[RnT-FC1] Nostalgia dell'Alhambra
Posted: Sat Aug 14, 2021 1:38 pm
Traccia 3: 1491; Assedio di Granada. Potete far capitare i personaggi dentro le mura cittadine o nelle loro prossimità e quindi potranno trovarsi a contatto con gli assediati o gli assedianti.
Fra' Bastiano. Francescano di origine Andalusa. Ama studiare, capace di sorprendere il suo interlocutore con una cultura profonda e multidisciplinare. Acuto, sferzante e schivo, preferisce la solitudine e nel tempo libero dalla preghiera si rifugia tra i suoi libri. Vive in un tormento interiore, come se aspettasse un segno e interpreta la sua vocazione come l'attesa di trovarsi di fronte a "una prova".
commento: viewtopic.php?p=20558#p20558
Nostalgia dell'Alhambra
Fu così che frate Bastiano rivide l’Alhambra, diversa da come la ricordava, perché lui era andaluso e tante volte era andato a vederla da bambino. Ne aveva nostalgia. La riconobbe sotto il sole di settembre di un altro tempo, il tempo dell’Alhambra che dominava Granada, ultima roccaforte musulmana in Al Andalus. Gli comparve all’improvviso davanti: rocca rossa, imponente, bellissima e triste, con i bianchi quartieri della città aggrappati alla sua acropoli come a proteggerla, quasi presagendo che da lì a poco sarebbe caduta in mano cristiana. E frate Bastiano che lo sapeva, non era contento. Si era lasciato alle spalle il nero fiume Darro accompagnato da Piocho, il ragazzo moro, la sua guida proveniente dall’Alhambra. Stavano salendo nel fitto bosco che circondava la parte meridionale della fortezza.
«Sei sicuro di tutto?» gli aveva chiesto Bastiano. Sapeva che Piocho in qualche modo era a conoscenza del suo viaggio nel tempo, ma non osava chiederglielo. Era certo che i Controllori gli avevano parlato in modo convincente.
«Sono sicuro», rispose Piocho fermandosi di scatto.
«Boabdil ha già parlato con altri capi cristiani…»
«Si. Il sultano ha parlato con don Gonzalo de Cordoba, ma tu non sei uno dei suoi uomini»
«Chi pensi che io sia?»
Piocho lo guardò con i suoi grandi occhi scuri che rilucevano.
«Non sei nemmeno un uomo di Torquemada. Ma non sei un matamoros»
Bastiano decise di non chiedere oltre. Piocho era poco più di un bambino di quel tempo e non sapeva cosa gli avessero detto sul suo conto. Forse lo credeva un demone. E il sultano come lo avrebbe accolto?
Bastiano sapeva che Boabdil non era sempre propenso a mantenere la parola e che era vendicativo. Diventato sultano al posto del padre, deposto da un colpo di stato, era stato subito dopo sconfitto e fatto prigioniero dai cristiani e lo zio Al-Zaghal si era proclamato sultano al suo posto. Pur di vendicarsi, dopo quattro anni di prigionia Boabdil aveva giurato a re Ferdinando II vassallaggio perpetuo. Era il periodo della furia religiosa cristiana che in seguito sarebbe stata chiamata Reconquista. Ferdinando non andava tanto per il sottile e faceva passare per le armi tutti coloro che si ostinavano a non arrendersi e convertirsi, come gli sfortunati abitanti di Malaga che una volta capitolata furono venduti come schiavi, mentre i rinnegati cristiani ed ebrei vennero passati per le armi. Al Zaghal tentò di resistere a Boabdil e a re Ferdinando ma alla fine dovette arrendersi e abbandonò Al Andalus per ritirarsi nel sultanato di Fez in Marocco, dove fu imprigionato e accecato su istigazione di Boabdil.
E ora Boabdil era assediato da Ferdinando di Castiglia e da sua moglie Isabella d’Aragona che avevano unito le loro corone e le loro forze sposandosi. Boabdil non voleva essere un vassallo dei cristiani, aveva tradito la parola data di assoggettarsi a loro e si era ribellato. Ma ora la fine era vicina. I re cristiani assediavano Granada e avevano bruciato tutte le campagne intorno. Non esisteva più un campo di grano, un frutteto, un orto, una vigna, un animale di cui cibarsi e la città si era riempita di profughi che avevano paura di essere massacrati, mentre l’esercito moro era propenso a vendere cara la pelle combattendo contro i cristiani asserragliati a Santa Fe, città costruita in un paio di mesi dopo che un incendio aveva devastato anche il campo cristiano. Santa Fe e le sue bandiere si vedevano dalle torri dell' Alhambra. Ma era un periodo di tregua adesso. Bastiano sapeva che Boabdil era in trattative segrete per la resa. Non voleva più combattere, forse era stanco, forse non voleva che Granada e l’Alhambra fossero messe a ferro e fuoco, forse era stanco di sangue. Forse non si conosceva il suo pensiero.
Usciti dal bosco continuarono a camminare sfruttando la copertura degli alberi che andavano diradandosi man mano che si avvicinavano alle mura. Si diressero vero un’imponente torre, una delle più alte fra le diverse che si ergevano a intervalli regolari lungo la cinta muraria.
«El Portal. C’è un piccolo passaggio e mio fratello ci farà entrare» disse Piocho.
Il passaggio sembrava l’ingresso di una tana, nascosto da rovi, protetto da grosse inferriate arrugginite semisepolte che qualcuno aprì a fatica dall’interno come si avvicinarono.
Si affacciò un uomo dalla barba nera e con un turbante scuro, una cotta di ferro rivestita da un giacchetto di cuoio, una spada ricurva alla cintola.
«Non aver paura cristiano. Nessuno ti farà del male» disse in spagnolo.
La cosa avrebbe dovuto consolare Bastiano, per quanto gli desse fastidio la sensazione di essere seguito, protetto nei suoi movimenti. Quanti sapevano della sua presenza? Della sua provenienza? Era il prezzo da pagare per qualcosa che non conosceva. Che voleva vedere. Che forse era meglio non sapere, non rievocare. Non era detto che potesse uscirne indenne, come a un parco divertimenti. Però… però… Non sarebbe stato brutto morire dentro l’Alhambra.
Mentre attraversavano uno stretto corridoio fino a sbucare in un cortile Bastiano respirava un odore familiare di terra umida, di acqua, di alberi verdi dal profumo intenso, animale. Odore di piante e di spezie lo avvolgeva, lunghi muri di pietra davanti a loro che si perdevano in dolci salite contornate da filari di alberi, siepi di mirti, rosmarini e piccole fontane. Andarono a sinistra, in un vialetto acciottolato circondato da cipressi, entrarono in un cortile con ai lati alcune case di mattoni rossi e un pozzo al centro.
L’uomo barbuto camminava deciso verso le case. Entrò in una di esse seguito da Bastiano e dal ragazzo. All'interno di una spaziosa sala c’era una illuminazione soffusa, proveniente da varie finestre coperte da tendaggi. Punti indefiniti nella semioscurità, un fresco piacevole in quel caldo settembre. Odore di stoffe e cibi speziati pervadeva l’aria. Si intravedevano uomini in turbante e abiti sgargianti, alcuni con scimitarre o corti pugnali dal manico intarsiato alla cintola, e donne avvolte in lunghi e preziosi drappi dorati di broccato, la testa e la bocca coperte da veli che mostravano soltanto gli occhi e le fronti tatuate. Tutti sembravano intenti in faccende, alcuni immobili come statue trasognate osservavano in silenzio il loro passaggio. Bastiano nel passare davanti a una donna dagli occhi di cerbiatta che emanava un profumo di mille giardini del paradiso chinò appena il capo, confuso, come per salutarla. La donna non rispose al saluto, abbassò lo sguardo.
«Vai avanti», disse l’uomo indicando una scalinata sormontata da un’arcata. «Arriverai al Patio de Los Leones. Boabdil ti aspetta alla fontana. Sarà solo. Ma tieni sempre presente che il sultano non è mai solo»
Bastiano esitava. Guardò Piocho, che sorrise con sufficienza, ma non era un sorriso malevolo. Annuì in silenzio come a rassicurarlo.
Bisognava fidarsi, che altro fare?
Percorse un tratto pavimentato a piastrelle bianche e azzurre, interrotte da tappeti finemente intessuti e mobili intarsiati che profumavano di ginepro. Alcuni incensieri dispensavano il loro profumo, uomini in turbante dalle lunghe tuniche e con spade ricurve alla cintola lo osservavano immobili. Era evidente che eseguivano ordini, non erano lì per fargli del male. Quello era il loro servizio: proteggere il sultano.
Bastiano attraversò una grande sala le cui pareti erano incise a rilievo con poesie e citazioni del Corano in calligrafia araba decorativa, con gli harakat, i movimenti dei segni diacritici posti sopra e sotto le lettere, affinché le parole fossero lette nell’unica maniera giusta, senza possibilità di errore. Il nome di Allah compariva infinite volte, intervallato dal motto dei Nasridi: “Non vi è altro vincitore se non Allah!” Bastiano percorse con la mano il verso di quelle parole, da destra a sinistra. Chiuse gli occhi come pervaso da voluttà. Avrebbe voluto esaminare tutto El Portal, ma non aveva tempo e non era in gita turistica. Vide in fondo alla sala un’enorme porta di legno intarsiato e borchiato che si apriva lentamente, guidata da due mori vestiti con tuniche gialle e azzurre. Apparve un cortile bianco, con al centro una fontana sorretta da dodici leoni di marmo. Ai lati una selva di colonne con i capitelli che finivano decorati in una miriade di arabeschi terminanti sopra logge a colonnati, apparentemente deserte.
«Un cristiano che ama l’Islam, dunque»
La voce alle sue spalle era in arabo, l’uomo che aveva parlato non si vedeva. Comparve all’improvviso; era vicino a una colonna ma non nascosto. Non aveva bisogno di nascondersi in casa sua: era il sultano di Al Andalus e di Granada, Abu ‘Abd Allah Muhammad, conosciuto come Boabdil.
«Come fai a dirlo?» rispose Bastiano, istintivamente in arabo.
Boabdil sorrise avanzando verso di lui, parlando in spagnolo. «Hai accarezzato nel verso giusto il motto che scrisse il mio avo Muhammad I, tanto tempo fa quando entrò trionfante a Granada. E non tutti i cristiani conoscono l’arabo»
«Molti di Al Andalus si»
Boabdil si avvicinò ancora, con un sorriso triste. Era un uomo esile e alto dalla pelle olivastra; la barba nerissima e ben curata riempiva l’incavo delle sue guance. Indossava un pomposo turbante bianco a righe blu, con in cima una punta d’oro raffigurante la Mezzaluna araba. Un mantello bianco bordato di ricami d’oro lasciava scoperto il petto, ricoperto da una tunica rossa a ricami arabescati. Portava una cinghia di cuoio in vita con una corta spada messa di traverso, dal pesante manico istoriato d’oro e pietre preziose. Aveva poco più di trentanni, lo sguardo melanconico e al contempo curioso, inquieto.
«Volevo conoscere quest’uomo straordinario che viene dal futuro» disse il sultano con un lieve inchino.
«Questo mi onora, sultano. Mi chiamo frate Bastiano»
Il sultano si avvicinò alla fontana, accarezzò un leone di marmo, guardò l’acqua con un luccichio di piacere negli occhi.
«Nei nostri deserti in Africa l’acqua è rara, preziosa. Qui abbonda. Il suo profumo, il suo scroscio, la frescura che emana ti accompagna, rende fertili i nostri giardini, le nostre campagne. Delizia le nostre vasche circondate di piante aromatiche, è benefica per il nostro corpo nel dolce hammam. Hai visto il deserto che i tuoi compatrioti hanno creato intorno a Granada? Hanno bruciato tutto…tutto…»
«Lo so. Mi dispiace»
Boabdil guardò il frate con sguardo penetrante. Lo sguardo di un uomo che sta per uccidere.
«Cosa ti dispiace? Le migliaia di famiglie che sono fuggite per rifugiarsi nelle mie mura? Ci sono molti cristiani ed ebrei fra di loro. Sai cosa ha fatto loro l’Inquisizione a Malaga?»
«Questa volta sarà diverso»
Boabdil si avvicinò. Sospirò. «Non voglio chiederti e non dirmelo, ti prego, quale sarà il mio destino. Ho parlato con don Gonzalo de Cordoba, un vero cavaliere, un vero cristiano che parla a nome di re Ferdinando e della sua sposa Isabella. Anche lui come me da giovane ha passato del tempo in prigionia, seppure da un suo cugino, per motivi di eredità e la regina Isabella lo ha liberato… Si sono amati da ragazzi don Gonzalo e la regina Isabella, lo sapevi?»
«Lo sapevo»
«Io fossi stato re Ferdinando lo avrei ucciso, non lo avrei fatto capitano dei miei soldati e avrei ucciso anche la regina Isabella anziché sposarla. Ma i cristiani agiscono diversamente»
«Dovevano fare come te con i Banu Sarraj?»
Boabdil fece un sorriso di disprezzo. «Meritavano la morte»
«C’era solo un colpevole fra di loro e tu facesti uccidere tutto il clan, proprio in questo piazzale, davanti a questa fontana. Perché tanto sangue innocente, sangue valoroso della tua stessa gente?»
«Trentaquattro uomini che non avrebbero mai detto chi di loro si era arrampicato come un ladro nell’Alhambra per disonorare una donna della mia famiglia. Era giusto che morissero tutti. Sei andaluso, conosci l’arabo, dovresti sapere che è così. Maktub! È scritto! Il disonore di un uomo lo paga tutto il suo clan. Vuoi continuare a parlarmi dei Banu Sarraj?»
Frate Bastiano si rese conto che era meglio cambiare argomento. Si era lasciato andare senza senso, non doveva portare giustizia o fede in un'altra giustizia e in un'altra fede. E poi gli era sembrato di vedere alcuni luccichii sopra la loggia arabescata… Un arciere poteva colpirlo come niente e lui come niente sarebbe sparito da quel mondo.
«Cosa ti ha detto don Gonzalo, che tu ammiri?»
«Mi ha detto che sta scrivendo un trattato di resa per Granada. Se mi arrendo non sarà torto un capello ai suoi abitanti e alla mia famiglia. Non saranno perseguitati i musulmani e nemmeno i cristiani che hanno rinunciato alla loro fede. Tutti potranno continuare a vivere come prima. Voglio sapere… se puoi, se vuoi dirmelo, se nel tuo mondo è avvenuto davvero così»
«Nel mio mondo si»
«Granada non sarà messa a ferro e fuoco, l’Alhambra non sarà rasa al suolo?»
«Nel mio mondo questo non è avvenuto. Vengono da tutte le nazioni ad ammirare l’Alhambra»
Boabdil sorrise con un sospiro, lo sguardo rivolto al cielo.
«Don Gonzalo mi ha detto che il signore di Castiglia concede, a me e alla mia famiglia, una residenza rispettabile e ci ha dato garanzie di sicurezza. Ma noi Nasridi, in qualità di discendenti di Banu Al-Ahmar non possiamo accontentarci di questo. Non possiamo vivere in questo territorio nel ricordo di Al Andalus. Il solo pensiero mi opprime. Ce ne andremo, torneremo nella terra dei nostri antenati in Marocco. La nostra fede in Allah non ci permette di risiedere sotto il giogo dei miscredenti. Non ho acconsentito una volta, mentendo quando ero prigioniero di Ferdinando per riacquistare la mia libertà, e non lo farò adesso. Noi possiamo accettare solo la tutela di Allah e della nostra gente. Di nessun altro»
«Io ti capisco»
«Anche don Gonzalo mi ha risposto così. Tu sai… che non combatterò dunque»
«Non lo hai fatto nel mio mondo. Qui puoi combattere se vuoi. Le conseguenze saranno solo in questo mondo»
«Allah è presente ovunque in tutti i mondi e dirige i diversi destini delle stesse persone presenti negli infiniti mondi»
«Amo credere che sia così»
«Anche io amo credere che in un altro mondo ho combattuto. La mia gente ha combattuto. E che abbiamo vinto»
«Dio può darci infinite possibilità di riscatto»
Boabdil annuì pensieroso. «Non è facile per me ritirami senza combattere. Ma ho visto troppo sangue. Voglio pace. Terra libera. Salvare vite di credenti devoti. Pregare Allah tutti i giorni della mia vita senza essere guardato con disprezzo dai miscredenti. Ma di te mi fido. Avresti seri problemi con l’Inquisizione, lo sento. Mi basta. Ma non ti accadrà alcun male dalla tua Inquisizione. E nemmeno da me. Quanto puoi rimanere qui? Vorrei ospitarti nell’Alhambra, farti vedere le sue bellezze, i suoi giardini profumati, i suoi viali alberati e ombrosi, le sue fontane i suoi palazzi, le decorazioni, la vista dei diversi quartieri di Granada, l’odore della sua gente, il conforto dell’hammam»
«Non ho molto tempo. Fra pochi giorni non sarò più qui»
«Tornerai nel tuo mondo?»
«Mi porteranno comunque»
«Saresti voluto rimanere qui per sempre?»
«Confesso che avrei preferito. Il mio mondo è degenerato»
«Se vuoi puoi chiedere ad Allah»
Bastiano sorrise. «Il tuo Dio e il mio non si metteranno daccordo»
«Poco probabile. Ma non impossibile»
Il sultano con gesto solenne e cerimoniale indicò una scalinata circondata da una selva di colonne alle loro spalle, con una moltitudine di uomini armati comparsi dal nulla, vestiti di tuniche variopinte e grossi turbanti che occupavano silenziosi gli scalini, mentre una grande porta dietro di loro si apriva lentamente.
«Penso che avrai fame. Vuoi farmi l’onore di invitare un uomo come te alla mia umile tavola?»
«L’onore è mio, sultano Boabdil»
Fra' Bastiano. Francescano di origine Andalusa. Ama studiare, capace di sorprendere il suo interlocutore con una cultura profonda e multidisciplinare. Acuto, sferzante e schivo, preferisce la solitudine e nel tempo libero dalla preghiera si rifugia tra i suoi libri. Vive in un tormento interiore, come se aspettasse un segno e interpreta la sua vocazione come l'attesa di trovarsi di fronte a "una prova".
commento: viewtopic.php?p=20558#p20558
Nostalgia dell'Alhambra
Fu così che frate Bastiano rivide l’Alhambra, diversa da come la ricordava, perché lui era andaluso e tante volte era andato a vederla da bambino. Ne aveva nostalgia. La riconobbe sotto il sole di settembre di un altro tempo, il tempo dell’Alhambra che dominava Granada, ultima roccaforte musulmana in Al Andalus. Gli comparve all’improvviso davanti: rocca rossa, imponente, bellissima e triste, con i bianchi quartieri della città aggrappati alla sua acropoli come a proteggerla, quasi presagendo che da lì a poco sarebbe caduta in mano cristiana. E frate Bastiano che lo sapeva, non era contento. Si era lasciato alle spalle il nero fiume Darro accompagnato da Piocho, il ragazzo moro, la sua guida proveniente dall’Alhambra. Stavano salendo nel fitto bosco che circondava la parte meridionale della fortezza.
«Sei sicuro di tutto?» gli aveva chiesto Bastiano. Sapeva che Piocho in qualche modo era a conoscenza del suo viaggio nel tempo, ma non osava chiederglielo. Era certo che i Controllori gli avevano parlato in modo convincente.
«Sono sicuro», rispose Piocho fermandosi di scatto.
«Boabdil ha già parlato con altri capi cristiani…»
«Si. Il sultano ha parlato con don Gonzalo de Cordoba, ma tu non sei uno dei suoi uomini»
«Chi pensi che io sia?»
Piocho lo guardò con i suoi grandi occhi scuri che rilucevano.
«Non sei nemmeno un uomo di Torquemada. Ma non sei un matamoros»
Bastiano decise di non chiedere oltre. Piocho era poco più di un bambino di quel tempo e non sapeva cosa gli avessero detto sul suo conto. Forse lo credeva un demone. E il sultano come lo avrebbe accolto?
Bastiano sapeva che Boabdil non era sempre propenso a mantenere la parola e che era vendicativo. Diventato sultano al posto del padre, deposto da un colpo di stato, era stato subito dopo sconfitto e fatto prigioniero dai cristiani e lo zio Al-Zaghal si era proclamato sultano al suo posto. Pur di vendicarsi, dopo quattro anni di prigionia Boabdil aveva giurato a re Ferdinando II vassallaggio perpetuo. Era il periodo della furia religiosa cristiana che in seguito sarebbe stata chiamata Reconquista. Ferdinando non andava tanto per il sottile e faceva passare per le armi tutti coloro che si ostinavano a non arrendersi e convertirsi, come gli sfortunati abitanti di Malaga che una volta capitolata furono venduti come schiavi, mentre i rinnegati cristiani ed ebrei vennero passati per le armi. Al Zaghal tentò di resistere a Boabdil e a re Ferdinando ma alla fine dovette arrendersi e abbandonò Al Andalus per ritirarsi nel sultanato di Fez in Marocco, dove fu imprigionato e accecato su istigazione di Boabdil.
E ora Boabdil era assediato da Ferdinando di Castiglia e da sua moglie Isabella d’Aragona che avevano unito le loro corone e le loro forze sposandosi. Boabdil non voleva essere un vassallo dei cristiani, aveva tradito la parola data di assoggettarsi a loro e si era ribellato. Ma ora la fine era vicina. I re cristiani assediavano Granada e avevano bruciato tutte le campagne intorno. Non esisteva più un campo di grano, un frutteto, un orto, una vigna, un animale di cui cibarsi e la città si era riempita di profughi che avevano paura di essere massacrati, mentre l’esercito moro era propenso a vendere cara la pelle combattendo contro i cristiani asserragliati a Santa Fe, città costruita in un paio di mesi dopo che un incendio aveva devastato anche il campo cristiano. Santa Fe e le sue bandiere si vedevano dalle torri dell' Alhambra. Ma era un periodo di tregua adesso. Bastiano sapeva che Boabdil era in trattative segrete per la resa. Non voleva più combattere, forse era stanco, forse non voleva che Granada e l’Alhambra fossero messe a ferro e fuoco, forse era stanco di sangue. Forse non si conosceva il suo pensiero.
Usciti dal bosco continuarono a camminare sfruttando la copertura degli alberi che andavano diradandosi man mano che si avvicinavano alle mura. Si diressero vero un’imponente torre, una delle più alte fra le diverse che si ergevano a intervalli regolari lungo la cinta muraria.
«El Portal. C’è un piccolo passaggio e mio fratello ci farà entrare» disse Piocho.
Il passaggio sembrava l’ingresso di una tana, nascosto da rovi, protetto da grosse inferriate arrugginite semisepolte che qualcuno aprì a fatica dall’interno come si avvicinarono.
Si affacciò un uomo dalla barba nera e con un turbante scuro, una cotta di ferro rivestita da un giacchetto di cuoio, una spada ricurva alla cintola.
«Non aver paura cristiano. Nessuno ti farà del male» disse in spagnolo.
La cosa avrebbe dovuto consolare Bastiano, per quanto gli desse fastidio la sensazione di essere seguito, protetto nei suoi movimenti. Quanti sapevano della sua presenza? Della sua provenienza? Era il prezzo da pagare per qualcosa che non conosceva. Che voleva vedere. Che forse era meglio non sapere, non rievocare. Non era detto che potesse uscirne indenne, come a un parco divertimenti. Però… però… Non sarebbe stato brutto morire dentro l’Alhambra.
Mentre attraversavano uno stretto corridoio fino a sbucare in un cortile Bastiano respirava un odore familiare di terra umida, di acqua, di alberi verdi dal profumo intenso, animale. Odore di piante e di spezie lo avvolgeva, lunghi muri di pietra davanti a loro che si perdevano in dolci salite contornate da filari di alberi, siepi di mirti, rosmarini e piccole fontane. Andarono a sinistra, in un vialetto acciottolato circondato da cipressi, entrarono in un cortile con ai lati alcune case di mattoni rossi e un pozzo al centro.
L’uomo barbuto camminava deciso verso le case. Entrò in una di esse seguito da Bastiano e dal ragazzo. All'interno di una spaziosa sala c’era una illuminazione soffusa, proveniente da varie finestre coperte da tendaggi. Punti indefiniti nella semioscurità, un fresco piacevole in quel caldo settembre. Odore di stoffe e cibi speziati pervadeva l’aria. Si intravedevano uomini in turbante e abiti sgargianti, alcuni con scimitarre o corti pugnali dal manico intarsiato alla cintola, e donne avvolte in lunghi e preziosi drappi dorati di broccato, la testa e la bocca coperte da veli che mostravano soltanto gli occhi e le fronti tatuate. Tutti sembravano intenti in faccende, alcuni immobili come statue trasognate osservavano in silenzio il loro passaggio. Bastiano nel passare davanti a una donna dagli occhi di cerbiatta che emanava un profumo di mille giardini del paradiso chinò appena il capo, confuso, come per salutarla. La donna non rispose al saluto, abbassò lo sguardo.
«Vai avanti», disse l’uomo indicando una scalinata sormontata da un’arcata. «Arriverai al Patio de Los Leones. Boabdil ti aspetta alla fontana. Sarà solo. Ma tieni sempre presente che il sultano non è mai solo»
Bastiano esitava. Guardò Piocho, che sorrise con sufficienza, ma non era un sorriso malevolo. Annuì in silenzio come a rassicurarlo.
Bisognava fidarsi, che altro fare?
Percorse un tratto pavimentato a piastrelle bianche e azzurre, interrotte da tappeti finemente intessuti e mobili intarsiati che profumavano di ginepro. Alcuni incensieri dispensavano il loro profumo, uomini in turbante dalle lunghe tuniche e con spade ricurve alla cintola lo osservavano immobili. Era evidente che eseguivano ordini, non erano lì per fargli del male. Quello era il loro servizio: proteggere il sultano.
Bastiano attraversò una grande sala le cui pareti erano incise a rilievo con poesie e citazioni del Corano in calligrafia araba decorativa, con gli harakat, i movimenti dei segni diacritici posti sopra e sotto le lettere, affinché le parole fossero lette nell’unica maniera giusta, senza possibilità di errore. Il nome di Allah compariva infinite volte, intervallato dal motto dei Nasridi: “Non vi è altro vincitore se non Allah!” Bastiano percorse con la mano il verso di quelle parole, da destra a sinistra. Chiuse gli occhi come pervaso da voluttà. Avrebbe voluto esaminare tutto El Portal, ma non aveva tempo e non era in gita turistica. Vide in fondo alla sala un’enorme porta di legno intarsiato e borchiato che si apriva lentamente, guidata da due mori vestiti con tuniche gialle e azzurre. Apparve un cortile bianco, con al centro una fontana sorretta da dodici leoni di marmo. Ai lati una selva di colonne con i capitelli che finivano decorati in una miriade di arabeschi terminanti sopra logge a colonnati, apparentemente deserte.
«Un cristiano che ama l’Islam, dunque»
La voce alle sue spalle era in arabo, l’uomo che aveva parlato non si vedeva. Comparve all’improvviso; era vicino a una colonna ma non nascosto. Non aveva bisogno di nascondersi in casa sua: era il sultano di Al Andalus e di Granada, Abu ‘Abd Allah Muhammad, conosciuto come Boabdil.
«Come fai a dirlo?» rispose Bastiano, istintivamente in arabo.
Boabdil sorrise avanzando verso di lui, parlando in spagnolo. «Hai accarezzato nel verso giusto il motto che scrisse il mio avo Muhammad I, tanto tempo fa quando entrò trionfante a Granada. E non tutti i cristiani conoscono l’arabo»
«Molti di Al Andalus si»
Boabdil si avvicinò ancora, con un sorriso triste. Era un uomo esile e alto dalla pelle olivastra; la barba nerissima e ben curata riempiva l’incavo delle sue guance. Indossava un pomposo turbante bianco a righe blu, con in cima una punta d’oro raffigurante la Mezzaluna araba. Un mantello bianco bordato di ricami d’oro lasciava scoperto il petto, ricoperto da una tunica rossa a ricami arabescati. Portava una cinghia di cuoio in vita con una corta spada messa di traverso, dal pesante manico istoriato d’oro e pietre preziose. Aveva poco più di trentanni, lo sguardo melanconico e al contempo curioso, inquieto.
«Volevo conoscere quest’uomo straordinario che viene dal futuro» disse il sultano con un lieve inchino.
«Questo mi onora, sultano. Mi chiamo frate Bastiano»
Il sultano si avvicinò alla fontana, accarezzò un leone di marmo, guardò l’acqua con un luccichio di piacere negli occhi.
«Nei nostri deserti in Africa l’acqua è rara, preziosa. Qui abbonda. Il suo profumo, il suo scroscio, la frescura che emana ti accompagna, rende fertili i nostri giardini, le nostre campagne. Delizia le nostre vasche circondate di piante aromatiche, è benefica per il nostro corpo nel dolce hammam. Hai visto il deserto che i tuoi compatrioti hanno creato intorno a Granada? Hanno bruciato tutto…tutto…»
«Lo so. Mi dispiace»
Boabdil guardò il frate con sguardo penetrante. Lo sguardo di un uomo che sta per uccidere.
«Cosa ti dispiace? Le migliaia di famiglie che sono fuggite per rifugiarsi nelle mie mura? Ci sono molti cristiani ed ebrei fra di loro. Sai cosa ha fatto loro l’Inquisizione a Malaga?»
«Questa volta sarà diverso»
Boabdil si avvicinò. Sospirò. «Non voglio chiederti e non dirmelo, ti prego, quale sarà il mio destino. Ho parlato con don Gonzalo de Cordoba, un vero cavaliere, un vero cristiano che parla a nome di re Ferdinando e della sua sposa Isabella. Anche lui come me da giovane ha passato del tempo in prigionia, seppure da un suo cugino, per motivi di eredità e la regina Isabella lo ha liberato… Si sono amati da ragazzi don Gonzalo e la regina Isabella, lo sapevi?»
«Lo sapevo»
«Io fossi stato re Ferdinando lo avrei ucciso, non lo avrei fatto capitano dei miei soldati e avrei ucciso anche la regina Isabella anziché sposarla. Ma i cristiani agiscono diversamente»
«Dovevano fare come te con i Banu Sarraj?»
Boabdil fece un sorriso di disprezzo. «Meritavano la morte»
«C’era solo un colpevole fra di loro e tu facesti uccidere tutto il clan, proprio in questo piazzale, davanti a questa fontana. Perché tanto sangue innocente, sangue valoroso della tua stessa gente?»
«Trentaquattro uomini che non avrebbero mai detto chi di loro si era arrampicato come un ladro nell’Alhambra per disonorare una donna della mia famiglia. Era giusto che morissero tutti. Sei andaluso, conosci l’arabo, dovresti sapere che è così. Maktub! È scritto! Il disonore di un uomo lo paga tutto il suo clan. Vuoi continuare a parlarmi dei Banu Sarraj?»
Frate Bastiano si rese conto che era meglio cambiare argomento. Si era lasciato andare senza senso, non doveva portare giustizia o fede in un'altra giustizia e in un'altra fede. E poi gli era sembrato di vedere alcuni luccichii sopra la loggia arabescata… Un arciere poteva colpirlo come niente e lui come niente sarebbe sparito da quel mondo.
«Cosa ti ha detto don Gonzalo, che tu ammiri?»
«Mi ha detto che sta scrivendo un trattato di resa per Granada. Se mi arrendo non sarà torto un capello ai suoi abitanti e alla mia famiglia. Non saranno perseguitati i musulmani e nemmeno i cristiani che hanno rinunciato alla loro fede. Tutti potranno continuare a vivere come prima. Voglio sapere… se puoi, se vuoi dirmelo, se nel tuo mondo è avvenuto davvero così»
«Nel mio mondo si»
«Granada non sarà messa a ferro e fuoco, l’Alhambra non sarà rasa al suolo?»
«Nel mio mondo questo non è avvenuto. Vengono da tutte le nazioni ad ammirare l’Alhambra»
Boabdil sorrise con un sospiro, lo sguardo rivolto al cielo.
«Don Gonzalo mi ha detto che il signore di Castiglia concede, a me e alla mia famiglia, una residenza rispettabile e ci ha dato garanzie di sicurezza. Ma noi Nasridi, in qualità di discendenti di Banu Al-Ahmar non possiamo accontentarci di questo. Non possiamo vivere in questo territorio nel ricordo di Al Andalus. Il solo pensiero mi opprime. Ce ne andremo, torneremo nella terra dei nostri antenati in Marocco. La nostra fede in Allah non ci permette di risiedere sotto il giogo dei miscredenti. Non ho acconsentito una volta, mentendo quando ero prigioniero di Ferdinando per riacquistare la mia libertà, e non lo farò adesso. Noi possiamo accettare solo la tutela di Allah e della nostra gente. Di nessun altro»
«Io ti capisco»
«Anche don Gonzalo mi ha risposto così. Tu sai… che non combatterò dunque»
«Non lo hai fatto nel mio mondo. Qui puoi combattere se vuoi. Le conseguenze saranno solo in questo mondo»
«Allah è presente ovunque in tutti i mondi e dirige i diversi destini delle stesse persone presenti negli infiniti mondi»
«Amo credere che sia così»
«Anche io amo credere che in un altro mondo ho combattuto. La mia gente ha combattuto. E che abbiamo vinto»
«Dio può darci infinite possibilità di riscatto»
Boabdil annuì pensieroso. «Non è facile per me ritirami senza combattere. Ma ho visto troppo sangue. Voglio pace. Terra libera. Salvare vite di credenti devoti. Pregare Allah tutti i giorni della mia vita senza essere guardato con disprezzo dai miscredenti. Ma di te mi fido. Avresti seri problemi con l’Inquisizione, lo sento. Mi basta. Ma non ti accadrà alcun male dalla tua Inquisizione. E nemmeno da me. Quanto puoi rimanere qui? Vorrei ospitarti nell’Alhambra, farti vedere le sue bellezze, i suoi giardini profumati, i suoi viali alberati e ombrosi, le sue fontane i suoi palazzi, le decorazioni, la vista dei diversi quartieri di Granada, l’odore della sua gente, il conforto dell’hammam»
«Non ho molto tempo. Fra pochi giorni non sarò più qui»
«Tornerai nel tuo mondo?»
«Mi porteranno comunque»
«Saresti voluto rimanere qui per sempre?»
«Confesso che avrei preferito. Il mio mondo è degenerato»
«Se vuoi puoi chiedere ad Allah»
Bastiano sorrise. «Il tuo Dio e il mio non si metteranno daccordo»
«Poco probabile. Ma non impossibile»
Il sultano con gesto solenne e cerimoniale indicò una scalinata circondata da una selva di colonne alle loro spalle, con una moltitudine di uomini armati comparsi dal nulla, vestiti di tuniche variopinte e grossi turbanti che occupavano silenziosi gli scalini, mentre una grande porta dietro di loro si apriva lentamente.
«Penso che avrai fame. Vuoi farmi l’onore di invitare un uomo come te alla mia umile tavola?»
«L’onore è mio, sultano Boabdil»