Il sogno del colonnello

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Il sogno del colonnello


Notte sulla città, la gente si avvia alle sette-otto ore di morte necessarie per ritrovare sopportabile la vita. Il silenzio dilaga come una bolla, restano solo ronzii di sottofondo, inudibili per lunga assuefazione. Eppure, ascoltando bene, qualcosa sale da palazzi, case, stanze: si addensa in una nube che cresce di minuto in minuto, lampeggia, mormora.
Cosa c’è dentro? Voli nell’azzurro, corse impedite da zavorre invisibili, oscenità inconfessate: le belve, tenute a freno tutto il giorno, sfondano i cancelli delle gabbie e si riversano nei labirinti fino alle sale comando incustodite; le mettono a soqquadro, rovesciano tavoli, cassetti, sparpagliano fogli, fotografie, ritratti.
Assessori, camionisti, notai, cuoche, centravanti: tutti sognano tutti, nella grande, misteriosa tempesta notturna, in cui nessuno sa da chi è sognato, da chi è silenziosamente spiato e manovrato.

Dorme nella sua stanza il colonnello Arturi. Andato a letto presto, ha sfogliato qualche antico pensiero che ha viaggiato per secoli su carte, ha spento la luce e con meticolosa, militaresca puntualità, ha iniziato a sognare.
Carlo! Parti subito, per carità! Parti subito, se vuoi salvarti!
Il colonnello si agita, si rigira, infine accende la luce: le due.
- Mia moglie, erano anni che non... ma che diavolo diceva? Parti, salvati? Bah, che stronzate! - clic.
Carlo, c’è poco tempo! Parti, vieni qui prima possibile, è l’unica salvezza!
Clic, le tre e mezzo.
- Maledizione, che cazzo... salvarmi? Possibile... e se fosse? Assurdo, eppure, è la prima volta che succede. Ma dov’era? Sembrava una stazione di servizio, forse in autostrada? Sì, c’era un cartello, un cartello che indicava un’uscita, Lago... forse, sì, Lagonegro, mi pare proprio Lagonegro. Che idiozia! E se invece fosse vero? Se ne uscissi? Forse...

Quattro e venti, il colonnello spunta dal portone, sella la macchina e sprona verso gli spazi aperti. Mezz’ora dopo entra nella Salerno-Reggio, il gran monumento eretto dagli uomini all’infinito.
Cosenza, poi Tarsia, poi l’alba era viola. Arturi sfila sotto i grandiosi bastioni dell’Olimpo calabro-lucano, valica la Roncisvalle bruzia, vertiginosi i viadotti sulla nebbia, verde il cartello di Lagonegro, ecco la stazione di servizio: sembra proprio lei, e ora?
Scende dalla macchina, benzinai cinguettano nel mattino. Il colonnello ha un piccolo problema, non è usuale affrontare il benzinaio medio italiano e chiedergli: “Senta, stanotte ho sognato mia moglie in quest’area di servizio che mi riferiva qualcosa d’importante, lei che ha da dire al riguardo?” Le possibili risposte lo preoccupano. Si avvicina a quello che sembra il capo spirituale del posto:
- Salve, vorrei farle una domanda, un po’ curiosa, forse, perché… ah, mi presento: colonnello Arturi. Dicevo, stanotte ho fatto un sogno, come dire, particolare...
L’uomo ha ascoltato quel discorso smozzicato come uno disturbato per un euro di gasolio mentre era al cesso, ma alla parola “sogno” il viso gli s’illumina:
- Ma guarda! Pure io ne ho fatto uno strano, stamattina presto; stavamo mangiando con mio genero e a un certo punto mi fa: “Per qualsiasi cosa mandalo da me”. Io gli chiedo: ”Ma chi?”, “Mandalo da me, ci penso io”.
- Ah, benissimo, dove posso trovarlo?
- Fa il vigile urbano a Colleferro.
- Colleferro?
- Eh, già.

Arturi varca le colonne d’Eboli, dove, a millenni alterni, comincia o finisce la civiltà. Il Vesuvio si alza tragico a sinistra, e poi di slancio su pianure di bufale e fiumi garibaldini; alle undici è a Colleferro. Un vigile gli falcia due terzi di patente per infrazioni assortite e lo indirizza nel settore del collega. Parcheggia e setaccia la zona, torna alla macchina senza averlo scovato; sul parabrezza sventola un foglietto, trentotto euro per divieto di sosta: il vigile genero, infido e scaltro come un coyote della Sierra Madre, ha colpito! Lo bracca furibondo in ogni anfratto seguendone la mortifera scia di multe e lo acciuffa in un bar, dove sta scolandosi un bitter in orario di servizio.
Lo abborda a muso duro: - Mi manda suo suocero, mi serve un’informazione.
- Che informazione?
- Cos’ha sognato, stanotte?
- Toh, era lei?
- Io che?
- Ho sognato uno che mi scocciava, però non ricordo la faccia, era lei?
- Che ne so, e poi?
- Poi c’era una vecchia con un dente solo, e mi chiedeva la strada per un paese: Castel... Castel di Ieri, mi pare.
- Di Ieri, come oggi, domani?
- Eh.

Roma-L’Aquila, la pianura tiburtina s’insinua tra i primi scogli d’Appennino; infilata di viadotti e gallerie, svincolo, una tribù di tornanti che vive su un’aspra costa di monte conduce all’improbabile paese.
La donna dal dente solitario lo colpisce alla bocca dello stomaco con un bicchiere di vodka casereccia: ha sognato di giocare a briscola con sua sorella di Amatrice, strano, perché lei ha sempre giocato solo a sette e mezzo, anzi propone una partitina da un euro d’invito e rilancio libero. Declinata l’offerta, il colonnello supera cataste ammassate di montagne e colline; eccolo ad Amatrice dalla sorella, a cui un nipotino legge a gran voce l’Iliade nella penombra d’una cucina fumosa.
La vecchia ha sognato il sindaco di un paese:
- Ninuccio, come ho detto che si chiamava quel paese?
- Monghidoro - fa Ninuccio, riprendendo a declamare remote stragi.
- Ah, sì, Montidoro, e...
- Non Montidoro, Monghidoro!
- Va be’, insomma, quello.
- E che ha detto?
- M’ha chiesto: “Ma lei perché è venuta qua?” “Boh”, ho risposto.
- E poi?
- Basta, è finito così.
- Ma lei è mai stata a Monghidoro?
- Mai, in vita mia.
Disperato e affamato, Arturi si rifugia in una trattoria, dove per bizzarra ritorsione verso la vecchia ordina una carbonara.

Vortice psichedelico di statali, provinciali, raccordi, complanari, rotatorie; rientra in autostrada, pernotta e riparte, scavalca lo spartiacque ed è a Monghidoro.
Anticamera, poi il sindaco si profila diafano e fugace in fondo a un corridoio. Arturi lo punta, quello tenta di sganciarsi in bagno con un’abile veronica da sindaco, ma lui lo blocca magnetico sull’uscio:
- Che ha sognato stanotte?
Il sindaco sbianca, ha certo di fronte un pazzo; s’irrigidisce come una zanzara su un iceberg, farfuglia:
- Mi sembra... forse un mio compaesano, uno stronzo di mer... uno antipatico fin da piccolo, ci picchiavamo sempre.
- E che faceva nel sogno?
- Mi stava incendiando la vigna, allora prendevo il fucile e gli sparavo, ma lo mancavo, e lui correva per la vigna continuando ad appiccare il fuoco; gli sparavo ancora, ma lo mancavo sempre. Cornuto!
- Dove abita?
- Mah, dicono in una specie di grattacielo.
- Qui in paese?
- In paese! Quello sta a Segrate, o da quelle parti. È un executive manager, o qualche stronzata di queste, è stato sempre un gran paraculo, Fabrini.
- E qui viene spesso?
- Quasi mai, strano quel sogno.
- Già, se non lo vede quasi mai.
- Non è tanto questo, è che io non ho nessuna vigna.

Una lunga picchiata e piomba sulla pianura come un condor, nella fiumana delle grandi vie carovaniere, ribollenti e sconfinate. Con mira da arciere tartaro centra Segrate o quelle parti, assume informazioni, è al portone del prestigioso covo in cui spadroneggia l’executive.
- Economy Fair, per l’intervista.
Supera posti di blocco sospettosi, siede in una saletta in malsicura attesa, pensa.
Misteriose presenze permeano il mondo che ci circonda, sconosciute entità cosmiche cavalcano silenti per gli ondulati campi relativistici. Siamo soli nell’universo? Da quali stirpi maledette discendiamo? Chi è un executive manager? Con le tempie martellate da queste domande, il dio sinistro stringe il cappio lentamente.
Arriva un tipo elegantissimo in blazer blu oltretomba, ovattati corridoi, gran porta a vetri:
- Quel signore dell’intervista, Ingegnere.
L’E.M. cancella furtivamente dallo schermo un solitario senza speranze:
- Prego, prego, voglia scusarmi, la segretaria deve aver dimenticato l’appuntamento. Economy Fair, giusto?
- Sì, grazie, ingegnere, non le farò perder tempo. Partiamo con... sì, direi questa: cos’è il carisma, dal suo punto di vista? Come possiamo definirlo?
- A mio parere è quell’insieme di qualità innate che una persona ha o non ha, che le permettono...
- Benissimo, benissimo così. Meglio risposte secche, nello stile delle nostre interviste. Dunque, ora... ecco: nell’attuale fase di stagnazione economica, lei crede all’immortalità
dell’anima?
- Be’, è una domanda impegnativa, io penso...
- Ha ragione, meglio spostarla alla fine. Vediamo qualcosa che prenda subito chi legge. Ecco qua: cosa pensa dei sogni?
- Io ho realizzato tutti i miei sogni, sono partito da un piccolo...
- No, mi riferivo a quelli notturni; ad esempio, che sogno ha fatto stanotte?
- Ho sognato una donna nuda.
- Ottimo, il nostro target apprezza l’edonismo. E la notte precedente?
- Sempre una donna nuda.
- Due notti di fila?
- Ogni notte. Un executive sogna solo donne nude.
- Tutte le notti?
- Tutte.
- Sempre donne nude?
- Sempre.
- Capisco, una specie di benefit. E questa dell’ultima notte, non per entrare in dettagli scabrosi, che faceva?
- Be’, no, per sognarsi i dettagli scabrosi bisogna almeno presiedere un istituto di credito. Non faceva niente, era lì, ferma.
- Lì dove?
- Al Passo dello Stelvio.
- In cima?
- Sì.
- E come fa a esserne certo?
- C’era il cartello: Passo dello Stelvio - 2.758 metri s.l.m.
- E la donna era lì, davanti al cartello?
- Sì.
- E la notte prima?
- Sempre lì, da tre notti. Curioso, no?
- Ma era sempre la stessa donna?
- Ci mancherebbe, sempre una diversa.
- Già, è vero, che stupido. Bene, ora... ah, caspita, è finito il nastro! Mi scusi, ho registrato poco fa col Dalai Lama, scendo a cambiarlo e torno.

Risale fiumi, arriva in Valtellina, corriera fino a Bormio; uno spazzaneve gli dà un passaggio fino allo Stelvio, approda alle undici di sera in una tormenta che mulina dai quattro punti cardinali. Il guidatore lo porta in una locanda-osteria-malga-chalet, scarsi avventori ruminano e giocano a ramino. L’oste gli rifila una cena a base di colesterolo, e qui lui forse sbaglia un po’ nella tempistica, chiedendo:
- Per caso si sono viste donne nude, in questi giorni?
Quelli del ramino si alzano di concerto senza fiatare e lo circondano; poi uno di loro, giubba a quadri rossi e denti da lupo, ripete quattro di quelle sillabe, che assumono nell’aria rarefatta dei 2.758 metri s.l.m. tutt’altro suono:
- Donne nude?
- Sì, ma non è quello che forse state...
- Cos’è lei, terrone?
- All’incirca, ma...
- E lei, con questa faccia da culo - quell’inciso incontra evidente consenso negli altri - se ne viene a mezzanotte, mangia, beve e magari vorrebbe pure... - uno scricchiolio in alto, l’oste ha giusto il tempo di dire: - Che cazzo... - e il soffitto si apre, qualcosa precipita con un mare di spruzzi. Il vapore si dirada: una vasca da bagno, con dentro una donna nuda!
L’oste spinge tutti via, quattro paia d’occhi scrutano muti il colonnello.
Chi è costui? Giunto in una notte di bufera, ha evocato donne nude e subito ne è apparsa una.
Il mistero si chiarisce, l’ostessa si era addormentata nella vasca e l’acqua era tracimata.
Il colonnello attacca senza preamboli: - Ha fatto sogni inconsueti, di recente?
La donna sussulta: - Come fa a saperlo? - Un fremito percorre i giocatori, di nuovo atterriti da quegli imprevedibili poteri.
- È uno dei sintomi dell’influenza di quest’anno. - I giocatori respirano, ma ormai li ha in pugno: ancora un’altra e bruceranno incenso per lui, o bruceranno direttamente lui.
- Ah, infatti ho un po’ di febbre. Poco fa stavo facendo un sogno strano: c’era un cavallo in un prato, vicino a un laghetto, e c’era un uomo accanto al cavallo e camminavano insieme.
- Non è poi tanto strano.
- Però il cavallo era verde.
- Verde?
- Tutto verde. Com’era bello! E anche il laghetto era verde.
- Anche il lago?
- Sì, era bellissimo, il prato invece...
- Non era verde?
- No, era tutto bianco. E quell’uomo vicino al cavallo...
- Anche lui verde?
- No, che dice? Si è fissato con questo verde?
- Scusi, è che il racconto mi ha preso. L’uomo, diceva.
- L’uomo teneva la mano sul collo del cavallo e gli parlava e passeggiavano piano piano, lungo la riva del laghetto verde.
- E che gli diceva?
- Non so, parlava sottovoce.
- Non ha sentito neanche una frase, una parola?
- No, gli parlava piano, all’orecchio.
- Cerchi di sforzarsi, forse...
- Ma perché le interessa tanto?
- No, così, per fare un po’ di conversazione.
- Se vuole, posso dirle quello che ha detto il cavallo.
- Il cavallo ha parlato?
- Sì, ha detto: “speriamo”.
- “Speriamo”? E basta? Solo questo?
- Sì, poverino, sembrava preoccupato.
- E l’uomo? Era preoccupato anche lui?
- No, lui no.
Il colonnello riflette, poi va verso i giocatori: - Per caso c’è un posto da queste parti, un albergo, ristorante, che si chiama Il Cavallo Verde, o con un nome simile? O che ha un’insegna del genere?
I giocatori scuotono il capo, mormorando oscure frasi oscene nel dialetto blindato di qualche vallata.
- Oppure, per caso...
- Senta, ma lei, per caso, che cazzo vuole da noi? - sbotta la giubba rossa.
- No, niente, così, tanto per...
La giubba rossa mastica una bestemmia d’alta quota che raffredda definitivamente il discorso.
Arturi dorme inquieto, la mattina dopo c’è un foglietto sotto la porta: Egregio signore, c’è un posto che chiamano il Lago Verde dall’altro lato dei monti, chieda informazioni al tabaccaio. Un amico.

Aria tagliente, cielo di cristallo, Arturi compra uno slittino di seconda mano dal tabaccaio e scende dall’altro versante. La strada è sotto un muro di neve; lui plana tra le cime gialle delle paline, che come un esercito di candele, in duplice, interminabile filare lo portano a Trafoi. Riparte in corriera: altri fiumi, altri laghi, altre campagne, altri piani, altre valli, altre montagne; bivio per Ultental, Val d’Ultimo, cartello a dir poco intimidatorio.
Un pietoso furgone lo carica a bordo per risalire la valle. Primo lago, non è lui; secondo, neanche quello; S. Gertrude (St. Gertraud), ultimo gruppo di case e fine del tratto di strada spazzato. Noleggia una motoslitta e continua a salire: terzo lago, Fontana Bianca (Weissbrunner), ancora niente. Prosegue a piedi, la valle va a finire contro un grande cerchio di ghiaccio, sfolgorante nel mezzogiorno, ultimo cartello, ultima speranza: Rifugio Canziani (Grünsee Hütte), nessun lago da nessuna parte. Scornato e surgelato, si siede a terra su una piccola distesa di neve graffiata dal vento, la schiena contro un palo di metallo. Dall’alto cade una spolverata di neve, alza lo sguardo: Lago Verde (Grün See)! Ci stava seduto sopra, nessuno in vista, l’ingresso del rifugio sprangato; prova da una porta laterale, entra, una mano di ferro si abbatte su di lui:
- Ci sei, bastardo! Hai finito di rubare!
Occhi spiritati lo fulminano da dietro una barba incrostata di ghiaccio: - Ti darò una lezione che... - il folle si ferma d’un tratto - ma tu... lei... colonnello! Colonnello Arturi!
- E lei chi...
- Lamberti, colonnello, sergente Lamberti, quarant’anni fa, signore! Quaranta anni!
Arturi viene al dunque, Lamberti risponde:
- Due volte, forse tre: è notte, passo davanti a una casa, un palazzo giallo con le imposte verdi; svolto l’angolo sinistro della facciata e c’è un uomo, cappotto grigio, alto, una cicatrice sulla fronte.
- E cosa le dice?
- Niente, mi sorride e io mi allontano.

Con un paio di treni Arturi recupera la macchina, l’Italia gli scivola sotto le gomme. Tre di notte, arriva in città, stanco marcio; trova un parcheggio in una via laterale a duecento metri da casa. Si avvia a piedi, è sul retro del palazzo: gira l’angolo sinistro, in fondo al muro dietro l’angolo della facciata, un’ombra lunga, cappotto grigio, gli dà la schiena. Arturi avanza lento, l’ombra si volta, tira fuori la mano dalla tasca, ma il colpo del colonnello è già partito.
Arturi apre il portone, sale sfinito le scale, entra in casa. Si butta sul letto, spegne la luce, il sonno gli cade addosso in un istante.
Imposte verdi si aprono a ogni piano: voci allarmate, la luna imbianca le gialle pareti del palazzo. Ma il colonnello dorme, dorme senza più sogni, ormai non servono più. Buonanotte, colonnello.



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Re: Il sogno del colonnello

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Ciao @massimopud

Dal titolo mi è venuto immediatamente di abbinarlo con il Colonnello Aureliano Buendia di Marquez… personaggio indimenticabile.
Anche nel tuo racconto ho avuto l’impressione di immergermi in una sorta di realismo magico, per quanto più eclatante e marcato, ai limiti del possibile, al confine con il sogno.
Confesso di non aver forse compreso appieno il senso ultimo di questa odissea del Colonnello, ma ne ho molto apprezzato le descrizioni, le situazioni, i personaggi, i cambi di situazioni e di luoghi, ognuno collegato all’altro come una matrioska russa.
Il tutto descritto con pochi ed efficaci tratti, quasi degli spaccati di vita quotidiana sublimati in metafisica sognante e favolistica.
Molto ben caratterizzati i vari personaggi con i quali il Colonnello ha a che fare durante il suo lungo viaggio.
Cosa sta davvero cercando il Colonnello? Da cosa deve salvarsi e poi, mi sorge il dubbio: vuole davvero salvarsi?
Forse solo un piccolo appunto semi tecnico avrei da lasciare: quando incontra Lamberti nel rifugio di Lago Verde.
Lamberti lo riconosce per essere stato sergente con il Colonnello, quaranta anni prima e ci sta bene. Ecco, appunto: quaranta anni prima e lo chiama Colonnello, come se Arturi avesse avuto quel grado anche quarantanni prima, quando poteva essere tenente o capitano e Lamberti non poteva sapere che grado avesse al momento.
Ho qui un dubbio:
Arturi avanza lento, l’ombra si volta, tira fuori la mano dalla tasca, ma il colpo del colonnello è già partito.
Cosa è successo veramente? Cosa intendi per colpo? Arma da fuoco?
Il Colonnello ha fatto partire un colpo… di arma? Non ho afferrato bene. È giunto al termine della sua odissea e della sua vita? Quel “buonanotte” va inteso in senso definitivo?
Comunque a parte queste piccole cose, che magari non ho afferrato appieno, il racconto, l’impianto, il modulo descrittivo mi è molto piaciuto.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: Il sogno del colonnello

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Ciao, @Alberto Tosciri, grazie mille per il commento e per l’apprezzamento.

L’idea di questa storia mi venne da un racconto di Borges che forse conosci (mi sembra che anche tu ne sia un estimatore): la “Storia dei due che sognarono”, che a sua volta rielabora un racconto delle Mille e una notte.
In quella storia un morto con una moneta d’oro in bocca appare in sogno al protagonista, dicendogli di andare in una città della Persia (l’uomo vive al Cairo) perché “lì è la tua fortuna”. Lui ci va, passa un sacco di guai, viene arrestato e il capo delle guardie lo deride per la sua credulità, descrivendogli un suo sogno che ha appena fatto: una casa con un cortile, in fondo a cui c’è un giardino, al termine del quale c’è un pozzo. L’uomo viene liberato, torna a casa sua al Cairo, attraversa il giardino, scava fino al fondo del pozzo e trova un tesoro favoloso.
L’idea di questo strano rimbalzo magico di sogni mi era sembrata straordinaria e pensai di moltiplicarla in questo racconto.
Una possibile interpretazione della storia è questa: il colonnello è minacciato da un antico nemico, viene avvertito in sogno dalla moglie del pericolo imminente e di cosa deve fare per salvarsi; attraverso tutta la serie di sogni delle persone che incontra lungo il viaggio giunge fino al suo vecchio sergente, che gli descrive l’assassino in agguato sotto casa; a quel punto il colonnello può finalmente tornare a casa, sorprendere il suo nemico e ucciderlo.

Grazie di nuovo, a risentirci.

Re: Il sogno del colonnello

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Ciao massimo,

Ho letto il tuo racconto e l'ho trovato originale e interessante.

Il colonnello, un uomo in "età da pensione", viene avvisato e spronato dalla moglie (defunta?) a partire. Per dove non si sa, ma tanto basta per fargli fare una sua piccola odissea. Dal profondo sud fino alle alpi innevate, per poi tornare a casa, in Calabria, con la "chiave" del mistero.

Devo dire che se non avessi letto la tua risposta non avrei ben capito il finale.
Forse anche per lo stile così pieno di metafore e sottotesti, che rende il racconto fuori dalle righe e molto criptico. Io personalmente non amo questo stile, ma in un racconto di questo tipo calza bene, anzi contribuisce a renderlo così assurdo e stravagante. Come se il colonnello continuasse a vivere un sogno anche nella "realtà".
massimopud ha scritto: Notte sulla città, la gente si avvia alle sette-otto ore di morte necessarie per ritrovare sopportabile la vita. Il silenzio dilaga come una bolla, restano solo ronzii di sottofondo, inudibili per lunga assuefazione. Eppure, ascoltando bene, qualcosa sale da palazzi, case, stanze: si addensa in una nube che cresce di minuto in minuto, lampeggia, mormora.
Cosa c’è dentro? Voli nell’azzurro, corse impedite da zavorre invisibili, oscenità inconfessate: le belve, tenute a freno tutto il giorno, sfondano i cancelli delle gabbie e si riversano nei labirinti fino alle sale comando incustodite; le mettono a soqquadro, rovesciano tavoli, cassetti, sparpagliano fogli, fotografie, ritratti.
Assessori, camionisti, notai, cuoche, centravanti: tutti sognano tutti, nella grande, misteriosa tempesta notturna, in cui nessuno sa da chi è sognato, da chi è silenziosamente spiato e manovrato.
Mi è piaciuto molto l'incipit, che introduce nella maniera giusta il tipo di racconto che si leggerà.

Avrei inserito maggiori dettagli sulla relazione che legava e lega il colonnello alla moglie. Soprattutto avrei inserito alcuni indizi sul suo presunto assassino: perché avrebbe dovuto ucciderlo? Non mi è parso di trovare alcun indizio a riguardo.

Un saluto

Re: Il sogno del colonnello

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Magistrale, Mastro Pud.
Magistralmente condotto.
Con definizioni, descrizioni ed aggettivazioni deliziosamente originali.
L’incipit è tutto un programma, tutta l’introduzione è una dichiarazione d’intenti inequivocabile; la perfetta stesura del tuo contratto con il lettore: Occhio, carissimo – mi hai detto con quelle prime dieci righe – se decidi di seguirmi, ti porto dove nemmeno puoi immaginare.
Ma è anche qualcosa di più. Se non fosse così bella, e densa di possibili significati, e interpretazioni, e spunti, questa introduzione potrebbe essere la traccia di un contest di scrittura. E se fosse la traccia di un contest di scrittura, ne farebbe il contest più bello mai ideato. Un contest a cui ogni essere umano che abbia la presunzione di (saper) scrivere creativamente, dovrebbe desiderare di partecipare. L’esame di Stato dell’aspirante scrittore: se con lo svolgimento di una traccia come questa non tiri fuori almeno un Capolavoro, allora vedi di cambiare le tue prospettive; riponi i tuoi sogni; appendi la penna (o la tastiera) al chiodo. E cambia mestiere.
E il tuo svolgimento, a mio parere, è un piccolo capolavoro di delicata comicità, di non sense sensato (e qui potresti chiederti se ciò non sia, piuttosto, un clamoroso fallimento :asd: ) ed, en passant, uno sguardo intelligente ed efficacemente ironico su tanti nostri difetti.
Ma basta parole, basta sbrodolarci addosso complimenti.
Passiamo alle citazioni di ciò che mi ha particolarmente colpito, al di là del risultato complessivo che… vabbé, si è già capito che effetto mi ha fatto.

Notte sulla città, la gente si avvia alle sette-otto ore di morte necessarie per ritrovare sopportabile la vita.
Eh, beh.
Come non citarlo? Chi ha mai osato definire così il riposo notturno degli appartenenti al genere umano? E – mi domando – quanto significato ci si può scovare?
Non v’è dubbio che nella frase non si nasconda un desiderio di morte, qui la morte è provvisoria: la vita verrà ritrovata al risveglio. Ma basteranno quelle diciassette-sedici ore, per rendercela nuovamente insopportabile. Il ciclo sonno-veglia come una girandola di morte e vita. L’una a liberarci dall’affanno, a ristorarci, a resettare tutto. L’altra, inevitabile, inesorabile, ma anche irrinunciabile, a consumarci. Piano piano, ma anche rapidamente (in sole sedici ore!).
E, ancora: quell’avviarsi collettivo, quasi senza speranza, con un automatismo sottinteso, al sopraggiungere della notte, nel contenitore che tutti ci contiene (la città), e che contiene, quindi, anche i nostri provvisori sepolcri.
 
Il silenzio dilaga come una bolla
Anche qui: come non vederlo, questo silenzio? E come non vederci aleggiare quella morte (provvisoria, come proprio lo è una bolla, del resto) che è un manto che va a coprire la città (con il relativo contenuto umano).

Voli nell’azzurro, corse impedite da zavorre invisibili, oscenità inconfessate: le belve, tenute a freno tutto il giorno, sfondano i cancelli delle gabbie e si riversano nei labirinti fino alle sale comando incustodite; le mettono a soqquadro, rovesciano tavoli, cassetti, sparpagliano fogli, fotografie, ritratti.
Anche questa definizione dei sogni, e la splendida metafora dei meccanismi che li creano. Trovo solo una parola: spettacolare!

Assessori, camionisti, notai, cuoche, centravanti: tutti sognano tutti, nella grande, misteriosa tempesta notturna, in cui nessuno sa da chi è sognato, da chi è silenziosamente spiato e manovrato.
Ecco: e dopo aver precisato che nessuno è immune, e nessuno si salva, chiarisci il tuo intento narrativo. Ora sì, che mi aspetto un vero trionfo di personaggi, di caratteri, di situazioni. Chi sogna chi, chi manovra chi, e come si può intrecciare tutto questo.
Come farai, se hai a disposizione “solo” sedicimila caratteri (spazi inclusi)?

Andato a letto presto, ha sfogliato qualche antico pensiero che ha viaggiato per secoli su carte
Che immagine! E il contrasto fra lo sfogliare (che parrebbe un’azione fatta distrattamente, come si potrebbe sfogliare una rivista patinata) e la nobiltà di quei pensieri, caratterizza subito, nella mia lettura, il colonnello Arturi: avverto in lui il bisogno, l’abitudine, al contatto fisico (oltre che intellettuale) con quei pensieri. Non importa se siano di Aristotele o di Omero; di Dante, Leopardi o altri. O anche “solo” di qualche antico condottiero (non vedrei affatto fuori luogo l’affinità fra le memorie di un valoroso militare del passato e la scelta di vita di chi di quelle memorie ne fruisce, oggi).

con meticolosa, militaresca puntualità, ha iniziato a sognare.
Fedele alla consegna. Tanto più che si tratta di un ufficiale superiore, uso alla metodicità e all’ordine. Il nostro colonnello si lascia caratterizzare sempre meglio. E (collaborativo con l’autore :asd: ), senza indugio, dà il via al turbinio onirico che sta per scatenarsi.

Cosenza, poi Tarsia, poi l’alba era viola.
A parte la metrica quasi perfetta, in questa frase ho creduto di ravvisare un indizio narrativo. Mi sbagliavo. (Ma fino a un certo punto, perché l’incontro con un embrione di destino, alla fine, si realizza. E il nostro, al contrario del soldato che tutto la notte ballò, non si farà trovare impreparato).

non è usuale affrontare il benzinaio medio italiano e chiedergli: “Senta, stanotte ho sognato mia moglie in quest’area di servizio che mi riferiva qualcosa d’importante, lei che ha da dire al riguardo?” Le possibili risposte lo preoccupano.
L’eufemismo e la dissimulazione sono strumenti dalle grandi potenzialità comiche, a saperli utilizzare. Qui mi hai strappato la prima, genuina, risata.

Arturi varca le colonne d’Eboli, dove, a millenni alterni, comincia o finisce la civiltà.
Ma che delizia di lettura!

Un vigile gli falcia due terzi di patente per infrazioni assortite
Altra genuina risata. E, dato che volevo proprio trovare degli indizi per una storia che immaginavo di vedere finir male, il colpo di falce mi è sembrato un ulteriore reperto da mettere agli atti.

- Toh, era lei?
Come se fosse la cosa più naturale del mondo… :D
 
una tribù di tornanti che vive su un’aspra costa di monte conduce all’improbabile paese.
Altra definizione memorabile.

- Monghidoro - fa Ninuccio, riprendendo a declamare remote stragi.
Splendida, davvero splendida sinnedoche comica.

 Disperato e affamato, Arturi si rifugia in una trattoria, dove per bizzarra ritorsione verso la vecchia ordina una carbonara.
Un affronto secondo solo all’ordinare una pizza speck e gorgonzola sul lungomare di Mergellina :D

- Non è tanto questo, è che io non ho nessuna vigna.
Deliziosi, questi personaggi che hai disseminato sul cammino del colonnello. Che non si stupiscono del fatto che i loro sogni siano frammenti di premonizioni per conto terzi, bensì si meravigliano della briscola in luogo del sette e mezzo, o della vigna che non si possiede!

- Economy Fair, per l’intervista.
Nella tempesta surreale in cui mi hai trascinato, questo è uno dei due dettagli che ho trovato un tantino forzato (con tutta l’intervista, perché un po’ cervellotica da parte del protagonista, che ha agito e agirà per lo più d’istinto), ma ho conservato la fiducia. Del resto (si sa) il bisogno aguzza l’ingegno. E arrivato a questo punto il bisogno dell’Arturi ha raggiunto da un pezzo la compulsione.

Misteriose presenze permeano il mondo che ci circonda, sconosciute entità cosmiche cavalcano silenti per gli ondulati campi relativistici. Siamo soli nell’universo? Da quali stirpi maledette discendiamo? Chi è un executive manager?
L’apice della climax mi ha letteralmente ribaltato.

Il guidatore lo porta in una locanda-osteria-malga-chalet, scarsi avventori ruminano e giocano a ramino. L’oste gli rifila una cena a base di colesterolo, e qui lui forse sbaglia un po’ nella tempistica, chiedendo:
- Per caso si sono viste donne nude, in questi giorni?
Bella l’accelerazione, che ben rappresenta l’ansia di sapere del colonnello. Che, va da sé, salta quelli che si sarebbero rivelati opportuni preliminari.

ormai li ha in pugno: ancora un’altra e bruceranno incenso per lui, o bruceranno direttamente lui.
Altra deliziosa immagine che, oltre far ridere di gusto, cela un raffinato sarcasmo: a causa degli imperscrutabili meccanismi che determinano il comportamento collettivo degli esseri umani, probabilmente è un singolo evento quantistico a separare la santità dal rogo :D
Poi “scorrono via” dialetti blindati di qualche vallata, bestemmie d’alta quota raffreddanti, cartelli a dir poco intimidatori (chapeau!) e si giunge all’(ormai atteso, inevitabile) incontro con il destino. Prima di questo, l’altro dettaglio che ha frenato il mio corso, mentre ero letteralmente trascinato dal fluire del racconto: i gradi citati dal sergente Lamberti: come ti ha già fatto notare Tosciri, che carriera hanno fatto, questi due, se in quarant’anni non sono più saliti di grado? Ti dirò fra poco perché ho accettato, di buon grado, anche questo piccolo intoppo di credibilità.
E, come dicevo, all’incontro con il suo destino, il colonnello Arturi non può che farsi trovare preparato.

Sullo spunto e sul significato, hai già dato tu ragguagli. Ti devo confessare che, pur avendo letto molto di Borges, non conoscevo questo racconto (va da sé che ho già ordinato la raccolta che lo contiene: non la trovo nuova – incredibile che si lascino esaurire opere di Borges – ma diversi usati sono reperibili negli stores online). Né conoscevo la novella da Le mille e una notte da cui è tratto. Quindi, nel corso della lettura, i miei richiami sono stati meno “nobili”: scartata presto l’ipotesi di un tuo gioco ad espandere la galoppata di vecchioniana memoria (il soldato, il cavallo – Arturi sella la sua macchina –, l’incontro con la morte), ho pensato ad una tua invenzione in chiave sdrammatizzata di un’esperienza premorte, scatenata dalla scarica di endorfine. Sì: un sogno dentro a un altro sogno che contiene un puzzle di sogni che il nostro deve ricomporre per chiudere un cerchio, e passare, dal dosaggio terapeutico quotidiano, alla definitiva morte che di diritto gli spetta.
Che sia tutto un sogno dà plausibilità alle piccole incoerenze (l’intervista senza previo accredito all’EM di un’azienda “top” del milanese, laddove, a dispetto del narcisismo diffuso fra gli EM, i filtri umani sono insuperabili e arrivare da sconosciuti ai “piani alti”, per un’intervista, così come per un qualsiasi altro motivo professionale, è umanamente impossibile. E poi al sergente che dopo quarant’anni è ancora sergente e riconosce come colonnello colui che al tempo doveva essere il suo tenente). Ma rientra tutto nella fantastica plausibilità di tutte le impossibilità che i sogni presentano: mentre li vivi tutto è naturale, anche quando nel sogno stesso affiora un briciolo di consapevolezza e spaventose incoerenze continuano ad essere, dal sognatore, accettate senza dubbio alcuno. Ecco: a quel punto il fantastico (che non ammette sbagli: se fantastico dev’essere, allora che il lettore ben disposto in quanto a sospensione d’incredulità non si opponga in alcun passaggio, non si accorga di nulla e continui a “sognare”, leggendo) a quel punto il fantastico – dicevo – è completo: nel sogno tutto è possibile.
Al di là di questi miei trascurabili tentativi d’interpretazione, mi resta la lettura di un racconto divertente, intelligente, scritto con la tua consueta maestria comica.
Perdonami: in questo commento sono stato, a tratti, sperticato, ma non ho alcuna intenzione di “alleggerirlo”. Béccati, pertanto, il segno del genuino entusiasmo che hai suscitato in me.
 

Re: Il sogno del colonnello

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Ehilà, qualcuno ha risvegliato il colonnello dal suo lungo sonno. Grazie, in ordine cronologico, a @Ippolita , @edotarg@queffe .
Al sor queffe, dopo un commento del genere, devo ormai cambiare appellativo e procedere alla canonizzazione: da oggi è San queffe, vescovo e commentatore, patrono degli aspiranti scrittori in cerca di maggiore autostima (cioè del 99% degli aspiranti scrittori).

Le sue osservazioni confermano che una qualsiasi opera di narrativa, modesta o notevole che sia, è sempre aperta all’interpretazione di ogni singolo lettore, che può arricchirla di cose che l’autore non ha visto, o se le ha viste dormiva (nel senso che forse le ha viste lo Schiavo, meglio conosciuto come Inconscio, ma se le è tenute per sé, perché gli stanno sulle scatole i boriosi titolari della ditta Io & Super Io Inc.).

Due soli esempi, per non farla lunga.
La citazione di Samarcanda era fine a se stessa, mi sembrava divertente e basta, e invece alla fine l’incontro con la morte c’è davvero, anche se qui a morire è il nemico del protagonista.
Che tutta la storia non sia altro che un sogno del colonnello mi pare un modo di vedere le cose molto più soddisfacente e suggestivo di quello che avevo suggerito io. Molto più bello pensare che il colonnello non si sia neppure mosso da casa: tutto è stato solo illusione, teatro notturno, vita-sogno, come dice Puck, alla fine del Sogno di mezza estate, quando invita il pubblico a far finta di aver solo sognato la commedia a cui ha appena assistito, o meglio ancora come ci insegna Calderon de Marzullo (come ogni notte, a quest’ora della notte…).

Grazie mille e buonanotte, commentatori e colonnelli.
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