Rappresentazione letteraria e immagine sociale della follia
Posted: Thu Jan 21, 2021 11:51 pm
Riporto qui una discussione che aprii ben dieci anni fa sul WD. Le considerazioni che ne nacquero furono molto interessanti, ma non potendo riportare qui cose che appartengono ad altri mi limiterò a copiare il mio primo post e a inserire il link alla discussione originale.
https://www.writersdream.org/forum/foru ... la-follia/
13 luglio 2010
Mi rendo conto che un titolo così appare molto impegnativo, potrebbe essere un titolo per un convegno a livello accademico, ma a me interessano di più le opinioni della gente perché penso che sia propriamente in questo contesto che il tema si può svolgere meglio.
In un recente convegno a Trieste è stata stilata una carta, un codice etico per i giornalisti che si trovano a trattare notizie che in qualche misura hanno a che fare con la salute mentale (per chi volesse approfondire http://www.news-forumsalutementale.it/l ... ornalisti/ ).
Ovviamente nel forum non si tratta di giornalismo, ma ogni rappresentazione della follia insiste su quella che io definisco “l’immagine sociale della follia”, che di fatto è una componente estremamente rilevante del decorso e dell’accesso alle cure dei pazienti psichiatrici.
Ovviamente lo stimolo ad aprire questo topic mi è venuto dalla lettura di racconti e dei relativi commenti in qualche modo inerenti a questo tema, qui vorrei allargare il discorso.
Dal punto di vista letterario è comprensibile che il tema della follia sia uno dei più frequentati, a mio avviso a torto, la follia come facile escamotage per evocare emozioni, giustificare comportamenti, rendere originale o enigmatico un personaggio, quando invece credo che vi sia una sufficiente dose di follia nella vita di tutti i giorni e nei comportamenti che riteniamo più normali.
Esistono d’altra parte esempi che, se pur romanzati, forniscono una rappresentazione corretta del disturbo mentale. Quelli che ho presente in questo momento sono esempi più cinematografici che letterari, quali: “A Beautyfull Mind”, “Aviator”, “Shine”, tutti film che trattano di storie vere.
Forse la verità della storia giustifica una corretta interpretazione del fenomeno, al contrario in molte altre narrazioni emerge maggiormente l’immagine che la gente comune ha della follia, lo sconcerto, la paura, l’esigenza di difendere la differenziazione tra normale e folle, allora la follia diviene pericolosa, assassina, o al contrario per alcuni esaltante e specchio di una verità superiore. Come se a nessuno fosse interessato alla sofferenza soggettiva di chi è affetto da una patologia.
Da psichiatra non più giovanissimo ho fatto a tempo ad essere testimone delle vicende legate al superamento dei manicomi successivo alla legge Basaglia, ho lavorato nell’Ospedale Psichiatrico di Collegno (quello del famoso smemorato) per sette anni cercando in ogni modo di combattere la logica di quel luogo, rendendomi conto che il muro, seppur abbattuto da tempo era ancora presente e solido nella mente delle persone, compresi medici ed infermieri.
Quando recentemente ho visto alla tv la fiction su Basaglia non nascondo che mi è venuto da piangere per la commozione e la nostalgia di quel periodo ricco di ideali.
Oggi sono responsabile di un Servizio di Salute Mentale e non ho dimenticato quei tempi.
Nel mio lavoro quotidiano cerco di combattere in tutti i modi contro lo stigma della patologia psichica, proponendomi di far comprendere alle persone che si rivolgono al mio servizio che verranno accolte con il preciso intento di prendersi carico della loro sofferenza, come avviene in qualsiasi disciplina medica, senza che si sentano giudicati o, appunto, presi per matti.
Ecco dove lo stigma sociale fa sentire veramente il suo peso, ogni volta che escludiamo qualcuno dalla nostra comunità con la facile etichetta del matto, paradossalmente ci priviamo dell’unica possibilità di curarlo e di combattere la sua malattia.
L’argomento mi accalora (e fa già abbastanza caldo), potrei andare avanti a scrivere per ore, ma preferisco fermarmi qui ponendo un’ultima riflessione.
Ogni volta che scriviamo, parliamo o facciamo anche una semplice battuta ci prendiamo una bella responsabilità. Le parole come le idee possiedono una vita propria, ci sfuggono, entrano nella testa di altre persone e di testa in testa diventano qualcosa con cui prima o poi saremo obbligati a confrontarci.
Per oggi ho detto la mia, vi sarò grato se direte la vostra.
A presto.
Poldo
https://www.writersdream.org/forum/foru ... la-follia/
13 luglio 2010
Mi rendo conto che un titolo così appare molto impegnativo, potrebbe essere un titolo per un convegno a livello accademico, ma a me interessano di più le opinioni della gente perché penso che sia propriamente in questo contesto che il tema si può svolgere meglio.
In un recente convegno a Trieste è stata stilata una carta, un codice etico per i giornalisti che si trovano a trattare notizie che in qualche misura hanno a che fare con la salute mentale (per chi volesse approfondire http://www.news-forumsalutementale.it/l ... ornalisti/ ).
Ovviamente nel forum non si tratta di giornalismo, ma ogni rappresentazione della follia insiste su quella che io definisco “l’immagine sociale della follia”, che di fatto è una componente estremamente rilevante del decorso e dell’accesso alle cure dei pazienti psichiatrici.
Ovviamente lo stimolo ad aprire questo topic mi è venuto dalla lettura di racconti e dei relativi commenti in qualche modo inerenti a questo tema, qui vorrei allargare il discorso.
Dal punto di vista letterario è comprensibile che il tema della follia sia uno dei più frequentati, a mio avviso a torto, la follia come facile escamotage per evocare emozioni, giustificare comportamenti, rendere originale o enigmatico un personaggio, quando invece credo che vi sia una sufficiente dose di follia nella vita di tutti i giorni e nei comportamenti che riteniamo più normali.
Esistono d’altra parte esempi che, se pur romanzati, forniscono una rappresentazione corretta del disturbo mentale. Quelli che ho presente in questo momento sono esempi più cinematografici che letterari, quali: “A Beautyfull Mind”, “Aviator”, “Shine”, tutti film che trattano di storie vere.
Forse la verità della storia giustifica una corretta interpretazione del fenomeno, al contrario in molte altre narrazioni emerge maggiormente l’immagine che la gente comune ha della follia, lo sconcerto, la paura, l’esigenza di difendere la differenziazione tra normale e folle, allora la follia diviene pericolosa, assassina, o al contrario per alcuni esaltante e specchio di una verità superiore. Come se a nessuno fosse interessato alla sofferenza soggettiva di chi è affetto da una patologia.
Da psichiatra non più giovanissimo ho fatto a tempo ad essere testimone delle vicende legate al superamento dei manicomi successivo alla legge Basaglia, ho lavorato nell’Ospedale Psichiatrico di Collegno (quello del famoso smemorato) per sette anni cercando in ogni modo di combattere la logica di quel luogo, rendendomi conto che il muro, seppur abbattuto da tempo era ancora presente e solido nella mente delle persone, compresi medici ed infermieri.
Quando recentemente ho visto alla tv la fiction su Basaglia non nascondo che mi è venuto da piangere per la commozione e la nostalgia di quel periodo ricco di ideali.
Oggi sono responsabile di un Servizio di Salute Mentale e non ho dimenticato quei tempi.
Nel mio lavoro quotidiano cerco di combattere in tutti i modi contro lo stigma della patologia psichica, proponendomi di far comprendere alle persone che si rivolgono al mio servizio che verranno accolte con il preciso intento di prendersi carico della loro sofferenza, come avviene in qualsiasi disciplina medica, senza che si sentano giudicati o, appunto, presi per matti.
Ecco dove lo stigma sociale fa sentire veramente il suo peso, ogni volta che escludiamo qualcuno dalla nostra comunità con la facile etichetta del matto, paradossalmente ci priviamo dell’unica possibilità di curarlo e di combattere la sua malattia.
L’argomento mi accalora (e fa già abbastanza caldo), potrei andare avanti a scrivere per ore, ma preferisco fermarmi qui ponendo un’ultima riflessione.
Ogni volta che scriviamo, parliamo o facciamo anche una semplice battuta ci prendiamo una bella responsabilità. Le parole come le idee possiedono una vita propria, ci sfuggono, entrano nella testa di altre persone e di testa in testa diventano qualcosa con cui prima o poi saremo obbligati a confrontarci.
Per oggi ho detto la mia, vi sarò grato se direte la vostra.
A presto.
Poldo