Quattro uomini e una fata

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Quando l’auto dell’impresa funebre si  fermò, gli uomini si guardarono e senza dire una parola scesero come se la miseria di quelle case fosse anche la loro. Il palazzo stava in piedi, ma sembrava senza più voglia, aveva le rughe di una donna che ormai si era lasciata vincere dal tempo. I panni stesi di ogni colore si alzavano al vento, parevano vele ancorate in un porto senza mare. Sul muro  all’ingresso del palazzo popolare c’era una scritta che qualcuno aveva provato a cancellare, ma che prontamente era stata riscritta: “prima o poi mi ammazzo o vi ammazzo”. Entrarono nel cortile ed era come affrontare un percorso ad ostacoli, si camminava facendo attenzione ad evitare passeggini e biciclette.
La portinaia, una donna sui quarantacinque anni,  uscendo dalla guardiola indicò ai quattro la scala B quinto  piano. Il più anziano tra loro la ringraziò con misurata gentilezza. La casa non aveva l’ascensore, i gradini erano consumati e il colore del corrimano ormai scomparso, si intravedevano scritte con un pennarello , scarabocchi, sigle e un cuore rosso con dentro due lettere. 
Avanzando uno dei quattro disse sottovoce: - Qui scordatevi mance.
Il gruppo annuì stirando un sorriso.  
- Speriamo, vista l’altezza dei gradini, che non sia un carico pesante. 
Intanto che salivano scherzavano, la morte per loro era un ufficio di tutti i giorni.
-Hai visto capo come ti guardava ?
Lui rise e aggiunse:- Quando ero giovane vi posso assicurare che ho provato di persona  l’interesse delle portinaie per i pantaloni e per quello che c’è dentro.
Tutti risero, ma Gino, arrivati davanti alla porta, comandò di tornare ad indossare la giusta maschera e  prima di arrivare alla porta passò in rivista la sua squadra: Carlo, quello alto, era sempre inappuntabile, a Giuseppe invece andava sempre controllata la cravatta e Dino aveva la scarpa sinistra sporca di polvere e la barba da fare. Se fosse per Gino solo Carlo sarebbe entrato, gli altri non avevano un minimo di stile.
 - Appena finiamo di lavorare Giuseppe vatti a tagliare i capelli e tu Dino radi meglio la barba.
Giuseppe annuì con la testa  e Dino si toccò la guancia come se non si fosse accorto della barba cresciuta.
-Cosa diamine hanno in testa i giovani?- sussurrò tra sé Gino - Ai miei tempi se non ti presentavi perfetto ti mandavano a vestire i morti.-
Con delicatezza suonò il campanello poi attese con gli altri dietro. Venne ad aprirgli un uomo anziano ancor solido al quale non uscirono  molte parole. In quella casa, come spesso accade dove vivono degli anziani, tutto raccontava di un tempo distante, così lontano da quello tecnologico che circola nel presente. Oltre il muro di vecchie stampe e fotografie appese un piccolo bagno e una stanza semichiusa. Il vecchio li precedette aprendo la porta: entrarono solo Gino e Giuseppe,  gli altri attesero essendo la stanza troppo stretta per sostare tutti insieme. Sul letto con un vestito modesto composta da morta c’era Ada, sua moglie da quarant’anni .  
Gino sapeva che il silenzio in certe situazioni vale un milione di parole. Il vecchio sospirava con gli occhi umidi. Ognuno dei quattro usava il suo corredo di parole ormai collaudate per dare un qualcosa di simile ad un conforto. Domani sarebbe stato un giorno di nuvole scure, di muti pensieri  e di un secco freddo che avrebbe avuto per lui le stesse labbra gelate di Ada. Il vecchio lo sapeva, lo aveva  già visto per sua madre, per suo padre e per tanti altri suoi amici: il momento peggiore sarebbe stato, con il passare dei mesi, sostenere il compromesso di dover vivere solo con l’incessante presenza  dei ricordi.
 Ada era morta nel sonno senza dare nessuna avvisaglia, Arturo  l’aveva scossa e poi le aveva urlato.
-Svegliati poltrona, il caffè stamattina l’ho fatto io.
Nel presente la testa girava come se fosse sull’Himalaya senza ossigeno, ma ora il tempo della vita lo obbligava a risolvere i problemi pratici. Le carte da firmare per l’agenzia, parlare e rispondere alla gente che si accalcava per dire le stesse cose che non voleva più sentire. Se avesse potuto sarebbe scappato dissolvendosi come in un sogno. La morte è un tale affanno per i vivi, obbligati a fermarsi e a interrogarsi: il  tempo della morte fa sospendere le sicurezze la gente prova a dire o meglio a pensare,  ma tutto risulta complicato come parlare sottacqua.
 - L’ho già detto al telefono i soldi ve li do un po’ alla volta, appena arriva la pensione.
-Non si preoccupi ho già parlato con il titolare, so già tutto- Gino cerca di parlare e di distrarlo- E’ sempre vissuto qui?
-Sempre, ma un tempo era molto meglio,  ora i padroni se ne fregano, affittano a chiunque, case da due locali ci vanno dentro in sei o sette e tutto va in malora.
Gino annuì. - I tempi cambiano e non sempre in meglio. 
Nel frattempo suonò il campanello: erano Carmela, la portinaia, con altre vicine che venivano a dare l’ultimo saluto. Erano donne anziane e una si rivolse a Gino facendosi prima il segno della croce.
- Conosco il signor Arturo e la signora Ada da trent’anni, che dispiacere  sono sempre stati insieme. Un’altra a bassa voce sussurrò:  - Era proprio una brava donna.- Pregavano ognuna muovendo in silenzio le labbra, Carmela le mise un rosario al collo, le diede un bacio sulla guancia e si allontanò. Il piccolo corteo in meno di quindici minuti si dileguò, davanti alla morte le parole paiono non restare ferme. Ogni persona  che esce o che entra si raccoglie nel  tempo della morte, è l’unico momento di autentica verità dove per un attimo i piccoli inganni quotidiani non funzionano.
Giuseppe e Dino erano usciti per dar spazio ad altre persone della casa che venivano a trovare Ada. Carmela è anche lei fuori, si  accende una sigaretta per poi subito dopo due boccate spegnerla.  -Pover’uomo ora è proprio solo. Guardando verso il basso si sentivano dei ragazzini scarmigliati vociare.
Carmela dall’alto li sgridò: - Fate silenzio, abbiate rispetto qui c’è un morto- poi  con fare da maresciallo aggiunse- Quando scendo li aggiusto io.
Giuseppe e Dino la guardarono mentre  con fare militare imponeva il silenzio con il dito a due extracomunitari che parlavano ad alta voce .
 Gino uscì e li guardò con fare serio: Giuseppe e Dino non ebbero bisogno di sentir le sue parole, bastò vedere nei  suoi occhi  la disapprovazione. Era tempo di finire il loro lavoro. I quattro si radunarono in quella piccola stanza, la gente uscì, il momento era giunto. La bara aperta sembrava un abisso nero in cui Ada doveva sprofondare.  Arturo ebbe uno strappo al cuore quando sentì i bulloni girare per sigillare la cassa. Quando tutto fu pronto, Arturo  esitò, parve non ancora pronto a lasciare quel  centro di gravità con il quale aveva condiviso le innumerevoli sabbie mobili della vita. L’onnipresente Carmela lo prese sottobraccio e provò a confortarlo. Lui parve sul momento rassegnarsi a lasciarla andare.
Quando i quattro furono pronti a caricarsi sulle spalle Ada, Arturo mosse una richiesta: -La voglio portare anch’io la mia Ada.
Gino cercò di dissuaderlo, ma Arturo si mise ad ostacolo sulla porta d’ingresso.
-E’ mia moglie, non la lascio da sola, lei non lo vorrebbe.
-Le scale sono strette, bisogna avere perizia ed essere affiatati, non è cosa semplice, noi lo facciamo come mestiere- provò a dire Gino.
Gli altri della squadra stavano in silenzio, ma ognuno pensava che stessero perdendo tempo e che il tempo in più certo non sarebbe stato  pagato. Carmela provò a portarlo verso la ragione, ma Arturo fu irremovibile, o la bara scendeva con lui o non sarebbe scesa.  La paura di Gino era che avesse un cedimento: pareva ancora un uomo forte, ma provato e lui sapeva per esperienza che la sofferenza taglia le gambe.
-Va bene ,faremo come vuole Lei signor Arturo.
Gino guardò i suoi uomini li conosceva e sapeva  che chi fosse stato  eliminato non sarebbe stato felice, non tanto per il lavoro quanto per il fatto di essere escluso. Gino non voleva problemi sul lavoro, i malumori creano musi lunghi e insofferenze, aveva formato lui la squadra e ne aveva viste già troppe di squadre dissolversi per un ‘inezia. In pochi anni sarebbe andato in pensione e voleva  farlo con gente con cui avesse almeno un minimo di rapporto.  Per un attimo guarda Carlo, Giuseppe, Dino.
-Lei signor Arturo prenderà il mio posto, io vi precederò. Mi raccomando, deve stare attento a tutti i miei suggerimenti.
Arturo annuì, sommerso da un dolore così forte che ogni cosa detta arrivava rallentata. I tre più l’aggiunto Arturo si misero in posizione e al tre la bara si alza, poi piano  si muove per uscire dalla stanza. Usciti sul ballatoio Gino come un vigile dirigeva contando ad alta voce i gradini. Le scale  strette sono fatte per i vivi non per portare sulle spalle i morti. Arturo era accanto a Carlo che cercava di fare la cosa giusta caricandosi la parte maggiore del peso:  l’anziano sembrava  in trance, avanzava con gli occhi chiusi, una foglia schiacciata dal peso dell’inverno.  Arrivati nel cortile Gino gli chiese se volesse il cambio, ma lui non rispose scosse solo la testa in senso contrario. Nel cortile molte gente, qualcuno toccò la bara, una donna aveva le mani giunte in segno di preghiera, un’altra dei fiori in mano che Gino rapido raccolse. Da quella casa diroccata che sembrava aver scampato una guerra uscirono tutti per salutare Ada . Arturo aveva gli occhi sofferenti tolti per pudore al pianto, la gente lo voleva aiutare, ma lui li scostò, la morte quel giorno era un affare solo suo.
 Si scorgeva nelle trame nel cielo uno spazio di luce, ma Arturo vedeva solo quella cassa di legno deposta con sopra dei fiori.
Finito il lavoro Gino ritornò con la sua squadra: Arturo rimase al cimitero, li aveva voluti  ringraziare uno per uno per averlo accontentato e quando Gino lo vide cercare nelle tasche  era troppo tardi per fermarlo. Arturo consegnò nascondendo nella mano pochi  stropicciati soldi come se fossero diamanti.  
Se il  tempo della morte rimane nella testa dei vivi diventa un acido che corrode ogni pensiero, istintivamente bisogna riprendere a respirare senza sentire il suono del dolore. I quattro tornando verso casa avvertirono la necessità di ubriacarsi di vita parlando di tutto, di calcio e di donne e perfino di musica. Il  tempo della vita risorgeva con la sua divisione di torti e di ingiustizie da restituire, di soldi da mettere da parte, di vacanze da progettare, di bollette da pagare.  Arrivati in sede Carlo scappò ad una partita di calcetto con gli amici, Giuseppe doveva incontrarsi con la ragazza e Dino, specialista degli incontri virtuali, aveva pescato una ragazza e stava provando a farla abboccare all’amo con frasi copiate e ricette di cucina. Non è facile per uno che fa il loro mestiere  avere una ragazza la superstizione li fa allontanare dal consorzio civile. Le donne appena sanno il lavoro che fanno storcono  il naso e allora bisogna dar fiato al mentire come fa Dino che si definisce “libero professionista” e poi sperare che col tempo qualcuna si abitui.
Mentre tutti se ne andarono Gino si bevve un caffè dalla macchinetta della ditta e poi controllò un’ultima volta la macchina: tutto pareva a posto, ma notò un bigliettino su carta povera, lo raccolse e lesse “Signora Tarzi vedova Maini “. Perplesso lo guardò e stava per gettarlo quando un’illuminazione lo colse. In quel fragile palazzo  una donna anziana gli si era avvicinata dicendogli:  - Io vorrei prenotarmi, posso?
Gino in quel trambusto l’aveva ascoltata a metà: - Prenotarsi per cosa signora?
La donna era seria e mentre in quel cortile si svolgeva una celebrazione popolare lei chiedeva di prenotarsi per una morte come quella della signora Ada.
-E’ stata una bella cerimonia, voglio morire proprio cosi.  Capisce la mia scrittura? La portinaia l’avviserà quando la mia vita giungerà al termine.
Diamine non c’era tempo in quel trambusto per un’altra stranezza. Gino aveva annuito salutando con rispetto la vecchina e facendo finta di leggere il biglietto per poi gettarlo nel fondo della sua tasca. Il tutto era durato più o meno forse due minuti. Doveva essere uscito  dalla tasca quando se l’era tolta o magari quando aveva preso il pacchetto di sigarette.
Tornando a casa pensò ancora di gettare il biglietto, ma all’ultimo ci ripensò, meglio non scherzare con la morte. Prenotarsi  per la morte era certo cosa bizzarra, quella sera avrebbe avuto da raccontare qualcosa di diverso a sua moglie. Stavolta a lei che non voleva sentire parlare del suo lavoro, non avrebbe raccontato  di pianti o di dolore, ma di una storia inaspettata. Invece di guardare finire le macerie di una sera come mille altre, avrebbe narrato di un appuntamento promesso a una signora che si era inventata la  prenotazione da viva per la morte.
Dopo qualche giorno ripassò da quel quartiere ed entrò nel palazzo. C’era la solita Carmela che battagliava con degli inquilini per la raccolta differenziata. Si accorse subito di lui e con fare da civetta si sciolse i capelli e si avvicinò.
- Quale cattiva notizia la porta qui?
 Gino andò subito al punto e chiese della signora anziana, voleva saperne di più, ma lei rispose che a quel nome non corrispondeva nessuno del palazzo  e per dimostrarlo tirò fuori l’elenco dei condomini dove nessuno corrispondeva a quel nome.
Uscì ringraziando con un sorriso amaro, con passi insicuri e con in testa la voce di quella piccola donna. Cosa diavolo ci faceva in quel quartiere abbandonato con facce calpestate da vite complicate? Lui che si era abituato a sostare con sulle spalle la morte ora si trovava smarrito sperando  di avere qualche notizia su una vecchietta con gli occhiali e la voce sottile che aveva  scritto due righe con scrittura incerta per prenotarsi anticipando la morte. Forse era stanco e se l’era immaginata o forse il biglietto era di chissà quale altro cliente. Probabilmente si  era confuso. forse era come diceva sua moglie davvero esaurito. Quando si fa un lavoro con la morte l’immaginazione ti aiuta a essere da altre parti mentre sei immerso in  un mare salato delle lacrime.  Ma se non fosse stata solo una sua fantasia? Se fosse invece la realtà?  Gino alzò gli occhi e tra gli scuri delle persiane intravide una luce: magari era lì che abitava, o forse era solo bello pensare cosa stava facendo, mangiava o magari stava facendo i mestieri o litigando da sola con i ricordi.  Forse era una fata, di quelle che si dice ogni tanto appaiono: la regina saggia del quartiere, divenuta senza accorgersene anziana che ora spendeva il tempo della vita in un palazzo dalle mille ferite, con anime disorientate, urlanti, che cercavano di sollevarsi da terra, promettendo a tutti meno che a loro stessi di cambiare vita, ma poi rimanevano incollati, immobili, fermi , come una  macchia d’ umidità appesa al muro.                                          

Re: Quattro uomini e una fata

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Sarano ha scritto: Se il tempo della morte rimane nella testa dei vivi diventa un acido che corrode ogni pensiero, istintivamente bisogna riprendere a respirare senza sentire il suono del dolore
Ho letto il tuo racconto, mi è piaciuto molto.  Ora non posso fermarmi a commentare, ma spero di tornare presto. Tratti un tema che mi sta molto a cuore: com'è la vita di chi, quotidianamente, ha a che fare con i corpi dei morti e col dolore degli altri? Può essere banale la morte? Originale e leggiadra la presenza della signora/fata.
Grazie e un saluto, @Sarano.
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Re: Quattro uomini e una fata

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Sarano ha scritto: Quando l’auto dell’impresa funebre si  fermò, gli uomini si guardarono e senza dire una parola scesero come se la miseria di quelle case fosse anche la loro.
metterei "e si guardarono" in inciso. Magari un ; dopo fermò.
Sarano ha scritto: I panni stesi di ogni colore si alzavano al vento, parevano vele ancorate in un porto senza mare
bellissima immagine
Sarano ha scritto: all’ingresso del palazzo popolare c’era una scritta che qualcuno aveva provato a cancellare, ma che prontamente era stata riscritta:
"scritta" e "riscritta" si sentono, occorre un sinonimo. Graffito?
Sarano ha scritto: La casa non aveva l’ascensore, i gradini erano consumati e il colore del corrimano ormai scomparso, si intravedevano scritte con un pennarello , scarabocchi, sigle e un cuore rosso con dentro due lettere. 
scomparso. Sotto si...
Sarano ha scritto: Hai visto capo come ti guardava ?
..., capo,...
Sarano ha scritto: Tutti risero, ma Gino, arrivati davanti alla porta, comandò di tornare ad indossare la giusta maschera e  prima di arrivare alla porta
doppia "porta" , "prima di bussare"?
Sarano ha scritto: Se fosse per Gino solo Carlo sarebbe entrato, gli altri non avevano un minimo di stile.
forse sbaglio, ma ci vedrei di più un trapassato "fosse stato"? e senza il "se".
Sarano ha scritto: Appena finiamo di lavorare Giuseppe vatti a tagliare i capelli e tu Dino radi meglio la barba.
i nomi fra gli incisi
Sarano ha scritto: come se non si fosse accorto della barba cresciuta.
doppia barba, quella sopra può andar via con un "la prossima volta raditi meglio"?
Sarano ha scritto: Ai miei tempi se non ti presentavi perfetto ti mandavano a vestire i morti.-
"...tempi, se non ti vestivi perfetto, ti..."
Sarano ha scritto: Venne ad aprirgli un uomo anziano ancor solido al quale non uscirono  molte parole.
ancor solido nell'inciso. Curiosa scelta lessicale, comunque. Di sapore antico.
Sarano ha scritto: In quella casa, come spesso accade dove vivono degli anziani,
anziano sopra e anziani sotto. Si ripete.
Sarano ha scritto: Sul letto con un vestito modesto composta da morta c’era Ada, sua moglie da quarant’anni .  
manca il soggetto (brutte bestie, i soggetti :) )
Sarano ha scritto: Domani sarebbe stato un giorno di nuvole scure, di muti pensieri  e di un secco freddo che avrebbe avuto per lui le stesse labbra gelate di Ada
"lui" sembra che si riferisca a "Gino"
Sarano ha scritto: il momento peggiore sarebbe stato, con il passare dei mesi, sostenere il compromesso di dover vivere solo con l’incessante presenza  dei ricordi.
quanto è vero!
Sarano ha scritto: Ada era morta nel sonno senza dare nessuna avvisaglia, Arturo  l’aveva scossa e poi le aveva urlato.
Non so se può funzionare che il nome del marito salti fuori così, di punto in bianco.
Sarano ha scritto: il  tempo della morte fa sospendere le sicurezze la gente prova a dire o meglio a pensare,  ma tutto risulta complicato come parlare sottacqua.
bellissima, ma: "sicurezze; la gente prova a dire, o meglio a pensare,..."
Sarano ha scritto: L’ho già detto al telefono i soldi ve li do un po’ alla volta, appena arriva la pensione.
-Non si preoccupi ho già parlato con il titolare, so già tutto
troppi "già" gli ultimi due possono sparire. "...si preoccupi,..."
Sarano ha scritto: -Sempre, ma un tempo era molto meglio,  ora i padroni se ne fregano, affittano a chiunque, case da due locali ci vanno dentro in
"meglio. Ora i padroni se ne fregano e affittano a chiunque:..."
Sarano ha scritto: Conosco il signor Arturo e la signora Ada da trent’anni, che dispiacere  sono sempre stati insieme
manca il segno di chiusura della battuta
Sarano ha scritto: Ogni persona  che esce o che entra si raccoglie nel  tempo della morte, è l’unico momento di autentica verità dove per un attimo i piccoli inganni quotidiani non funzionano
questa la trovo posticcia, perdonami. Tutte le altre frasi le sento così azzeccate e vere, questa no.
Sarano ha scritto: Giuseppe e Dino erano usciti per dar spazio ad altre persone della casa che venivano a trovare Ada
"casa" richiama l'abitazione privata. "Stabile"? "condominio"?
Sarano ha scritto: poi  con fare da maresciallo aggiunse- Quando scendo li aggiusto io.
Giuseppe e Dino la guardarono mentre  con fare militare imponeva il silenzio
"fare da..." ricorre, il secondo può andarsene e la frase non ne risente. "Imporre" è un verbo forte.
Sarano ha scritto: Gino uscì e li guardò con fare serio: Giuseppe e Dino non ebbero bisogno di sentir le sue parole, bastò vedere nei  suoi occhi  la disapprovazione.
se disapprova i dipendenti non ho capito il perché, se disapprova i vicini non si capisce bene
Sarano ha scritto: -Va bene ,faremo come vuole Lei signor Arturo.
perché acconsente?
Sarano ha scritto: Gino guardò i suoi uomini li conosceva e sapeva  che chi fosse stato  eliminato non sarebbe stato felice, non tanto per il lavoro quanto per il fatto di essere escluso.
perché risentirsi se non per motivo economico-lavorativi? Attenzione che sotto ripeti "lavoro".
Sarano ha scritto: i malumori creano musi lunghi e insofferenze, aveva formato lui la squadra e ne aveva viste già troppe di squadre dissolversi per un ‘inezia
insofferenze. La squadra l'aveva formata lui e ne aveva già... o una cosa simile
Sarano ha scritto: I tre più l’aggiunto Arturo si misero in posizione e al tre la bara si alza, poi piano  si muove per uscire dalla stanza
doppio "tre"
Sarano ha scritto: Nel cortile molte gente, qualcuno toccò la bara, una donna aveva le mani giunte in segno di preghiera, un’altra dei fiori in mano che Gino rapido raccolse.
metterei un verbo essere all'inizio
Sarano ha scritto: Da quella casa diroccata che sembrava aver scampato una guerra uscirono tutti per salutare Ada
di nuovo non sono sicura, ma "erano usciti tutti"? Perchè la gente è già lì.
Sarano ha scritto: Si scorgeva nelle trame nel cielo uno spazio di luce,
nelle trame del cielo
Sarano ha scritto: Non è facile per uno che fa il loro mestiere  avere una ragazza la superstizione li fa allontanare dal consorzio civile.
Avere una ragazza, per uno che fa il loro mestiere, non è facile. La superstizione...
Sarano ha scritto: macchinetta della ditta e poi controllò un’ultima volta la macchina
"macchinetta" e "macchina"
Sarano ha scritto: La portinaia l’avviserà quando la mia vita giungerà al termine.
sicuro che qualcuno si esprimerebbe mai in maniera così precisa? :-)
Sarano ha scritto: Diamine non c’era tempo in quel trambusto per un’altra stranezza.
diamine, non c'era stato (perché ormai la cerimonia è nel passato)


Ok, ti ho fatto le pulci, però devo pubblicare un mio racconto e dovevo. Te le avrei fatte in ogni caso, credo, perché il racconto merita. E' delicato, sottile e leggero in un tema pesante come pochi altri. I colleghi di Gino sono utili solo nella parte finale e durante la discesa della bara. Bisognerebbe o dargli più spazio o azzittirli del tutto (i portatori devono essere 4, quindi non si possono tagliare). La punteggiatura qua e là traballa, qualcosa mi è scappato di sicuro.
Comunque, bravo. Davvero.

Re: Quattro uomini e una fata

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Sarano ha scritto: sembrava senza più voglia, aveva le rughe di una 
suggerisco i due punti che introducono una spiegazione, al posto della virgola
Sarano ha scritto: I panni stesi di ogni colore si alzavano al vento, parevano vele ancorate in un porto senza mare.
Complimenti per questa immagine!
Sarano ha scritto: come affrontare un percorso ad ostacoli, si camminava facendo attenzione ad evitare passeggini e biciclette.
al posto della virgola, qui ti consiglio di far fare una sosta maggiore con un punto e virgola
Sarano ha scritto: La casa non aveva l’ascensore, i gradini erano consumati e il colore del corrimano ormai scomparso, si intravedevano scritte con un pennarello , scarabocchi, sigle e un cuore rosso con dentro due lettere. 
Anche qui sopra, un punto e virgola a metà frase darebbe più respiro al periodo.
Sarano ha scritto: Intanto che salivano scherzavano, la morte per loro era un ufficio di tutti i giorni.
Due punti al posto della virgola
Sarano ha scritto: -Hai visto capo come ti guardava ?
- Hai visto come ti guardava, capo?
Sarano ha scritto: Tutti risero, ma Gino, arrivati davanti alla porta, comandò di tornare ad indossare la giusta maschera e  prima di arrivare alla porta passò in rivista la sua squadra
Ti suggerisco di fare un inciso, questo:

... indossare la giusta maschera e, prima di arrivare alla porta, passò in rivista la sua squadra.
Sarano ha scritto: Se fosse per Gino solo Carlo sarebbe entrato, gli altri non avevano un minimo di stile.
Se fosse dipeso da Gino, solo Carlo sarebbe entrato: gli altri non avevano un minimo di stile.
Sarano ha scritto: - Appena finiamo di lavorare Giuseppe vatti a tagliare i capelli e
Giuseppe mettilo tra due virgole
Sarano ha scritto: Oltre il muro di vecchie stampe e fotografie appese un piccolo bagno e una stanza semichiusa. Il vecchio li precedette aprendo la porta: entrarono
Ti è sfuggito quel punto dopo "semichiusa" dove ci sta una virgola.
Sarano ha scritto: Sul letto con un vestito modesto composta da morta c’era Ada, sua moglie da quarant’anni .  
Fai anche qui un inciso per la frase -  composta da morta -
Sarano ha scritto: Ognuno dei quattro usava il suo corredo di parole ormai collaudate per dare un qualcosa di simile ad un conforto. Domani L'indomani sarebbe stato un giorno di nuvole scure, di muti pensieri e di un secco freddo secco che avrebbe avuto per lui le stesse labbra gelate di Ada. 
Immagine riuscita e di grande significato.
Sarano ha scritto: il  tempo della morte fa sospendere le sicurezze la gente prova a dire o meglio a pensare,  ma tutto risulta complicato come parlare sottacqua.
Due punti dopo "sicurezze" per aprire il chiarimento del concetto.
Fai attenzione, in generale, agli spazi che lasci di troppo.
Sarano ha scritto: L’ho già detto al telefono che i soldi ve li do un po’ alla volta, appena arriva la pensione.
Sarano ha scritto: - Conosco il signor Arturo e la signora Ada da trent’anni, che dispiacere...  sono Sono sempre stati insieme.
Sarano ha scritto: Gino guardò i suoi uomini li conosceva e sapeva
Due punti dopo "uomini"
Sarano ha scritto: ma lui non rispose, si limitò a scuotere  scosse solo la testa in senso contrario. 
Sarano ha scritto: Arturo consegnò nascondendo nella mano pochi  stropicciati soldi come se fossero diamanti.  
Se il  tempo della morte rimane nella testa dei vivi diventa un acido che corrode ogni pensiero, istintivamente bisogna riprendere a respirare senza sentire il suono del dolore.
Belle frasi: siamo fatti per sopravvivere. Bravo!  (y)
Sarano ha scritto: per uno che fa il loro mestiere  avere una ragazza la superstizione li fa allontanare dal consorzio civile. 
Frase confusa, da aggiustare.
Sarano ha scritto: Mentre tutti se ne andarono andavano, Gino si bevve un caffè dalla macchinetta della ditta e poi controllò un’ultima volta la macchina: 
post_id=14529 ha scritto:
Sarano ha scritto: Lui che si era abituato a sostare con sulle spalle la morte
Bravo! 
Una frase che fa pensare. Portare, per lavoro sì, ma comunque "abituato a sostare con sulle spalle la morte" non è cosa da poco. Vuol dire sentire il peso di quello che diventeremo: abbandonati a un uguale destino, dello stesso "peso".
Sarano ha scritto: Probabilmente si  era confuso. forse era come diceva sua moglie davvero esaurito. 
C'è un punto prima di "forse".
Potresti riscrivere così:
Probabilmente si era confuso: forse era davvero esaurito, come diceva sua moglie.

@Sarano 
Hai fatto un bel lavoro, raccontando una giornata dell'impresario delle pompe funebri, e il suo rapportarsi, con serietà e correttezza,
coi suoi dipendenti e coi clienti, i parenti del defunto. Apprezzo il tuo tratto di scrittura.
Hai anche inserito questa misteriosa signora che chiede di usufruire dei suoi servizi quando sarà il suo momento, ma che nessuno conosce. Apparsa come una fata e poi dispersa.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: Quattro uomini e una fata

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Ciao @Sarano 
Un’ambientazione e personaggi particolari.
Come particolari sono gli addetti alle pompe funebri, i titolari specialmente, che di solito fanno quel lavoro da una vita.
Nel tuo racconto Gino e i suoi sono abbastanza scanzonati, quel tanto che ci vuole quando si ha a che fare quotidianamente con la morte; è una cosa naturale del resto.
Vivida la descrizione del modesto palazzo dove si recano, in pochi tratti crei un’immagine molto realistica.
La portinaia che guarda Gino e i suoi relativi commenti con i colleghi… mi squalificano un po’ il personaggio, non che abbia detto nulla di male, forse sono io troppo “puritano”, mi aspetto sempre una compartecipazione totale di tutti i personaggi all’evento nel quale sono inseriti ed essendo qui una questione seria non dico che debbano piangere tutti di dolore ma… ripeto: è solo una mia personale veduta, magari stonata.
Gino si rifà passando in rassegna l’aspetto dei suoi dipendenti, come a una parata militare.
Ci vuole stile anche davanti alla morte, da parte loro questo è il minimo che si possa richiedere in effetti.
Il vecchio Arturo, marito della morta Ada, appare un personaggio molto dignitoso nel suo dolore, come sono quasi tutti i vecchi del resto.
Molto bella la rapida descrizione della sua casa, con un rapido giro ce la mostri tutta e ci fai intuire la semplice vita che marito e moglie vi hanno condotto per tanti anni.
Commovente la richiesta di Arturo di portare a spalla la bara della moglie, si sente in obbligo di farlo, deve farlo e ottimamente inserite le perplessità tecniche di Gino.
Carmela che impone il silenzio ai ragazzini e specialmente agli extracomunitari mi è piaciuta per molteplici motivi. I ragazzini possono essere capiti, non lo fanno per mancanza di rispetto o noncuranza, ma gli altri  forse no.
Molto veritiero anche il corollario delle vicine, le loro azioni: molto veritiere e descritte bene, con poche scarne parole.
Poi, portata via la bara la vita riprende come prima. Ti sei concentrato sui membri delle pompe funebri, ognuno con le sue abitudini.
Poi salta fuori il biglietto della signora misteriosa nella tasca di Gino. Ricorda e non ricorda, quella signora è una figura evanescente, sembra che non esiste, nessuno la conosce, eppure si è prenotata per essere portata via anche lei, come Ada, quando sarà morta.
Non si riesce a sapere nulla di più di questa “fata” del quartiere,  fai diverse supposizioni, molto belle e suggestive; un’anima candida invecchiata in quel palazzo, pure se sconosciuta, magari esiste davvero, chissà.
In un primo momento, leggendo il titolo avevo pensato che la “fata” potesse essere la morta, ma mi sono sbagliato. Questo personaggio, pur comparendo poco risulta ad ogni modo affascinante e commovente.
Hai creato una bella storia, molto delicata nonostante l’argomento e il comune pensare quotidiano dei portantini che in fondo, si sa, sono sempre uomini e così si comportano, nella maggioranza.
Una bella scrittura a mio parere, di facile e immediata comprensione, scarna e precisa.
Il racconto mi è piaciuto.
 
 
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: Quattro uomini e una fata

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Ciao @Sarano ,

Credo sia la prima volta che leggo un tuo racconto, se ci fossimo invece già incrociati, me ne scuso, ma l’età non gioca a favore della memoria.

Il racconto ha molte buone cose, tra le altre quella di evidenziare che tu possieda un buon potenziale di narratore.
La scrittura è scorrevole e articolata.
Ho trovato molto riuscite alcune cose che hai usato, ad esempio:

“ I panni stesi di ogni colore si alzavano al vento, parevano vele ancorate in un porto senza mare.”

Questa immagine mi sarebbe piaciuto d’essre in grado ci concepirla in un mio scritto.

“Ai miei tempi se non ti presentavi perfetto ti mandavano a vestire i morti”

Così come questa fugace e gustosa considerazione.

“e Dino si toccò la guancia come se non si fosse accorto della barba cresciuta.”

Ottima questa chicca di attenzione, che rende di un’efficace realismo, la scena.

Come detto, nel tuo racconto si trova una spiccata propensione a raccontare scrivendo.
Nello specifico del racconto, a mio parere, ci troviamo davanti a un progetto irrisolto.
Cerco di spiegarmi, hai usato il format del racconto lungo, più per il piacere di dilungarti che di creare una storia compiuta.
Tutte le lunghe e analitiche descrizioni delle varie scene che compongono il racconto, risultano più un esercizio nel quale mettere in pratica la tua capacità descrittiva che il reale intento di finalizzarle alla creazione di una storia convincente e per come dire con una sua morale conclusiva.
In fondo i racconti sono in qualche modo delle fiabe per adulti, quando anche si cerchi di destrutturarli dalle canoniche modalità del narrare, alla fine devono contenere un qualche messaggio (morale o etico) che sia conclusivo a una teoria di pensiero.
In altre parole si racconta una storia di qualsivoglia genere e argomento, che rappresenti o simboleggi una tesi, un’idea, una visione, un’opinione, un’istanza condivisa o avversata dall’ autore.

Ecco nel tuo lungo racconto si allineano una serie di situazioni, riccamente e minuziosamente descritte, che non conducono a una conclusione letterariamente “forte” e “risolutiva”.
La storia della vecchietta che dovrebbe dare il senso anche al titolo del racconto, ci appare alla fine quasi marginale, al punto che il protagonista dubita quasi di averla realmente vissuta.

Insomma un lungo racconto, con una prolissa quantità di scrittura, con elementi interessanti al suo interno, che avrebbero meritato una trattamento più sintetico e organizzato.
Direi che partendo da questo materiale potresti creare un nuovo testo più ragionato e organico.

Attendo di leggerti in un nuovo racconto.

Un saluto e buon lavoro.
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