[CN2021/RL] Non più
Posted: Mon Jan 03, 2022 12:53 pm
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Traccia 4
-Cosa ti succede? Sembri uno che ha visto la morte in faccia.
Davide alzò gli occhi dalla mail che stava rileggendo ancora una volta; non aveva sentito il collega avvicinarsi e abbassò il coperchio del portatile con un gesto rapido. Non voleva che Teo sbirciasse quel testo, non sapeva se potersi fidare.
Lo scatto di chiusura del computer fu l’unico suono nella stanza e Davide Turri, capo redattore di cronaca nera per la MilanoVox, si rese conto che tutte le scrivanie erano vuote, che l’ambiente intorno a loro era insolitamente deserto.
Era stato talmente concentrato sulla mail, da non aver notato gli altri andar via. Si sentì a disagio. Non capitava mai che la redazione fosse così deserta. Anche alle ventuno e trenta della vigilia.
Tornò con lo sguardo a Teo Bernati, che lo stava fissando dai suoi occhietti scuri, nell’attesa di una risposta. Era appoggiato a braccia tese alla scrivania, con il mento puntato agli occhi di Davide. Affilato, il mento, così come il naso e, più in generale, l’intera figura dell’uomo.
-Dove sono andati tutti?- chiese Davide, ignorando la domanda iniziale.
L’altro si raddrizzò meravigliato:
-Ma dove hai la testa? Sono alla vineria per il brindisi. Manchi solo tu. Cosa ti succede?
Ancora una volta rispose il silenzio, mentre l’uomo seduto scrutava quello in piedi. “Non è lui”, si diceva per convincersi, “non può essere lui”. Finché, infine, non ruppe l’indugio:
-Sai tenere un segreto, Teo?
E senza dargli nemmeno il tempo di replicare, rialzò lo schermo del portatile e lo fece ruotare.
Matteo dapprima non capì, continuando a guardare Davide, poi abbassò lo sguardo e, finalmente, si concentrò sulla email che vi era scritta. Leggendo, rialzò un paio di volte lo sguardo incredulo e quando ebbe terminato, emise un lungo fischio. Tanto colpito che rilesse a voce alta:
-Caro Davide, anche quest'anno ho deciso di ravvivare la monotonia delle prossime Festività con un pensierino per te. Devo dire che sono rimasto un po' deluso dall'accoglienza che hai riservato ai miei regali degli ultimi Natali... Nemmeno ti sei accorto che la puttanella con i fuseaux rosa nella metro e l'assicuratore al capolinea del tram della linea cinque erano miei doni per te. E pensare che io mi aspettavo qualche bel titolo come “Il killer di Natale colpisce ancora”... e invece niente, dovrei tirarti le orecchie! Va be', a Natale siamo tutti più buoni, perciò ti do la possibilità di rifarti: vediamo se saprai apprezzare il mio dono quest'anno. Te lo consegnerò allo scoccare della mezzanotte del ventiquattro; mi piacerebbe che tu fossi presente, per cui ti lascio questo piccolo indovinello... Non mancare, mi raccomando!
Terminato, guardò Davide negli occhi:
-C’è qualcosa di vero o è un millantatore?
L’altro estrasse un fascicolo dal cassetto e mostrò due bozze di articoli: uno sull’accoltellamento di una donna in un corridoio della metro e l’altro su quello di un uomo al capolinea del 5.
Teo fischiò di nuovo. Prese una sedia e si accomodò con i gomiti sulle ginocchia:
-Quindi è una minaccia vera. Io però queste due vicende non le ricordo.
-Non puoi, non sono mai state pubblicate- spiegò, mettendo via l’incartamento, -Il Direttore non ha voluto. O meglio, le ha fatte mettere in trafiletti di cronaca locale.
-Strano. Perché? Non è da Guido.
-Credeva fossero legati alla droga.
-Ma non ha senso.
Davide alzò le spalle per dire che anche lui non capiva. Girò il computer nuovamente verso di sé e lesse l’indovinello minaccioso con cui terminava la mail:
-Da terra puoi ancora sollevarti,
ma quando vedi il firmamento
sai che da lì dovrai allontanarti
però fa' attenzione al movimento
altrimenti sarai tu
il prossimo regalo
Il testo si chiudeva con Tuo per sempre e il post-scriptum Mi raccomando, dammi un nome carino.
-Simpatico il tuo killer- commentò ironico Teo, aggiungendo poi un: -Hai avvisato la polizia?
-No.
-Cosa aspetti?
Di nuovo, Davide scrutò il collega chiedendosi se non fosse lui la persona che cercava, e ancora una volta si disse di no. Non riusciva a vederlo in quel ruolo e quindi sganciò la bomba:
-L’autore della mail è uno del giornale.
Teo sgranò gli occhi:
-Uno di noi? Vuoi dire che il killer è un collega? Come puoi affermarlo?
-Il mio account è bloccato verso l’esterno perché ho fatto casino con i certificati di sicurezza. Posso ricevere mail solo dalla rete locale. Anche se il mittente è fittizio, non può che venire dal nostro interno.
-Merda. Hai idea di chi possa trattarsi?
-Ci sto riflettendo.
-E?
-E… sei tu, Teo?
-Io?- si accigliò lui -Se fossi io, pensi che te lo direi?
Davide si stupì, non era la risposta che si aspettava: perché non aveva negato?
Non ebbe il tempo di chiederlo perché la porta d’ingresso si aprì e Elisa Regelli entrò, sospesa su tacchi alti, fasciata in un tubino stretto e nero quanto i suoi lunghi capelli. Era una giornalista formidabile e normalmente non vestiva così. Evidentemente aveva un appuntamento.
Elisa avanzò verso di loro con rapidi passettini. Davide la sbirciava semi nascosto e gli parve che la donna sorridesse in direzione di Teo. Che gli occhi le brillassero, addirittura.
Poi venne notato e l’atteggiamento della collega mutò. Si fece seria e cambiò direzione, dirigendosi ora verso la propria postazione, farfugliando che era in ritardo e che non trovava qualcosa.
Davide vide l’uomo davanti a sé arrossire imbarazzato.
Capì che Teo era ancora lì per incontrarla di nascosto: lui e Elisa erano sposati, sì, ma non tra di loro.
E adesso la sua presenza aveva rovinato la loro tresca.
“Meglio così” pensò Davide, mentre seguiva con lo sguardo la donna uscire dalla stanza.
Tornò a osservare il collega.
S’era rabbuiato. Non sembrava la persona che poco prima si interessava alla mail del presunto killer. Un cambiamento inquietante. Tanto più che si alzò di scatto dalla sedia:
-Devo andare…
Ma la porta si aprì nuovamente.
Questa volta fu Guido Stucchi, il loro Direttore, a fare il proprio ingresso. Un uomo alto, dalle spalle larghe e capelli corti, leggermente brizzolati. Entrò nel suo ufficio col solito passo deciso, senza notarli, e loro lo videro cercare qualcosa nei cassetti, nel cestino, per terra.
Qualcosa che non dovette trovare, perché scuoteva il capo per il disappunto.
Fu allora che li notò, arrestandosi sorpreso in mezzo alle scrivanie.
Il suo sguardo andò a Teo e poi a Davide e di nuovo dall’uno all’altro.
A Davide parve che si soffermasse più su di lui. Digrignò i denti. La pancia gli diceva che era Guido. La pancia e la testa, perché era da lungo tempo che ci rifletteva sopra.
Ora, osservando lo sguardo ambiguo del Direttore, si convinse di avere ragione: era lui.
Guido si voltò indietro verso il suo ufficio e poi di nuovo guardò loro. Infine, fece un cenno con la mano e uscì senza aver detto una sola parola.
Fu allora che, per la seconda volta, Teo disse qualcosa di inaspettato:
-Si dice che Elisa e Guido siano amanti…- e mentre pronunciava quella frase, i suoi occhi erano duri. Lo sguardo, quello di un uomo geloso. E arrabbiato.
Davide non commentò. Si limitò a osservarlo mentre s’infilava il piumino azzurro e usciva anche lui, fendendo l’aria come la lama di un coltello.
Anche lui libero per l’appuntamento di morte a mezzanotte.
“Spero di non essermi sbagliato” pensò Davide, mentre estraeva dal cassetto un plico e un mazzo di chiavi. Quelle dell’appartamento di Guido Stucchi. Quelle che il Direttore stava cercando e che lui gli aveva sottratto.
“Devo sapere”, si ripeté mentre prendeva una locandina dal plico: Guido era tra gli ospiti di una conferenza al Planetario. Dalle 21.30 alle 23.30. “Devo sapere e ne ho tutto il tempo…”
La città è ricoperta da un sottile velo di neve e il freddo punge fino alle ossa.
Le volanti illanguidiscono, lasciate ferme in mezzo alla strada.
I loro lampeggianti falciano la notte milanese roteando sugli alberi scheletrici dei giardini Montanelli, sulla facciata del museo delle Scienze Naturali e sulle finestre dirimpetto dei palazzi di corso Venezia.
Da poco più di un’ora è Natale, ma sulla scena del crimine, dentro al Planetario, nessuno ci sta pensando. Lavorano silenziosi, concentrati.
Il sangue è ovunque, il corpo orrendamente dilaniato. E poi ci sono altri due cadaveri da ricomporre.
Un agente esce all’aperto, riesce a trattenere a stento un conato di vomito, mentre impreca a bassa voce. In siciliano.
Lo raggiunge un collega, decisamente più controllato. Alita nell’aria una lenta nuvoletta di condensa prima di dare una pacca sulla spalla all’altro:
-Che merda, eh?- ha la parlata un po’ ottusa delle valli di confine.
-Minchia, mai visto niente del genere. Quanto tempo ci avrà messo per morire?
Il secondo risponde con un’alzata di spalle.
Sentono dei passi scricchiolare sulla neve e un leggero cigolio di ruote. Anticipano due barellieri con la loro lettiga.
I poliziotti li osservano in silenzio. Li salutano con un cenno del capo e rimangono nuovamente soli sulla soglia, senza più dirsi nulla e con negli occhi il corpo legato e sventrato, i brandelli dell’abito nero come le dita della morte, ancora avvinghiata alla carne.
Trasalgono, quando dall’interno qualcuno grida che uno degli altri due cadaveri non lo è affatto, che respira ancora, e che portassero subito il kit medico.
I poliziotti si guardano:
-Quale dei due sarà? Quello con la pistola o l’altro?
-Chiunque sia, ne avrà da spiegare, se sopravvive.
-Già, e magari ci dirà cosa minchia è successo stanotte.
Dieci minuti a mezzanotte, Davide camminava deciso verso il Planetario.
Avanzava ingobbito contro il freddo, attento a non scivolare sulla neve ghiacciata e con in tasca il peso di una pistola. Trovata frugando negli armadi di Guido, alla ricerca di qualcosa che confermasse la sua ipotesi.
L’uomo era divorziato e Davide era stato invitato lì più volte, con sua moglie Sara; quindi, muoversi nell’oscurità e frugare nei possibili nascondigli era stato semplice. Certo, aveva dovuto aprire un numero assurdo di cassetti e ante, e scatole, prima di trovare qualcosa di utile.
Come la pistola.
Si trovava in uno scatolone, in mezzo a sciarpe e guanti, dentro a un ripostiglio. Davide l’aveva rigirata tra le mani più volte, affascinato dal lucido nero della sua forma. Dopo aver indugiato alcuni minuti, si era deciso. Aveva infilato l’arma nella tasca del cappotto e invece lasciato nella scatola, nascosta come la pistola sotto le sciarpe, la busta con le fotografie delle due vittime descritte nella mail: Guido era l’uomo che cercava, adesso doveva solo chiudere il cerchio. Ma doveva fare in fretta, perché il tempo era agli sgoccioli.
Estrasse dalla tasca la locandina dell’evento cui stava partecipando Guido, l’ultima riga era quella che gli interessava: Organizzato dall’Ass.ne Amici del Planetario, presieduta dalla dott.sa Sara Regis.
Sua moglie era là, dov’era anche Guido. Doveva fare in fretta.
Camminando a passo spedito, Davide ripeteva nella mente le frasi dell’email.
…vediamo se saprai apprezzare il mio dono… allo scoccare della mezzanotte…
Accelerò, mancavano pochi minuti.
…mi piacerebbe che tu fossi presente…
Varcò il cancello semi chiuso dei giardini. Davanti a lui la sagoma del Planetario, con le quattro colonne e il timpano triangolare.
Da terra puoi ancora sollevarti…
L’edificio era buio, la conferenza era conclusa da quasi mezz’ora e la gente si era spostata per brindare al Natale.
“Non tutti”, era sicuro Davide. “Non Guido. E non…” il pensiero tremò, “…non Sara”
Spinse la porta che si aprì silenziosa.
…ma quando vedi il firmamento…
Cercando di non fare neanche il minimo rumore, entrò nella stanza a cupola dove venivano proiettate le stelle. Sentiva il proprio respiro fragoroso nelle orecchie, la bocca asciutta. Gli sembrava di muoversi troppo lentamente, ma non voleva che Guido lo sentisse avvicinarsi.
Quanto mancava a mezzanotte?
…sai che da lì dovrai allontanarti…
C’era una porta in fondo alla stanza. Davide vi appoggiò delicatamente la mano, mentre estraeva la pistola con l’altra.
…però fa' attenzione al movimento
altrimenti sarai tu
il prossimo regalo
Era già stato lì più volte con sua moglie, sapeva bene che quella serratura, quella porta, cigolavano. Lei ci scherzava su. Diceva che era un antifurto per chi si nascondeva nello stanzino lì dietro.
Ma Davide non poteva permettersi che l’altro uomo avesse il tempo di reagire. Inspirò a fondo e, trattenendo il fiato, aprì di scatto.
Si lanciò oltre la porta.
Adesso i due agenti sono vicino all’ambulanza. Altri colleghi più qualificati stanno gestendo la scena del crimine.
Qui, invece, c’è solo una dozzina di curiosi.
Silenziosi, finché una delle donne presenti geme, portandosi una mano alla bocca. I due si voltano e vedono i barellieri arrivare con il loro carico. Coperto fino al mento e legato a due flebo.
La lettiga scricchiola sulla neve verso di loro.
“Le ruote non cigolano più”, nota il primo agente, “Forse per il peso del corpo e…”
-Mio Dio, ma è Davide!
-Signora, lo conosce?- chiede il secondo agente alla donna che ha parlato. Ha i capelli neri e lisci; il cappotto, aperto, lascia intravvedere un vestitino scuro e fasciante.
Non è lei a rispondere, ma l’uomo che l’accompagna. Un tizio magro e dal profilo affilato, rinchiuso in un piumino azzurro.
-Siamo colleghi- dice, e: -Ce la farà?- urla ai barellieri.
Questi annuiscono e uno rassicura che è stato fortunato, perché la coltellata non ha toccato organi vitali.
L’uomo, evidentemente rassicurato, torna a rivolgersi agli agenti:
-Nel Planetario c’è uno di nome Guido Stucchi?
-Il secondo cadavere, sì, ma lei come…
-E l’altra vittima è la moglie del ferito, sbaglio?
-Non sbaglia, ma cosa?
-Vi spiego agenti: Davide evidentemente non ha fatto in tempo…
Vede Teo, Davide, e sorride dentro al dolore. Il collega racconterà alla polizia della mail e delle due morti precedenti. Degli articoli non pubblicati. Ogni cosa.
Non può sperare di meglio.
Uno scossone gli strappa un gemito. Non credeva che sarebbe stato così doloroso, quando aveva pianificato di accoltellarsi. Gli era parso semplice, ma in realtà, al momento pratico, aveva esitato.
Però c’erano i due cadaveri e se voleva che la polizia credesse alla sua storia, ferirsi era indispensabile.
Così come farlo con un coltello da rimettere tra le dita di Guido.
Avrebbe spiegato che al suo arrivo Sara era già morta e che durante la collutazione con Guido, pur ferito, gli aveva strappato la pistola e sparato.
Chiude gli occhi mentre lo spingono nell’ambulanza. Rivede i due dietro la porta, avvinghiati nell’amplesso. La loro paura al suo irrompere armato. Le implorazioni, i falsi giuramenti di fedeltà…
Aveva ordinato a Guido di legarla. Poi lo aveva ucciso con due colpi, a bruciapelo.
Ed era toccato a Sara:
-Sapevo che avevi un amante- aveva voluto spiegarle mentre spingeva la lama nel suo ventre, -Ma solo quando ho visto la locandina ho pensato a Guido. E oggi ho capito che avevo ragione.
Il sangue sgorgava a fiotti e la donna si contorceva follemente.
-Allora ho scritto la finta mail, i finti articoli su due casi del Natale scorso. Ho persino recuperato foto d’archivio da nascondere a casa del tuo amante.
Davide voleva godersi ogni istante; con lentezza, aveva aperto un altro squarcio:
-Quel babbeo di Teo è capitato a proposito. Così come trovare la pistola. Pura fortuna.
Si era rialzato in piedi:
-Il bello è che né tu né Guido ci sarete per negare.
E con un rantolo gorgogliante, sua moglie si era infine spenta.
Riapre gli occhi, soddisfatto nonostante il dolore.
Non poteva andare meglio.
Sorride.
Tra i portelloni che si chiudono, intravvede rami scheletrici illuminati dai lampeggianti e una sagoma intrufolarsi.
-Posso augurargli buona fortuna?
È la voce della collega Elisa. Davide pensa che sia davvero gentile, mentre lei gli sfiora la guancia con un bacio.
Le labbra della donna sono calde sulla pelle. Ne ha un brivido di piacere.
Anche quando indugiano vicino all’orecchio.
Almeno fino a che lei non sussurra:
-Io e Teo abbiamo capito. Sappiamo. Mentiremo, ma dovremo parlare dell’eredità di Sara...
Si rialza e:
-Buon Natale- chiosa sgusciando via.
Nella fredda notte di Natale l’ambulanza parte a sirene spiegate.
Al suo interno Davide non sorride più.
Non più.
Traccia 4
-Cosa ti succede? Sembri uno che ha visto la morte in faccia.
Davide alzò gli occhi dalla mail che stava rileggendo ancora una volta; non aveva sentito il collega avvicinarsi e abbassò il coperchio del portatile con un gesto rapido. Non voleva che Teo sbirciasse quel testo, non sapeva se potersi fidare.
Lo scatto di chiusura del computer fu l’unico suono nella stanza e Davide Turri, capo redattore di cronaca nera per la MilanoVox, si rese conto che tutte le scrivanie erano vuote, che l’ambiente intorno a loro era insolitamente deserto.
Era stato talmente concentrato sulla mail, da non aver notato gli altri andar via. Si sentì a disagio. Non capitava mai che la redazione fosse così deserta. Anche alle ventuno e trenta della vigilia.
Tornò con lo sguardo a Teo Bernati, che lo stava fissando dai suoi occhietti scuri, nell’attesa di una risposta. Era appoggiato a braccia tese alla scrivania, con il mento puntato agli occhi di Davide. Affilato, il mento, così come il naso e, più in generale, l’intera figura dell’uomo.
-Dove sono andati tutti?- chiese Davide, ignorando la domanda iniziale.
L’altro si raddrizzò meravigliato:
-Ma dove hai la testa? Sono alla vineria per il brindisi. Manchi solo tu. Cosa ti succede?
Ancora una volta rispose il silenzio, mentre l’uomo seduto scrutava quello in piedi. “Non è lui”, si diceva per convincersi, “non può essere lui”. Finché, infine, non ruppe l’indugio:
-Sai tenere un segreto, Teo?
E senza dargli nemmeno il tempo di replicare, rialzò lo schermo del portatile e lo fece ruotare.
Matteo dapprima non capì, continuando a guardare Davide, poi abbassò lo sguardo e, finalmente, si concentrò sulla email che vi era scritta. Leggendo, rialzò un paio di volte lo sguardo incredulo e quando ebbe terminato, emise un lungo fischio. Tanto colpito che rilesse a voce alta:
-Caro Davide, anche quest'anno ho deciso di ravvivare la monotonia delle prossime Festività con un pensierino per te. Devo dire che sono rimasto un po' deluso dall'accoglienza che hai riservato ai miei regali degli ultimi Natali... Nemmeno ti sei accorto che la puttanella con i fuseaux rosa nella metro e l'assicuratore al capolinea del tram della linea cinque erano miei doni per te. E pensare che io mi aspettavo qualche bel titolo come “Il killer di Natale colpisce ancora”... e invece niente, dovrei tirarti le orecchie! Va be', a Natale siamo tutti più buoni, perciò ti do la possibilità di rifarti: vediamo se saprai apprezzare il mio dono quest'anno. Te lo consegnerò allo scoccare della mezzanotte del ventiquattro; mi piacerebbe che tu fossi presente, per cui ti lascio questo piccolo indovinello... Non mancare, mi raccomando!
Terminato, guardò Davide negli occhi:
-C’è qualcosa di vero o è un millantatore?
L’altro estrasse un fascicolo dal cassetto e mostrò due bozze di articoli: uno sull’accoltellamento di una donna in un corridoio della metro e l’altro su quello di un uomo al capolinea del 5.
Teo fischiò di nuovo. Prese una sedia e si accomodò con i gomiti sulle ginocchia:
-Quindi è una minaccia vera. Io però queste due vicende non le ricordo.
-Non puoi, non sono mai state pubblicate- spiegò, mettendo via l’incartamento, -Il Direttore non ha voluto. O meglio, le ha fatte mettere in trafiletti di cronaca locale.
-Strano. Perché? Non è da Guido.
-Credeva fossero legati alla droga.
-Ma non ha senso.
Davide alzò le spalle per dire che anche lui non capiva. Girò il computer nuovamente verso di sé e lesse l’indovinello minaccioso con cui terminava la mail:
-Da terra puoi ancora sollevarti,
ma quando vedi il firmamento
sai che da lì dovrai allontanarti
però fa' attenzione al movimento
altrimenti sarai tu
il prossimo regalo
Il testo si chiudeva con Tuo per sempre e il post-scriptum Mi raccomando, dammi un nome carino.
-Simpatico il tuo killer- commentò ironico Teo, aggiungendo poi un: -Hai avvisato la polizia?
-No.
-Cosa aspetti?
Di nuovo, Davide scrutò il collega chiedendosi se non fosse lui la persona che cercava, e ancora una volta si disse di no. Non riusciva a vederlo in quel ruolo e quindi sganciò la bomba:
-L’autore della mail è uno del giornale.
Teo sgranò gli occhi:
-Uno di noi? Vuoi dire che il killer è un collega? Come puoi affermarlo?
-Il mio account è bloccato verso l’esterno perché ho fatto casino con i certificati di sicurezza. Posso ricevere mail solo dalla rete locale. Anche se il mittente è fittizio, non può che venire dal nostro interno.
-Merda. Hai idea di chi possa trattarsi?
-Ci sto riflettendo.
-E?
-E… sei tu, Teo?
-Io?- si accigliò lui -Se fossi io, pensi che te lo direi?
Davide si stupì, non era la risposta che si aspettava: perché non aveva negato?
Non ebbe il tempo di chiederlo perché la porta d’ingresso si aprì e Elisa Regelli entrò, sospesa su tacchi alti, fasciata in un tubino stretto e nero quanto i suoi lunghi capelli. Era una giornalista formidabile e normalmente non vestiva così. Evidentemente aveva un appuntamento.
Elisa avanzò verso di loro con rapidi passettini. Davide la sbirciava semi nascosto e gli parve che la donna sorridesse in direzione di Teo. Che gli occhi le brillassero, addirittura.
Poi venne notato e l’atteggiamento della collega mutò. Si fece seria e cambiò direzione, dirigendosi ora verso la propria postazione, farfugliando che era in ritardo e che non trovava qualcosa.
Davide vide l’uomo davanti a sé arrossire imbarazzato.
Capì che Teo era ancora lì per incontrarla di nascosto: lui e Elisa erano sposati, sì, ma non tra di loro.
E adesso la sua presenza aveva rovinato la loro tresca.
“Meglio così” pensò Davide, mentre seguiva con lo sguardo la donna uscire dalla stanza.
Tornò a osservare il collega.
S’era rabbuiato. Non sembrava la persona che poco prima si interessava alla mail del presunto killer. Un cambiamento inquietante. Tanto più che si alzò di scatto dalla sedia:
-Devo andare…
Ma la porta si aprì nuovamente.
Questa volta fu Guido Stucchi, il loro Direttore, a fare il proprio ingresso. Un uomo alto, dalle spalle larghe e capelli corti, leggermente brizzolati. Entrò nel suo ufficio col solito passo deciso, senza notarli, e loro lo videro cercare qualcosa nei cassetti, nel cestino, per terra.
Qualcosa che non dovette trovare, perché scuoteva il capo per il disappunto.
Fu allora che li notò, arrestandosi sorpreso in mezzo alle scrivanie.
Il suo sguardo andò a Teo e poi a Davide e di nuovo dall’uno all’altro.
A Davide parve che si soffermasse più su di lui. Digrignò i denti. La pancia gli diceva che era Guido. La pancia e la testa, perché era da lungo tempo che ci rifletteva sopra.
Ora, osservando lo sguardo ambiguo del Direttore, si convinse di avere ragione: era lui.
Guido si voltò indietro verso il suo ufficio e poi di nuovo guardò loro. Infine, fece un cenno con la mano e uscì senza aver detto una sola parola.
Fu allora che, per la seconda volta, Teo disse qualcosa di inaspettato:
-Si dice che Elisa e Guido siano amanti…- e mentre pronunciava quella frase, i suoi occhi erano duri. Lo sguardo, quello di un uomo geloso. E arrabbiato.
Davide non commentò. Si limitò a osservarlo mentre s’infilava il piumino azzurro e usciva anche lui, fendendo l’aria come la lama di un coltello.
Anche lui libero per l’appuntamento di morte a mezzanotte.
“Spero di non essermi sbagliato” pensò Davide, mentre estraeva dal cassetto un plico e un mazzo di chiavi. Quelle dell’appartamento di Guido Stucchi. Quelle che il Direttore stava cercando e che lui gli aveva sottratto.
“Devo sapere”, si ripeté mentre prendeva una locandina dal plico: Guido era tra gli ospiti di una conferenza al Planetario. Dalle 21.30 alle 23.30. “Devo sapere e ne ho tutto il tempo…”
La città è ricoperta da un sottile velo di neve e il freddo punge fino alle ossa.
Le volanti illanguidiscono, lasciate ferme in mezzo alla strada.
I loro lampeggianti falciano la notte milanese roteando sugli alberi scheletrici dei giardini Montanelli, sulla facciata del museo delle Scienze Naturali e sulle finestre dirimpetto dei palazzi di corso Venezia.
Da poco più di un’ora è Natale, ma sulla scena del crimine, dentro al Planetario, nessuno ci sta pensando. Lavorano silenziosi, concentrati.
Il sangue è ovunque, il corpo orrendamente dilaniato. E poi ci sono altri due cadaveri da ricomporre.
Un agente esce all’aperto, riesce a trattenere a stento un conato di vomito, mentre impreca a bassa voce. In siciliano.
Lo raggiunge un collega, decisamente più controllato. Alita nell’aria una lenta nuvoletta di condensa prima di dare una pacca sulla spalla all’altro:
-Che merda, eh?- ha la parlata un po’ ottusa delle valli di confine.
-Minchia, mai visto niente del genere. Quanto tempo ci avrà messo per morire?
Il secondo risponde con un’alzata di spalle.
Sentono dei passi scricchiolare sulla neve e un leggero cigolio di ruote. Anticipano due barellieri con la loro lettiga.
I poliziotti li osservano in silenzio. Li salutano con un cenno del capo e rimangono nuovamente soli sulla soglia, senza più dirsi nulla e con negli occhi il corpo legato e sventrato, i brandelli dell’abito nero come le dita della morte, ancora avvinghiata alla carne.
Trasalgono, quando dall’interno qualcuno grida che uno degli altri due cadaveri non lo è affatto, che respira ancora, e che portassero subito il kit medico.
I poliziotti si guardano:
-Quale dei due sarà? Quello con la pistola o l’altro?
-Chiunque sia, ne avrà da spiegare, se sopravvive.
-Già, e magari ci dirà cosa minchia è successo stanotte.
Dieci minuti a mezzanotte, Davide camminava deciso verso il Planetario.
Avanzava ingobbito contro il freddo, attento a non scivolare sulla neve ghiacciata e con in tasca il peso di una pistola. Trovata frugando negli armadi di Guido, alla ricerca di qualcosa che confermasse la sua ipotesi.
L’uomo era divorziato e Davide era stato invitato lì più volte, con sua moglie Sara; quindi, muoversi nell’oscurità e frugare nei possibili nascondigli era stato semplice. Certo, aveva dovuto aprire un numero assurdo di cassetti e ante, e scatole, prima di trovare qualcosa di utile.
Come la pistola.
Si trovava in uno scatolone, in mezzo a sciarpe e guanti, dentro a un ripostiglio. Davide l’aveva rigirata tra le mani più volte, affascinato dal lucido nero della sua forma. Dopo aver indugiato alcuni minuti, si era deciso. Aveva infilato l’arma nella tasca del cappotto e invece lasciato nella scatola, nascosta come la pistola sotto le sciarpe, la busta con le fotografie delle due vittime descritte nella mail: Guido era l’uomo che cercava, adesso doveva solo chiudere il cerchio. Ma doveva fare in fretta, perché il tempo era agli sgoccioli.
Estrasse dalla tasca la locandina dell’evento cui stava partecipando Guido, l’ultima riga era quella che gli interessava: Organizzato dall’Ass.ne Amici del Planetario, presieduta dalla dott.sa Sara Regis.
Sua moglie era là, dov’era anche Guido. Doveva fare in fretta.
Camminando a passo spedito, Davide ripeteva nella mente le frasi dell’email.
…vediamo se saprai apprezzare il mio dono… allo scoccare della mezzanotte…
Accelerò, mancavano pochi minuti.
…mi piacerebbe che tu fossi presente…
Varcò il cancello semi chiuso dei giardini. Davanti a lui la sagoma del Planetario, con le quattro colonne e il timpano triangolare.
Da terra puoi ancora sollevarti…
L’edificio era buio, la conferenza era conclusa da quasi mezz’ora e la gente si era spostata per brindare al Natale.
“Non tutti”, era sicuro Davide. “Non Guido. E non…” il pensiero tremò, “…non Sara”
Spinse la porta che si aprì silenziosa.
…ma quando vedi il firmamento…
Cercando di non fare neanche il minimo rumore, entrò nella stanza a cupola dove venivano proiettate le stelle. Sentiva il proprio respiro fragoroso nelle orecchie, la bocca asciutta. Gli sembrava di muoversi troppo lentamente, ma non voleva che Guido lo sentisse avvicinarsi.
Quanto mancava a mezzanotte?
…sai che da lì dovrai allontanarti…
C’era una porta in fondo alla stanza. Davide vi appoggiò delicatamente la mano, mentre estraeva la pistola con l’altra.
…però fa' attenzione al movimento
altrimenti sarai tu
il prossimo regalo
Era già stato lì più volte con sua moglie, sapeva bene che quella serratura, quella porta, cigolavano. Lei ci scherzava su. Diceva che era un antifurto per chi si nascondeva nello stanzino lì dietro.
Ma Davide non poteva permettersi che l’altro uomo avesse il tempo di reagire. Inspirò a fondo e, trattenendo il fiato, aprì di scatto.
Si lanciò oltre la porta.
Adesso i due agenti sono vicino all’ambulanza. Altri colleghi più qualificati stanno gestendo la scena del crimine.
Qui, invece, c’è solo una dozzina di curiosi.
Silenziosi, finché una delle donne presenti geme, portandosi una mano alla bocca. I due si voltano e vedono i barellieri arrivare con il loro carico. Coperto fino al mento e legato a due flebo.
La lettiga scricchiola sulla neve verso di loro.
“Le ruote non cigolano più”, nota il primo agente, “Forse per il peso del corpo e…”
-Mio Dio, ma è Davide!
-Signora, lo conosce?- chiede il secondo agente alla donna che ha parlato. Ha i capelli neri e lisci; il cappotto, aperto, lascia intravvedere un vestitino scuro e fasciante.
Non è lei a rispondere, ma l’uomo che l’accompagna. Un tizio magro e dal profilo affilato, rinchiuso in un piumino azzurro.
-Siamo colleghi- dice, e: -Ce la farà?- urla ai barellieri.
Questi annuiscono e uno rassicura che è stato fortunato, perché la coltellata non ha toccato organi vitali.
L’uomo, evidentemente rassicurato, torna a rivolgersi agli agenti:
-Nel Planetario c’è uno di nome Guido Stucchi?
-Il secondo cadavere, sì, ma lei come…
-E l’altra vittima è la moglie del ferito, sbaglio?
-Non sbaglia, ma cosa?
-Vi spiego agenti: Davide evidentemente non ha fatto in tempo…
Vede Teo, Davide, e sorride dentro al dolore. Il collega racconterà alla polizia della mail e delle due morti precedenti. Degli articoli non pubblicati. Ogni cosa.
Non può sperare di meglio.
Uno scossone gli strappa un gemito. Non credeva che sarebbe stato così doloroso, quando aveva pianificato di accoltellarsi. Gli era parso semplice, ma in realtà, al momento pratico, aveva esitato.
Però c’erano i due cadaveri e se voleva che la polizia credesse alla sua storia, ferirsi era indispensabile.
Così come farlo con un coltello da rimettere tra le dita di Guido.
Avrebbe spiegato che al suo arrivo Sara era già morta e che durante la collutazione con Guido, pur ferito, gli aveva strappato la pistola e sparato.
Chiude gli occhi mentre lo spingono nell’ambulanza. Rivede i due dietro la porta, avvinghiati nell’amplesso. La loro paura al suo irrompere armato. Le implorazioni, i falsi giuramenti di fedeltà…
Aveva ordinato a Guido di legarla. Poi lo aveva ucciso con due colpi, a bruciapelo.
Ed era toccato a Sara:
-Sapevo che avevi un amante- aveva voluto spiegarle mentre spingeva la lama nel suo ventre, -Ma solo quando ho visto la locandina ho pensato a Guido. E oggi ho capito che avevo ragione.
Il sangue sgorgava a fiotti e la donna si contorceva follemente.
-Allora ho scritto la finta mail, i finti articoli su due casi del Natale scorso. Ho persino recuperato foto d’archivio da nascondere a casa del tuo amante.
Davide voleva godersi ogni istante; con lentezza, aveva aperto un altro squarcio:
-Quel babbeo di Teo è capitato a proposito. Così come trovare la pistola. Pura fortuna.
Si era rialzato in piedi:
-Il bello è che né tu né Guido ci sarete per negare.
E con un rantolo gorgogliante, sua moglie si era infine spenta.
Riapre gli occhi, soddisfatto nonostante il dolore.
Non poteva andare meglio.
Sorride.
Tra i portelloni che si chiudono, intravvede rami scheletrici illuminati dai lampeggianti e una sagoma intrufolarsi.
-Posso augurargli buona fortuna?
È la voce della collega Elisa. Davide pensa che sia davvero gentile, mentre lei gli sfiora la guancia con un bacio.
Le labbra della donna sono calde sulla pelle. Ne ha un brivido di piacere.
Anche quando indugiano vicino all’orecchio.
Almeno fino a che lei non sussurra:
-Io e Teo abbiamo capito. Sappiamo. Mentiremo, ma dovremo parlare dell’eredità di Sara...
Si rialza e:
-Buon Natale- chiosa sgusciando via.
Nella fredda notte di Natale l’ambulanza parte a sirene spiegate.
Al suo interno Davide non sorride più.
Non più.