[CN2021/RL] Luce di Pace
Posted: Thu Dec 30, 2021 7:24 pm
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Traccia n. 5
Traccia n. 5
Cal
Pete allunga una mano verso i comandi degli stabilizzatori, preme qualche tasto infine la riporta saldamente sulla cloche. Il lander inizia la lenta discesa.
«Che poi, non ho capito cosa intendono quelli del Comando quando parlano di monitorare le conseguenze delle nostre azioni sullo sviluppo di quei selvaggi».
Non aspetta nemmeno che risponda prima di proseguire.
«A dirla tutta, non capisco nemmeno perché ce ne dovrebbe importare qualcosa se questo sistema solare viene distrutto dalla cometa».
Ce ne importa perché la Terra sta morendo. Tre millenni di sfruttamento selvaggio l’hanno danneggiata irreparabilmente. Non sarà domani ma, presto, i terrestri avranno bisogno di una nuova casa, e RU271/3 potrebbe essere quella casa. Ma questo il pilota non può saperlo perché certe informazioni non sono di pubblico dominio.
«Signore?»
«Ordini, Pete!» Faccio spallucce. «A quelli come noi non rimane che eseguire».
Mentre il pilota bofonchia ancora qualcosa, il mondo sotto di noi comincia a svelarsi in tutta la sua rigogliosa bellezza. Un Eden verde e azzurro ancora incontaminato.
Sianna
«Voglio parlare col Re, spostati!»
Il soldato ha un’aria infelice, si vede che non sa che fare. Fissa i paramenti della Grande Dea di cui sono rivestita, infine fa un passo di lato.
«Gloria a Moriath, Madre degli uomini. Sempre benedetto sia il suo nome e colui che vive nella sua parola!» Recita tutto d’un fiato.
L’interno del padiglione è spazioso. Una lunga tavolata occupa gran parte del primo ambiente; in fondo, dove si trova l’alloggio riservato al sovrano, vedo mio padre. Come sempre, in questi giorni, è a colloquio con i nobili e gli strateghi.
«Padre!»
Al mio ingresso i presenti si alzano in piedi. Lui si affretta a raggiungermi e a sospingermi nell’altra stanza.
«Che ci fai qui? Ti avevo detto di non farti vedere!» Guarda fuori in direzione dell’armigero. «Giuro che gli farò tagliare la testa!» Dice a voce alta per farsi sentire.
«Voglio partecipare al Gran Consiglio di domani».
«Scordatelo!» È la sua risposta secca.
«Padre, questa guerra è una follia! Hai visto quant’è numeroso il loro esercito?»
«E tu hai visto il nostro?» Ribatte lui sprezzante.
«Sì, l’ho visto e sai cosa penso? Che avremo migliaia di morti, da una parte e dall’altra, e tutto questo solo perché non hai voluto acconsentire ad una richiesta ragionevole!»
«Se i Lamion vogliono accedere alle rotte meridionali attraverso i nostri porti devono pagare!»
«Ma loro vogliono farlo, solo che tu ti sei lasciato convincere dai baroni a decuplicare le somme richieste!» Abbasso la voce. «Combatteranno perché non gli lasci altra scelta, lo capisci?»
Mio padre, il grande Re di Caldavan, chiude gli occhi stanco, il respiro ancora agitato. Non l’ho mai visto così vecchio.
«Ormai non c’è nulla che possa fare, apparirei un debole».
«Lascia provare me, sono la Sacerdotessa di Moriath, mi ascolteranno».
Sorride triste e scuote il capo.
«La tua colpa ti ha screditata ai loro occhi. Potrai ancora impressionare quello là fuori, ma per i nobili di Morn ti sei macchiata della colpa più grave. Va’, ti prego, non peggiorare le cose».
La mia colpa... Come può essere una colpa quello che provo? Mentre quelle parole mi rimbalzano nel cervello, lacrime di fuoco mi appannano gli occhi.
Cal
Devo fermarmi. Avanzare nel sottobosco è sfiancante e la compagnia delle zanzare non migliora le cose.
Neppure quella del pilota, per la verità. Si trascina ansimando, con un’espressione contrariata stampata in volto. Stavolta, però, non riesco a dargli torto.
Sul pianeta tira una brutta aria: due eserciti si guardano in cagnesco a poca distanza l’uno dall’altro. Ne abbiamo sorvolato gli accampamenti durante l’atterraggio.
Chiunque capirebbe che è un pessimo momento per prendere contatto con i locali, chiunque salvo il Comando Operazioni che pontifica da qualche parte a trenta minuti luce da qui.
«Come va, Pete?»
«Bestemmio subito o quando arriviamo?» grugnisce.
Se sapesse che non dovrei nemmeno essere qui, che avevo quasi mollato il mio lavoro al Dipartimento, forse sarebbe più solidale con me.
«Tieni duro, non dovremmo essere lontani, ormai».
Camuffo il gps nell’ampia manica della tunica che indossiamo per confonderci con i nostri ospiti.
«Ci infiliamo il tappo?» Chiede rassegnato.
Sì, penso sia arrivato il momento di indossare l’auricolare del traduttore automatico. Annuisco, al che vedo Pete cercare energicamente nella tasca dei calzoni.
«SGAT TEM, LAMIES TRANCHE!»
L’ordine perentorio proviene dal folto della vegetazione, proprio davanti a noi. Ombre e lame di luce si agitano sulla figura di un robusto soldato che emerge dal bosco. È rivestito di cuoio e tende un arco, con la freccia incoccata, nella nostra direzione.
«Lamies, sgat tem!» Intima ancora.
Un movimento alle mie spalle (forse Pete ha trovato l’auricolare e cerca di indossarlo) scatena la reazione dell’arciere.
«NO!» grido.
Ma è troppo tardi. Un sibilo acuto, poi il gemito di dolore e il tonfo alle mie spalle.
«Pete!»
Volto appena il capo: c’è un altro soldato!
Dietro gli occhi, il dolore esplode in mille strisce colorate sulla lavagna scura del mio cervello.
Sianna
A quest’ora della notte l’accampamento è silenzioso. Tutti, dai soldati ai grandi feudatari, riposano nelle loro tende.
La mia presenza, qui e adesso, deve apparire sconcertante, fuori posto. Lo dice l’espressione dell’uomo a guardia del prigioniero. Si è appena svegliato, a giudicare dalla sua mimica, e non riesce a capacitarsi di quanto sta accadendo.
Il prigioniero è rannicchiato nell’angolo più buio della gabbia, poco più di una macchia scura nell’ombra. Lo hanno portato al campo stamattina e subito interrogato. È un bell’uomo, da quello che ho potuto vedere, biondo, mascella volitiva, alto anche... certo, a guardarlo ora non si direbbe.
«Signora, tanto pensiero per quel lurido ratto?» Sono le parole del soldato appena sollevati gli occhi dalla pelliccia che ho con me.
«Finché sarà vivo, l’esercizio della compassione sarà affar mio, da morto sarà la Grande Madre a occuparsi di lui». Replico dura.
L’uomo nella gabbia si scuote.
«Prendi» gli tendo la coperta attraverso le sbarre «O non arriverai vivo al patibolo».
Ha una breve esitazione, poi afferra ciò che gli porgo e se l’avvolge attorno al corpo, per quanto gli è consentito dai ceppi ai polsi.
«Ti manda Demien?» Gli chiedo dopo essermi assicurata che la guardia non ci stia ascoltando.
«Ai chent anderstend. Ueit a sec, pliis».
Fruga nella cintura, infine ha un moto di frustrazione.
«Pliis elp me!»
Si avvicina alle sbarre tendendo la cintura, dove prima stava cercando.
Dovrei toccare quest’uomo? Certo che no! Indietreggio di un passo.
«Pliis!» Insiste.
La guardia ci osserva con poco interesse, è sul punto di addormentarsi ancora.
«Pliis!» Ripete lo straniero. I suoi occhi mi implorano.
Allungo una mano titubante oltre le sbarre. Nella cintura, le mie dita frenetiche trovano qualcosa. Tiro fuori l’oggetto: ha la forma di un fagiolo e la consistenza del legno di balsa.
L’uomo nella gabbia apre le mani a coppa infine, ricevuto quella specie di bottone, se lo infila in un orecchio.
«Tenx! Mai neims Cal Prais...»
«Grazie, mi chiamo Cal Price...» gli fa eco una voce atona.
Un istinto riflesso mi fa sobbalzare. Chi ha parlato? Mi guardo attorno, nella penombra dell’accampamento ma non c’è nessuno.
«Bi quait».
«Sta’ tranquilla».
Di nuovo!
«È il traduttore automatico quello che senti. Io parlo e lui traduce nella tua lingua».
Stregoneria! Quest’uomo fa parlare i demoni della notte! Scapperei se le gambe non mi tremassero così tanto.
«Aspetta, ti prego… Io non sono di questo mondo; come chiamate questo posto?»
«Caldavan» rispondo in un filo di voce.
«Io vengo da un mondo chiamato Terra».
Scuoto la testa.
«Hai visto la mia carrozza volante, nel bosco? È con quella che sono arrivato qui».
Adesso è troppo. «E i cavalli con le ali dove li hai lasciati?» Chiedo con aria di sfida.
Non conosco i poteri di questo stregone, potrà uccidermi se lo vorrà, ma non gli consentirò di prendersi gioco di me.
«Ehi, aspetta! La cometa nel cielo... La cometa, mi senti? Vi ucciderà tutti!»
Mi volto e lo guardo.
«Aiutami a uscire di qui e ti racconterò tutto quello che so».
Cal
Sianna viene verso di me con una tazza di legno in mano. Indossa ancora i paramenti sacri ma si è liberata del grosso copricapo rituale. Adesso appare assai minuta. Ha anche raccolto i lunghi capelli biondi in una crocchia.
«Tieni, è latte». Dice accennando un timido sorriso.
«Prenderti cura di me pare sia diventata un’abitudine».
Lei sorride ancora, poi si morde il labbro inferiore, un gesto che le ho visto fare altre volte quando si sente in imbarazzo.
«E così, i tuoi uomini impediranno alla cometa di colpirci».
Ci sono molte inesattezze nel racconto che le ho fatto ma, almeno, mi sono risparmiato i dettagli scientifici che lei non potrebbe comprendere.
Quando confermo, inspira a fondo e chiude gli occhi. China il capo e porta le mani giunte al viso. Le sue dita sono lunghe e bianche, come pure d’avorio è l’incarnato.
Raccolta in questo gesto di stupore e ringraziamento è un gattino che proteggerei a costo della mia stessa vita. Una creatura stupenda, giovane e bella, fresca come le matricole che riempiono le nostre Università, ma senza la loro spocchia, adulta come solo la figlia di un mondo arcaico come questo può essere. Lei incarna tutto ciò che di attraente vi è nella Xenocultura, la disciplina che ormai da anni mi risultava arida e insoddisfacente.
Resterei volentieri a studiare la sua civiltà, riempirei videodischi su videodischi se lei volesse prendersi cura di me con l’assiduità di una moglie. Non ci sarebbero problemi, perché sono riuscito a farle dire che le sacerdotesse, anche quelle di alto rango, possono prendere marito.
Non ce ne sarebbero se non ci fosse Damien, il figlio del Re rivale, quello con il quale suo padre è in guerra.
«Non so dirti quanta gratitudine provo per la tua gente» dice con dolcezza.
Non deve. La mia gente non è affatto disinteressata. Per fortuna, Sianna non dovrebbe fare a tempo ad assistere alla colonizzazione e questo mi fa sentire meno in colpa.
«La Grande Madre provvede sempre alle necessità dei suoi figli, anche in modi imperscrutabili!» Sorride come una bambina «Chi l’avrebbe detto che il soccorso sarebbe giunto da volenterosi viaggiatori delle stelle».
D’un tratto si rabbuia.
«Che hai?» Poso la mia mano sulla sua e mi sorprendo che lei non la ritragga. «La guerra?» suggerisco.
Lei annuisce.
Inspiro a fondo. «Forse c’è un modo per evitarla». Dico.
Sianna
La tensione nell’aria è palpabile: i due eserciti si fronteggiano immobili, ma è un equilibrio precario, destinato a trasformarsi in urla, sangue e violenza, al semplice gesto di un generale.
Io e le mie consorelle, vestite in nero ed oro, i colori dell’Ordine, invadiamo la terra di nessuno tra le due schiere. Cantiamo inni di lode a Moriath. Accanto a me, Cal, in bianco, risplende come un semidio.
La nostra venuta non è passata inosservata. Nel campo di mio padre, i grandi lord mi additano; alcuni hanno uno sguardo ostile.
«Con quale coraggio ti fai vedere, traditrice? Hai gettato discredito sul tuo nome e insozzato col fango della tua colpa il tempio della Dea!»
L’anziano che ha parlato guarda il Re e gli altri nobili accanto a lui «Come può una simile, empia creatura indossare ancora le insegne sacre?» Domanda.
È Bar, uno dei baroni più influenti, uno dei falchi; le sue accuse sono gravi. Come già sapevo, non ci sarà mercé per me se uscirò sconfitta da questo confronto.
«TACI, VECCHIO!»
Alle mie parole, le sacerdotesse smettono di cantare. Cala un silenzio mortale sul campo di battaglia solcato solo da un insistente, strisciante brusio.
«La tua vanità e cupidigia ci ha portato sull’orlo della rovina. Siamo sul punto di incrociare le lame con i nostri fratelli...» indico il campo rivale «… e dare inizio ad una nuova stagione di rancori, lutti e miseria solo perché sei diventato cieco e sordo al volere della Madre!»
«Gloria a Moriath, Madre degli uomini. Sempre benedetto sia il suo nome e colui che vive nella sua parola!» Recitano in coro le consorelle, cui fanno una timida eco alcuni tra le nostre schiere e persino nel campo rivale.
«Da quando è iniziata questa stupida contesa…» riprendo «Moriath ci osserva. In cielo il suo occhio perplesso e affranto non si capacita della stupidità dei suoi figli e della criminale dissennatezza di chi li ha messi gli uni contro gli altri»
«Fa’ silenzio, lurida sgualdrina!» Il barone è rosso d’ira. La sua posta è altissima: non si è scagliato solo contro la Somma Sacerdotessa della Dea, ma anche contro la figlia del Re.
Scuoto il capo con platealità.
«Sei talmente stolto, Bar, da non esserti nemmeno reso conto della reale natura del nostro ospite» con gli occhi indico Cal avvolto dal bianco opalescente della sua divisa. «La Grande Dea, nella sua infinita misericordia, ci ha inviato il suo Araldo!»
Il brusio diventa un boato.
«Egli è sceso su Caldavan per recarci un messaggio: Moriath non vuole questa guerra! Pentitevi e riconciliatevi con Lei» aggiungo con trasporto.
«Ora basta!» Il barone, sputa in terra. «Ammazzerò con le mie mani questo impostore che si fa chiamare Araldo di Moriath…»
Lo vedo uscire dalla prima linea, venire verso di noi snudando la spada.
«E dopo ammazzerò anche te, lurida traditrice!»
Guardo Cal.
«Ho la mimetica ottica, vedrai, funzionerà!» Mi rassicura. E a me non rimane che attendere e vedere.
Cal
Funzionerà, mi ripeto. Deve farlo: quel vecchio burbero sembra alquanto incazzato.
Male che vada ho la mia pistola, penso, tastandomi il fianco.
Andiamo Cal. Piazzo il mio sguardo nel suo simulando un distacco sovrumano, ed esco dal gruppo di donne. Gli vado incontro.
Avanzo a passi lenti ma cadenzati. Senza fretta.
Ora vedrai cosa può fare un semidio, sembro voler dire, l’Araldo di Moriath non prova paura.
Fosse vero.
Quando mi trovo a circa venti metri da lui, mi fermo. Apro le braccia e…
Sianna
Cal lo ha fatto davvero: è sparito!
Il clamore raggiunge livelli impensabili. Le due schiere rinculano di qualche passo, molti cadono a terra presi dallo spavento.
Le mie consorelle si stringono a me terrorizzate; anche il mio cuore batte all’impazzata, nonostante sapessi cosa sarebbe successo.
«La Madre non vuole questa guerra, riconciliatevi con lei e lei vi darà un segno del suo perdono!»
La voce atona del comunicatore risuona da un luogo imprecisato.
Tocca a me. Esorto le sacerdotesse ad intonare gli inni sacri, ad impetrare il perdono della Grande Dea.
«Madre del mondo, diffondi su di noi la tua luce di pace...»
Il canto si alza altissimo. Cantano tutti, non solo le sorelle dell’Ordine, non solo i nobili e i soldati del campo di Caldavan, pure le schiere di Lamion innalzano lodi al cielo.
E, infine, all’ora prefissata, la promessa si avvera. Un bagliore accecante si accende nel cielo, come il lampo di un fulmine, ma più intenso e luminoso. Quando svanisce la cometa non c’è più, al suo posto la volta celeste è striata di giallo e arancio come in un tramonto fuori orario.
«Il segno!»
«La Madre ci ha perdonati!»
Il rumore dei guerrieri che si prostrano all’unisono è qualcosa che non potrò mai dimenticare.
Piegano in terra un ginocchio, sollevano le loro armi e infine le depongono al suolo. E ci fissano, all’Araldo di Moriath e a me.
«Ce l’abbiamo fatta» dico tra le lacrime. Mi volto verso Cal: il suo sguardo ha qualcosa di strano, di diverso dal solito.
«Grazie!» E non trovo niente di più vero e sincero da dirgli in questo momento.
Faccio per andare via ma lui mi tiene per un braccio.
Gli prendo la mano e me la porto alla fronte, poi poggio un ginocchio in terra e rimango in questa posizione qualche istante. Quando mi rialzo gli sorrido.
Cal
È scappata via.
Corre verso le schiere dei Lamion dalle cui file è emerso un giovane guerriero a capo scoperto. Hanno più o meno la stessa età.
Non ho bisogno di vedere come andrà a finire. Non voglio.
Mentre lancio un ultimo sguardo all’arcobaleno di colori nel cielo so che il mio tempo su Caldavan è finito.