Re: Treccani

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Mi spiace, ma qui non vedo un progresso delle donne o della parità di genere. Solo un'ipocrita concessione al "politicamente corretto" (e il genere femminile messo prima me lo conferma). Sono sempre dell'idea che prima devono venire i cambiamenti nella vita vera, e solo poi, eventualmente, la lingua finirà per adattarsi. Anche a me toccherà trovare un altro dizionario di riferimento... :hm: 
Ci capita di non avere davvero la consapevolezza di quanto potere abbiamo, di quanto possiamo essere forti (A. Navalny)
Qualunque sia il tuo nome (HarperCollins)
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Re: Treccani

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Questa discussione riprende il tema del topic sul femminile delle professioni. Non starò a ripetere il mio pensiero. Dico solo che il simpatico giornalista che ha intitolato il suo articolo "Treccagne" (il giornale forse era Libero) è stato querelato. 
Chi invece pensa di abbandonare uno dei migliori dizionari italiani solo per questo è libero di farlo. Fa un dispetto solo a sé stesso.

Re: Treccani

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ivalibri ha scritto: Dico solo che il simpatico giornalista che ha intitolato il suo articolo "Treccagne" (il giornale forse era Libero) è stato querelato. 
Non leggo "Libero" (o forse dovrei?). La mia era solo una battutaccia da vecchio collegiale, e nulla sapevo in merito all'articolo del "simpatico" giornalista querelato. Comunque sia, ritengo la battutaccia spiritosa e inoffensiva. E in tal senso speravo fosse intesa...
ivalibri  ha scritto: ivalibri  Chi invece pensa di abbandonare uno dei migliori dizionari italiani solo per questo è libero di farlo. Fa un dispetto solo a sé stesso.
Leggo tra le righe una vena polemica: non era mia intenzione provocare e mi spiace se così è stato. Per ora ho ripetutamente fatto ricorso alla dotta consulenza della Treccani, ma sono rimasto sconcertato dalle recenti novità. Vedremo come evolve la faccenda.
ivalibri ha scritto: sé stesso.
Questa storia del se stesso o sé stesso l'abbiamo già discussa, non ricordo con che esito e se qui o altrove.

Auguro un buon fine settimana a tutti!
https://www.treccani.it/magazine/lingua ... a_045.html   :libro: :sorrisoidiota:

Re: Treccani

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Fraudolente ha scritto: Per ora ho ripetutamente fatto ricorso alla dotta consulenza della Treccani, ma sono rimasto sconcertato dalle recenti novità
Idem, e a parte l'indignazione, più che sconcerto nel mio caso, non abbandonerò Treccani per questo motivo; presumo che non spariranno i contenuti che ho sempre ammirato.
Però sono profondamente deluso, questo sì.
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Re: Treccani

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Fraudolente ha scritto: Non leggo "Libero" (o forse dovrei?). La mia era solo una battutaccia da vecchio collegiale, e nulla sapevo in merito all'articolo del "simpatico" giornalista querelato. Comunque sia, ritengo la battutaccia spiritosa e inoffensiva. E in tal senso speravo fosse intesa..
Fai bene a non leggerlo! E nemmeno io lo faccio. Ho letto della polemica e l'ho riferita, tutto qui. C'è una bella differenza tra fare una battuta da collegiale su un forum e titolare un articolo di giornale con evidente intento denigratorio. Non era mia intenzione paragonarti al giornalista. 
Fraudolente ha scritto: Leggo tra le righe una vena polemica: non era mia intenzione provocare e mi spiace se così è stato. Per ora ho ripetutamente fatto ricorso alla dotta consulenza della Treccani, ma sono rimasto sconcertato dalle recenti novità. Vedremo come evolve la faccenda.
No, figurati, non mi sono sentita provocata. Se vai a recuperare la vecchia discussione sull'argomento potrai leggere come la penso. In realtà Treccani non è il primo dizionario a declinare al femminile le professioni che un tempo erano precluse alle donne, lo hanno già fatto altri dizionari prestigiosi ed era solo questione di tempo perché il glorioso Treccani si adeguasse.  Seguendo tra l'altro le indicazioni date in merito dall'Accademia della Crusca. 
La questione da un punto do vista linguistico è complessa, bisogna distinguere da un lato morfologia e semantica, ma dall'altro osservare quando hanno degli elementi in comune. Il femminile delle professioni è uno di questi casi, anche da un punto di vista storico, per la grammatica italiana.
Nei casi di resistenza (più che giustificata, sia ben chiaro, visto che l'uso non è generalizzato) invito sempre a riflettere sul fatto che storciamo il naso di fronte a sindaca e ministra, ma accettiamo tranquillamente cameriera, infermiera, sarta, cassiera, serva, ecc.
Fraudolente ha scritto: Questa storia del se stesso o sé stesso l'abbiamo già discussa, non ricordo con che esito e se qui o altrove.
Sono accettate entrambe le forme. In realtà mentre scrivevo il correttore automatico si ostinava a mettere l'accento sul se e allora l'ho lasciato così...
Buon fine settimana anche a te e a tutti!

Re: Treccani

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Quello che mi infastidisce in questa storia della parità di genere a tutti i costi è la moda. La natura ha creato la fauna di cui facciamo parte, ma anche la flora, dividendola in due sessi, ognuno dei quali ha la sua funzione nella perpetrazione della specie. Dire che donne e uomini sono uguali è una corbelleria: devono essere sullo stesso piano nel campo dei diritti e dei doveri, del lavoro, del rispetto reciproco, ma non sono uguali. Come la mettiamo con l'espressione "genere umano"? Dovremmo dire "il genere delle umane (sempre prima il femminile, mi raccomando!) e degli umani? E con i plurali? Anziché "tutti", sorgerà l'obbligo di dire o scrivere "tutte e tutti"? O sarà il caso della "e" rovesciata come ultima vocale? Per non parlare di omosessuali (mannaggia, sempre i plurali al maschile) e trans. L'omosessualità è sempre esistita come fatto naturale, tant'è che la praticano anche gli animali. Personalmente ritengo che ognuno sia libero di fare sesso con chi gli pare, a patto che sia maggiorenne e consenziente, ma non capisco la necessità di sbandierare ai quattro venti le proprie preferenze sessuali che equiparerei al divulgare le proprie posizioni preferite nell'amplesso.
Sono fatti intimi che tali dovrebbero restare, invece è di moda fare outing, cioè mettere tutte/i al corrente.
Sarà senz'altro dovuto all'età, ma in mezzo a tutti questi distinguo e queste inutili esibizioni non mi ci ritrovo.
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Re: Treccani

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ivalibri ha scritto: Questa discussione riprende il tema del topic sul femminile delle professioni. Non starò a ripetere il mio pensiero. Dico solo che il simpatico giornalista che ha intitolato il suo articolo "Treccagne" (il giornale forse era Libero) è stato querelato. 
In effetti il titolo era di pessimo gusto, su questo ti do pienamente ragione. Poi abbiamo discusso anche in altre sedi sulla questione. Il mio pensiero l'ho riportato più sopra, ma ribadisco che non sono antifemminista. La parità di genere, come tutti i diritti umani, mi sta molto a cuore.
Ma proprio perché sono donna non sono femminista e non approvo le scorciatoie o il politicamente corretto. Abbiamo diritto alla parità perché siamo alla pari, non perché qualcuno su un dizionario qualsiasi ce lo concede mettendo prima "gatta" di "gatto". Probabilmente sono più femminista delle femministe, e non voglio la carità da nessuno. La parità è un dato di fatto, anche se abbiamo dovuto guadagnarcela. Ma questo la rende solo una questione più seria e più delicata, che non può prendere il via nel campo linguistico. Deve affermarsi nel concreto. A sentire sindaca o ministra io mi sto già abituando (è molto facile) ma non è certo quello che può fare la differenza
Ci capita di non avere davvero la consapevolezza di quanto potere abbiamo, di quanto possiamo essere forti (A. Navalny)
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Re: Treccani

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Silverwillow ha scritto: Abbiamo diritto alla parità perché siamo alla pari, non perché qualcuno su un dizionario qualsiasi ce lo concede mettendo prima "gatta" di "gatto".
Questo è sacrosanto e per me è il cuore della questione: il rispetto e la dignità non si ottengono violentando una lingua e non si misurano sulle concordanze grammaticali. Una donna chiamata a fare il ministro non gode di maggiore fiducia se la chiami "ministra" (anzi, se fossi donna sospetterei sempre che dietro ci fosse una larvata presa per il culo nel sentirmi chiamare così).
Il fatto mi ricorda il periodo in cui ho insegnato in una scuola privata (quelle di recupero, due o tre anni in uno per intenderci): le classi erano piccole e gli studenti avevano dai quindici ai diciotto anni in genere. Io frequentavo l'università e ne avevo pochi più di loro; c'era chi mi dava del lei e mi chiamava "professore" e chi mi si rivolgeva con un semplice "scusa, Marcello, qui come si fa a capire se...". Non ho mai chiesto né agli uni né agli altri di cambiare atteggiamento, ma ho sempre cercato di trattarli tutti nello stesso modo, profondamente convinto che il rispetto per la mia persona (e per l'istituzione che rappresentavo) non fosse legato al pronome con cui i ragazzi mi si rivolgevano.
E, già che ci siamo, rabbrividisco al pensiero del professore inglese sospeso da scuola e poi arrestato per essersi rifiutato di rivolgersi a uno studente con il pronome "they" (anche se non concordo con le sue motivazioni, tutte di origine religiosa); tu puoi sentirti uomo in un corpo di donna o viceversa, puoi anche sentirti né l'uno ne l'altro, ma sei comunque una persona con due gambe, due braccia, un cuore e una testa. Puoi anche chiedermi di usare un giorno il pronome femminile e quello dopo il pronome maschile, ma "they" lasciamolo per i gemelli siamesi.
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Re: Treccani

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Marcello ha scritto: . Una donna chiamata a fare il ministro non gode di maggiore fiducia se la chiami "ministra" (anzi, se fossi donna sospetterei sempre che dietro ci fosse una larvata presa per il culo nel sentirmi chiamare così).
Non sono d'accordo. Perché dovrei sentirmi da meno se mi chiamano al femminile? Perché presa per il culo? Non lo capisco proprio. 
Marcello ha scritto: le classi erano piccole e gli studenti avevano dai quindici ai diciotto anni in genere. Io frequentavo l'università e ne avevo pochi più di loro; c'era chi mi dava del lei e mi chiamava "professore" e chi mi si rivolgeva con un semplice "scusa, Marcello, qui come si fa a capire se...". Non ho mai chiesto né agli uni né agli altri di cambiare atteggiamento, ma ho sempre cercato di trattarli tutti nello stesso modo, profondamente convinto che il rispetto per la mia persona (e per l'istituzione che rappresentavo) non fosse legato al pronome con cui i ragazzi mi si rivolgevano.
Dissento del tutto anche su questo. Probabilmente questa tua esperienza è circoscritta a una situazione particolare. Io insegno nelle scuole superiori da quindici anni e non mi sognerei mai di farmi dare del tu. Mi devono dare del lei e non sono autorizzati a chiamarmi per nome. Sono d'accordo sul fatto che il rispetto non si debba limitare a questo, ma anche la forma è sostanza. È probabile che se non facessi caso a certe formalità mi ritroverei i miei alunni a saltarmi sulla testa.
Pensa che li faccio persino alzare in piedi quando entro in classe. Potrebbe sembrare un gesto autoritario e fuori moda, ma di questi tempi è meglio mantenere le distanze, e la forma, in un luogo difficile come la scuola. 

Tornando al Treccani vorrei proporre una riflessione. Il fatto che nel dizionario si metta prima la forma maschile e poi la femminile non è dovuto alla morfologia della lingua, né al suo uso o alle sue regole, ma a una convenzione.
Anch'io che insegno lingue straniere faccio memorizzare i pronomi personali nell'ordine maschile, femminile, neutro (he, she, it, ad esempio). Preciso però che si tratta di una convenzione. Trovo interessante l'inversione proposta da Treccani. Più che violentare la lingua o cedere alla moda del politicamente corretto, mette in luce quella che è la natura di una convenzione, ossia che è frutto di una scelta, di una tradizione, ma che in quanto tale si può cambiare. Altrimenti immaginiamo la lingua come un insieme di regole fisse, già date, immutabili. Con questa idea sì che violentiamo la lingua che, al contrario, per sua natura è mutevole.
Per il resto, ribadisco, il discorso è complesso. La lingua rispecchia la realtà e il modo di vedere la realtà? In parte sì e in parte no. Per questo la questione del femminile genera dubbi e perplessità. Sono d'accordo con chi dice che è più importante cambiare la società che la lingua e la percezione che noi ne abbiamo. Tuttavia la lingua e le sue convenzioni possono servire da strumenti di riflessione sulla società. Torno quindi alla domanda che ho posto più sopra: perché ministra e sindaca non vanno bene (sono parole brutte o ridicole) e invece sarta, cameriera, cuoca, commessa sì? Non notate la differenza di prestigio tra le due categorie?

Re: Treccani

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ivalibri ha scritto: Probabilmente questa tua esperienza è circoscritta a una situazione particolare
Certo, l'ho precisato: ai primi tempi avevo vent'anni e avevo degli allievi di diciotto, non ci trovavo proprio nulla di sbagliato nel fatto che mi dessero del tu. Anzi, mi hai fatto proprio venire in mente uno (anche nome e cognome, nonostante siano passati quarantacinque anni) che ne aveva diciassette o diciotto e mi chiamava professore, mi dava del lei e aveva sempre un sorrisino stampato sulle labbra... era il peggior figlio di buona donna che abbia mai avuto e non appena gli giravo le spalle ne combinava di tutti i colori...
Era solo un esempio particolare.
ivalibri ha scritto: dom set 18, 2022 12:05 pmPerché presa per il culo? Non lo capisco proprio. 
Non pensi che qualcuno lo dica con il tono "ti faccio sentire importante chiamandoti ministra, ma tanto per me sei..."?
Io sono convinto che sia così. 
«Signor ministro, perché sostiene la proposta di legge di Pinco Pallino?» è una domanda formale, perfetta al di là del sesso del ministro in questione. «Signora ministra, perché sostiene la proposta di legge di Pinco Pallino?» mi fa temere, nel caso di pseudogiornalisti di quotidiani o emittenti di professata fede opposta a quella della ministra in questione, che nella mente dell'intervistatore la domanda si completi con "e non sta a casa a preparare le tagliatelle al ragù?".  
Sono troppo diffidente? Non credo.
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Re: Treccani

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Marcello ha scritto: Non pensi che qualcuno lo dica con il tono "ti faccio sentire importante chiamandoti ministra, ma tanto per me sei..."?
Io sono convinto che sia così. 
«Signor ministro, perché sostiene la proposta di legge di Pinco Pallino?» è una domanda formale, perfetta al di là del sesso del ministro in questione. «Signora ministra, perché sostiene la proposta di legge di Pinco Pallino?» mi fa temere, nel caso di pseudogiornalisti di quotidiani o emittenti di professata fede opposta a quella della ministra in questione, che nella mente dell'intervistatore la domanda si completi con "e non sta a casa a preparare le tagliatelle al ragù?".  
Può darsi, caro @Marcello, che qualcuno abbia quel retro-pensiero ma io in quanto donna non credo sia giusto assecondare questo tipo di mentalità. Io sono una donna, sono orgogliosa di esserlo, e mi pare corretto declinare il mio mestiere o la mia posizione al femminile. Per me nella declinazione non è insito il fatto che quel mestiere o posizione non sia adatta a me. Sono consapevole dei tanti pregiudizi in merito da parte di tante persone ma credo fermamente che non si debbano combattere dando per scontato che la maschilizzazione della professione o del ruolo apicale sia la soluzione migliore. Altrimenti avvalliamo l'idea che il maschile sia di per sé più dignitoso, meritevole, in sintesi migliore. Se fossi una ministra mi farei chiamare così e se qualcuno usasse un tono ironico o denigratorio gli farei notare che nel suo pensiero è insita l'idea che io in quanto donna valga di meno.
Comprendo la fatica di questo atteggiamento, non sempre si ha voglia di spiegare e precisare, però bisogna cominciare a farlo. Pinco Pallo ride perché una donna fa la ministra? Che rida pure, lo sciocco è lui non il ruolo al femminile. 
Faccio notare che gli uomini non si fanno questi problemi. La maggioranza di infermieri sono donne per tradizione, ma un infermiere non si sognerebbe mai di farsi chiamare al femminile. Noi donne invece ci dobbiamo porre il problema: rideranno? Mi prenderanno sul serio? Per come la vedo io sarebbe il caso di smettere di avvallare questo tipo di mentalità. 

Re: Treccani

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ivalibri ha scritto: Noi donne invece ci dobbiamo porre il problema: rideranno? Mi prenderanno sul serio? Per come la vedo io sarebbe il caso di smettere di avvallare questo tipo di mentalità. 
Posizione comprensibilissima e più che rispettabile  ;) , carissima.
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Re: Treccani

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@ivalibri  Continuo a pensare che si dia troppa importanza alla questione. Non è vero che il femminile si usi abitualmente soltanto per mestieri ritenuti secondari: si è sempre usato dottoressa, professoressa, avvocatessa, direttrice, per esempio. Se il mio capo è donna, che devo fare, chiamarla capa o capessa? A mio avviso ha ragione Marcello, oltre che cacofonico, il termine suonerebbe come una presa per il culo. E' vero che il linguaggio è in continuo cambiamento, ma la cosa è sempre avvenuta spontaneamente, non per imposizione del politicamente corretto. E le donne devono pretendere, come chiunque, rispetto, un rispetto dimostrato con gli atteggiamenti, con i fatti e anche con le parole, ma non è mancanza di rispetto indicarne la funzione con parole normalmente usate: signora, prima della qualifica, mi sembra sufficiente. Aggiungo che sul fatto che non sempre la forma sia sostanza sono d'accordo con Marcello: avendo quasi sempre assunto, nella mia passata vita lavorativa, incarichi manageriali, ed essendo sempre il più giovane tra i pari grado e spesso più giovane dei miei sottoposti, ho sempre evitato di farmi chiamare direttore e ci davamo del tu, ma non per questo i miei uffici funzionavano peggio di quelli cui erano preposti soggetti che si ponevano su un gradino superiore, anzi, il contrario. Come sempre, tutto è relativo.
Mario Izzi
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Re: Treccani

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ivalibri ha scritto:
Non sono d'accordo. Perché dovrei sentirmi da meno se mi chiamano al femminile? Perché presa per il culo? Non lo capisco proprio. 
Su questo sono d'accordo con Marcello. Non mi sentirei da meno se mi chiamassero al femminile ma, vista la diatriba in corso sui generi linguistici, mi verrebbe almeno il dubbio che quella desinenza femminile sia una concessione fasulla per fare bella figura e non un giusto e normale riconoscimento di ruolo. Non so se riesco a spiegarmi.
ivalibri ha scritto: Tornando al Treccani vorrei proporre una riflessione. Il fatto che nel dizionario si metta prima la forma maschile e poi la femminile non è dovuto alla morfologia della lingua, né al suo uso o alle sue regole, ma a una convenzione.
Certo, è una convenzione. Ma per cambiare l'ordine dei generi serve instaurare un'altra convenzione, e su cosa venga basata è tutto da stabilire, visto che non è un evento spontaneo. Non può essere una cosa imposta dall'alto (non si sa bene da chi) quindi deve avere un motivo. Il fatto che finora abbiamo avuto dizionari che privilegiavano la forma maschile non è un motivo valido. Sarebbe come dire: voi avete avuto troppo spazio fin qui, adesso tocca a noi. Per me non ha senso, è un modo ambiguo e confuso di porre la questione.
Il problema con la lingua è mentale prima che esterno. Se io leggo "gli uomini stanno rovinando il pianeta" non ho alcuna esitazione nel riconoscere entrambi i generi in quel "gli uomini". Si può anche considerare ingiusto prendere un termine al maschile per comprendere tutti, ma visto che non ne impedisce la comprensione credo non ponga problemi. La lingua è prima di tutto un mezzo per capirsi. Si può auspicare che col tempo si modifichi, di pari passo coi cambiamenti reali, ma il suo scopo principale non dovrebbe essere politico.
ivalibri ha scritto: Potrebbe sembrare un gesto autoritario e fuori moda, ma di questi tempi è meglio mantenere le distanze, e la forma, in un luogo difficile come la scuola. 
Sono d'accordo che la forma è importante, e serve a stabilire delle regole, ma non dovrebbe sfuggire di mano tanto da precedere o annullare la sostanza. Nel senso che se qualcuno rispetta la forma ma crea problemi (come nell'esempio di Marcello) bisogna prendere provvedimenti. La stessa cosa vale per chi magari chiama le donne ministra ma poi torna a casa e maltratta la compagna (è un esempio banale ed estremo, ma è per rendere l'idea sulla differenza tra realtà quotidiana e questioni linguistiche, che si intersecano solo fino a un certo punto).
Ci capita di non avere davvero la consapevolezza di quanto potere abbiamo, di quanto possiamo essere forti (A. Navalny)
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Il tredicesimo segno (Words)

Re: Treccani

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ivalibri ha scritto: Io insegno nelle scuole superiori da quindici anni e non mi sognerei mai di farmi dare del tu. Mi devono dare del lei
E perché no Sua Santità o Vostra Maestà? :-)
Ma dai! A me quelli che la pensano così fanno proprio antipatia. Penso subito a persone con la puzza sotto il naso. Io detesto essere chiamato "dottore" o "professore". Per me anche un semplice "ahòò" va benissimo e… non mi salta nessuno sulla testa: te lo assicuro :-)
Forse tutto deriva dalla mia naturale avversione verso le gerarchie.
Il Sommo Misantropo

Re: Treccani

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dyskolos ha scritto: perché no Sua Santità o Vostra Maestà? :-)
Ma dai! A me quelli che la pensano così fanno proprio antipatia. Penso subito a persone con la puzza sotto il naso. Io detesto essere chiamato "dottore" o "professore". Per me anche un semplice "ahòò" va benissimo e… non mi salta nessuno sulla testa: te lo assicuro :-)
Forse tutto deriva dalla mia naturale avversione verso le gerarchie.
Ma dai lo dico io!
Farsi dare del lei è proprio il minimo sindacale.
Hai davvero mai provato a farti dire "Tu! Ahò" a una classe di 30 ragazzini con gli ormoni a mille? Se ti capita, auguri!

Re: Treccani

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ivalibri ha scritto: Ma dai lo dico io!
Farsi dare del lei è proprio il minimo sindacale.

Invece lo dico io ;-)
Niente, la pensiamo diversamente. Io sono uno del popolo. Sono nato da mia madre facendo "nguè nguè" come te. Poi sono cresciuto e ho preso un pezzo di carta, ma non sono diventato un c**** e mezzo o come diceva Alberto Sordi ("Io sono io e voi non siete un c****"). Io sono sempre io, sempre lo stesso deficiente e idiota di trenta anni fa. Quando sono uscito dal pancino della mia cara mamma, lei non mi chiamava "dottore", ma una cosa come "Francuccio bello".
Per me, "docente" e "discente" sono solo due convenzioni di comodo: io imparo tantissimo dai miei allievi; in altre parole, loro sono il mio docente. Siamo sullo stesso piano e detesto le gerarchie per carattere. Sono per una società senza piramidi, dove non c'è uno sopra, al vertice della piramide, e gli altri sotto a obbedire. So che qualche piramidina non si può eliminare, ma tendenzialmente dovrebbe essere cancellata.
Soprattutto non confondo – sto per dire una banalità ;-) – autorità e autorevolezza.

Tra l'altro, il "Lei" crea fraintendimenti. Una volta una persona mi dava del lei (o almeno pensavo così), ma poi ho capito che parlava di mia sorella. Un'altra volta un'infermiera mi disse: "Lei deve alzare il braccio". Io: "ma… ehmm… mia mamma ha le braccia paralizzate, non le può alzare". Lei: "ma non lei-lei" e indicava mia madre, "ma lei" e indicava me. Io: "Allora mi dia del tu, no?" ;-)
Il Sommo Misantropo

Re: Treccani

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Anch'io sono del popolo, assolutamente, ma a scuola è una questione di sopravvivenza, te lo posso assicurare. 
Per curiosità, visto che parli dei tuoi allievi, in che tipo di scuola insegni? Posso capire le situazioni particolari, come quella descritta da Marcello, o magari la tua (se avrai voglia di raccontarmi) ma in genere farsi dare del tu a scuola (una scuola normale come quella in cui lavoro io che è un istituto tecnico superiore) è una pessima idea. Significa mettersi sullo stesso piano che idealmente è un principio meraviglioso ma nella pratica non è consigliabile. Il passo dal tu a prendersi altre confidenze è breve.
Stabilire una gerarchia non significa mancare di rispetto o considerarsi superiori. Io rispetto i miei alunni e imparo molto da loro ma in classe, per potere lavorare e imparare, ci deve essere una situazione chiara e ordinata. Non sono un'alunna anch’io, altrimenti che mi pagano a fare? Per fare quattro chiacchiere in libertà?

Re: Treccani

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ivalibri ha scritto: in che tipo di scuola insegni?

Ho insegnato in due scuole private. Sinceramente lo rifarei: mi piace insegnare :-)



ivalibri ha scritto: Stabilire una gerarchia non significa mancare di rispetto o considerarsi superiori. Io rispetto i miei alunni e imparo molto da loro ma in classe, per potere lavorare e imparare, ci deve essere una situazione chiara e ordinata. Non sono un'alunna anch’io, altrimenti che mi pagano a fare? Per fare quattro chiacchiere in libertà?

Beh, a me non vanno proprio giù le gerarchie. Nemmeno io sono un alunno, però mi piace non stabilire gerarchie. La qualità del nostro insegnamento è cosa diversa dal livello di autorità che riusciamo a mantenere, a mio parere. Se io insegno bene e i miei allievi mi seguono interessati, il "tu" e il "lei" non contano. Io dico: "chiamatemi per nome, se ci riuscite", perché alcuni proprio non ci riescono a evitare il "professore". E allora vanno bene il "lei" e il "professore"/"prof". Altri riescono, talvolta a fatica, a evitare il "professore". Qualcuno oscilla e mi chiama un po' "prof", un po' Franco. Lo capisco e infatti non forzo nessuno.
In generale le persone che pretendono di essere chiamate per titolo mi fanno un po' antipatia. Una volta mi trovai a parlare al telefono con una persona sconosciuta. Io, con rispetto, la chiamavo "Signora", poiché l'unica cosa che sapevo era la voce femminile, ma lei a un certo punto mi urlò al telefono "E mi chiami dottoressa!". Per me "signora" è meglio di "dottoressa": signori si nasce e dottori si diventa, spesso a sproposito. Il medico per me è un mestiere nobile e mi dispiace immensamente quando alcuni (pochi) di essi rovinano la categoria.
Il Sommo Misantropo
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