La figura dell'orfano, personaggio universale tra archetipo letterario e cliché

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Da Oliver Twist a Harry Potter, passando per le fiabe, i grandi classici della letteratura di ogni latitudine e per un’infinità di romanzi e romanzetti di qualità varia quando non inesistente, il giovane orfano è un protagonista quasi onnipresente. Senza dimenticare film, serie, cartoons e anime.
Possiamo immaginarne le ragioni?

Sicuramente il bambino senza genitori è una figura “affascinante” perché tocca temi sensibili: l'infanzia, periodo di innocenza e debolezza, le esperienze che ci si porta dietro per tutta la vita, la casa, i genitori come sinonimo di affetto, protezione, educazione... e la perdita, o la messa in pericolo di tutto ciò.

Un’altra ragione è sicuramente dovuta a una questione di necessità o facilità narrative: un protagonista deve agire e necessita per questo di libertà di movimento. Un bambino o ragazzino questa libertà di movimento non l'ha, poiché ha dei genitori che decidono per lui e in qualche modo indirizzano e gestiscono la sua vita, si occupano dei problemi al posto suo. Chi decide di usare un bambino come protagonista deve renderlo libero, cioè facendo sì che i genitori siano "assenti". E la morte è l’assenza più definitiva.

Il genitore morto e rimpiazzato da un genitore o da una matrigna/patrigno (o zio, o tutore…) cattivi svolge, fin dalle fiabe, il ruolo di ostacolo da superare perché il figlio diventi adulto, si costruisca come persona e come attore della propria vita. Prendiamo l’esempio delle fiabe classiche, Cenerentola, Biancaneve e così via. Uno dei loro scopi era insegnare alle bambine che un giorno sarebbero diventate indipendenti, la necessità di distaccarsi dalla madre, uccidere metaforicamente il loro rapporto. Così le fiabe raccontano la storia di una giovane fanciulla che uccide/sconfigge la madre, ma per evitare le implicazioni complesse di rendere cattiva, antagonistica, la figura della madre (simbolo dell’amore per eccellenza), ecco subentrare la figura della matrigna, sostituta "cattiva" della madre, una madre non madre. E la fanciulla orfana e indifesa che deve trovare le forze e le armi per liberarsene e costruire così la propria vita.
Un’uccisione metaforica della madre o del padre che nell’affabulazione letteraria diventa una lotta tra l’orfano (che rappresenta il ragazzo che diventa adulto) e il sostituto del genitore (il padre del complesso di Edipo, la madre del complesso di Elettra: i genitori da cui la necessità di rendersi autonomi è imprescindibile per divenire adulti). La psicologia e la psicanalisi sono ormai molto evolute, sfuggono ai dogmi e hanno in gran parte preso le distanze dalle teorie freudiane, ma questo sarebbe tutto un altro soggetto di discussione, e resta il fatto che il complesso d’Edipo e l’uccisione del padre sono tutt'ora un tema onnipresente nella narrativa di ieri e di oggi.

Il protagonista orfano si lega, e spesso si sovrappone, a un altro archetipo della narrativa di ogni tempo: il trovatello, o il neonato abbandonato. Qui, alla fragilità e solitudine del bambino senza genitori si sovrappone un altro tema eterno: la ricerca delle radici, delle origini e in qualche modo dell’identità. Il bambino abbandonato, divenuto grande, partirà alla scoperta della propria storia e in qualche modo di sé.

Ciò che ho scritto sopra è una sorta di riassunto e rielaborazione di una discussione nata qualche anno fa sul WD. (https://www.writersdream.org/forum/foru ... o-cattivo/) La trovavo interessante e meritevole d’essere conservata, giacché il tema e vasto e sempre attuale.
A questo proposito, vorrei estrapolare una citazione da un’intervista rilasciata pochi giorni fa da un romanziere contemporaneo:
“Il personaggio è per definizione una figura da romanzo, poiché a questo bambino viene tolto tutto nel momento più difficile della sua vita: gli inizi. E questo fa di lui un eroe prometeico, costretto ad affrontare sfide e doveri titanici, a causa di un’ingiustizia enorme.” (da https://www.franceculture.fr/emissions/ ... des-saints)

Abbiamo visto dunque alcune delle ragioni che fanno dell’orfano un “perfetto” personaggio di romanzo.
Resta il fatto che molti ne abbiano, e continuino a farlo, abusato, appiattendolo a un cliché sempre uguale, che segue delle traiettorie quasi obbligate. E questo non solo in tanta letteratura fantasy o sentimentale, ma anche in molte opere “mainstream” o che si vorrebbero realistiche.

Come evitare allora di cadere in una banalizzazione e stereotipizzazione?
Cercando di rendere il personaggio il più vero, sfaccettato, credibile e verosimile possibile. Documentandosi su realtà, casi, situazioni, giurisprudenza, testimonianze (quanti romanzi attuali, che pure vorrebbero passare per realistici, dipingono ancora orfanotrofi che non esistono più da decenni? O scrivono castronerie sulle adozioni? Quante matrigne e patrigni sempre uguali, freddi e insensibili continuano a essere dipinte nei libri, ignorando l’esistenza sempre più importante di famiglie allargate in cui i legami di amore e fiducia tra adulti e minori senza legami biologici sono solidi e determinanti? E mi fermo qui in una lista di esempi potenzialmente infinita.)

Interrogandosi sulle ragioni e i sentimenti del personaggio che si sta creando, sui legami che tesse con il mondo che lo circonda e gli altri personaggi.

Evitando di ricadere nelle facilità dello stereotipo rigido: il tutore cattivo, l’orfano necessariamente infelice; il figlio adottivo che non sa d’esserlo e lo scopre per caso e ne soffre irrimediabilmente; il figlio adottivo che vuole a tutti i costi ricucire i legami con la famiglia adottiva, il conflitto tra famiglia adottiva e famiglia biologica, tra l'amore per il genitore che ha cresciuto e quello che ha generato….
Tutte queste situazioni esistono, certo, ma non sono una necessità né un dogma. Il ragazzo orfano, come qualsiasi altro personaggio voglia rispecchiare un essere umano vero, deve rispecchiare la diversità, le possibilità, le sfumature e le molteplici varianti della vita e delle personalità umane.

Chiudo, sperando di avere detto (anche) cose interessanti, e senza pretese di avere ragione.
I intend to live forever, or die trying.
(Groucho Marx)

Re: La figura dell'orfano, personaggio universale tra archetipo letterario e cliché

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Ciao@Bef,
hai detto cose senz'altro interessanti. Credo che scrivere di orfani, nelle favole così come nei libri per adulti, dipenda dal comodo uso di stereotipi che rende più facile sviluppare una trama. Personalmente non apprezzo: sono stato orfano di padre da poco dopo la nascita e forse sarebbe stato bene avere un patrigno, che pure non c'è stato. Sono, invece, diventato patrigno di una ragazzina, ora pienamente donna, che mi rende orgoglioso per i risultati raggiunti nella sua vita professionale. L'uso da parte di uno scrittore di stereotipi triti e ritriti è indice di scarsa fantasia, e la fantasia per un inventore di storie / creatore di mondi è tutto.
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: La figura dell'orfano, personaggio universale tra archetipo letterario e cliché

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Interessante argomento.
Da piccola amavo molto l'archetipo dell'orfano, che spopolava fra anime e libri per bambini. Ero soprattutto affascinata dal "trovatello che parte per il mondo in cerca delle sue origini" tipo Senza Famiglia, Peline Story o Charlotte, figura che nutriva la mia brama di eroismo.
Chi decide di usare un bambino come protagonista deve renderlo libero, cioè facendo sì che i genitori siano "assenti". E la morte è l’assenza più definitiva.
Nelle mie prime storielle facevo morire tutti gli adulti che avevano osato comparirmi fra i piedi: un po' per il discorso sulla libertà (limitata dagli adulti), un po' perché trovavo i "grandi" noiosi, rompiballe e piantagrane, tanto che avrei desiderato un mondo di soli bambini.
P.S. Non ho mai immaginato di ucciderne nessuno nella realtà, tranquilli :D
Uno dei loro scopi era insegnare alle bambine che un giorno sarebbero diventate indipendenti, la necessità di distaccarsi dalla madre, uccidere metaforicamente il loro rapporto. Così le fiabe raccontano la storia di una giovane fanciulla che uccide/sconfigge la madre, ma per evitare le implicazioni complesse di rendere cattiva, antagonistica, la figura della madre (simbolo dell’amore per eccellenza), ecco subentrare la figura della matrigna, sostituta "cattiva" della madre, una madre non madre. E la fanciulla orfana e indifesa che deve trovare le forze e le armi per liberarsene e costruire così la propria vita.
Non so, secondo me qui c'era più un discorso di contrapposizione di modelli: il modello auspicabile, buono e innocente dell'orfano e quello da rigettare, del tutore cattivo (per evitare di rendere negativa la figura del genitore). In passato poi si metteva l'accento sul ruolo tradizionale della donna in famiglia: l'esempio da seguire era quello della giovinetta che si sbatteva nell'accudire casa e famiglia, mentre le antagoniste erano vanitose, invidiose e sfaticate.
Concordo sulla necessità di elaborare e rivisitare gli stereotipi in chiave moderna: d'altronde non è più un tabù l'esistenza di una grande fetta di genitori biologici incompetenti, anaffettivi e problematici; mentre il bambino può trovare i propri modelli positivi al di fuori del nucleo familiare.
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Re: La figura dell'orfano, personaggio universale tra archetipo letterario e cliché

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Bella discussione, @Bef, grazie per averla riportata :D

Nel mio ultimo romanzo (ancora in fase di revisione) ho due orfane, prima di madre cui subentra la matrigna, poi muoiono pure padre e matrigna. Quindi si ritrovano a vivere con due tutori molto particolari. Insomma, le ho messe volutamente tutte :asd:
Il mio intento è stato proprio quello di partire dagli stilemi delle fiabe per andare a creare qualcosa di diverso. Volevo un romanzo di formazione dove le protagoniste fossero costrette a crescere pressoché da sole in un ambiente ostile e, d'altra parte, volevo che i due tutori improvvisati crescessero anche loro grazie a questa particolare esperienza.
Il cliché iniziale l'ho cercato e inserito proprio in virtù del suo essere cliché. Secondo me, se usate bene queste formule, possono funzionare e dare motore alla storia.
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Re: La figura dell'orfano, personaggio universale tra archetipo letterario e cliché

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@Miss Ribston sì credo che questo sia proprio uno dei punti fondamentali: usare i cliché in quanto tali, giocarci, servirsene per uno scopo preciso ben coscienti che sono cliché è un'operazione più che legittima e che può essere molto interessante.
Il problema, molto diffuso, è quando si usano cliché triti e ritriti senza rendersene conto e pretendendo che rispecchino realtà e originalità, o li si considera la sola forma possibile di scrittura. Non farò esempi, credo che di abusi involontari di cliché ne abbiamo incontrati tutti, anche in libri di autori di successo :si:
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Re: La figura dell'orfano, personaggio universale tra archetipo letterario e cliché

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@Bef ho dato una letta veloce. Aggiungerei solo (non mi sembra ci sia nel testo), che per "orfano" non va inteso in senso stretto qualcuno senza genitori. Almeno, l'espediente narrativo in questione non è necessario.

"Orfano" è qualunque protagonista, bambino o pre-adolescente, che viene allontanato dai genitori per qualche motivo e si ritrova con più libertà di quanta ne aveva prima (per certi versi. I problemi saranno poi costituiti dalla nuova figura di tutore/carceriere/ostacolo vario che rappresenterà un nuovo tipo di costrizione per il protagonista e ne delimiterà la libertà in modi diversi dai precedenti).

Esempio banale: un bambino viene rapito e si ritrova a vivere in uno scantinato coi suoi rapitori. Qui il bambino potrebbe avere libertà diverse (per quanto magari superflue dal punto di vista di un adulto) e costrizioni altrettanto diverse (e forse più feroci). Ma questo già basta per configurare la macchina narrativa, anche se in modo altrettanto banale.

Re: La figura dell'orfano, personaggio universale tra archetipo letterario e cliché

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@Ton non c'è perché il tema è qui proprio l'orfano in senso stretto come figura onnipresente, e talvolta (spesso?) abusata della narrativa e della fiction più in generale.
O meglio, la cosa di cui parli è citata come una delle ragioni principali per cui tanti fanno ricorso al protagonista orfano: il protagonista (lo dice l'etimologia stessa: il primo combattente, attore nel senso di colui che agisce e lotta) deve agire, e per questo deve disporre di una libertà d'azione e decisione. Se opto per un protagonista bambino o comunque non ancora legalmente adulto devo in qualche modo liberarlo. E privarlo dei genitori è la scorciatoia forse più semplice per un autore. È l'unica? È corretta? È sufficiente? Di sciuro è stata ed è molto usata, forse troppo, e di questo parlava la discussione. O ci provava :)
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Re: La figura dell'orfano, personaggio universale tra archetipo letterario e cliché

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@Bef Capito :P pensavo potesse essere più utile allargare un po' il discorso alla figura dell'"orfano" inteso come macchina narrativa, e quindi come insieme di caratteristiche non limitanti. Perché, almeno nella mia esperienza, troppo spesso ci si ferma ai primi cliché che si riconosce "di pancia", per poi lavorarci su senza rendersi conto di non aver eliminato il cliché in se ma di avergli solo cambiato abito.

Poi chiaro, se l'obiettivo è fare presente a un novellino "non scrivere di orfani che sei acerbo e sicuramente ti viene fuori no schifo", sono sempre d'accordo :D
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