Tornare a casa
Posted: Thu Oct 14, 2021 11:53 am
Commento a "Gente perbene" di Sarano
«Yo, if you wanna be a star
a star just big like me
just believe in what you are
and you’ll be what you wanna be…»
La bambina, sudate, felice, si toccò rapidamente la punta dei piedi, agitò il bacino e poi pose le mani a incrociare sulle scapole, mentre cantava i versi della canzone.
«E questo che sarebbe?» chiese la madre.
Stava ostruendo la vista del televisore. Davano il loro programma preferito. Giornalismo d’inchiesta.
«Jessica.»
«Jessica chi?»
«Jessica Lovetangle.»
«Jessica… Lovetangle.»
«Mi portate al suo concerto?»
Il padre, accigliandosi un poco, alzò il volume. Stava cercando di capire cosa dicesse il giornalista.
«Sei piccola per i concerti.»
«Tutte le mie amiche vanno.»
«E se tutte le tue amiche si buttano dalla finestra, tu lo fai?»
«Non si stanno buttando da una finestra. Vanno al concerto di Jessica» disse la bambina, ancora rossa in volto, senza fiato.
«Se ti sposti da davanti alla tv, forse ti porto» disse il padre. La bimba eseguì subito. La madre diede un’occhiataccia al marito. Le concedeva sempre tutto.
«Quando sarebbe questo concerto?»
«Fra due settimane.»
«Chi sta andando delle tue amiche?»
«Loredana.»
«Pensavo andassero tutte.»
«Loredana può venire in macchina con noi, vero?»
«Ne devo discutere con tuo papà.»
«Ha detto che se mi spostavo dal televisore…»
«Scherzava.»
«Non si scherza su queste cose» disse la bambina, immaginando che, se si fosse mostrata risentita, per un giorno o due, avrebbe avuto maggiori possibilità che lei e la sua amica Loredana fossero portate al concerto… pestò i piedi per terra e ricominciò a cantare la canzoncina: «You, if you wanna be a star…»
«Che ne pensi?» chiese la donna al marito, quando furono soli.
Il padre sospirò. Si passò una mano fra bei capelli castani.
«Due ore di Jessica Lovetangle. Mi sembra una palla insostenibile.»
«Non sono sicura che la dovremmo accontentare.»
«Non so. Ti lamenti sempre che i tuoi non ti portavano mai da nessuna parte.»
«Eravamo poveri.»
«Sì. E di questo ti sei sempre lamentata.»
«Mi riferivo a mostre. Musei. Teatro.»
«Da piccola avrai avuto le tue passioncelle.»
«Mi piaceva Nick Drake.»
«E non ti sarebbe piaciuto andare a un suo concerto?»
«Impossibile, era già morto.»
«Che male c’è?»
Lucia sbuffò.
«Tu le concedi sempre tutto.»
«Vado da solo. Con Bianca e Loredana. Così resti a casa, ti ascolti Mozart e ti scoli una bottiglia di rosso.»
«Non mi bevo da sola un’intera bottiglia.»
«Per me puoi fare quello che vuoi. Il motto di questa famiglia dovrebbe essere: libertà.»
«La libertà prevede delle regole.»
«Riparliamone domani a pranzo.»
«Cambia canale» disse la donna, poggiando la testa sulla spalla del marito.
«Pensavo ti piacesse.»
«Sempre la solita solfa…»
La piccola, chiusa in stanza con la musica alta, non poteva sentire. Scrise a Loredana che orami era cosa fatta:
«Yo, if you wanna be a star…»
Lucia (la madre di Bianca) ci teneva che Loredana (l’amica di Bianca che portavano al concerto) non andasse dalla madre (presente nella stessa chat genitoriale di Lucia) a dire che Lucia non aveva riservato alla figli un trattamento meno che regale. Perciò preparò una borsa frigo carica di sandwich con la maionese e l’insalata di pollo, di tramezzini vegani, patatine fritte dietetiche, sacchetti di carotine, dessert al cioccolato, frutta, bevande perlopiù dietetiche e un termos di caffè per sé e per il marito.
«Sta’ fermo…» disse, mentre Matteo (il marito) stava per calare un dito nella ciotola dell’insalata di pollo. Non fece in tempo.
«Non resisto. Sei una maga.»
La donna non ci teneva a passare alla storia per le sue doti culinarie, ma, alla fine, era sempre lei a cucinare in casa. Il fatto era che, con la sua laurea umanistica e l’impiego di bigliettaia part-time al museo, era il partner debole. Se avesse cominciato a discutere su dove terminassero i suoi doveri casalinghi e dove cominciassero quelli del marito, che lavorava notoriamente dieci ore al giorno per pagare il mutuo, ne sarebbe emersa una discussione poco gradevole. Lei si consolava, dopo le sue fatiche quotidiane, bevendo vino bordeaux (mai un’intera bottiglia!) e scrivendo articolo per riviste d’arte.
«Hai fatto un panino anche per me?»
«Certo. Ma non puoi guidare e mangiare insieme.»
«Umpf…»
«No.»
«Mamma, siamo pronti?» chiese Bianca, entrando ansiosamente in cucina. Aveva un piccolo zaino colorato con le fotine di Jessica Lovetangle.
«Più che pronti.»
«Stai ancora finendo di cucinare.»
«Ho finito.»
«Loredana ci aspetta fra cinque minuti.»
«Senti, se continui a protestare ci andate a piedi a quel concerto…» disse Matteo, cercando di risultare più assertivo, come Lucia gli chiedeva, ma risultando goffo e inopportuno. La bimba si chiese un stanza, nervosa.
«Parli sempre a sproposito.»
«Cercavo…»
«So che cercavi di fare. Va’ da lei. Qui ho quasi pronto.»
Lucia, sentendosi ancora una volte di più come la donna di casa, dicendosi che la disparità economica col marito era dovuta a una stortura dalla società in cui viviamo, fece su la perfetta borsa frigo per il viaggio fino a Lecce, un’ora ad andare e tornare.
«Andiamo…» disse, una volta che furono in salotto, mentre marito e figlia, con aria complice, emergevano dalla stanza della piccola. Chissà cosa le aveva promesso.
Anche Loredana (come tante altre) aveva lo zainetto rosa e argento di Jessica Lovetangle. Le aspettava sotto il suo condominio di periferia, dove viveva con la madre e la zia. A Lucia era sembrato di capire che, in realtà, non se la passassero benissimo. Si ripromise di diventare gentile con la piccola.
Quando arrivò, saltò in auto con la sua amica Bianca, con cui cominciò a darsi il cinque e a cantare una della canzoni di Jessica.
«Pensi che sarà così per tutto il viaggio?» chiese Matteo a Lucia, rimettendo in moto.
«Quando la portammo al parco naturalistico non era tanto entusiasta.»
«Però le tartarughe le piacquero.»
«Quando sarà più grande ricorderà con più piacere le tartarughe che quella…»
Stava per dire “stupida” Jessica, ma ora le bambine erano stanche di giocare fra di loro e, forse, stavano ascoltando cosa dicevano gli adulti.
«… cantante» concluse.
Si girò verso di loro:
«Loredana, tua mamma mi ha detto che non hai allergie. Intolleranze. Antipatie verso cibi in particolare.»
«No.»
«Ti piace il pollo?»
«Sì.»
«E le patatine.»
«Bene, ne abbiamo a bizzeffe. Sei mai stata un concerto?»
«Mai.»
«Neanche Bianca. Dovete promettere che ci terremo per mano per tutto il tempo. La cosa più importante è non perdersi.»
«Va bene.»
«Va bene. Farete le brave bambine?»
«Sì.»
«Farete le brave mentre papà vi aspetta al bar?» chiese Matteo, senza staccare gli occhi dalla strada.
Lucia gli lanciò un’occhiataccia.
«Tu starai con noi al concerto.»
«Un’ora di guida all’andata e una al ritorno…» disse lui. «Non pensi che mi merito un piccolo ristoro?»
Lucia ci pensò su. Tecnicamente, aveva ragione. Ma non voleva dargliela vinta. Non voleva mostrarsi debole di fronte all’inconsapevole Loredana.
«Al ritorno guido io.»
Matteo e Bianca si gelarono. Loredana rimase inconsapevole.
«Mamma…» disse Bianca, timidamente.
«Sì?»
«Tu ti perdi sempre.»
«Mi sono persa una volta.»
«Va bene…» disse Matteo. «Comunque è in macchina con me. Questa volta non ci perderemo.»
«Intendi dire» disse Lucia, gelidamente «che non ci perderemo per via della tua autorevole presenza maschile in auto?»
«No» disse Matteo. «Volevo solo dire che un paio d’occhi in più non fanno mai male. Però, questa volta, dài retta al navigatore…»
Lucia non sapeva come reagire. Se mostrarsi arrabbiata, delusa o altro. Fece buon viso a cattivo gioco.
«Non ci perderemo. Promesso.»
«Non sara come l’altra volta, vero?» chiese Bianca, che forse non si sarebbe ricordata da grande di Jessica Lovetangle, né delle tartarughe, ma non avrebbe mai dimenticato quella volta che la madre aveva decisa di portarla da sola in spiaggia, quaranta gradi all’ombra.
«Non ci perderemo» concluse la donna. «Patatine?»
Jessica Lovetangle, al secolo Andreina Greco, era una ragazzona di vent’anni che si era assicurata un piccolo, ma solido zoccolo di fan grazie alla presenza quotidiana a un programma della tv del pomeriggio, molto seguito in zona. Il pubblico al concerto non era poi così vasto e Lucia si rassicurò nel vedere qualche faccia conosciuta, colleghi, genitori di compagni di scuola che avevano portato i figli a quel piccolo evento e con cui si scambiavano cenni d’intesa e di solidarietà, come a dire “chi ce lo fa fare…” e “cosa non faremmo per i nostri figli…,” ma anche “come faremmo senza di loro!”
Si sedettero sul prato col loro allegro cestino da picnic (una bella giornata, alla fine) e aspettarono che la bande e Jessica, cioè, Andreina, salissero sul palco.
«Com’è il sandwich?» chiese Lucia, un po’ in ansia.
«Buono» rispose Loredana, convinta.
Lucia stava per aggiungere: dirai alla mamma che hai mangiato bene?, ma si trattene. Ansia sociale. Il suo psicologo diceva che ne soffriva maledettamente. Certo, se fosse stata più di successo nel campo che coltivava…
«Papà va un momento al bagno, ma torna subito…» disse Matteo, dirigendosi spedito al bar.
«Quando arriva Jessica?» chiese Bianca, nervosamente.
«Sta per arrivare. Finisci di mangiare, così avrai più energie.»
La bambina continuò a piluccare il panino, poco convinta.
Jessica arrivò cinque minuti dopo, accolta dal giubilo dei suoi fan. Aveva un volto franco, pieno di trucco e brillantini, e cominciò a scaldare il pubblico in modo sapiente. Lucia pensò che le stava istantaneamente simpatica. Ci sapeva fare, coi piccoli. Lei sapeva d’essere un disastro. Che risultava antipatica. Immaginò fosse una dote natura, che alcune hanno dalla nascita.
Le bambine saltarono in piedi e cominciarono a saltellare, a cantare e strillare. Lucia continuò a dir loro di tenersi per mano, ma fu pressoché inutile. Comunque, la folla non era particolarmente densa. Non sembrava ci fosse rischio di perdersi. Matteo, che aveva promesso di stare per tutto il tempo con loro, non rientrò che dopo tre quarti d’ora dalla “pausa bagno.” Lucia, baciandolo subito, registrò che, dal momento in cu non avrebbe dovuto guidare, si era concesso una barretta, o forse due. Lei avrebbe ucciso per un buon bicchiere di bordeaux e un disco di Mozart. Registrò anche che i musicisti della band erano bravi. Dovevano aver studiato una vita, col risultato di diventare la band di supporto a Jessica Lovetangle. Solidarizzò internamente con loro. Le bambine da prima furono in estasi, ma, dopo un po’, cominciarono a stancarsi, rianimandosi solo quando Jessica sparò sua hit:
You, if you wanna be a star
a star just great like me…
Per il delirio dei fan. Quindi, quasi tutti si adagiarono sul prato, ascoltando canzoncine meno energetiche, più melense e una con cui (era evidente) Andreina stava saggiando la sua eventuale capacità di fare colpo su un pubblico più maturo. Il concerto si concluse con una zuccherosa nenia della buonanotte. Matteo e Lucia si trovarono a intrecciarsi le dita sul prato. Un pomeriggio non male, alla fine.
«Stanche?»
«No!» disse Bianca, che era una bambina molto attiva. Loredana, più tranquilla, aveva già poggiato la testa contro il finestrino dell’auto.
«In un’ora siamo a casa» disse Lucia.
«Speriamo» rispose innocentemente Bianca. Suo padre rise. Lucia lo guardò malissimo.
«Non male quella Jessica» disse ancora Matteo, sbadigliando.
«Ci sa fare…» disse Lucia, che soffriva un po’ chiunque avesse successo. Mentre usciva dal parcheggio, pensò a bibliografia che doveva recuperare per uno dei suoi articoli letti da venticinque persone, consolandosi al pensiero che quanto lei faceva era meno appariscente, ma, in fondo, più appagante sul piano spirituale.
Nei pressi di San Pietro Vernotico, il navigatore avvisò che erano in corso dei lavori e di deviare sulla statale 613.
«Ignoralo» disse Matteo, sbadigliando.
«Cosa?»
«Ignora il navigatore. Non è aggiornato. La strada è percorribile.»
«Dice che è bloccata per lavori…»
«È la stessa che abbiamo percorso all’andata. Si può percorrere. Fidati.»
«Hai detto che devo seguire il navigatore, e seguirò il navigatore» disse Lucia, prendendo l’uscita.
«Stiamo allungando inutilmente. Le bambine sono stanche. Sta facendo buio.»
«Io non sono stanca!» disse Bianca, sbadigliando.
«Seguiamo il navigatore.»
«Come ti pare» disse Matteo, poggiandosi contro il finestrino.
Dopo un piccolo tratto di statale 613, quando ormai erano verso Brindisi, s’imbatterono in una fila d’auto.
«Che succede?» chiese Lucia.
«Chiedi al navigatore, visto che ti fidi di lui più di me.»
La donne accese la radio. A quanto pareva poco davanti a loro c’era stato un incidente e un camion ostruiva la strada.
Lucia sospirò. Matteo non disse niente. Loredana lamentò che doveva proprio andare al bagno. Bianca, felice, estasiata, continuava a cantare le canzoncine di Jessica Lovetangle.
«Mi spiace, abbiamo trovato un incidente» disse Lucia, salutando la madre di Loredana.
«Doveva essere qui per le sette.»
«Mi spiace. C’era molto traffico. La strada era bloccata. Un incidente.»
Matteo, alla guida, in auto, aspettava nervosamente che la moglie finisse di giustificarsi.
«La bambina si è divertita.»
La madre di Loredana, vestita in una tuta di pile, i capelli sporchi e arruffati, non disse nient’altro e si portò la bimba in casa. Lucia immaginò che non avrebbero più affidato loro l’amica di Bianca.
Quando fu a casa, dopo la doccia, decise che aveva bisogno di parlare dell’accaduto con suo marito.
«Di che vuoi parlare?» chiese Matteo, in pigiama bianco, steso sul letto col tablet.
«Ho sbagliato a non fidarmi di te.»
«Sì.»
«Ho rovinato la giornata.»
«Le bambine erano contente.»
«Erano stanche e nervose. Abbiamo passato due ore in più in auto per niente.»
«Devi imparare a fidarti più di me.»
«Io, vorrei farlo…» disse Lucia. Quindi, anche se si era ripromessa che non sarebbe successo, scoppiò in lacrime.
«Sono un impiastro.»
Matteo sospirò. Sapevano entrambi che il problema non era l’incapacità di Lucia alla guida, ma i suoi vecchi demoni, dai quali non poteva, o non voleva liberarsi.
«Il fatto» ci provò Matteo «è che tu sei più colta di me. Però anch’io so qualcosa. Insomma, quello che imparo dai film. Conosci il mito di Aristofane?»
«Era un commediografo greco.»
«Io non so chi fosse. Però, conosci il mito di Aristofane, dei due spicchi di mela che devono combaciare»?
«Sì. Stai dicendo che sei la mia anima gemella?» chiese Lucia, ora un po’ più consolata.
«No. Sì, certo, ma non è questo il punto. Il fatto è che le persone s’incontrano perché ognuno ha i suoi punti di forza e di debolezza. Tu dài a me quello che io non ho. E viceversa. Perché non ti fidi di me?»
«Non voglio esserti inferiore. Come le donne di un tempo.»
«Sei migliore di me in tanti aspetti.»
«Non in quelli che contano.»
«Quali.»
«Pagare il mutuo, per esempio. Siamo nel 2021. È tutto quello che conta.»
«Pensi che vieni meno ai tuoi doveri di donna del ventunesimo secolo perché guadagni meno di me?»
«Sì.»
«Vieni a letto.»
«Vado a bere una tisana. Vorrei scrivere un po’.»
«Domattina hai il lavoro.»
«Staccare i biglietti a scolaresche annoiate. Se quello è un lavoro….»
La donna andò in cucina. Si versò del vino rosso e andò nell’angolo del salotto che aveva adibito a studio. Durante l’estate, era stata a Milano, con Bianca e Matteo. Li aveva trascinati in un noioso tour lungo il castello. Aveva visto la Pietà Rondanini di Michelangelo. Aveva preso parecchi appunti. Da secoli erano aggiunte pagine su quel capolavoro. Come poteva lei, la bigliettaia, l’impiastro che non si era neppure laureata col massimo dei voti, la madre maldestra e moglie insoddisfatta, aggiungere qualcosa di interessante a una discussione che persone molto più dotte di lei portavano avanti da secoli?
Cominciò a scrivere.
Le luci dell’alba la sorpresero sul divano. Matteo, durante la notte, era venuto in suo soccorso con una piccola coperta e, in quel momento, era in cucina, per preparare il primo caffè della giornata.
«Yo, if you wanna be a star
a star just big like me
just believe in what you are
and you’ll be what you wanna be…»
La bambina, sudate, felice, si toccò rapidamente la punta dei piedi, agitò il bacino e poi pose le mani a incrociare sulle scapole, mentre cantava i versi della canzone.
«E questo che sarebbe?» chiese la madre.
Stava ostruendo la vista del televisore. Davano il loro programma preferito. Giornalismo d’inchiesta.
«Jessica.»
«Jessica chi?»
«Jessica Lovetangle.»
«Jessica… Lovetangle.»
«Mi portate al suo concerto?»
Il padre, accigliandosi un poco, alzò il volume. Stava cercando di capire cosa dicesse il giornalista.
«Sei piccola per i concerti.»
«Tutte le mie amiche vanno.»
«E se tutte le tue amiche si buttano dalla finestra, tu lo fai?»
«Non si stanno buttando da una finestra. Vanno al concerto di Jessica» disse la bambina, ancora rossa in volto, senza fiato.
«Se ti sposti da davanti alla tv, forse ti porto» disse il padre. La bimba eseguì subito. La madre diede un’occhiataccia al marito. Le concedeva sempre tutto.
«Quando sarebbe questo concerto?»
«Fra due settimane.»
«Chi sta andando delle tue amiche?»
«Loredana.»
«Pensavo andassero tutte.»
«Loredana può venire in macchina con noi, vero?»
«Ne devo discutere con tuo papà.»
«Ha detto che se mi spostavo dal televisore…»
«Scherzava.»
«Non si scherza su queste cose» disse la bambina, immaginando che, se si fosse mostrata risentita, per un giorno o due, avrebbe avuto maggiori possibilità che lei e la sua amica Loredana fossero portate al concerto… pestò i piedi per terra e ricominciò a cantare la canzoncina: «You, if you wanna be a star…»
«Che ne pensi?» chiese la donna al marito, quando furono soli.
Il padre sospirò. Si passò una mano fra bei capelli castani.
«Due ore di Jessica Lovetangle. Mi sembra una palla insostenibile.»
«Non sono sicura che la dovremmo accontentare.»
«Non so. Ti lamenti sempre che i tuoi non ti portavano mai da nessuna parte.»
«Eravamo poveri.»
«Sì. E di questo ti sei sempre lamentata.»
«Mi riferivo a mostre. Musei. Teatro.»
«Da piccola avrai avuto le tue passioncelle.»
«Mi piaceva Nick Drake.»
«E non ti sarebbe piaciuto andare a un suo concerto?»
«Impossibile, era già morto.»
«Che male c’è?»
Lucia sbuffò.
«Tu le concedi sempre tutto.»
«Vado da solo. Con Bianca e Loredana. Così resti a casa, ti ascolti Mozart e ti scoli una bottiglia di rosso.»
«Non mi bevo da sola un’intera bottiglia.»
«Per me puoi fare quello che vuoi. Il motto di questa famiglia dovrebbe essere: libertà.»
«La libertà prevede delle regole.»
«Riparliamone domani a pranzo.»
«Cambia canale» disse la donna, poggiando la testa sulla spalla del marito.
«Pensavo ti piacesse.»
«Sempre la solita solfa…»
La piccola, chiusa in stanza con la musica alta, non poteva sentire. Scrise a Loredana che orami era cosa fatta:
«Yo, if you wanna be a star…»
Lucia (la madre di Bianca) ci teneva che Loredana (l’amica di Bianca che portavano al concerto) non andasse dalla madre (presente nella stessa chat genitoriale di Lucia) a dire che Lucia non aveva riservato alla figli un trattamento meno che regale. Perciò preparò una borsa frigo carica di sandwich con la maionese e l’insalata di pollo, di tramezzini vegani, patatine fritte dietetiche, sacchetti di carotine, dessert al cioccolato, frutta, bevande perlopiù dietetiche e un termos di caffè per sé e per il marito.
«Sta’ fermo…» disse, mentre Matteo (il marito) stava per calare un dito nella ciotola dell’insalata di pollo. Non fece in tempo.
«Non resisto. Sei una maga.»
La donna non ci teneva a passare alla storia per le sue doti culinarie, ma, alla fine, era sempre lei a cucinare in casa. Il fatto era che, con la sua laurea umanistica e l’impiego di bigliettaia part-time al museo, era il partner debole. Se avesse cominciato a discutere su dove terminassero i suoi doveri casalinghi e dove cominciassero quelli del marito, che lavorava notoriamente dieci ore al giorno per pagare il mutuo, ne sarebbe emersa una discussione poco gradevole. Lei si consolava, dopo le sue fatiche quotidiane, bevendo vino bordeaux (mai un’intera bottiglia!) e scrivendo articolo per riviste d’arte.
«Hai fatto un panino anche per me?»
«Certo. Ma non puoi guidare e mangiare insieme.»
«Umpf…»
«No.»
«Mamma, siamo pronti?» chiese Bianca, entrando ansiosamente in cucina. Aveva un piccolo zaino colorato con le fotine di Jessica Lovetangle.
«Più che pronti.»
«Stai ancora finendo di cucinare.»
«Ho finito.»
«Loredana ci aspetta fra cinque minuti.»
«Senti, se continui a protestare ci andate a piedi a quel concerto…» disse Matteo, cercando di risultare più assertivo, come Lucia gli chiedeva, ma risultando goffo e inopportuno. La bimba si chiese un stanza, nervosa.
«Parli sempre a sproposito.»
«Cercavo…»
«So che cercavi di fare. Va’ da lei. Qui ho quasi pronto.»
Lucia, sentendosi ancora una volte di più come la donna di casa, dicendosi che la disparità economica col marito era dovuta a una stortura dalla società in cui viviamo, fece su la perfetta borsa frigo per il viaggio fino a Lecce, un’ora ad andare e tornare.
«Andiamo…» disse, una volta che furono in salotto, mentre marito e figlia, con aria complice, emergevano dalla stanza della piccola. Chissà cosa le aveva promesso.
Anche Loredana (come tante altre) aveva lo zainetto rosa e argento di Jessica Lovetangle. Le aspettava sotto il suo condominio di periferia, dove viveva con la madre e la zia. A Lucia era sembrato di capire che, in realtà, non se la passassero benissimo. Si ripromise di diventare gentile con la piccola.
Quando arrivò, saltò in auto con la sua amica Bianca, con cui cominciò a darsi il cinque e a cantare una della canzoni di Jessica.
«Pensi che sarà così per tutto il viaggio?» chiese Matteo a Lucia, rimettendo in moto.
«Quando la portammo al parco naturalistico non era tanto entusiasta.»
«Però le tartarughe le piacquero.»
«Quando sarà più grande ricorderà con più piacere le tartarughe che quella…»
Stava per dire “stupida” Jessica, ma ora le bambine erano stanche di giocare fra di loro e, forse, stavano ascoltando cosa dicevano gli adulti.
«… cantante» concluse.
Si girò verso di loro:
«Loredana, tua mamma mi ha detto che non hai allergie. Intolleranze. Antipatie verso cibi in particolare.»
«No.»
«Ti piace il pollo?»
«Sì.»
«E le patatine.»
«Bene, ne abbiamo a bizzeffe. Sei mai stata un concerto?»
«Mai.»
«Neanche Bianca. Dovete promettere che ci terremo per mano per tutto il tempo. La cosa più importante è non perdersi.»
«Va bene.»
«Va bene. Farete le brave bambine?»
«Sì.»
«Farete le brave mentre papà vi aspetta al bar?» chiese Matteo, senza staccare gli occhi dalla strada.
Lucia gli lanciò un’occhiataccia.
«Tu starai con noi al concerto.»
«Un’ora di guida all’andata e una al ritorno…» disse lui. «Non pensi che mi merito un piccolo ristoro?»
Lucia ci pensò su. Tecnicamente, aveva ragione. Ma non voleva dargliela vinta. Non voleva mostrarsi debole di fronte all’inconsapevole Loredana.
«Al ritorno guido io.»
Matteo e Bianca si gelarono. Loredana rimase inconsapevole.
«Mamma…» disse Bianca, timidamente.
«Sì?»
«Tu ti perdi sempre.»
«Mi sono persa una volta.»
«Va bene…» disse Matteo. «Comunque è in macchina con me. Questa volta non ci perderemo.»
«Intendi dire» disse Lucia, gelidamente «che non ci perderemo per via della tua autorevole presenza maschile in auto?»
«No» disse Matteo. «Volevo solo dire che un paio d’occhi in più non fanno mai male. Però, questa volta, dài retta al navigatore…»
Lucia non sapeva come reagire. Se mostrarsi arrabbiata, delusa o altro. Fece buon viso a cattivo gioco.
«Non ci perderemo. Promesso.»
«Non sara come l’altra volta, vero?» chiese Bianca, che forse non si sarebbe ricordata da grande di Jessica Lovetangle, né delle tartarughe, ma non avrebbe mai dimenticato quella volta che la madre aveva decisa di portarla da sola in spiaggia, quaranta gradi all’ombra.
«Non ci perderemo» concluse la donna. «Patatine?»
Jessica Lovetangle, al secolo Andreina Greco, era una ragazzona di vent’anni che si era assicurata un piccolo, ma solido zoccolo di fan grazie alla presenza quotidiana a un programma della tv del pomeriggio, molto seguito in zona. Il pubblico al concerto non era poi così vasto e Lucia si rassicurò nel vedere qualche faccia conosciuta, colleghi, genitori di compagni di scuola che avevano portato i figli a quel piccolo evento e con cui si scambiavano cenni d’intesa e di solidarietà, come a dire “chi ce lo fa fare…” e “cosa non faremmo per i nostri figli…,” ma anche “come faremmo senza di loro!”
Si sedettero sul prato col loro allegro cestino da picnic (una bella giornata, alla fine) e aspettarono che la bande e Jessica, cioè, Andreina, salissero sul palco.
«Com’è il sandwich?» chiese Lucia, un po’ in ansia.
«Buono» rispose Loredana, convinta.
Lucia stava per aggiungere: dirai alla mamma che hai mangiato bene?, ma si trattene. Ansia sociale. Il suo psicologo diceva che ne soffriva maledettamente. Certo, se fosse stata più di successo nel campo che coltivava…
«Papà va un momento al bagno, ma torna subito…» disse Matteo, dirigendosi spedito al bar.
«Quando arriva Jessica?» chiese Bianca, nervosamente.
«Sta per arrivare. Finisci di mangiare, così avrai più energie.»
La bambina continuò a piluccare il panino, poco convinta.
Jessica arrivò cinque minuti dopo, accolta dal giubilo dei suoi fan. Aveva un volto franco, pieno di trucco e brillantini, e cominciò a scaldare il pubblico in modo sapiente. Lucia pensò che le stava istantaneamente simpatica. Ci sapeva fare, coi piccoli. Lei sapeva d’essere un disastro. Che risultava antipatica. Immaginò fosse una dote natura, che alcune hanno dalla nascita.
Le bambine saltarono in piedi e cominciarono a saltellare, a cantare e strillare. Lucia continuò a dir loro di tenersi per mano, ma fu pressoché inutile. Comunque, la folla non era particolarmente densa. Non sembrava ci fosse rischio di perdersi. Matteo, che aveva promesso di stare per tutto il tempo con loro, non rientrò che dopo tre quarti d’ora dalla “pausa bagno.” Lucia, baciandolo subito, registrò che, dal momento in cu non avrebbe dovuto guidare, si era concesso una barretta, o forse due. Lei avrebbe ucciso per un buon bicchiere di bordeaux e un disco di Mozart. Registrò anche che i musicisti della band erano bravi. Dovevano aver studiato una vita, col risultato di diventare la band di supporto a Jessica Lovetangle. Solidarizzò internamente con loro. Le bambine da prima furono in estasi, ma, dopo un po’, cominciarono a stancarsi, rianimandosi solo quando Jessica sparò sua hit:
You, if you wanna be a star
a star just great like me…
Per il delirio dei fan. Quindi, quasi tutti si adagiarono sul prato, ascoltando canzoncine meno energetiche, più melense e una con cui (era evidente) Andreina stava saggiando la sua eventuale capacità di fare colpo su un pubblico più maturo. Il concerto si concluse con una zuccherosa nenia della buonanotte. Matteo e Lucia si trovarono a intrecciarsi le dita sul prato. Un pomeriggio non male, alla fine.
«Stanche?»
«No!» disse Bianca, che era una bambina molto attiva. Loredana, più tranquilla, aveva già poggiato la testa contro il finestrino dell’auto.
«In un’ora siamo a casa» disse Lucia.
«Speriamo» rispose innocentemente Bianca. Suo padre rise. Lucia lo guardò malissimo.
«Non male quella Jessica» disse ancora Matteo, sbadigliando.
«Ci sa fare…» disse Lucia, che soffriva un po’ chiunque avesse successo. Mentre usciva dal parcheggio, pensò a bibliografia che doveva recuperare per uno dei suoi articoli letti da venticinque persone, consolandosi al pensiero che quanto lei faceva era meno appariscente, ma, in fondo, più appagante sul piano spirituale.
Nei pressi di San Pietro Vernotico, il navigatore avvisò che erano in corso dei lavori e di deviare sulla statale 613.
«Ignoralo» disse Matteo, sbadigliando.
«Cosa?»
«Ignora il navigatore. Non è aggiornato. La strada è percorribile.»
«Dice che è bloccata per lavori…»
«È la stessa che abbiamo percorso all’andata. Si può percorrere. Fidati.»
«Hai detto che devo seguire il navigatore, e seguirò il navigatore» disse Lucia, prendendo l’uscita.
«Stiamo allungando inutilmente. Le bambine sono stanche. Sta facendo buio.»
«Io non sono stanca!» disse Bianca, sbadigliando.
«Seguiamo il navigatore.»
«Come ti pare» disse Matteo, poggiandosi contro il finestrino.
Dopo un piccolo tratto di statale 613, quando ormai erano verso Brindisi, s’imbatterono in una fila d’auto.
«Che succede?» chiese Lucia.
«Chiedi al navigatore, visto che ti fidi di lui più di me.»
La donne accese la radio. A quanto pareva poco davanti a loro c’era stato un incidente e un camion ostruiva la strada.
Lucia sospirò. Matteo non disse niente. Loredana lamentò che doveva proprio andare al bagno. Bianca, felice, estasiata, continuava a cantare le canzoncine di Jessica Lovetangle.
«Mi spiace, abbiamo trovato un incidente» disse Lucia, salutando la madre di Loredana.
«Doveva essere qui per le sette.»
«Mi spiace. C’era molto traffico. La strada era bloccata. Un incidente.»
Matteo, alla guida, in auto, aspettava nervosamente che la moglie finisse di giustificarsi.
«La bambina si è divertita.»
La madre di Loredana, vestita in una tuta di pile, i capelli sporchi e arruffati, non disse nient’altro e si portò la bimba in casa. Lucia immaginò che non avrebbero più affidato loro l’amica di Bianca.
Quando fu a casa, dopo la doccia, decise che aveva bisogno di parlare dell’accaduto con suo marito.
«Di che vuoi parlare?» chiese Matteo, in pigiama bianco, steso sul letto col tablet.
«Ho sbagliato a non fidarmi di te.»
«Sì.»
«Ho rovinato la giornata.»
«Le bambine erano contente.»
«Erano stanche e nervose. Abbiamo passato due ore in più in auto per niente.»
«Devi imparare a fidarti più di me.»
«Io, vorrei farlo…» disse Lucia. Quindi, anche se si era ripromessa che non sarebbe successo, scoppiò in lacrime.
«Sono un impiastro.»
Matteo sospirò. Sapevano entrambi che il problema non era l’incapacità di Lucia alla guida, ma i suoi vecchi demoni, dai quali non poteva, o non voleva liberarsi.
«Il fatto» ci provò Matteo «è che tu sei più colta di me. Però anch’io so qualcosa. Insomma, quello che imparo dai film. Conosci il mito di Aristofane?»
«Era un commediografo greco.»
«Io non so chi fosse. Però, conosci il mito di Aristofane, dei due spicchi di mela che devono combaciare»?
«Sì. Stai dicendo che sei la mia anima gemella?» chiese Lucia, ora un po’ più consolata.
«No. Sì, certo, ma non è questo il punto. Il fatto è che le persone s’incontrano perché ognuno ha i suoi punti di forza e di debolezza. Tu dài a me quello che io non ho. E viceversa. Perché non ti fidi di me?»
«Non voglio esserti inferiore. Come le donne di un tempo.»
«Sei migliore di me in tanti aspetti.»
«Non in quelli che contano.»
«Quali.»
«Pagare il mutuo, per esempio. Siamo nel 2021. È tutto quello che conta.»
«Pensi che vieni meno ai tuoi doveri di donna del ventunesimo secolo perché guadagni meno di me?»
«Sì.»
«Vieni a letto.»
«Vado a bere una tisana. Vorrei scrivere un po’.»
«Domattina hai il lavoro.»
«Staccare i biglietti a scolaresche annoiate. Se quello è un lavoro….»
La donna andò in cucina. Si versò del vino rosso e andò nell’angolo del salotto che aveva adibito a studio. Durante l’estate, era stata a Milano, con Bianca e Matteo. Li aveva trascinati in un noioso tour lungo il castello. Aveva visto la Pietà Rondanini di Michelangelo. Aveva preso parecchi appunti. Da secoli erano aggiunte pagine su quel capolavoro. Come poteva lei, la bigliettaia, l’impiastro che non si era neppure laureata col massimo dei voti, la madre maldestra e moglie insoddisfatta, aggiungere qualcosa di interessante a una discussione che persone molto più dotte di lei portavano avanti da secoli?
Cominciò a scrivere.
Le luci dell’alba la sorpresero sul divano. Matteo, durante la notte, era venuto in suo soccorso con una piccola coperta e, in quel momento, era in cucina, per preparare il primo caffè della giornata.