Il sogno del colonnello
Posted: Sun Jan 31, 2021 10:14 pm
Il sogno del colonnello
Notte sulla città, la gente si avvia alle sette-otto ore di morte necessarie per ritrovare sopportabile la vita. Il silenzio dilaga come una bolla, restano solo ronzii di sottofondo, inudibili per lunga assuefazione. Eppure, ascoltando bene, qualcosa sale da palazzi, case, stanze: si addensa in una nube che cresce di minuto in minuto, lampeggia, mormora.
Cosa c’è dentro? Voli nell’azzurro, corse impedite da zavorre invisibili, oscenità inconfessate: le belve, tenute a freno tutto il giorno, sfondano i cancelli delle gabbie e si riversano nei labirinti fino alle sale comando incustodite; le mettono a soqquadro, rovesciano tavoli, cassetti, sparpagliano fogli, fotografie, ritratti.
Assessori, camionisti, notai, cuoche, centravanti: tutti sognano tutti, nella grande, misteriosa tempesta notturna, in cui nessuno sa da chi è sognato, da chi è silenziosamente spiato e manovrato.
Dorme nella sua stanza il colonnello Arturi. Andato a letto presto, ha sfogliato qualche antico pensiero che ha viaggiato per secoli su carte, ha spento la luce e con meticolosa, militaresca puntualità, ha iniziato a sognare.
Carlo! Parti subito, per carità! Parti subito, se vuoi salvarti!
Il colonnello si agita, si rigira, infine accende la luce: le due.
- Mia moglie, erano anni che non... ma che diavolo diceva? Parti, salvati? Bah, che stronzate! - clic.
Carlo, c’è poco tempo! Parti, vieni qui prima possibile, è l’unica salvezza!
Clic, le tre e mezzo.
- Maledizione, che cazzo... salvarmi? Possibile... e se fosse? Assurdo, eppure, è la prima volta che succede. Ma dov’era? Sembrava una stazione di servizio, forse in autostrada? Sì, c’era un cartello, un cartello che indicava un’uscita, Lago... forse, sì, Lagonegro, mi pare proprio Lagonegro. Che idiozia! E se invece fosse vero? Se ne uscissi? Forse...
Quattro e venti, il colonnello spunta dal portone, sella la macchina e sprona verso gli spazi aperti. Mezz’ora dopo entra nella Salerno-Reggio, il gran monumento eretto dagli uomini all’infinito.
Cosenza, poi Tarsia, poi l’alba era viola. Arturi sfila sotto i grandiosi bastioni dell’Olimpo calabro-lucano, valica la Roncisvalle bruzia, vertiginosi i viadotti sulla nebbia, verde il cartello di Lagonegro, ecco la stazione di servizio: sembra proprio lei, e ora?
Scende dalla macchina, benzinai cinguettano nel mattino. Il colonnello ha un piccolo problema, non è usuale affrontare il benzinaio medio italiano e chiedergli: “Senta, stanotte ho sognato mia moglie in quest’area di servizio che mi riferiva qualcosa d’importante, lei che ha da dire al riguardo?” Le possibili risposte lo preoccupano. Si avvicina a quello che sembra il capo spirituale del posto:
- Salve, vorrei farle una domanda, un po’ curiosa, forse, perché… ah, mi presento: colonnello Arturi. Dicevo, stanotte ho fatto un sogno, come dire, particolare...
L’uomo ha ascoltato quel discorso smozzicato come uno disturbato per un euro di gasolio mentre era al cesso, ma alla parola “sogno” il viso gli s’illumina:
- Ma guarda! Pure io ne ho fatto uno strano, stamattina presto; stavamo mangiando con mio genero e a un certo punto mi fa: “Per qualsiasi cosa mandalo da me”. Io gli chiedo: ”Ma chi?”, “Mandalo da me, ci penso io”.
- Ah, benissimo, dove posso trovarlo?
- Fa il vigile urbano a Colleferro.
- Colleferro?
- Eh, già.
Arturi varca le colonne d’Eboli, dove, a millenni alterni, comincia o finisce la civiltà. Il Vesuvio si alza tragico a sinistra, e poi di slancio su pianure di bufale e fiumi garibaldini; alle undici è a Colleferro. Un vigile gli falcia due terzi di patente per infrazioni assortite e lo indirizza nel settore del collega. Parcheggia e setaccia la zona, torna alla macchina senza averlo scovato; sul parabrezza sventola un foglietto, trentotto euro per divieto di sosta: il vigile genero, infido e scaltro come un coyote della Sierra Madre, ha colpito! Lo bracca furibondo in ogni anfratto seguendone la mortifera scia di multe e lo acciuffa in un bar, dove sta scolandosi un bitter in orario di servizio.
Lo abborda a muso duro: - Mi manda suo suocero, mi serve un’informazione.
- Che informazione?
- Cos’ha sognato, stanotte?
- Toh, era lei?
- Io che?
- Ho sognato uno che mi scocciava, però non ricordo la faccia, era lei?
- Che ne so, e poi?
- Poi c’era una vecchia con un dente solo, e mi chiedeva la strada per un paese: Castel... Castel di Ieri, mi pare.
- Di Ieri, come oggi, domani?
- Eh.
Roma-L’Aquila, la pianura tiburtina s’insinua tra i primi scogli d’Appennino; infilata di viadotti e gallerie, svincolo, una tribù di tornanti che vive su un’aspra costa di monte conduce all’improbabile paese.
La donna dal dente solitario lo colpisce alla bocca dello stomaco con un bicchiere di vodka casereccia: ha sognato di giocare a briscola con sua sorella di Amatrice, strano, perché lei ha sempre giocato solo a sette e mezzo, anzi propone una partitina da un euro d’invito e rilancio libero. Declinata l’offerta, il colonnello supera cataste ammassate di montagne e colline; eccolo ad Amatrice dalla sorella, a cui un nipotino legge a gran voce l’Iliade nella penombra d’una cucina fumosa.
La vecchia ha sognato il sindaco di un paese:
- Ninuccio, come ho detto che si chiamava quel paese?
- Monghidoro - fa Ninuccio, riprendendo a declamare remote stragi.
- Ah, sì, Montidoro, e...
- Non Montidoro, Monghidoro!
- Va be’, insomma, quello.
- E che ha detto?
- M’ha chiesto: “Ma lei perché è venuta qua?” “Boh”, ho risposto.
- E poi?
- Basta, è finito così.
- Ma lei è mai stata a Monghidoro?
- Mai, in vita mia.
Disperato e affamato, Arturi si rifugia in una trattoria, dove per bizzarra ritorsione verso la vecchia ordina una carbonara.
Vortice psichedelico di statali, provinciali, raccordi, complanari, rotatorie; rientra in autostrada, pernotta e riparte, scavalca lo spartiacque ed è a Monghidoro.
Anticamera, poi il sindaco si profila diafano e fugace in fondo a un corridoio. Arturi lo punta, quello tenta di sganciarsi in bagno con un’abile veronica da sindaco, ma lui lo blocca magnetico sull’uscio:
- Che ha sognato stanotte?
Il sindaco sbianca, ha certo di fronte un pazzo; s’irrigidisce come una zanzara su un iceberg, farfuglia:
- Mi sembra... forse un mio compaesano, uno stronzo di mer... uno antipatico fin da piccolo, ci picchiavamo sempre.
- E che faceva nel sogno?
- Mi stava incendiando la vigna, allora prendevo il fucile e gli sparavo, ma lo mancavo, e lui correva per la vigna continuando ad appiccare il fuoco; gli sparavo ancora, ma lo mancavo sempre. Cornuto!
- Dove abita?
- Mah, dicono in una specie di grattacielo.
- Qui in paese?
- In paese! Quello sta a Segrate, o da quelle parti. È un executive manager, o qualche stronzata di queste, è stato sempre un gran paraculo, Fabrini.
- E qui viene spesso?
- Quasi mai, strano quel sogno.
- Già, se non lo vede quasi mai.
- Non è tanto questo, è che io non ho nessuna vigna.
Una lunga picchiata e piomba sulla pianura come un condor, nella fiumana delle grandi vie carovaniere, ribollenti e sconfinate. Con mira da arciere tartaro centra Segrate o quelle parti, assume informazioni, è al portone del prestigioso covo in cui spadroneggia l’executive.
- Economy Fair, per l’intervista.
Supera posti di blocco sospettosi, siede in una saletta in malsicura attesa, pensa.
Misteriose presenze permeano il mondo che ci circonda, sconosciute entità cosmiche cavalcano silenti per gli ondulati campi relativistici. Siamo soli nell’universo? Da quali stirpi maledette discendiamo? Chi è un executive manager? Con le tempie martellate da queste domande, il dio sinistro stringe il cappio lentamente.
Arriva un tipo elegantissimo in blazer blu oltretomba, ovattati corridoi, gran porta a vetri:
- Quel signore dell’intervista, Ingegnere.
L’E.M. cancella furtivamente dallo schermo un solitario senza speranze:
- Prego, prego, voglia scusarmi, la segretaria deve aver dimenticato l’appuntamento. Economy Fair, giusto?
- Sì, grazie, ingegnere, non le farò perder tempo. Partiamo con... sì, direi questa: cos’è il carisma, dal suo punto di vista? Come possiamo definirlo?
- A mio parere è quell’insieme di qualità innate che una persona ha o non ha, che le permettono...
- Benissimo, benissimo così. Meglio risposte secche, nello stile delle nostre interviste. Dunque, ora... ecco: nell’attuale fase di stagnazione economica, lei crede all’immortalità
dell’anima?
- Be’, è una domanda impegnativa, io penso...
- Ha ragione, meglio spostarla alla fine. Vediamo qualcosa che prenda subito chi legge. Ecco qua: cosa pensa dei sogni?
- Io ho realizzato tutti i miei sogni, sono partito da un piccolo...
- No, mi riferivo a quelli notturni; ad esempio, che sogno ha fatto stanotte?
- Ho sognato una donna nuda.
- Ottimo, il nostro target apprezza l’edonismo. E la notte precedente?
- Sempre una donna nuda.
- Due notti di fila?
- Ogni notte. Un executive sogna solo donne nude.
- Tutte le notti?
- Tutte.
- Sempre donne nude?
- Sempre.
- Capisco, una specie di benefit. E questa dell’ultima notte, non per entrare in dettagli scabrosi, che faceva?
- Be’, no, per sognarsi i dettagli scabrosi bisogna almeno presiedere un istituto di credito. Non faceva niente, era lì, ferma.
- Lì dove?
- Al Passo dello Stelvio.
- In cima?
- Sì.
- E come fa a esserne certo?
- C’era il cartello: Passo dello Stelvio - 2.758 metri s.l.m.
- E la donna era lì, davanti al cartello?
- Sì.
- E la notte prima?
- Sempre lì, da tre notti. Curioso, no?
- Ma era sempre la stessa donna?
- Ci mancherebbe, sempre una diversa.
- Già, è vero, che stupido. Bene, ora... ah, caspita, è finito il nastro! Mi scusi, ho registrato poco fa col Dalai Lama, scendo a cambiarlo e torno.
Risale fiumi, arriva in Valtellina, corriera fino a Bormio; uno spazzaneve gli dà un passaggio fino allo Stelvio, approda alle undici di sera in una tormenta che mulina dai quattro punti cardinali. Il guidatore lo porta in una locanda-osteria-malga-chalet, scarsi avventori ruminano e giocano a ramino. L’oste gli rifila una cena a base di colesterolo, e qui lui forse sbaglia un po’ nella tempistica, chiedendo:
- Per caso si sono viste donne nude, in questi giorni?
Quelli del ramino si alzano di concerto senza fiatare e lo circondano; poi uno di loro, giubba a quadri rossi e denti da lupo, ripete quattro di quelle sillabe, che assumono nell’aria rarefatta dei 2.758 metri s.l.m. tutt’altro suono:
- Donne nude?
- Sì, ma non è quello che forse state...
- Cos’è lei, terrone?
- All’incirca, ma...
- E lei, con questa faccia da culo - quell’inciso incontra evidente consenso negli altri - se ne viene a mezzanotte, mangia, beve e magari vorrebbe pure... - uno scricchiolio in alto, l’oste ha giusto il tempo di dire: - Che cazzo... - e il soffitto si apre, qualcosa precipita con un mare di spruzzi. Il vapore si dirada: una vasca da bagno, con dentro una donna nuda!
L’oste spinge tutti via, quattro paia d’occhi scrutano muti il colonnello.
Chi è costui? Giunto in una notte di bufera, ha evocato donne nude e subito ne è apparsa una.
Il mistero si chiarisce, l’ostessa si era addormentata nella vasca e l’acqua era tracimata.
Il colonnello attacca senza preamboli: - Ha fatto sogni inconsueti, di recente?
La donna sussulta: - Come fa a saperlo? - Un fremito percorre i giocatori, di nuovo atterriti da quegli imprevedibili poteri.
- È uno dei sintomi dell’influenza di quest’anno. - I giocatori respirano, ma ormai li ha in pugno: ancora un’altra e bruceranno incenso per lui, o bruceranno direttamente lui.
- Ah, infatti ho un po’ di febbre. Poco fa stavo facendo un sogno strano: c’era un cavallo in un prato, vicino a un laghetto, e c’era un uomo accanto al cavallo e camminavano insieme.
- Non è poi tanto strano.
- Però il cavallo era verde.
- Verde?
- Tutto verde. Com’era bello! E anche il laghetto era verde.
- Anche il lago?
- Sì, era bellissimo, il prato invece...
- Non era verde?
- No, era tutto bianco. E quell’uomo vicino al cavallo...
- Anche lui verde?
- No, che dice? Si è fissato con questo verde?
- Scusi, è che il racconto mi ha preso. L’uomo, diceva.
- L’uomo teneva la mano sul collo del cavallo e gli parlava e passeggiavano piano piano, lungo la riva del laghetto verde.
- E che gli diceva?
- Non so, parlava sottovoce.
- Non ha sentito neanche una frase, una parola?
- No, gli parlava piano, all’orecchio.
- Cerchi di sforzarsi, forse...
- Ma perché le interessa tanto?
- No, così, per fare un po’ di conversazione.
- Se vuole, posso dirle quello che ha detto il cavallo.
- Il cavallo ha parlato?
- Sì, ha detto: “speriamo”.
- “Speriamo”? E basta? Solo questo?
- Sì, poverino, sembrava preoccupato.
- E l’uomo? Era preoccupato anche lui?
- No, lui no.
Il colonnello riflette, poi va verso i giocatori: - Per caso c’è un posto da queste parti, un albergo, ristorante, che si chiama Il Cavallo Verde, o con un nome simile? O che ha un’insegna del genere?
I giocatori scuotono il capo, mormorando oscure frasi oscene nel dialetto blindato di qualche vallata.
- Oppure, per caso...
- Senta, ma lei, per caso, che cazzo vuole da noi? - sbotta la giubba rossa.
- No, niente, così, tanto per...
La giubba rossa mastica una bestemmia d’alta quota che raffredda definitivamente il discorso.
Arturi dorme inquieto, la mattina dopo c’è un foglietto sotto la porta: Egregio signore, c’è un posto che chiamano il Lago Verde dall’altro lato dei monti, chieda informazioni al tabaccaio. Un amico.
Aria tagliente, cielo di cristallo, Arturi compra uno slittino di seconda mano dal tabaccaio e scende dall’altro versante. La strada è sotto un muro di neve; lui plana tra le cime gialle delle paline, che come un esercito di candele, in duplice, interminabile filare lo portano a Trafoi. Riparte in corriera: altri fiumi, altri laghi, altre campagne, altri piani, altre valli, altre montagne; bivio per Ultental, Val d’Ultimo, cartello a dir poco intimidatorio.
Un pietoso furgone lo carica a bordo per risalire la valle. Primo lago, non è lui; secondo, neanche quello; S. Gertrude (St. Gertraud), ultimo gruppo di case e fine del tratto di strada spazzato. Noleggia una motoslitta e continua a salire: terzo lago, Fontana Bianca (Weissbrunner), ancora niente. Prosegue a piedi, la valle va a finire contro un grande cerchio di ghiaccio, sfolgorante nel mezzogiorno, ultimo cartello, ultima speranza: Rifugio Canziani (Grünsee Hütte), nessun lago da nessuna parte. Scornato e surgelato, si siede a terra su una piccola distesa di neve graffiata dal vento, la schiena contro un palo di metallo. Dall’alto cade una spolverata di neve, alza lo sguardo: Lago Verde (Grün See)! Ci stava seduto sopra, nessuno in vista, l’ingresso del rifugio sprangato; prova da una porta laterale, entra, una mano di ferro si abbatte su di lui:
- Ci sei, bastardo! Hai finito di rubare!
Occhi spiritati lo fulminano da dietro una barba incrostata di ghiaccio: - Ti darò una lezione che... - il folle si ferma d’un tratto - ma tu... lei... colonnello! Colonnello Arturi!
- E lei chi...
- Lamberti, colonnello, sergente Lamberti, quarant’anni fa, signore! Quaranta anni!
Arturi viene al dunque, Lamberti risponde:
- Due volte, forse tre: è notte, passo davanti a una casa, un palazzo giallo con le imposte verdi; svolto l’angolo sinistro della facciata e c’è un uomo, cappotto grigio, alto, una cicatrice sulla fronte.
- E cosa le dice?
- Niente, mi sorride e io mi allontano.
Con un paio di treni Arturi recupera la macchina, l’Italia gli scivola sotto le gomme. Tre di notte, arriva in città, stanco marcio; trova un parcheggio in una via laterale a duecento metri da casa. Si avvia a piedi, è sul retro del palazzo: gira l’angolo sinistro, in fondo al muro dietro l’angolo della facciata, un’ombra lunga, cappotto grigio, gli dà la schiena. Arturi avanza lento, l’ombra si volta, tira fuori la mano dalla tasca, ma il colpo del colonnello è già partito.
Arturi apre il portone, sale sfinito le scale, entra in casa. Si butta sul letto, spegne la luce, il sonno gli cade addosso in un istante.
Imposte verdi si aprono a ogni piano: voci allarmate, la luna imbianca le gialle pareti del palazzo. Ma il colonnello dorme, dorme senza più sogni, ormai non servono più. Buonanotte, colonnello.
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