[Lab2]La casa dei matti
Posted: Wed Jun 15, 2022 10:28 pm
Nel serraglio
Scomparirò un giorno, mi passeranno attraverso e i loro insulti scivoleranno via. La scuola mi piace, sono le parole e i loro sguardi che non posso sopportare. La prof si è accorta che era una scusa; sono stata troppo tempo in bagno. Mi fa male il polso e ho perso la lezione. Niente, recuperò oggi pomeriggio, su internet si trova qualsiasi cosa. Un passo dietro l’altro, sono fuori dalla scuola. Ho fame! Non vedo l’ora di arrivare a casa, spero che Lidia non sia ancora arrivata…
La casa dei matti
Niente, la regina dei matti è a casa. Eccola lì, sempre stravaccata sulla poltrona.
— Ciao.
Mi fa un cenno senza rispondere. Meglio, tanto si ricorda che siamo sorelle solo per pigliarmi in giro. Le passo davanti, faccio un salto in cucina a cercare qualcosa da mangiare. C’è disordine dappertutto, la sua borsa della palestra, da ieri sera, è ancora sul tavolo da pranzo. Scarpe e ciabatte in giro per il soggiorno e lei sta con cuffiette e cellulare a fare niente. Io quello che spetta a lei non lo faccio, neanche morta.
Il frigo è vuoto! Lei ha mangiato però, i piatti sporchi resteranno lì fino a stasera; tanto sai che gli frega se mamma s’incazza? Forse, due sofficini…
— Niente! Soltanto gelato alla fragola! Lo odio. Figa, una madre dovrebbe conoscere i gusti dei figli.
Lei, sulla poltrona lurida, si sposta per girarsi verso di me; mi guarda incredula e bugiarda, come sempre. Apre la bocca, non spiccica parola, poi…
— Io lo adoro! E da quando non ti piace il gelato alla fragola? A guardarti, mangeresti anche la pelle di questa poltrona, se non ci fosse altro in casa.
Si alza, attraversa il soggiorno, viene verso l’angolo cottura e si avvicina con aria minacciosa.
— Togliti! — Mi spinge di lato, riapre il frigo,— Me lo mangio io, posso permettermelo io. Tu vai a leccare il cesso!
Già lei può, sono io che dovrei sparire. Non le rispondo, cerca la lite. Non dovevo dire una cosa del genere a voce alta. Affonda il cucchiaio nel barattolo umido, gocce di condensa scivolano sul pavimento sporco: sembrano lacrime e adesso qualcosa mi sta strappando il cuore.
— Sei davvero stronza! — no! perché l'ho detto?.
Mi guarda con l’aria di quella che sta davanti a una pazza, non parla, lecca il cucchiaio. Occhi asciutti, ti prego; non voglio farle vedere quello che posso nascondere, corro a chiudermi in topaia.
Fa caldo, non aprirò la finestra, dal giardino arriva sempre odore di cibo, di case pulite. Dove l’avevo messa? Mi sentirò male se non mangio, eppure era qui, nel cassetto. Aspetta, l’ultima volta che l’ho mangiata ero seduta sul letto, avevo anche delle caramelle. Se qualcuno è entrato in camera mia, stavolta giuro… Oddio, come faccio, non posso tornare in cucina. Eccola, dietro a I Misteri di Udolpho, meno male. Si saranno mantenute? La busta è aperta.
Balena, mi hanno chiamata, anche stamattina. Il termine si riferisce a vari tipi di cetacei, Google non mente. Ieri, non ci ho pensato, ma forse, è proprio questo il problema, — piadina romagnola all’aria fresca, che schifo! — Mi sento così perché dovrei vivere nell’oceano? Comincia a studiare va', almeno non pensi alla fame.
Terapia d’urto
È tornata mamma. Ma perché strillano così?
— Sara dov’è?
— E che ne so, quella sparisce, mica mi dice dove va!
— Vedi se è in quel buco e chiamala. Sempre chiusa là dentro, io non la capisco ‘sta figlia.
Non mi faccio cercare, vado io da lei.
— Cosa vuoi, mamma?
— Ah, eccoti, la prof mi ha chiamato al lavoro, dice che sei andata in bagno e ci sei rimasta per tutta l’ora. Che ti prende, si può sapere?
— Niente, non mi sentivo bene.
— Senti, lo sai che faccio due turni al ristorante. Settimana scorsa quella d’italiano, oggi quella di matematica, io non ce la faccio più, e poi, é Luglio Sara, togliti quella felpa. E siediti, la cena è quasi pronta.
— Non ho fame.
— Non hai fame? Sono giorni che per un motivo o per un altro non ti siedi a tavola, adesso basta! Tu stasera mangi davanti a me. E sai che ti dico? Domani chiamerò tuo padre.
Mi siedo, quando sento nominare il matto numero uno, mi viene l’ansia pure a stare da sola in topaia.
— Lidia! La cena.
Mamma sporziona avanzi di ristorante. Mette due piatti in mezzo alla roba di Lidia, sotto il mio c’è una macchia appiccicosa.
— E vieni a levare di mezzo le tue cose. Lei è di nuovo sulla poltrona, sbuffa e butta il telefono sul cuscino, viene ad afferrare le sue cose dal tavolo e va a buttarle vicino al cellulare.
—Non ho molta fame nemmeno io, ho mangiato quasi tutto il gelato che mi hai comprato. Torna verso il tavolo e si diede davanti a me.
— Che hai portato di buono? Mi fissa con aria di sfida. Prendo i polsini della felpa e li tiro fino sui palmi: me ne rendo conto e non mi piace, lo faccio quando non ne posso più, come adesso. Il cibo ha un aspetto invitante, ma non riesco a mangiare.
Tra il mio piatto e quello di lidia c’è un calzino, lo prendo, lo stringo nel pugno e mi viene da piangere. Fuori posto, è tutto scombinato qui dentro. Spilucco un po' di carne, mi alzo e sparisco; spero che Lidia esca stasera, quando mamma dormirà, finirò di cenare.
Entro in bagno, tiro giù i pantaloni, tolgo la maglietta e il reggiseno. Mi guardo la pancia che straborda, l’elastico delle mutandine mi ha fatto il segno. Comincio a grattarmi, la pelle diventa tutta rossa, più mi gratto e più mi fa male, continuo, finché non vedo un po’ di sangue. È sangue di balena, che sollievo! Un dolore dolce mi annebbia i sensi. Finalmente! Chiudo gli occhi, immagino di essere una gigantesca megattera che grida il suo canto alla maestosità del mare.
—Sara! Mi serve il bagno, esci, è un’ora che stai chiusa lì dentro. Se non esci subito, dico a mamma che ti tagli!
Sono morta, il cuore ha fatto un carpiato, e adesso sono davvero fregata, maledizione come ha fatto a —
— Ho fatto, esco subito. Mi rivesto di corsa, coraggio, afferro la maniglia e...
—Cosa vuoi dire a mamma?
— Ma niente, non glielo dico dai, basta che ti levi di mezzo, mi aspettano per le prove a casa di Davide.
— Perché mi dici dove vai? — Ho paura quando fa così, o me l’ha fatta o la sta architettando.
— Se qualcuno mi cerca, saprai cosa dirgli.
— Tanto io non rispondo al telefono.
—Ma che cavolo, non si può parlare con te, non rompermi con le tue domande allora.
Lo sa. Da domani sarà l’inferno.
Di nuovo nel serraglio
I capelli mi cadono sul viso, non oso alzare un dito per mandarli indietro. Lo sanno tutti, mi guardano, parlano di me. Non ce la farò a sopportare tutta l’ora.
— Ora basta!
La prof ha intuito qualcosa, Ha alzato la voce.
— Cos’è questo chiacchiericcio? Parlerete fuori dei vostri affari, se non la smettete, vi do il doppio dei compiti.
Cala il silenzio, ho un rumore nello stomaco, potrebbero sentirlo! Devo uscire. Alzo la mano.
— Posso andare in bagno?
— Certo, Sara, ti do cinque minuti e poi vengo io stessa a tirarti fuori. D’accordo?
Risatine. Il primo passo è una fatica; tutti hanno lo sguardo puntato su di me. Tiro i polsini sui palmi, un passo dopo l’altro e sono fuori dall’aula.
Deve aver telefonato a tutti, ne sono certa. Se l’ha detto a Chiara, sua madre lo l’avrà detto a mamma non appena si sono viste al lavoro, a meno che, oggi non facciano lo stesso turno, ma che mi frega ormai? Supero il bagno, scendo le scale. Non c’è nessuno, le bidelle sono fuori, le sento chiacchierare. Giro l’angolo, il corridoio è libero. In palestra non c’è nessuno, l’attraverso piano, potrebbero sentirmi, c’è l’eco qui dentro. La porta d’emergenza è aperta, spero non ci siano i professori a fumare. Nessuno. Corro, la prof andrà a cercarmi che sarò già per strada, prima che chiamino mia madre passeranno altri venti minuti, dovrei farcela, non può volerci tanto a morire.
Entro in casa, vado dritta in topaia, collego il cellulare alla cassa e faccio partire la mia playlist preferita. Comincia con un vecchio brano: sulle prime note mi escono sempre le lacrime, le prime parole mi danno i brividi.
Is this the real life?
Is this just fantasy? Caught in a landside,
No escape from reality
Open your eyes,
Look up to the skies and see,
I'm just a poor boy, I need no sympathy,
Because I'm easy come, easy go,
Little high, little low,
Any way the wind blows doesn't really matter to
Me, to me
Alzo il volume al massimo, esco, chiudo a chiave la porta e vado in bagno.
Mare calmo
L’acqua scorre dentro la vasca, le lacrime si mischiano al mio mare calmo. Lo scintillio della lama mi ricorda l’urgenza, chiudo il rubinetto, il silenzio in casa mi ricorda che, forse, mia madre sta arrivando, lo riapro; mi spoglio e m’immergo.
Mamma, ho scritto una canzone, ho disegnato un fiore, ho una lama e tante croci sulle braccia. Mamma, ho scordato Gesù, le mie mani, le mie ginocchia, e i miei enormi seni. Ecco, una nuova croce per dimenticare chi sono.
— Sara! Sara, dove sei?
E una per dimenticare chi avrei voluto essere.
— Sara! Apri!
L’acqua sui rivoli rossi è bella, si colora di rosa, sento la mia pelle cambiare in quella di un grosso cetaceo azzurro.
Tra poco nuoterò verso il largo, scorderò la terrà e le facce delle persone.
— Sara! Abbassa il volume, cazzo. Apri ti prego! Sara, sono tua madre posso aiutarti.
Bussa quanto vuoi, io non sono qui.
— Sara, per favore, mamma è andata a chiamare il vicino, verrà e sfonderà la porta, apri, ti giuro che non ti prenderò più in giro.
Bugiarda! Mi viene un sorriso al pensiero. Lidia, chi ti crede? Comincia a fare buio, la luce che entra dalla finestra sembra dorata, come al tramonto.
— Ecco, è questa la porta, la butti giù.
Un rumore secco, dovrei trasalire, ma ormai sono già in alto mare. Respiro acquarosa, mi basterà spalancare la bocca per ingoiare il mondo intero…
— Qui non c’è, ma…
— Mamma, guarda! Acqua, sotto la porta del bagno!
— Sara, Sara! Ti prego apri.
La sartoria
Mi hanno ricucito, ricamato le croci, vestite di bianco le mie braccia. Mia sorella ha una faccia che non dimenticherò. Mia madre piange, si dà la colpa. La psicologa non capisce un cazzo, io non parlo. Mi hanno detto di alzarmi, “cammina,” mi dicono tutti. Forse, magari da domani, un passo dietro l’altro e sarò fuori.
Scomparirò un giorno, mi passeranno attraverso e i loro insulti scivoleranno via. La scuola mi piace, sono le parole e i loro sguardi che non posso sopportare. La prof si è accorta che era una scusa; sono stata troppo tempo in bagno. Mi fa male il polso e ho perso la lezione. Niente, recuperò oggi pomeriggio, su internet si trova qualsiasi cosa. Un passo dietro l’altro, sono fuori dalla scuola. Ho fame! Non vedo l’ora di arrivare a casa, spero che Lidia non sia ancora arrivata…
La casa dei matti
Niente, la regina dei matti è a casa. Eccola lì, sempre stravaccata sulla poltrona.
— Ciao.
Mi fa un cenno senza rispondere. Meglio, tanto si ricorda che siamo sorelle solo per pigliarmi in giro. Le passo davanti, faccio un salto in cucina a cercare qualcosa da mangiare. C’è disordine dappertutto, la sua borsa della palestra, da ieri sera, è ancora sul tavolo da pranzo. Scarpe e ciabatte in giro per il soggiorno e lei sta con cuffiette e cellulare a fare niente. Io quello che spetta a lei non lo faccio, neanche morta.
Il frigo è vuoto! Lei ha mangiato però, i piatti sporchi resteranno lì fino a stasera; tanto sai che gli frega se mamma s’incazza? Forse, due sofficini…
— Niente! Soltanto gelato alla fragola! Lo odio. Figa, una madre dovrebbe conoscere i gusti dei figli.
Lei, sulla poltrona lurida, si sposta per girarsi verso di me; mi guarda incredula e bugiarda, come sempre. Apre la bocca, non spiccica parola, poi…
— Io lo adoro! E da quando non ti piace il gelato alla fragola? A guardarti, mangeresti anche la pelle di questa poltrona, se non ci fosse altro in casa.
Si alza, attraversa il soggiorno, viene verso l’angolo cottura e si avvicina con aria minacciosa.
— Togliti! — Mi spinge di lato, riapre il frigo,— Me lo mangio io, posso permettermelo io. Tu vai a leccare il cesso!
Già lei può, sono io che dovrei sparire. Non le rispondo, cerca la lite. Non dovevo dire una cosa del genere a voce alta. Affonda il cucchiaio nel barattolo umido, gocce di condensa scivolano sul pavimento sporco: sembrano lacrime e adesso qualcosa mi sta strappando il cuore.
— Sei davvero stronza! — no! perché l'ho detto?.
Mi guarda con l’aria di quella che sta davanti a una pazza, non parla, lecca il cucchiaio. Occhi asciutti, ti prego; non voglio farle vedere quello che posso nascondere, corro a chiudermi in topaia.
Fa caldo, non aprirò la finestra, dal giardino arriva sempre odore di cibo, di case pulite. Dove l’avevo messa? Mi sentirò male se non mangio, eppure era qui, nel cassetto. Aspetta, l’ultima volta che l’ho mangiata ero seduta sul letto, avevo anche delle caramelle. Se qualcuno è entrato in camera mia, stavolta giuro… Oddio, come faccio, non posso tornare in cucina. Eccola, dietro a I Misteri di Udolpho, meno male. Si saranno mantenute? La busta è aperta.
Balena, mi hanno chiamata, anche stamattina. Il termine si riferisce a vari tipi di cetacei, Google non mente. Ieri, non ci ho pensato, ma forse, è proprio questo il problema, — piadina romagnola all’aria fresca, che schifo! — Mi sento così perché dovrei vivere nell’oceano? Comincia a studiare va', almeno non pensi alla fame.
Terapia d’urto
È tornata mamma. Ma perché strillano così?
— Sara dov’è?
— E che ne so, quella sparisce, mica mi dice dove va!
— Vedi se è in quel buco e chiamala. Sempre chiusa là dentro, io non la capisco ‘sta figlia.
Non mi faccio cercare, vado io da lei.
— Cosa vuoi, mamma?
— Ah, eccoti, la prof mi ha chiamato al lavoro, dice che sei andata in bagno e ci sei rimasta per tutta l’ora. Che ti prende, si può sapere?
— Niente, non mi sentivo bene.
— Senti, lo sai che faccio due turni al ristorante. Settimana scorsa quella d’italiano, oggi quella di matematica, io non ce la faccio più, e poi, é Luglio Sara, togliti quella felpa. E siediti, la cena è quasi pronta.
— Non ho fame.
— Non hai fame? Sono giorni che per un motivo o per un altro non ti siedi a tavola, adesso basta! Tu stasera mangi davanti a me. E sai che ti dico? Domani chiamerò tuo padre.
Mi siedo, quando sento nominare il matto numero uno, mi viene l’ansia pure a stare da sola in topaia.
— Lidia! La cena.
Mamma sporziona avanzi di ristorante. Mette due piatti in mezzo alla roba di Lidia, sotto il mio c’è una macchia appiccicosa.
— E vieni a levare di mezzo le tue cose. Lei è di nuovo sulla poltrona, sbuffa e butta il telefono sul cuscino, viene ad afferrare le sue cose dal tavolo e va a buttarle vicino al cellulare.
—Non ho molta fame nemmeno io, ho mangiato quasi tutto il gelato che mi hai comprato. Torna verso il tavolo e si diede davanti a me.
— Che hai portato di buono? Mi fissa con aria di sfida. Prendo i polsini della felpa e li tiro fino sui palmi: me ne rendo conto e non mi piace, lo faccio quando non ne posso più, come adesso. Il cibo ha un aspetto invitante, ma non riesco a mangiare.
Tra il mio piatto e quello di lidia c’è un calzino, lo prendo, lo stringo nel pugno e mi viene da piangere. Fuori posto, è tutto scombinato qui dentro. Spilucco un po' di carne, mi alzo e sparisco; spero che Lidia esca stasera, quando mamma dormirà, finirò di cenare.
Entro in bagno, tiro giù i pantaloni, tolgo la maglietta e il reggiseno. Mi guardo la pancia che straborda, l’elastico delle mutandine mi ha fatto il segno. Comincio a grattarmi, la pelle diventa tutta rossa, più mi gratto e più mi fa male, continuo, finché non vedo un po’ di sangue. È sangue di balena, che sollievo! Un dolore dolce mi annebbia i sensi. Finalmente! Chiudo gli occhi, immagino di essere una gigantesca megattera che grida il suo canto alla maestosità del mare.
—Sara! Mi serve il bagno, esci, è un’ora che stai chiusa lì dentro. Se non esci subito, dico a mamma che ti tagli!
Sono morta, il cuore ha fatto un carpiato, e adesso sono davvero fregata, maledizione come ha fatto a —
— Ho fatto, esco subito. Mi rivesto di corsa, coraggio, afferro la maniglia e...
—Cosa vuoi dire a mamma?
— Ma niente, non glielo dico dai, basta che ti levi di mezzo, mi aspettano per le prove a casa di Davide.
— Perché mi dici dove vai? — Ho paura quando fa così, o me l’ha fatta o la sta architettando.
— Se qualcuno mi cerca, saprai cosa dirgli.
— Tanto io non rispondo al telefono.
—Ma che cavolo, non si può parlare con te, non rompermi con le tue domande allora.
Lo sa. Da domani sarà l’inferno.
Di nuovo nel serraglio
I capelli mi cadono sul viso, non oso alzare un dito per mandarli indietro. Lo sanno tutti, mi guardano, parlano di me. Non ce la farò a sopportare tutta l’ora.
— Ora basta!
La prof ha intuito qualcosa, Ha alzato la voce.
— Cos’è questo chiacchiericcio? Parlerete fuori dei vostri affari, se non la smettete, vi do il doppio dei compiti.
Cala il silenzio, ho un rumore nello stomaco, potrebbero sentirlo! Devo uscire. Alzo la mano.
— Posso andare in bagno?
— Certo, Sara, ti do cinque minuti e poi vengo io stessa a tirarti fuori. D’accordo?
Risatine. Il primo passo è una fatica; tutti hanno lo sguardo puntato su di me. Tiro i polsini sui palmi, un passo dopo l’altro e sono fuori dall’aula.
Deve aver telefonato a tutti, ne sono certa. Se l’ha detto a Chiara, sua madre lo l’avrà detto a mamma non appena si sono viste al lavoro, a meno che, oggi non facciano lo stesso turno, ma che mi frega ormai? Supero il bagno, scendo le scale. Non c’è nessuno, le bidelle sono fuori, le sento chiacchierare. Giro l’angolo, il corridoio è libero. In palestra non c’è nessuno, l’attraverso piano, potrebbero sentirmi, c’è l’eco qui dentro. La porta d’emergenza è aperta, spero non ci siano i professori a fumare. Nessuno. Corro, la prof andrà a cercarmi che sarò già per strada, prima che chiamino mia madre passeranno altri venti minuti, dovrei farcela, non può volerci tanto a morire.
Entro in casa, vado dritta in topaia, collego il cellulare alla cassa e faccio partire la mia playlist preferita. Comincia con un vecchio brano: sulle prime note mi escono sempre le lacrime, le prime parole mi danno i brividi.
Is this the real life?
Is this just fantasy? Caught in a landside,
No escape from reality
Open your eyes,
Look up to the skies and see,
I'm just a poor boy, I need no sympathy,
Because I'm easy come, easy go,
Little high, little low,
Any way the wind blows doesn't really matter to
Me, to me
Alzo il volume al massimo, esco, chiudo a chiave la porta e vado in bagno.
Mare calmo
L’acqua scorre dentro la vasca, le lacrime si mischiano al mio mare calmo. Lo scintillio della lama mi ricorda l’urgenza, chiudo il rubinetto, il silenzio in casa mi ricorda che, forse, mia madre sta arrivando, lo riapro; mi spoglio e m’immergo.
Mamma, ho scritto una canzone, ho disegnato un fiore, ho una lama e tante croci sulle braccia. Mamma, ho scordato Gesù, le mie mani, le mie ginocchia, e i miei enormi seni. Ecco, una nuova croce per dimenticare chi sono.
— Sara! Sara, dove sei?
E una per dimenticare chi avrei voluto essere.
— Sara! Apri!
L’acqua sui rivoli rossi è bella, si colora di rosa, sento la mia pelle cambiare in quella di un grosso cetaceo azzurro.
Tra poco nuoterò verso il largo, scorderò la terrà e le facce delle persone.
— Sara! Abbassa il volume, cazzo. Apri ti prego! Sara, sono tua madre posso aiutarti.
Bussa quanto vuoi, io non sono qui.
— Sara, per favore, mamma è andata a chiamare il vicino, verrà e sfonderà la porta, apri, ti giuro che non ti prenderò più in giro.
Bugiarda! Mi viene un sorriso al pensiero. Lidia, chi ti crede? Comincia a fare buio, la luce che entra dalla finestra sembra dorata, come al tramonto.
— Ecco, è questa la porta, la butti giù.
Un rumore secco, dovrei trasalire, ma ormai sono già in alto mare. Respiro acquarosa, mi basterà spalancare la bocca per ingoiare il mondo intero…
— Qui non c’è, ma…
— Mamma, guarda! Acqua, sotto la porta del bagno!
— Sara, Sara! Ti prego apri.
La sartoria
Mi hanno ricucito, ricamato le croci, vestite di bianco le mie braccia. Mia sorella ha una faccia che non dimenticherò. Mia madre piange, si dà la colpa. La psicologa non capisce un cazzo, io non parlo. Mi hanno detto di alzarmi, “cammina,” mi dicono tutti. Forse, magari da domani, un passo dietro l’altro e sarò fuori.