Rappresentazione letteraria e immagine sociale della follia

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Riporto qui una discussione che aprii ben dieci anni fa sul WD. Le considerazioni che ne nacquero furono molto interessanti, ma non potendo riportare qui cose che appartengono ad altri mi limiterò a copiare il mio primo post e a inserire il link alla discussione originale.
https://www.writersdream.org/forum/foru ... la-follia/

13 luglio 2010
Mi rendo conto che un titolo così appare molto impegnativo, potrebbe essere un titolo per un convegno a livello accademico, ma a me interessano di più le opinioni della gente perché penso che sia propriamente in questo contesto che il tema si può svolgere meglio.
In un recente convegno a Trieste è stata stilata una carta, un codice etico per i giornalisti che si trovano a trattare notizie che in qualche misura hanno a che fare con la salute mentale (per chi volesse approfondire http://www.news-forumsalutementale.it/l ... ornalisti/ ).
Ovviamente nel forum non si tratta di giornalismo, ma ogni rappresentazione della follia insiste su quella che io definisco “l’immagine sociale della follia”, che di fatto è una componente estremamente rilevante del decorso e dell’accesso alle cure dei pazienti psichiatrici.
Ovviamente lo stimolo ad aprire questo topic mi è venuto dalla lettura di racconti e dei relativi commenti in qualche modo inerenti a questo tema, qui vorrei allargare il discorso.
Dal punto di vista letterario è comprensibile che il tema della follia sia uno dei più frequentati, a mio avviso a torto, la follia come facile escamotage per evocare emozioni, giustificare comportamenti, rendere originale o enigmatico un personaggio, quando invece credo che vi sia una sufficiente dose di follia nella vita di tutti i giorni e nei comportamenti che riteniamo più normali.
Esistono d’altra parte esempi che, se pur romanzati, forniscono una rappresentazione corretta del disturbo mentale. Quelli che ho presente in questo momento sono esempi più cinematografici che letterari, quali: “A Beautyfull Mind”, “Aviator”, “Shine”, tutti film che trattano di storie vere.
Forse la verità della storia giustifica una corretta interpretazione del fenomeno, al contrario in molte altre narrazioni emerge maggiormente l’immagine che la gente comune ha della follia, lo sconcerto, la paura, l’esigenza di difendere la differenziazione tra normale e folle, allora la follia diviene pericolosa, assassina, o al contrario per alcuni esaltante e specchio di una verità superiore. Come se a nessuno fosse interessato alla sofferenza soggettiva di chi è affetto da una patologia.
Da psichiatra non più giovanissimo ho fatto a tempo ad essere testimone delle vicende legate al superamento dei manicomi successivo alla legge Basaglia, ho lavorato nell’Ospedale Psichiatrico di Collegno (quello del famoso smemorato) per sette anni cercando in ogni modo di combattere la logica di quel luogo, rendendomi conto che il muro, seppur abbattuto da tempo era ancora presente e solido nella mente delle persone, compresi medici ed infermieri.
Quando recentemente ho visto alla tv la fiction su Basaglia non nascondo che mi è venuto da piangere per la commozione e la nostalgia di quel periodo ricco di ideali.
Oggi sono responsabile di un Servizio di Salute Mentale e non ho dimenticato quei tempi.
Nel mio lavoro quotidiano cerco di combattere in tutti i modi contro lo stigma della patologia psichica, proponendomi di far comprendere alle persone che si rivolgono al mio servizio che verranno accolte con il preciso intento di prendersi carico della loro sofferenza, come avviene in qualsiasi disciplina medica, senza che si sentano giudicati o, appunto, presi per matti.
Ecco dove lo stigma sociale fa sentire veramente il suo peso, ogni volta che escludiamo qualcuno dalla nostra comunità con la facile etichetta del matto, paradossalmente ci priviamo dell’unica possibilità di curarlo e di combattere la sua malattia.
L’argomento mi accalora (e fa già abbastanza caldo), potrei andare avanti a scrivere per ore, ma preferisco fermarmi qui ponendo un’ultima riflessione.
Ogni volta che scriviamo, parliamo o facciamo anche una semplice battuta ci prendiamo una bella responsabilità. Le parole come le idee possiedono una vita propria, ci sfuggono, entrano nella testa di altre persone e di testa in testa diventano qualcosa con cui prima o poi saremo obbligati a confrontarci.
Per oggi ho detto la mia, vi sarò grato se direte la vostra.

A presto.
Poldo

Re: Rappresentazione letteraria e immagine sociale della follia

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Poldo ha scritto: gio gen 21, 2021 11:51 pm Riporto qui una discussione che aprii ben dieci anni fa sul WD. Le considerazioni che ne nacquero furono molto interessanti, ma non potendo riportare qui cose che appartengono ad altri mi limiterò a copiare il mio primo post e a inserire il link alla discussione originale.
https://www.writersdream.org/forum/foru ... la-follia/

13 luglio 2010
Mi rendo conto che un titolo così appare molto impegnativo, potrebbe essere un titolo per un convegno a livello accademico, ma a me interessano di più le opinioni della gente perché penso che sia propriamente in questo contesto che il tema si può svolgere meglio.
In un recente convegno a Trieste è stata stilata una carta, un codice etico per i giornalisti che si trovano a trattare notizie che in qualche misura hanno a che fare con la salute mentale (per chi volesse approfondire http://www.news-forumsalutementale.it/l ... ornalisti/ ).
Ovviamente nel forum non si tratta di giornalismo, ma ogni rappresentazione della follia insiste su quella che io definisco “l’immagine sociale della follia”, che di fatto è una componente estremamente rilevante del decorso e dell’accesso alle cure dei pazienti psichiatrici.
Ovviamente lo stimolo ad aprire questo topic mi è venuto dalla lettura di racconti e dei relativi commenti in qualche modo inerenti a questo tema, qui vorrei allargare il discorso.
Dal punto di vista letterario è comprensibile che il tema della follia sia uno dei più frequentati, a mio avviso a torto, la follia come facile escamotage per evocare emozioni, giustificare comportamenti, rendere originale o enigmatico un personaggio, quando invece credo che vi sia una sufficiente dose di follia nella vita di tutti i giorni e nei comportamenti che riteniamo più normali.
Esistono d’altra parte esempi che, se pur romanzati, forniscono una rappresentazione corretta del disturbo mentale. Quelli che ho presente in questo momento sono esempi più cinematografici che letterari, quali: “A Beautyfull Mind”, “Aviator”, “Shine”, tutti film che trattano di storie vere.
Forse la verità della storia giustifica una corretta interpretazione del fenomeno, al contrario in molte altre narrazioni emerge maggiormente l’immagine che la gente comune ha della follia, lo sconcerto, la paura, l’esigenza di difendere la differenziazione tra normale e folle, allora la follia diviene pericolosa, assassina, o al contrario per alcuni esaltante e specchio di una verità superiore. Come se a nessuno fosse interessato alla sofferenza soggettiva di chi è affetto da una patologia.
Da psichiatra non più giovanissimo ho fatto a tempo ad essere testimone delle vicende legate al superamento dei manicomi successivo alla legge Basaglia, ho lavorato nell’Ospedale Psichiatrico di Collegno (quello del famoso smemorato) per sette anni cercando in ogni modo di combattere la logica di quel luogo, rendendomi conto che il muro, seppur abbattuto da tempo era ancora presente e solido nella mente delle persone, compresi medici ed infermieri.
Quando recentemente ho visto alla tv la fiction su Basaglia non nascondo che mi è venuto da piangere per la commozione e la nostalgia di quel periodo ricco di ideali.
Oggi sono responsabile di un Servizio di Salute Mentale e non ho dimenticato quei tempi.
Nel mio lavoro quotidiano cerco di combattere in tutti i modi contro lo stigma della patologia psichica, proponendomi di far comprendere alle persone che si rivolgono al mio servizio che verranno accolte con il preciso intento di prendersi carico della loro sofferenza, come avviene in qualsiasi disciplina medica, senza che si sentano giudicati o, appunto, presi per matti.
Ecco dove lo stigma sociale fa sentire veramente il suo peso, ogni volta che escludiamo qualcuno dalla nostra comunità con la facile etichetta del matto, paradossalmente ci priviamo dell’unica possibilità di curarlo e di combattere la sua malattia.
L’argomento mi accalora (e fa già abbastanza caldo), potrei andare avanti a scrivere per ore, ma preferisco fermarmi qui ponendo un’ultima riflessione.
Ogni volta che scriviamo, parliamo o facciamo anche una semplice battuta ci prendiamo una bella responsabilità. Le parole come le idee possiedono una vita propria, ci sfuggono, entrano nella testa di altre persone e di testa in testa diventano qualcosa con cui prima o poi saremo obbligati a confrontarci.
Per oggi ho detto la mia, vi sarò grato se direte la vostra.

A presto.
Poldo
Non riesco ancora a citare solo una parte del testo (imparerò).
L'ultima parte, a cominciare da "Ogni volta che scriviamo, parliamo... " mi ha impressionato perché ero già convinta, ma non sapevo fino a che punto, che una nostra parola può veramente rompere l'equilibrio mentale di una persona, fino a ieri normale, o comunque semplicemente più fragile di altri. In effetti siamo soliti pensare solo alle belle frasi dei libri che ci aprono mondi, che ci spronano alle belle sfide, ci migliorano, senza però immaginare che altre hanno la forza di scatenare le reazioni opposte. Vengono i brividi solo a pensarci. Ieri è morta una bambina di dieci anni, sedotta dall'invito a fare una prova di resistenza ( hanno trovato il gioco - e le parole - al quale stava partecipando sul cellulare), il paragone non è del tutto azzeccato, ma la ragazzina ha "ascoltato" perdendo la percezione della realtà.

Re: Rappresentazione letteraria e immagine sociale della follia

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Il peso e il significato delle parole sono un argomento che mi tocca particolarmente. In una società in cui si usano « mongoloide, handicappato, cerebroleso... » come insulti o scherzo, figuriamoci le etichette dei « matti ». Mi viene in mente particolarmente « schizofrenico » che per decenni è stato usato nei film e nell’immaginario come sinonimo perfetto di individuo affetto da personalità multipla, e che ancora è largamente usato come sinonimo di pazzo pericoloso. Non so quante volte mi sono trovata a ripetere le stesse parole « nella maggior parte dei casi una persona schizofrenica è pericolosa solo per se stessa ». Ma si metterà sempre in avanti il caso preciso in cui il malato ha ucciso o ferito altri. «Vedi?»
O penso a « bipolare » che ormai è usato come sinonimo di lunatico o cattivo carattere con tono scherzoso come se facesse figo dire « sono bipolare » invece di cambio spesso d’umore. Di persone affette da bipolarismo, della sofferenza loro e delle persone che vivono con loro, di come sia una lotta e una cura costante condurre una vita normale, per quel che vuol dire, ne ho conosciute abbastanza per sapere che mai mi permetterei di scherzarci o di usare il termine per gioco.
Però spesso, quando fai notare a qualcuno che usare determinate parole a caso è sbagliato ti ritrovi tacciato di fanatismo, di rigidità intellettuale, di « non si può più dire niente ». Altro bel soggetto da dibattere.

Tornando alla letteratura, come ritratto della follia mi vengono in mente i romanzi di McGrath. Spider, in particolare, in cui si vive col protagonista la ricostruzione della sua follia. I ritratti di McGrath sono molto credibili, è cresciuto in un ospedale psichiatrico di cui il padre era lo psichiatra direttore, si vede che conosce il soggetto. D’altra parte, probabilmente è il genere che scrive a esigerlo, il fatto che i suoi libri finiscano sempre in modo tragico, non è rassicurante per una visione « normalizzata » della malattia mentale.

Non ricordo chi lo ha detto, l’ho letto qualche tempo fa, cerco di ricostruire il senso a braccio: quando hai una malattia del corpo sei oggetto di compassione, di empatia, sei una vittima. Quando soffri di una malattia della mente provi vergogna, è una cosa da nascondere, una condizione che suscita diffidenza e spesso ti senti e/o sei trattato da colpevole della tua condizione.
Insomma, era detto meglio, ma direi che il senso c’è: le malattie mentali non sono (ancora) considerate come gli altri tipi di malattia. Sono una colpa, un segreto da nascondere, un motivo di vergogna.
I intend to live forever, or die trying.
(Groucho Marx)

Re: Rappresentazione letteraria e immagine sociale della follia

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Ciao @Poldo,
la questione che poni è veramente spinosa da trattare, soprattutto per quelli che, come me e differentemente da te, non hanno una preparazione sufficiente ad affrontare l'argomento. Penso che tutti gli esseri umani e, oltre ad essi, tutti gli esseri viventi vadano rispettati in quanto tali. Tutti siamo soggetti ad ammalarci, inclusi animali e piante, delle malattie più disparate. Noi esseri umani, poi, siamo campioni nel procurarcene molte deliberatamente, tipo quelle derivanti da alcolismo, tabagismo, tossicodipendenza. Per non parlare di quelle che procuriamo all'intero pianeta con l'inquinamento. La malattia mentale, che penso dipenda in parte dai geni e in parte dal contesto, familiare in primis, in cui il soggetto è cresciuto, è una malattia di quelle indipendenti dalle azioni e dallo stile di vita dell'ammalato che, a parte cercare di curarsi, può fare ben poco. Un tempo i "pazzi" venivano rinchiusi nei manicomi, in cui spesso trascorrevano l'intera esistenza. Chi fosse, poi, a dichiararli tali, dipendeva anche dallo status sociale del soggetto che, come narra la storia, poteva finire rinchiuso per superiore intervento anche soltanto perché il suo circolare liberamente dava fastidio a qualche potente (vedasi il calvario di tale Margherita Sarfatti e di lei figlio, divenuti ostici al Duce). Oggi, fortunatamente, le cose sono cambiate, i disturbi mentali vengono curati sia privatamente, che tramite il Servizio Sanitario Nazionale che, con tutte le sue pecche, resta uno dei più progrediti a livello mondiale. Più che i malati di mente ufficialmente dichiarati e riconosciuti tali, dovrebbero far paura alla comunità quelli che, sicuramente afflitti da turbe psichiche unite ad ignoranza e scarso quoziente intellettivo, si radicalizzano sui social progettando stragi e sollevazioni di popolo. Loro sì, sono pazzi furiosi che andrebbero messi in condizione di non nuocere.
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]
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