La "neo-lingua"

1
(Post di Swetty del 18/01/2012 in Lingua & Affini, WD)

Sto scrivendo un'email al mio capo per esporgli un progetto e non mi riesce. E mi sto rendendo conto che è un problema di linguaggio.

Nella pratica aziendale, viene utilizzato un vocabolario che vorrebbe essere democratico e neutro, ma è fatto principalmente di eufemismi. Facciamo un paio di esempi. Io ho sempre usato il termine "sottoposto" per indicare che X è (appunto) sottoposto a Y. In aziendalese però si dice che X è un collaboratore di Y (mi hanno persino ripreso una volta). Morale, essere "collaboratore" ha assunto le stesse sfumature negative di essere "sottoposto", e con lui anche il verbo "collaborare".

Il problema è quando serve l'espressione nel suo significato originale. "Complesso" ha sostituito ormai da tempo il termine "incasinato", e "gestire la complessità" è ormai sinonimo di quello che fanno le mamme dopo un pomeriggio di giochi coi figli. "Avete bisogno di qualcuno che gestisca la complessità del vostro sistema" è più o meno come dire: "Avete talmente tanto incasinato il sistema che ora avete bisogno che qualcuno faccia pulizie".

È questo il casino con gli eufemismi, prima o poi è il concetto sotto che emerge e si impone sul termine. Ma a quel punto, come ridare alle parole il loro significato originale? Cioè, fare in modo che se scrivo "complesso" non venga letto "incasinato"?
I intend to live forever, or die trying.
(Groucho Marx)

Re: La "neo-lingua"

2
Bef ha scritto: ven gen 08, 2021 11:31 am (Post di Swetty del 18/01/2012 in Lingua & Affini, WD)

Sto scrivendo un'email al mio capo per esporgli un progetto e non mi riesce. E mi sto rendendo conto che è un problema di linguaggio.

Nella pratica aziendale, viene utilizzato un vocabolario che vorrebbe essere democratico e neutro, ma è fatto principalmente di eufemismi. Facciamo un paio di esempi. Io ho sempre usato il termine "sottoposto" per indicare che X è (appunto) sottoposto a Y. In aziendalese però si dice che X è un collaboratore di Y (mi hanno persino ripreso una volta). Morale, essere "collaboratore" ha assunto le stesse sfumature negative di essere "sottoposto", e con lui anche il verbo "collaborare".

Il problema è quando serve l'espressione nel suo significato originale. "Complesso" ha sostituito ormai da tempo il termine "incasinato", e "gestire la complessità" è ormai sinonimo di quello che fanno le mamme dopo un pomeriggio di giochi coi figli. "Avete bisogno di qualcuno che gestisca la complessità del vostro sistema" è più o meno come dire: "Avete talmente tanto incasinato il sistema che ora avete bisogno che qualcuno faccia pulizie".

È questo il casino con gli eufemismi, prima o poi è il concetto sotto che emerge e si impone sul termine. Ma a quel punto, come ridare alle parole il loro significato originale? Cioè, fare in modo che se scrivo "complesso" non venga letto "incasinato"?
Scrivendo come te la senti, e fregandotene del resto. Se in un mio libro devo citare uno che è privo della vista, scrivo "cieco". Eufemismi come "non vedente", "non udente", "diversamente abile", mi appaiono come ipocrite prese per il culo proprio dei soggetti che non si vuole offendere. Non c'è niente da vergognarsi ad essere ciechi, sordi, disabili. Personalmente, siccome il mio udito, grazie all'età, lascia a desiderare, non ho problemi ad autodefinirmi "mezzo sordo". "Collaboratore" dovrebbe intendersi chi collabora con un primus inter pares, cioè qualcosa in più di un "sottoposto", demandato dal suo ruolo ad eseguire gli ordini del diretto superiore. Un problema "complesso" è un problema di laboriosa soluzione, mentre "incasinato" dovrebbe essere un francesismo (i casini sono stati chiusi sessant'anni fa con la legge Merlin) atto ad indicare una situazione compromessa da errori e/o sciatteria degli addetti. Penso che l'aziendalese non sia lo stesso linguaggio usato in forma omogenea in tutte le aziende: chi identifica il collaboratore col sottoposto o l'incasinamento con la complessità commette errori che non è necessario abbracciare.
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: La "neo-lingua"

3
Cheguevara ha scritto: mar gen 26, 2021 1:08 pm Scrivendo come te la senti
Magari! Provate a leggere un verbale dei carabinieri, un referto medico, o a tradurre Massimo Troisi.
Incasinato lo dici in un certo ambiente, confuso in un altro. Se ci pensi bene, benché sinonimi all'apparenza, quando un giovane dice confuso, intende una diversa sfumatura di incasinato.
Altro esempio: non credo che in un libro per bambini sia frequente il termine sfigato, ma più "consono" sfortunato.
Chi è il mio lettore? Qual è il miglior modo di esprimergli il concetto?
E poi, che dire dei dialoghi? Fantozzi può dire di tutto, ma se sono il presidente della repubblica devo esprimermi diversamente.
lo so che il @Cheguevara la vuole poco lunga, ma, se non stai scrivendo il tuo diario segretissimo, cioè se ti rivolgi a un lettore, devi parlare la sua lingua. Devi farti capire.

Re: La "neo-lingua"

4
Ciao @Fraudolente,
il "come te la senti" era riferito a uno scrittore o ad un impiegato di concetto che, per lavoro, debba scrivere qualcosa, per esempio un rapporto interno, una lettera alla direzione, et similia. Avevo anche espresso il mio parere, strettamente personale, sull'uso spesso ridicolo degli eufemismi per indicare alcune forme di invalidità. Il parlare la lingua di chi ti legge - entro i limiti di un italiano decente - è sicuramente fuori discussione. Io, poi, il termine "sfigato" non lo uso neanche parlando: preferisco "jellato", come usava una volta, visto che "sfigato", adottato con origini nordiste nel linguaggio corrente negli ultimi trenta o quarant'anni, non mi è mai piaciuto. Io sono un terrone orgoglioso delle mie origini ciociare, parlo correntemente almeno quattro dialetti del Sud e non avrei problemi a tradurre il grande, indimenticato Massimo Troisi.
Saluti.
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: La "neo-lingua"

6
In una discussione avente ad oggetto la neo-lingua, credo che meriti una considerazione a parte l'uso spregiudicato e sovrabbondante degli inglesismi.
Sinceramente, non se ne può più: un incontro di lavoro è un briefing, una colazione un lunch, un libro un book, una mignotta una escort e via inglesizzando. Se è vero che in alcuni casi nell'uso del termine anglosassone si concentra una maggiore sintesi (mi viene in mente all'istante "stop and go" anziché fermarsi e ripartire), in genere infarcire un discorso o uno scritto di termini stranieri è diventata un'abitudine paragonabile ad un inutile vezzo, atto a comunicare alla collettività la propria appartenenza alla cerchia dei bene informati. Cosa non sempre rispondente alla realtà.
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: La "neo-lingua"

7
Cheguevara ha scritto: mer gen 27, 2021 7:53 am Io sono un terrone orgoglioso delle mie origini ciociare, parlo correntemente almeno quattro dialetti del Sud e non avrei problemi a tradurre il grande, indimenticato Massimo Troisi.
Mi si perdonerà un'escursione sul balcone. Mi piacciono i terroni orgogliosi!
Sul mappamondo, la distanza tra nord e sud è minuscola, ma talvolta enorme nella zucca degli stupidi.
Rientro in casa e chiudo, ché fuori è freddo.

Re: La "neo-lingua"

8
Fraudolente ha scritto: mer gen 27, 2021 10:30 am Mi si perdonerà un'escursione sul balcone. Mi piacciono i terroni orgogliosi!
Sul mappamondo, la distanza tra nord e sud è minuscola, ma talvolta enorme nella zucca degli stupidi.
Rientro in casa e chiudo, ché fuori è freddo.
Del resto, tutti noi italiani, assieme a spagnoli, portoghesi, greci, maltesi e (grandeur a parte) francesi, siamo i terroni d'Europa, invisi ai paesi cosiddetti "frugali" (in che? Forse campano a pane e cicoria come il Rutellone-Cicciobello prima della sconfitta campale?). Tutto è relativo.
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: La "neo-lingua"

10
Nightafter ha scritto: mer gen 27, 2021 7:05 pm Parlando di lingua e neo-linguaggi, mi viene un po' da sorridere.
Credo che non abbiamo ancora idea di ciò che ci aspetta nel prossimo futuro.
Ho una nipotina di nove anni che gioca online su una di quelle console
che possiedono i bimbi di oggi.
Preparatevi a termini quali:

- laggare
- catorcico
- killare
- riftare

solo per iniziate :D
Vivo con un tredicenne e una quasisedicenne, entrambi geek. A volte li ascolto parlare tra loro e mi sembra di guardare un film kazaco senza sottotitoli :D
I intend to live forever, or die trying.
(Groucho Marx)

Re: La "neo-lingua"

12
Cheguevara ha scritto: mer gen 27, 2021 9:43 am in genere infarcire un discorso o uno scritto di termini stranieri è diventata un'abitudine paragonabile ad un inutile vezzo, atto a comunicare alla collettività la propria appartenenza alla cerchia dei bene informati. Cosa non sempre rispondente alla realtà.

Esatto! Per certuni l'inglese "fa figo". Non capisco l'abitudine di scrivere le parole in Italiano e poi metterci accanto, tra parentesi, la parola corrispondente in inglese, quasi a volere spiegare meglio il concetto. Ma l'Italiano basta e avanza! Io farei il contrario. Appena mi capita di scrivere un testo in inglese, parola d'onore che lo infarcisco di parole italiane, giusto per mettere le cose al loro posto.
Il Sommo Misantropo

Re: La "neo-lingua"

13
Nightafter ha scritto: mer gen 27, 2021 7:05 pm Ho una nipotina di nove anni che gioca online su una di quelle console
che possiedono i bimbi di oggi.
Preparatevi a termini quali:

- laggare
- catorcico
- killare
- riftare

Io ogni tanto partecipo a un gioco online internazionale (SecondLife), nel quale anche nelle terre italiane si usa un gergo, di origine angloamericana, in cui "laggare" è un verbo comune. Poi c'è "lurkare", che va bene anche per i forum come questo, e indica chi "lurka", cioè chi guarda senza mai partecipare: i "lurkers" appunto, talvolta italianizzato in "lurkatori".
Esistono anche altri verbi. Sempre più spesso sento parola come "briffare", "schedulare" e così via.

Quelli che mi fanno pensare sono i prestiti non consapevoli, cioè quelli che ci sembrano italiani ma in realtà non lo sono. Per esempio, io non dico e non ho mai scritto "stoppare" (da "to stop"), che ormai usano tutti anche nel linguaggio sportivo, in frasi come "Rossi stoppa la palla di petto", "meraviglioso stop a seguire da parte di Rossi, che poi crossa al centro. Ma la palla va fuori, quindi batteranno un corner". Io mi ostino a dire "traversone", "arresto di petto", "calcio d'angolo", "fuorigioco" invece di "off-side", ecc… :)
Spero che il pc non crashi se clicco sul link giusto. Il gergo informatico è pieno di anglismi. Ora "elaborare" si dice "processare". Sono vecchio e ho sempre creduto che "processare" significasse "sottoporre a processo", ma i tempi cambiano dunque mi devo upgradare o updatare. :)

Nightafter ha scritto: mer gen 27, 2021 7:05 pm Credo che non abbiamo ancora idea di ciò che ci aspetta nel prossimo futuro.
A volte analizzo la lingua degli emigrati italiani in America. Dalla mie parti ce ne sono tanti, specie siculo-americani, quindi ho un buon osservatorio. Questi hanno creato una nuova lingua che i linguisti definiscono "siculish", cioè una lingua a metà tra il siciliano e l'inglese. Una lingua creola in cui la struttura è inglese ma il lessico è italiano e siciliano adattato. Una frase tipica potrebbe essere così: "Are you able di draviari lu carru supra lu ponti di Brucculinu? It's not facile draviari a Nova Yorka!", dove "draviari" è ottenuto da "to drive", "carru" da "car", "Brucculinu" da "Brooklyn", "Nova Yorka" da "New York", ecc… :)
Una volta mia zia cercava il "sellu" per il vino. "Sellu" da "cellar" :D
Un'altra volta una mia amica pronunciò male "because" e mia zia andò dietro la casa, perché per lei "back-house" era il giardino dietro la casa (munito di toilette). Quando le dissi che non avevo nessun giardino (con bagno annesso) dietro la casa, lei rimase sorpresa e mi rispose che almeno una "yarda" nta lu "beck" di l'"house" dovevo averla. "If not, se devi andare al bathroom saden, come fai?" :D

Avevo un'amica di Puertorico, dove si parla spagnolo, inglese e "spanglish", cioè un creolo/pidgin tra spanish e english. Io poi ho aggiunto l'italiano e siamo finito a parlare l'italospanglish :)

Da noi forse ci sarà l'itanglese. Dico forse perché nessuno ha la sfera di cristallo, tanto meno io, e magari in futuro si farà più attenzione alle lingue, anche considerando che le lingue si trasmettono sempre più per scritto e sempre meno per via orale come avveniva un tempo per via del dilagante analfabetismo. Noi stessi diciamo con orgoglio che l'italiano deriva dal latino. Io dico che non è che l'italiano deriva dal latino, ma l'italiano è il latino moderno. Le lingue si evolvono, staremo a vedere. L'inglese, in my very humble opinion, non ha le caratteristiche per diventare lingua universale.

Comunque ai bambini gli passa presto. Poi cominciano a rifiutare parole come "killare".
Il Sommo Misantropo

Re: La "neo-lingua"

14
dyskolos ha scritto: lun feb 15, 2021 3:46 pm A volte analizzo la lingua degli emigrati italiani in America. Dalla mie parti ce ne sono tanti, specie siculo-americani, quindi ho un buon osservatorio. Questi hanno creato una nuova lingua che i linguisti definiscono "siculish", cioè una lingua a metà tra il siciliano e l'inglese. Una lingua creola in cui la struttura è inglese ma il lessico è italiano e siciliano adattato.
Se conoscessi il "siculish", ci scriverei un romanzo.
Non una commedia, @dyskolos, ma un romanzo "vero"...

Re: La "neo-lingua"

16
La discussione verte sulla neo-lingua, in cui non sono ferrato. Sull'archeo-lingua, o meglio, sugli archeo-dialetti avrei, invece, molto da aggiungere. I dialetti del Sud, in particolare quello del paesetto della Ciociaria da cui proviene la mia famiglia, sono infarciti di termini presi pari pari dal latino e (badate bene, è il dialetto parlato dai miei nonni, che i giovani neanche conoscono più) dall'inglese: cett = presto (latino cito), craie e piscraie = domani e dopodomani (latino cras - postcras), fullà = spingere (inglese to full), refl = fucile (inglese rifle), e via dicendo. Le contaminazioni sono sempre state e sempre ci saranno, solo che per le vecchie cariatidi come me quelle antiche stanno simpatiche, quelle moderne risultano spesso incomprensibili.
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: La "neo-lingua"

17
Cheguevara ha scritto: mer feb 17, 2021 2:04 pm I dialetti del Sud, in particolare quello del paesetto della Ciociaria da cui proviene la mia famiglia, sono infarciti di termini presi pari pari dal latino e ([…]) dall'inglese
Confermo! :)
Ma credo che succeda anche alcuni idiomi centrali e settentrionali. Sicuramente ciò è vero per il siciliano, che comunque fatico a ritenere un dialetto, ma qui c'è materia per un post ad hoc sull'origine dell'italiano. Questo idioma è più vicino al latino rispetto all'italiano perché, come anche nei dialetti a cui ti riferisci, e a differenza dell'italiano, non ha subito l'influsso del toscano-fiorentino durante la fase di formazione.
Inoltre questo tuo post ha infervorato il mio animo da difensore delle lingue minoritarie :) in particolare laddove parli di termini presi dall'inglese. A parte i casi che citi, in generale non può essere il contrario? Cioè che è stato l'inglese a prendere termini dagli idiomi italiani? Magari è stato l'inglese a infarcirsi :)
Per dire, in siciliano "bucare" si dice "pirciari"; e ora molti giovanotti si fanno il "piercing" (da "to pierce"), cioè si bucano la pelle. Di contro il traghetto in siciliano si chiama "firrabbottu", dall'inglese americano "ferry boat".

Cheguevara ha scritto: mer feb 17, 2021 2:04 pm Le contaminazioni sono sempre state e sempre ci saranno, solo che per le vecchie cariatidi come me quelle antiche stanno simpatiche, quelle moderne risultano spesso incomprensibili.
Allora anche io sono una vecchia cariatide :) Sopra ho citato due esempi :) :)
D'altronde però mi rendo conto che le contaminazioni, specie quelle sotto forma di prestito, sono il meccanismo principe per mantenere una lingua in vita. Senza prestiti, cioè con l'isolamento, si muore.
Il Sommo Misantropo
Rispondi

Torna a “Questioni di lingua”