enorme pelle di serpente, e io ho terrore dei serpenti.”
“Più degli scheletri umani?”
“Beh, forse degli scheletri no.”
“E allora! Hai già superato la prova più dura.”
Arrivarono alla duna e scoprirono che dietro c'era un'altra piccola montagna, ma di rottami. Vicino, uno strano marchingegno. Sembrava un enorme scolapasta sorretto da tre rampe che finivano su tre grosse ruote. Vibrava lasciando filtrare della sabbia, alimentato da grandi pale meccaniche di legno, che raccoglievano la terra e la riversavano nella grande scodellona bucata.
“Siamo arrivati. C'è la baracca di legno con delle strane sculture a forma di serpente.”
“Ok, lascia la valigia davanti alla porta, suona il campanello e vai via. Voglio farle una bella sorpresa.”
“Secondo te, in una baracca di legno c'è il campanello?”
“Allora bussa! Ma fai presto.”
“Vedo appeso una specie di gong con una mazza.”
“Vai!”
Giacomo lasciò la valigia davanti all'uscio, suonò il gong e si allontanò per assistere alla scena.
La porta si aprì lentamente e una strana signora anziana, appena vide la valigia, cacciò un urlo e svenne cadendo all'indietro come un birillo.
“Ma porca miseria! Ora mi accuseranno anche di omicidio” mormorò Giacomo.
“Oh, riconosco questo vocalizzo. È proprio lei: la cara Katiuscia. Giacomino, vieni ad aprire la valigia.”
Arrivò tentennante: “Mmm... credo ci sia un problema” sussurrò.
“Quale problema.”
“Non ho più la chiave, deve essermi caduta mentre venivamo.”
“Questa è bella! Era proprio scritto il mio destino crudele.”
La domatrice di serpenti lentamente si ridestò. Si avvicinò e tirò fuori dal taschino una piccola chiave: “L'ho conservata sperando che un giorno potesse ritornare utile. Io non volevo, perdonami Marika!” disse scoppiando in un pianto a dirotto. “Era solo uno stupido scherzo di pochi momenti. Ti avrei liberata subito ma quel fulmine piombò all'improvviso creando il panico tra tutti. Poi la pioggia e il vento... e non ti ho più vista. Ho iniziato a cercarti dappertutto giorno e notte: con le barche, con le reti. con i sommozzatori, con ogni accidente che poteva essere utile. E l'ho fatto per cinquant'anni, tutti i giorni. Passavo le giornate sulle rive del fiume. L'ho anche percorso fino alla foce e tornata indietro chissà quante volte. Ho costruito una macchina mobile per setacciare grandi quantità di sabbia nella speranza di ritrovarti. Ho pregato, mi sono dannata. Ma ho promesso che non sarei morta finché non ti avrei ritrovato. E ora... non ci posso credere. Sei qui. E pensare di quante ne abbiamo combinate insieme... ricordi quando eravamo andat...”
“Vuoi aprire sta valigia, o no!”
“Ah sì, scusa.”
“Ti avverto che non sarà una bella visione.”
“Ormai non m'importa più niente. Sei qui ed è la cosa più importante.”
“Non è che sono proprio qui con il mio corpo originale. Con tutta la buona volontà sarebbe stato difficile dopo cinquant'anni sommerso nell'acqua.”
“Non importa, sento la tua voce, che è rimasta uguale ed è la cosa più importante.”
Con molta accortezza Katiuscia inserì la chiave nella serratura.
“Ma... sembra che non giri. Aspetta che riprovo...”
“Ecco, lo sapevo! Esisteva solo una chiave per la valigia. Mi è sembrato strano sentire che ne fosse saltata fuori un'altra” sentenziò Marika.
“Aspetta! Potremmo forzare la serratura. Ho vari arnesi. Li vado a prendere.”
“Lascia stare, non ce n'è bisogno, non troveresti niente qua dentro. Ora che so come sono andate le cose, posso continuare il mio viaggio tranquilla. Tra le due, a quella che le è andata peggio sei tu. Sapete cosa potete fare?”
“Cosa?” risposero all'unisono Giacomo e Katiuscia.
“Un bel falò. Così dopo tanti anni tra la terra e l'acqua, posso provare il fuoco e l'aria.”
“Certo!” risposero.
Dopo aver preparato la pira, l'appiccarono e osservarono in silenzio le fiamme ergersi nel cielo.
“Ora cosa farai?” chiese Giacomo.
“Credo che la andrò a trovare presto, ora che so dov'è.”
“Allora buona fortuna.”
Giacomo si incamminò verso casa con un solo pensiero fisso nella testa: andare l'indomani con Luigi alla ricerca del gigantesco pesce siluro.
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Giacomo era un bambino molto curioso, affascinato da tutti gli animali che circolavano intorno alla sua casa. Gli insetti erano la maggioranza: grosse cavallette, cicale, vari coleotteri. Non mancavano le lucertole e anche le bisce. Ma quando si trovò di fronte un castoro, lo stupore fu così grande che andò subito a dirlo al papà.
“Non credo che ci siano castori da queste parti. Avrai visto sicuramente una nutria che, in effetti, viene chiamata anche castorino” rispose il papà, smorzando l'entusiasmo del figlio.
“Quindi è un piccolo castoro?”
“Più o meno, oppure un grande topaccio.”
“Eh!”
“Qualcuno la pensa così, ma in realtà non ha niente del topo. Purtroppo la sua storia è triste: fu importata dal Sud America per allevarla e farne delle pellicce. Poi quando queste non furono più di moda, le povere cavie rimaste furono messe in libertà e così si adattarono e prolificarono nel nuovo ambiente a tal punto che oggi sono considerate una minaccia e le prendono a scoppiettate, se va bene. Fu così che le chiamarono nutrie: brutte, sporche, simili ai topi. Perché ammazzare dei castorini avrebbe indignato i sentimenti della gente comune” spiegò il padre, anch'egli appassionato di animali.
“Oh cavolo. Quindi anche queste verranno ammazzate?”
“Per il momento no, e spero che non succederà.”
Il bambino uscì di nuovo di casa per osservale sotto questa nuova luce.
“Giacomo!” si sentì chiamare da lontano.
“Ciao Luigi, cosa è successo? Hai una faccia...”
“Nelle acque basse del fiume ho visto un pesce siluro gigantesco. Sembrava uno squalo. Vieni, andiamo a vedere insieme.”
“Ma non è pericoloso? Ho sentito dire che mangiano i bambini.”
“Macché! Sono tutte invenzioni.”
Si avvicinarono nella zona in cui era stato avvistato, un'ansa del fiume in un punto più profondo e abbastanza limpido, ma non c'era traccia di nessun pesce.
“Sono sicuro, era qui poco fa, sarà stato di almeno tre metri. Riproveremo domani. Devo tornare a casa, mi stanno aspettando già da un po'.”
“Ok, a domani.”
Giacomo decise di perlustrare la zona per vedere se il pescione si fosse spostato, anche se aveva un po' di timore. Aveva il terrore che potesse fare un balzo fuori dall'acqua e saltargli addosso. Cautamente valutò che era meglio rientrare. Mentre camminava nella sabbia morbida che di solito era coperta dal fiume, ora in secca per una persistente siccità, notò qualcosa che fuoriusciva dal terreno. Sembrava una vecchia valigia o un baule.
“Magari è un tesoro” pensò preso da eccitazione. Scavò intorno, per mettere in luce quello strano contenitore.
“Un tesoro dei pirati!” fantasticava con la mente, anche se lo sfiorava qualche perplessità.
“Magari c'erano dei pirati anche sul Po” continuava a vagare con la fantasia. Quando l'ebbe liberata dalla sabbia, si presentava come una valigia piccola, con delle borchie di metallo che la contornavano lungo i bordi. Era completamente scolorita anche se delle tracce di rosso si percepivano qua e là. Paura e curiosità si alternavano nella sua testa. Provò a scostarla e con delusione constatò che era leggerissima.
“Addio tesoro” pensò.
Sperava davvero che potessero esserci delle monete d'oro o chissà cos'altro di prezioso, ma quel peso leggero non aiutava le sue aspettative.
“Magari ci sono delle banconote, frutto di una rapina” insistette con il suo desiderio di fare fortuna. Prese coraggio e cercò di capire come aprirla. Non c'erano pulsanti, nessuna forma di chiusura e sembrava saldata, ossidata, nelle giunture di metallo.
Gli venne un colpo quando sentì un rumore provenire dall'interno. Come uno scricchiolio crescente e poi... una voce, di donna: “Deve esserci una chiave sotto la maniglia: prendila, inseriscila nel buco e girala.”
“AHHH!” urlò d'istinto mentre se la diede a gambe levate.
“Dove vai! Torna qui! È più di cinquant'anni che aspetto questo momento” si sentì urlare dall'interno.
Il bambino si bloccò. Non sapeva più cosa pensare. Avrebbe voluto chiudere la faccenda, aprire la valigia e scoprire che era solo frutto della sua fantasia, anche se non era la prima volta che sentiva delle voci strane: tempo fa aveva sentito un rospo parlare. Ritornò sui suoi passi e tastò sotto la maniglia della valigia: c'era veramente una chiave. La prese e con la mano tremolante la inserì nella serratura. Non dovette fare nessuno sforzo: la valigia si aprì da sola.
“Finalmente! Mi sento tutta raggrinzita dopo tanti anni nella stessa posizione.”
Giacomo, impietrito, osservò la scena a bocca aperta con un filo di bava che gli colava di lato.
“Non so come ringraziarti!” continuò commossa quella voce femminile.
Ma il peggio doveva arrivare.
“Ciao, io sono Marika, tu come ti chiami?” Una mandibola si muoveva su e giù in sincrono con le parole pronunciate: era un teschio, che lentamente si ergeva trascinando il resto delle ossa, coperte da quel che restava di un vestito.
“Capisco che può sembrarti tutto un po' strano, ma dimmi: cosa c'è di normale nella vita?”
“Ma chi sei?”
“Te l'ho detto poco fa, sei sordo? Mi chiamo Marika e faccio la contorsionista. O, forse, sarebbe più giusto dire: facevo la contorsionista. La mia specialità era entrare in una valigia, proprio questa. Peccato che qualche simpaticone ha pensato di chiudermi a chiave dopo l'ultimo numero, lasciandomi qui dentro tutto questo tempo.”
“Tutto ciò non è possibile, come fai a non essere morta?” balbettò il bambino.
“Ma sono morta! Che domande fai! E lo sarei stata a breve anche senza questo scherzetto: una malattia rara alle ossa, avevano detto. Quello che vedi è il mio spiritello in carne e oss... no, solo ossa.”
“Ma tutto ciò non ha senso.”
“Perché, un rospo che parla ha senso?”
Il bambino sbiancò letteralmente.
“Non ti preoccupare, non c'è niente di male anzi, un po' di fantasia aiuta nella vita. Io lo so chi è stata a farmi questo: l'incantatrice di serpenti, quella vipera. Era gelosa del mio successo anche se a lei non le mancava di sicuro. Ma voleva essere l'unica diva. E dire che pensavo mi volesse bene.”
“Ma lavoravate in un circo?”
“Sì, il migliore. Ricordo ancora quell'ultima serata estiva, sulle rive del fiume, di tanti anni fa. Fu un successo incredibile. Poi arrivò un violento temporale con un vento pazzesco che in poco tempo spazzò via tutto. Tutti se la svignarono in fretta e in breve la zona fu completamente allagata. E io, chiusa qua dentro, iniziai il mio viaggio.”
“Non so se c'entra qualcosa, ma si dice che c'è un'anziana signora che vive in una baracca di legno con tanti serpenti. Io non l'ho mai vista però conosco la zona dove è stata avvistata.”
“Cosa aspetti! Andiamo a trovarla.”
“Ma, come fai... riesci a camminare?”
“Ma che domande. Ti sembra? Hai mai visto uno scheletro camminare per strada? Rimettimi dentro e portami tu, tanto sono piccola e leggera.”
Non potendosi più tirare indietro, non gli rimaneva altro che intraprendere questo viaggio. Dopo un tratto tra paludi prosciugate e resti di vecchie barche abbandonate, si addentrarono in un bosco di pioppi, fitto, buio, di quelli che incutono un certo timore; sembrava di stare in un labirinto. Poi la vista si schiarì, con la luce che riprendeva spazio. In lontananza si vedeva una grande duna di sabbia.
“Credo che siamo vicini” disse Giacomo con voce terrorizzata.
“Da cosa lo capisci?”
“C'è un'enorme pelle di serpente, e io ho terrore dei serpenti.”
“Più degli scheletri umani?”
“Beh, forse degli scheletri no.”
“E allora! Hai già superato la prova più dura.”
Arrivarono alla duna e scoprirono che dietro c'era un'altra piccola montagna, ma di rottami. Vicino, uno strano marchingegno. Sembrava un enorme scolapasta sorretto da tre rampe che finivano su tre grosse ruote. Vibrava lasciando filtrare della sabbia, alimentato da grandi pale meccaniche di legno, che raccoglievano la terra e la riversavano nella grande scodellona bucata.
“Siamo arrivati. C'è la baracca di legno con delle strane sculture a forma di serpente.”
“Ok, lascia la valigia davanti alla porta, suona il campanello e vai via. Voglio farle una bella sorpresa.”
“Secondo te, in una baracca di legno c'è il campanello?”
“Allora bussa! Ma fai presto.”
“Vedo appeso una specie di gong con una mazza.”
“Vai!”
Giacomo lasciò la valigia davanti all'uscio, suonò il gong e si allontanò per assistere alla scena.
La porta si aprì lentamente e una strana signora anziana, appena vide la valigia, cacciò un urlo e svenne cadendo all'indietro come un birillo.
“Ma porca miseria! Ora mi accuseranno anche di omicidio” mormorò Giacomo.
“Oh, riconosco questo vocalizzo. È proprio lei: la cara Katiuscia. Giacomino, vieni ad aprire la valigia.”
Arrivò tentennante: “Mmm... credo ci sia un problema” sussurrò.
“Quale problema.”
“Non ho più la chiave, deve essermi caduta mentre venivamo.”
“Questa è bella! Era proprio scritto il mio destino crudele.”
La domatrice di serpenti lentamente si ridestò. Si avvicinò e tirò fuori dal taschino una piccola chiave: “L'ho conservata sperando che un giorno potesse ritornare utile. Io non volevo, perdonami Marika!” disse scoppiando in un pianto a dirotto. “Era solo uno stupido scherzo di pochi momenti. Ti avrei liberata subito ma quel fulmine piombò all'improvviso creando il panico tra tutti. Poi la pioggia e il vento... e non ti ho più vista. Ho iniziato a cercarti dappertutto giorno e notte: con le barche, con le reti. con i sommozzatori, con ogni accidente che poteva essere utile. E l'ho fatto per cinquant'anni, tutti i giorni. Passavo le giornate sulle rive del fiume. L'ho anche percorso fino alla foce e tornata indietro chissà quante volte. Ho costruito una macchina mobile per setacciare grandi quantità di sabbia nella speranza di ritrovarti. Ho pregato, mi sono dannata. Ma ho promesso che non sarei morta finché non ti avrei ritrovato. E ora... non ci posso credere. Sei qui. E pensare di quante ne abbiamo combinate insieme... ricordi quando eravamo andat...”
“Vuoi aprire sta valigia, o no!”
“Ah sì, scusa.”
“Ti avverto che non sarà una bella visione.”
“Ormai non m'importa più niente. Sei qui ed è la cosa più importante.”
“Non è che sono proprio qui con il mio corpo originale. Con tutta la buona volontà sarebbe stato difficile dopo cinquant'anni sommerso nell'acqua.”
“Non importa, sento la tua voce, che è rimasta uguale ed è la cosa più importante.”
Con molta accortezza Katiuscia inserì la chiave nella serratura.
“Ma... sembra che non giri. Aspetta che riprovo...”
“Ecco, lo sapevo! Esisteva solo una chiave per la valigia. Mi è sembrato strano sentire che ne fosse saltata fuori un'altra” sentenziò Marika.
“Aspetta! Potremmo forzare la serratura. Ho vari arnesi. Li vado a prendere.”
“Lascia stare, non ce n'è bisogno, non troveresti niente qua dentro. Ora che so come sono andate le cose, posso continuare il mio viaggio tranquilla. Tra le due, a quella che le è andata peggio sei tu. Sapete cosa potete fare?”
“Cosa?” risposero all'unisono Giacomo e Katiuscia.
“Un bel falò. Così dopo tanti anni tra la terra e l'acqua, posso provare il fuoco e l'aria.”
“Certo!” risposero.
Dopo aver preparato la pira, l'appiccarono e osservarono in silenzio le fiamme ergersi nel cielo.
“Ora cosa farai?” chiese Giacomo.
“Credo che la andrò a trovare presto, ora che so dov'è.”
“Allora buona fortuna.”
Giacomo si incamminò verso casa con un solo pensiero fisso nella testa: andare l'indomani con Luigi alla ricerca del gigantesco pesce siluro.