I cani di Marte

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I cani su Marte prendono un odore intenso e diventano feroci, ma sembra che l’uomo non possa fare a meno del cane. Questo mi ha detto la signora quando mi ha mostrato un modellino della piccola fattoria dove potrei andare ad abitare. Mi chiede se lo vorrei anch’o. Nel ne è presente uno, piccolo e nero, all’apparenza mansueto. Rispondo che probabilmente no. Non mi piace l’odore che lasciano per casa.
Il resto del colloquio scorre come un sogno. A volte annuisco, altre volte (quando mi è richiesto) dico di no con la testa. Naturalmente, sì, sono una persona resiliente. Mi rendo conto delle sfide che dovrò andare ad affrontare. L’isolamento. L’aridità. Il duro lavoro nei campi. E, sì, capisco quanto importante sia il mio ruolo, e i vantaggi che comporta, come gli abbacinanti incontri del sole col suolo sabbioso di Marte. Solo io e un’altra manciata di coloni, sostiene la signora, con fare poetico, hanno la possibilità di godere di quei tramonti.
Poi (colpo di scena) prede da sotto la scrivania una scatola di plexiglass con un pugno di terra.
«La può toccare» mi dice. «Sente che odore?»
«Terra di Marte?
«È un odore che sulla Terra non esiste.»
Infine, affrontiamo l’elefante della stanza. Perché una persona con il mio livello d’istruzione vorrebbe abbandonare tutti i vantaggi che ha sulla Terra per andare a coltivare campi su Marte?
Le spiego che sono stanca della mia vita. Che non trovo più stimoli in quello che faccio. Che voglio ritrovare, nella vita, quel senso di avventura che provavo da bambina. Ma non è convinta.
«Me lo può dire se ci sono ragioni di cuore» mi dice, facendosi più confidenziale. «È più comune di quanto lei non creda.»
Nessuna ragione di cuore, rispondo. Spiego che voglio soltanto andare su Marte. Sono stanca di vedere i tramonti terrestri. Non mi dicono più nulla.
La signora sorride. Due righe d’espressione intorno alla bocca. Dice che comprende. 
«Compili questa scheda, una volta che è di là» mi dice. «Le faremo sapere, in ogni caso.»
Intende dire, sia in caso di risposta positiva, che negativa. Me ne vado in sala d’attesa, a riempire la scheda, sentendomi con le pive nel sacco. Come sempre mi accade, quando affronto un colloquio importante, credo di non aver dato del mio meglio. Di non essere stata convincente. Anche se (mi dico) non mi importa poi veramente. Sono certa che non andrò su Marte.

Naturalmente è un problema di cuore. 

Solleva il gin e tonic e mi guarda. Ha gli occhi grigi, che sembrano circondati da piccoli globi di luce bianca. Penso che sarebbe perfetta per fare l’attrice in un film in bianco e nero. 
«Come mai ci troviamo qui?» mi chiede, col suo sorriso perfetto, le labbra rosse.
Amici in comune. Pensavano che saremmo state giuste l’una per l’altra. Il bar del ristorante è poco affollato. Fra un po’ sarà pronto il nostro tavolo. Ho già mangiato qui. Il cibo è divino.
«Ho già mangiato qui da sola» rispondo, scegliendo male le parole, come al solito. «Ti piace l’anatra all’arancia?»
Beve un bel sorso dal suo cocktail. Sorride.
«Che amarcord. Non la mangio da quando ero piccola. In casa mia i soldi andavano e venivano. Nei periodi di vacche magre era sempre riso col tonno, ma ogni tanto papà, quando incassava, ci portava in posti come questo.»
«Ti piacciono i ristoranti così?» le chiedo, cercando di mettermi più a mio agio, sorseggiando il mio succo d’arancia. Mi ritengo sciocca perché anch’io non ho ordinato il cocktail, mi avrebbe messo a mio agio. Ma, non bevo mai e temevo che, sotto l’effetto dell’alcol, avrei detto qualcosa di sciocco. Non ho mai visto una donna più bella e disinvolta in vita mia. È una cantante jazz. Sono già innamorata di lei. Ho sempre avuto un debole per le artiste, non avendo io alcun talento.
«Un po’ ingessato. Però mi hai messo voglia di anatra all’arancia.»
«Ti ho sentita cantare. Due mesi fa. Ero con Paolo e Clara.»
«Spero di non essere stata troppo disdicevole.»
«Sei stata bravissima. Durante un brano… si chiamava… Autumn in Bangkok…»
«L’ho scritto io» dice. Sorride.
«Sì. Mi sono sentita addirittura sconvolta. È incredibile la gamma d’emozioni che si possono trasmettere con la musica e la voce.»
Sono convinta d’aver detto la cosa giusta. D’aver fatto centro. Ma a lei non sembra importare. Deve essere abituata ai complimenti delle ammiratrici.
«È per quello che ho studiato» mi spiega, prendendo un altro piccolo sorso. «Tu sei una studiosa, vero?»
«Sono antropologa.»
«Perciò viaggi molto.»
«Quando mi finanziano.»
Poggia una mano sulla mia spalla destra. Sorride.
«Mi piacciono le teste d’uovo. A volte penso che, se non fosse per voi, il mondo non esisterebbe. Insomma, se comprendi cosa intendo.»
«Non sono certa di capire.»
«Siete voi che date ragione ed equilibrio al mondo. Che ci dite come pensare.»
Sorrido. È intelligente, oltre che bella e di talento. 
«Tu trovi tempo per leggere?»
«Cerco di leggere due o tre libri al mese. Mi dànno ispirazione per le mie canzoni. So che non è tanto, ma devo provare di continuo, e poi ho le serate. Non hai idea di quanto ti sfianchino. Dopo non riesci a pensare a niente.»
«Non è male, tre libri al mese.»
«Scommetto che tu leggi di continuo. Si sente da come parli.»
«È il mio lavoro. Cosa leggi, di solito?»
«Un romanzo alla moda, per avere qualcosa di cui parlare. Qualcosa di saggistico, di giornalistico, anche. Quando ero ragazza ho letto tutti i classici, comunque. Se vuoi mi puoi anche interrogare, prof» conclude, sorridendo.
«Non male» dico. «So che non è giusto dirlo, ma ti confesso che mi sento più a mio agio con le persone colte.»
«Non mi ritengo colta…»
Il cameriere viene a chiamarci. Il tavolo è pronto.
«Anatra all’arancia» ripete. «Che buffo, non la mangio da quando ero piccola.»
«Ti piacerà…» dico «qui il cibo è divino» ripeto, sentendomi goffa, chiedendomi se ho scelto il posto giusto. Lo ha definito un po’ ingessato. È un’artista. Forse intendeva dire che per lei è troppo costoso. Mi riprometto di offrire io. Mi ha messo una gran voglia di viziarla.

Il dipartimento è tranquillo e deserto. Immagino Marte sarà lo stesso, se veramente mi selezioneranno per andarci. Ne dubito fortemente. Sono una ricercatrice universitaria che va per la mezza età. Non ho mai lavorato veramente con le mani in vita mia, anche se alla selezionatrice ho mentito. Le ho detto che d’estate aiutavo mio zio, in campagna, per finanziarmi l’università. Be’, avevo uno zio che aveva un cane, e ogni tanto gli davo di mangiare. Era un cane bianco, molto docile, mi chiedo come sarebbe diventato su Marte.
«Mi è arrivato l’ultimo paper di Russof» mi dice il collega, facendo capolino dalla porta del mio ufficio.
«Interessante?»
«Al solito.»
«Inoltralo pure.»
«Un articolo di Russof. Un tempo ti saresti entusiasmata.»
«Invecchiamo» tutti, dico, sorridendo, tirandomi il viso. Un tempo, era vero, i paper di Andrej, col suo misto di erudizione, humour e un pizzico di poesia erano una delle cose che ti facevano arrivare contenta alla fine della giornata. Mi viene in mente l’autore, lo stile da eterno ragazzo, anche se ormai è ben oltre alla quarantina. Ci siamo visti a Cambridge l’anno scorso. È uno dei pochi che non ti deludono quando li incontri di persona. Credo abbia un problema con l’alcol, però. Avevamo pranzato insieme, in settimana, e si era bevuto quasi da solo una bottiglia di pessimo vino bianco della mensa inglese. O forse è sempre divertente perché beve tanto.
Controllo la mail. La signora che, teoricamente, mi dovrebbe mandare su Marte mi ha promesso che mi avrebbe contatto, in ogni caso. Mi chiedo perché ho fatto qualcosa di così stupida. Per dimostrare qualcosa alla mia ex, forse. Vedi, ora che tu mi hai allontanata cosa sono disposta a fare. O forse, mi dico, è perché si tratta dell’ultima frontiera dell’antropologia. Ormai la Terra è finita. L’abbiamo setacciato e studiata tutta. Noi, insomma, quelli che… come mi aveva detto… sì, diamo un senso di equilibrio e ragione alle cose. Poi mi aveva confessato che si era studiata quella battuta per impressionarmi. Che, anche se aveva finto noncuranza al nostro primo incontro, era addirittura eccitata di incontrarsi con una studiosa. Lei, che non aveva mai fatto l’università e aveva il complesso dell’intelligenza. Per me i suoi occhi non hanno mai smesso di sprizzare lucine. Io invece sono diventato ben presto una noiosa testa d’uovo che va per la mezza età, che mette su pancetta ma non vuole saperne di andare in palestra o di coprire i capelli bianchi.
No, è per via della mia ex che ho fatto qualcosa di tanto stupido. Una perdita di tempo. Non mi selezioneranno mai.

«Come ben sapete, dopo decenni di sforzi umani, Marte ora ha un’atmosfera, anche se estremamente rarefatta…»
La donna, un’altra (ormai solo le donne fanno tutto. Che fine hanno fatto gli uomini? So che alcune rimpiangono i tempi mitici in cui ancora dovevi lottare contro di loro per farti una posizione) mostra con la bacchetta i punti di Marte più densamente abitati dai colonizzatori. Ammetto che sono vagamente interessata, e divertita. Mi hanno ricontatta per dirmi che erano interessati nel mio profilo, che erano addirittura entusiasti di avere una vera scienziata sociale con una lunga e impressionante lista di pubblicazioni (provo a spiegare, più o meno inutilmente e stancamente, che l’antropologia non è proprio una scienza sociale, e forse nemmeno una scienza) e che sperano io possa continuare il mio lavoro su Marte e che non c’è bisogno alcuno io debba andare sui campi, ma che posso passare tutto il tempo a fare interviste ai locali (che noia). Io abbozzo, annuisco, mi sembra di non capire. Decido di stare al gioco. Penso che, al massimo, al prossimo incontro avrò un buon aneddoto da raccontare a Russof. Lui di solito ha quelli migliori.
Comunque, sono abituata ad ascoltare e prendere appunti. Ormai è nella mia natura. Mi siedo nella sala conferenze e, non tanto perché mi interessi, ma perché sono abituata a imparare, assorbo tutto quello che posso su Marte, sulla sua rarefatta atmosfera creata dagli eroici sforzi di decenni di terraformazione (e dalle tecnologie più avanzate mai inventate sulla Terra) e sui vantaggi e sui rischi dei viaggi spaziali. Quando la donna si ferma per chiedere se ci sono domande, sempre da inveterata abitudine, alzo la mano:
«Avete poi risolto quel problema coi cani?»
Tutti gli astanti ridono. Mi ricordo che anch’io, se voglio, ho un buon senso dell’umorismo. Alla mia ex piaceva. O almeno, per un po’ le è piaciuto. Poi è passata all’umorismo di un’altra.
La conferenziera ride, anche lei piuttosto affascinante, ora che ci faccio caso. Clara e Paolo mi dicono sempre, con quella saggezza popolare che non ci tradisce mai, quando abbiamo a che fare coi problemi degli altri: “chiodo schiaccia chiodo,” e annuiscono, sorridono. Io penso che sono stati loro a crearmi il problema. A presentarmi la mia ex. Io, prima, da sola, stavo benissimo. Non mi alzavo alle tre di notte col senso d’angoscia opprimente sul petto, profondamente persuasa che sono destinata a morire da sola, su Marte o meno.
Qualche altro, più realisticamente, e più saggiamente, mi suggerisce di prendere un cane, ma a me non piace l’odore che lasciano per casa.
«Come vi dicevo al primo colloquio, avere un cane su Marte è altamente facoltativo, e fondamentalmente sconsigliato. Ma sembra che alcune persone non possano farne a meno. Tu sei una di quelle persone?»
Sorrido.
«No, non ci tengo.»
«Benissimo. Nessuno problema coi gatti, finora. Sapete che a loro non importa di nulla.»
Altre risate. Mi complimento con me stessa. La conferenza, fino a quel punto, era stata noiosa. Mi chiedo perché non sono di più così anche quando faccio io lezione. Vedo sempre i miei studenti farsi grandi sbadigli. Del resto, l’antropologia ormai è una scienza (ammesso che sia una scienza) che appartiene al passato. Sappiamo tutto della Terra. Marte, certo, sarebbe un’altra storia.

Ogni tanto mi sembra di rivederla nei volti di donne che le somigliano, ma questo volta non ho dubbio, è lei. Sta in una boutique, provandosi un vestitino nero, pronta ad andare nel camerino. Non entro di solito in negozi del genere, io tendo a comprare i miei vestiti ai grandi magazzini (forse anche per questo mi ha lasciata…). Mi dico che è ora di chiudere gli occhi e passare oltre. Una cantante di secondo piano. Una persona egoista, vanesia e superficiale. Io, con tutte le mie lauree e le mie pubblicazioni, con la profondità intellettuale e spirituale che mi sono conquistata negli anni, posso certamente aspirare a ben altro che a lei.
Ma, chi voglio prendere in giro?
Entro nel negozio. Fingo di interessarmi a un paio di scarpe e parlo con la commessa, fino a quando lei non esce dal camerino, in abitino nero con tanto di décolleté e spalle scoperte, perfetto per una delle sue serate.
«Che sorpresa trovarti qui» dico.
Sorride. Sembra imbarazzata. Non è contenta di vedermi.
«Come stai?» mi chiede, con fare indulgente.
Rispondo “benissimo” e, mentre lo dico, e da come lo dico, sembra chiaro anche alla commessa e finanche ai manichini del negozio che non è affatto vero.
«Bene…» dice lei, sorridendo, in modo affettato, composto. Mi dà le spalle e comincia a parlare con la commessa, le chiede se si possa aggiustare un poco l’abito.
Penso a cosa dire. Che, vestita così, è uno schianto. Che, se vuole, possiamo andare a bere qualcosa, per parlare un po’. Sì, ma di che parlare? Non voglio parlare con lei. Voglio carezzarle i capelli. Affondare la testa del collo e sentire il suo inebriante profumo.
La verità è che sono un insegnante di mezz’età, con la pancetta e i capelli che imbiancano. Per lei sono stata solo un esperimento, una fase, mentre io pensavo che il nostro fosse l’amore di un vita.
Lascio il negozio, imbarazzata e confusa, senza nemmeno salutarla. La città m’inghiottisce.

In effetti abbaia forte, lo posso anche sentire tramite il casco e i rumore dell’ossigeno.
«Aspetti un attimo, lo lego.»
«Si prenda tutto il tempo che vuole» urlo.
Nel frattempo, osservo il paesaggio marziano. Il pianeta, più che rosso, tende al grigio e al color sabbia. Ogni tanto spunta una macchia verdeggiante, le piccole fattorie della pianura. Io sono stata dispensata dal lavoro manuale, anche se mi hanno dato un piccolo orto, così, per divertirmi, fra un’intervista e l’altra. A dire il vero, mi sento un po’ una venditrice porta a porta, ma dovrò scrivere un libro, qualcosa di importante. Il primo libro di antropologia che sarà scritto a proposito Marte. Sorrido al pensiero che io, la sgobbona, la persona grigia, sarò ricorda da un’eroina della cultura, nelle prossime generazioni. Insomma, da chi sarà ancora appassionato di antropologia.
La donna ha lunghi capelli castani ed è molto magra. Indossa jeans attillati ed ha una camicetta bianca. Chiedo se il cane sia legato a dovere.
«Non si preoccupi.»
Mi accoglie sul suo portichetto, sotto la casupola trasparente che ossigena l’atmosfera rarefatta. Tolgo il casco.
«Limonata?»
«Limoni di Marte?»
«I migliori. Poi le mostro gli alberi.»
«Pensavo di fare delle foto.»
«Perciò finirò in un libro?»
«Sì, penso di sì.»
«Non lo avrei mai immaginato.»
Entra in casa e riemerge con una caraffa dove galleggiano ghiaccia, acqua e fette di limone. Ha con sé due bicchieri cilindrici.
Si siede. Versa il liquido.
«Come è andata la giornata?»
«Faticosa, come al solito.»
«Chi glielo fa fare?»
Lei sorride. Mi sembra una persona felice. Penso che alla fine non ci vuole molto per essere felici. Duro lavoro. Un bicchiere di limonata. Un tramonto su Marte.
Guardiamo, in silenzio, il sole abbassarsi sull’orizzonte. Il cane emette qualche altro latrato. Non è contento di essere stato legato.
Ma, le spiego, un tramonto non è una persona.
https://domenicosantoro.art.blog/

Re: I cani di Marte

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Domenico S. ha scritto: I cani su Marte prendono un odore intenso e diventano feroci, ma sembra che l’uomo non possa fare a meno del cane, neanche qui.
Il lettore capisce meglio se fai capire che c'è anche l'uomo sul pianeta rosso.
Domenico S. ha scritto: Nel ne è presente uno
refuso, manca una parola.
Domenico S. ha scritto: . A volte annuisco, altre volte (quando mi è richiesto) dico di no con la testa
forse meglio, come frase tra parentesi: quando la domanda lo richiede).
Domenico S. ha scritto: prede da sotto la scrivania
refuso - prende -
Domenico S. ha scritto: Infine, affrontiamo l’elefante della stanza.
Sei di madrelingua inglese? Perché è un'espressione tipica inglese (Elephant in the room) per indicare una verità ingombrante sottesa ma taciuta.
Non mi viene in mente il nostro modo di dire equivalente. Non so se consigliarti comunque di cambiare quell'espressione che non è propria della lingua in cui stai scrivendo.
Domenico S. ha scritto: Intende dire, sia in caso di risposta positiva, che negativa.
toglierei la virgola dopo positiva.
Domenico S. ha scritto: Mi ritengo sciocca perché anch’io  io non ho ordinato il cocktail, mi avrebbe messo a mio agio. Ma, non bevo mai e temevo che, sotto l’effetto dell’alcol, avrei detto
Quell'anche non ha senso se l'amica ha un cocktail. È solo chi parla che non ha ordinato quello. Forse volevi scrivere:
Mi ritengo sciocca a non aver ordinato anch'io un cocktail.
Dopo la parola cocktail, preferirei i due punti.
Domenico S. ha scritto: Ma, non bevo mai
via quella virgola.
Domenico S. ha scritto: Mi dànno ispirazione per le mie canzoni.
non c'è bisogno di accento su danno
Domenico S. ha scritto: che mi avrebbe contatto, in ogni caso.
contattato
Domenico S. ha scritto: Mi chiedo perché ho fatto qualcosa di così stupida. 
qualcosa di così stupido.
Domenico S. ha scritto: L’abbiamo setacciato e studiata tutta
setacciata
Domenico S. ha scritto: Io invece sono diventato ben presto una noiosa testa d’uovo che va per la mezza età, che mette su pancetta ma non vuole saperne di andare in palestra o di coprire i capelli bianchi.
sono diventata
Domenico S. ha scritto: Mi hanno ricontatta per dirmi che
ricontattata
Domenico S. ha scritto: il mio lavoro su Marte e che non c’è bisogno alcuno io debba andare sui campi, ma che posso passare tutto il tempo a fare interviste ai locali (che noia). Io abbozzo, annuisco, mi sembra di non capire. Decido di stare al gioco. Penso che, al massimo, al prossimo incontro avrò un buon aneddoto da raccontare a Russof. Lui di solito ha quelli migliori.
Interviste ai locali? Al'inizio parlavi di coloni terrestri che si sarebbero trovati (in pochi) in un pianeta deserto (o così ho capito). Adesso sembrerebbe ci siano i marziani. Mah!
Domenico S. ha scritto: Mi siedo nella sala conferenze e, non tanto perché mi interessi, ma perché sono abituata a imparare, assorbo tutto quello che posso su Marte, sulla sua rarefatta atmosfera creata dagli eroici sforzi di decenni di terraformazione (e dalle tecnologie più avanzate mai inventate sulla Terra) e sui vantaggi e sui rischi dei viaggi spaziali. 
Decenni di terra-formazione su Marte? Di nuovo, allora dev'essere ben popolata anche di terrestri, no?
Domenico S. ha scritto: «Avete poi risolto quel problema coi cani?»
Tutti gli astanti ridono. Mi ricordo che anch’io, se voglio, ho un buon senso dell’umorismo. Alla mia ex piaceva. O almeno, per un po’ le è piaciuto. Poi è passata all’umorismo di un’altra.
Divertente, sì!
Domenico S. ha scritto: ma questo volta non ho dubbio, è lei.
questa volta non ho dubbi: è lei.


Domenico S. ha scritto: posso certamente aspirare a ben altro che a lei.
a ben altri che lei.
Domenico S. ha scritto: Rispondo “benissimo” e, mentre lo dico, e da come lo dico, sembra chiaro anche alla commessa e finanche ai manichini del negozio che non è affatto vero.
Simpatica!
Domenico S. ha scritto: Affondare la testa del collo e sentire il suo inebriante profumo.
Affondarle
Domenico S. ha scritto: La verità è che sono un insegnante di mezz’età, con la pancetta e i capelli che imbiancano.
è una donna che parla, quindi un'insegnante
Domenico S. ha scritto: La città m’inghiottisce.
meglio - m'inghiotte -
Domenico S. ha scritto: In effetti abbaia forte, lo posso anche sentire tramite il casco e i il rumore dell’ossigeno.
«Aspetti un attimo, lo lego.»
Domenico S. ha scritto: Il primo libro di antropologia che sarà scritto a proposito di  Marte.
Domenico S. ha scritto: Chiedo se il cane sia legato a dovere.
Le chiedo
Domenico S. ha scritto: mar mag 25, 2021 3:35 pmsorrido al pensiero che io, la sgobbona, la persona grigia, sarò ricordata  da un’eroina della cultura, nelle prossime
Ciao Domenico! 
Un racconto fantascientifico interessante, @Domenico S.  :)
Comincio col chiederti, però, il perché del titolo e dei riferimenti ai cani, a scapito del pianeta rosso che dovrebbe avere, in questa narrazione, il primo posto. Persino la storia d'amore va a sottrarre troppo spazio all'avveniristica iniziativa umana di popolare Marte. La fai passare - anche se è voluto non lo capisco - come una cosa normale, mettendola alla pari con l'avventura amorosa finita e il discorso sui cani. Peraltro, dell'odore di cui parli all'inizio, che i cani prendono sul pianeta Marte, perché non ne parli alla fine, con il cane trovato dall'antropologa arrivata sin lì per scrivere le sue interviste sul vivere su Marte?
Grazie della piacevole lettura!
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


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