I punti di vista di Follet e di Falcones

1
Reduce dalla lettura appassionante delle oltre tremila pagine della "Century Trilogy" di Follet, sono passato a Gli eredi della terra di Falcones. Già avevo letto La cattedrale del mare, all'inizio senza troppo entusiasmo. Poi la trama del romanzo d'esordio di Falcones mi aveva preso parecchio, al punto di convincermi ad acquistarne il seguito. Mentre con il maestro Follet tutto collima con i miei recenti studi di scrittura creativa, fatico a comprendere come applichi le regole Falcones. Per carità, nulla da dire: l'avventura appassiona e il romanzo si beve come una birretta alla spina, ma talvolta stento a interpretare i punti di vista, che saltellano un po' da Tizio a Caio come "mai si dovrebbe". I casi sono due: o sono un pessimo studente, oppure il rispetto della "norma" non è fondamentale. Qualcuno ha letto il novello Idelfonso e condivide la mia opinione?

Re: I punti di vista di Follet e di Falcones

2
@Fraudolente Non ho letto Falcones; credo però che le regole e le mode cui sono ispirate esistano per essere disattese. Se la lettura di un certo libro scorre e ti appassiona, vuol dire che è ben scritto. Se ti annoia o peggio, è una fetecchia, anche se l'autore ha seguito tutte le regole dei manuali di scrittura e relativi corsi spremi-esordiente. Il talento non si impara. 
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: I punti di vista di Follet e di Falcones

3
Cheguevara ha scritto: @Fraudolente Se la lettura di un certo libro scorre e ti appassiona, vuol dire che è ben scritto. Se ti annoia o peggio, è una fetecchia, anche se l'autore ha seguito tutte le regole dei manuali di scrittura e relativi corsi spremi-esordiente. 
Concordo in pieno. 
(A titolo di cronaca, non ho fatto corsi spremi esordiente, ma acquistato e letto libri.)

Bastano poche righe per capire se uno scrittore si attenga ai dettami della "buona" scrittura, cioè alle regole e alle mode che cita @Cheguevara. Oltre ai farfugli di chi non conosce grammatica, sintassi, trama e compagnia bella, questo è uno dei motivi per cui gli editori "importanti" scartano in un attimo noi poveri esordienti. 

Re: I punti di vista di Follet e di Falcones

4
Fraudolente ha scritto:
Concordo in pieno. 
(A titolo di cronaca, non ho fatto corsi spremi esordiente, ma acquistato e letto libri.)

Bastano poche righe per capire se uno scrittore si attenga ai dettami della "buona" scrittura, cioè alle regole e alle mode che cita @Cheguevara. Oltre ai farfugli di chi non conosce grammatica, sintassi, trama e compagnia bella, questo è uno dei motivi per cui gli editori "importanti" scartano in un attimo noi poveri esordienti. 
In epoca recente un mio racconto è risultato tra i vincitori di un concorso ed è stato pubblicato nella relativa antologia. Dopo avermi comunicato che ero tra i vincitori, mi è stata inviata una copia editata per la definitiva approvazione. L'editing consisteva nella rigorosa eliminazione dei due o tre avverbi presenti - per abitudine uso con parsimonia avverbi e aggettivi, solo quando sono indispensabili -, nella sostituzione con sinonimi di un paio di sostantivi, ma non per evitare ripetizioni inesistenti, e nell'inserimento dei due punti al posto di alcune virgole, che invece erano lì apposta per dare ritmo alla narrazione. Ho accettato tutto, tranne un paio di frasi il cui inopportuno rimaneggiamento dimostrava che l'editor era all'oscuro della materia trattata, e avrebbe dato a vedere che lo fosse anche l'autore. La CE era quanto mai "importante", ma era evidente che si fosse servita, per la bisogna, di un editor di scarsa esperienza, probabilmente formatosi in una titolata scuola di scrittura. Credo che questo sia uno dei problemi che affliggono la moderna editoria: me ne infischio e continuo a scrivere come uno che, invece si è formato leggendo, leggendo e poi ancora leggendo autori di ogni genere, cercando di elaborare e sintetizzare ciò che ne ha assorbito. E' vero che le mode finiscono per influenzarci, ma se rappresentano l'unico, o anche solo il più importante criterio di selezione nello scouting delle grandi case editrici, siamo messi proprio male.  
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: I punti di vista di Follet e di Falcones

5
Un paio di distinguo sono necessari a mio avviso.
Una cosa è il talento, un'altra il "mestiere". Chi ha talento vende anche la lista della spesa, tutti gli altri devono sudare e lavorare per ottenere un prodotto vendibile. Insomma è la stessa differenza che intercorre tra un artista e un artigiano. Il problema, in quasi tutti gli ambiti culturali, è che al giorno d'oggi troppi artigiani si spacciano per artisti, svalutando tutto il sistema.
Altra differenza è quella tra moda ed evoluzione. Una moda è passeggera e non incide se non in modo temporaneo, per quanto possa risultare sgradita agli addetti ai lavori (vedi i vari pseudo scrittori in cima alle classifiche). Un conto è l'evoluzione della scrittura. Nella narrativa (ormai lo sanno anche i sassi) la parte descrittiva ha sempre meno peso eppure anche di recente mi è capitato di leggere un giallo appesantito da inutili descrizioni, oltretutto didascaliche. Questo significa non interpretare correttamente dove sta andando la narrativa e non saper cogliere le aspettative del lettore, sempre più orientato a chiedere ritmo e dialoghi serrati (almeno così raccontava J.Deaver di recente).
Indubbio che Follet sia un grande talento nel mantenere fluidità nel testo e interesse nel lettore, ma non ho letto molti che arrivino alle sue altezze, forse il compianto Larsson e la Rowling. 
Falcones mi sembra uno dei tanti artigiani.

Re: I punti di vista di Follet e di Falcones

6
@Brutus Sono d'accordo sull'evoluzione del linguaggio, che è un fatto duraturo che dipende da tanti fattori e su cui le mode incidono solo per un momento. Alla moda del momento si ispirano, purtroppo, tanti mestieranti privi di talento, che però vendono, soprattutto se adeguatamente pubblicizzati dai grandi media. E' sempre la moda a dettare le regole diffuse da tante scuole di scrittura creativa, e tanti editor scambiano quelle che dovrebbero essere e restare indicazioni di massima per norme inderogabili, condizionando ogni scritto a loro sottoposto. Show, don't tell, d'accordo, ma questo non significa che una descrizione sia sempre pesante e noiosa. Così come risultano ridicoli quei dialoghi che, per termini e toni usati, rendono improbabili i personaggi che colloquiano. Credo che requisito imprescindibile per un autore sia, oltre al talento, il buonsenso.
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: I punti di vista di Follet e di Falcones

8
Fabioloneilboia ha scritto: Point of view, show don’t tell, niente avverbi? Francamente vorrei pure capire perché dovrei stare a sentire chi me lo chiede e perché dovrei dargli ragione.
Onestamente scrivo come meglio mi pare e, di solito, quasi nessuno dei libri che mi piacciono usano le stupide regole che vogliono vendere agli autori.
Completamente d'accordo.
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: I punti di vista di Follet e di Falcones

9
Brutus ha scritto: Chi ha talento vende anche la lista della spesa, tutti gli altri devono sudare e lavorare per ottenere un prodotto vendibile. Insomma è la stessa differenza che intercorre tra un artista e un artigiano. Il problema, in quasi tutti gli ambiti culturali, è che al giorno d'oggi troppi artigiani si spacciano per artisti, svalutando tutto il sistema.
Dissento, almeno per quanto riguarda la narrativa (sempre che la vogliamo chiamare arte).
Un bravo artigiano è in grado di confezionare un buon romanzo, a volte anche un ottimo romanzo. L'artista non può fare a meno della tecnica: se dopo avermi lasciato a bocca aperta con una metafora di rara potenza, mi sbaglia due consecutio temporum il suo capolavoro vola fuori dalla finestra. Idem se mi fa parlare un bambino di otto anni come un docente universitario o se mette il primo punto dopo mille caratteri e io devo arrancare tra decine di subordinate che s'incastrano una dentro l'altra senza darmi modo di prendere fiato (a meno che non si tratti di Gabo, ma quello era l'artista, non un artista).
Salvador Dalì era un genio delle arti figurative (e non solo), ma il modello "genio e sregolatezza" non si applica alla narrativa, secondo il mio umile parere.
Certo che se un artista sa padroneggiare la tecnica come un bravo artigiano, il "prodotto" che ne risulterà sarà indubbiamente di qualità superiore. Ma deve saperla padroneggiare, altrimenti... la mia finestra è sempre aperta.
Fabioloneilboia ha scritto: mar gen 03, 2023 2:19 pmPoint of view, show don’t tell, niente avverbi? Francamente vorrei pure capire perché dovrei stare a sentire chi me lo chiede e perché dovrei dargli ragione.
Concordo in buona parte per gli avverbi (a meno che tu non mi usi quattro avverbi in -mente nella stessa frase), solo in parte per lo "show, don't tell" (che ritengo utilissimo, finché non diventa una religione come accade per qualche critico e per troppi editor), quasi per nulla per il PoV (perché se con la terza persona limitata mi sposti la famosa telecamera dall'uno all'altro dei personaggi, io lettore mi perdo e non riesco più a capire da che parte devo osservare la scena).
Parere personale anche questo, s'intende.
https://www.facebook.com/nucciarelli.ma ... scrittore/
https://www.instagram.com/marcellonucciarelli/
https://www.linkedin.com/in/marcello-nu ... -bbb4805b/

Re: I punti di vista di Follet e di Falcones

11
Fabioloneilboia ha scritto: ma raccontare ogni cosa seguendo un dogma è pure peggio.
Perfettamente d'accordo con te.
Fabioloneilboia ha scritto: Se questi editor scienziati del terzo millennio vogliono riscrivere Notre-Dame de Paris di Hugo perché odiano il narratore onnisciente
No, no, per carità: se il narratore è onnisciente, lasciamolo tale. Io intendevo dire che l'importante è non fare confusione tra i vari PoV, altrimenti il lettore rimane spiazzato. Poi che il narratore onnisciente oggi non sia "di moda" è un dato di fatto, ma questo non significa che si debba vietare agli autori di usarlo.
E, per la cronaca, uno dei romanzi che sto editando in questo periodo usa proprio il N.O., per scelta deliberata dell'autrice.
https://www.facebook.com/nucciarelli.ma ... scrittore/
https://www.instagram.com/marcellonucciarelli/
https://www.linkedin.com/in/marcello-nu ... -bbb4805b/

Re: I punti di vista di Follet e di Falcones

13
Marcello ha scritto:
l'importante è non fare confusione tra i vari PoV, altrimenti il lettore rimane spiazzato. 
Caro @Marcello , alludi forse a qualcuno che hai editato tempo fa?


Fabioloneilboia ha scritto:  La Cattedrale del mare è un bellissimo libro, di tutto il resto me ne frega ben poco.
Si legge molto bene, e non è condizionato dall'assoluto rispetto delle regole. Immagino che l'editor abbia provato a farlo rientrare nei ranghi. 

Altra cosa che stupisce è che Falcones talvolta dia per scontati eventi storici che non esistono: Barbero lo cita come esempio di "scarsa preparazione" (eufemismo?) in storia.

Follet, invece, è preparatissimo.

Insomma, il successo non sempre dipende da regole e studio: com'era quella faccenda dell'arte?

Re: I punti di vista di Follet e di Falcones

16
Fraudolente ha scritto: I casi sono due: o sono un pessimo studente, oppure il rispetto della "norma" non è fondamentale.
Purtroppo non ho letto Falcones. Trovo però interessante il discorso, perché di recente ho letto un romanzo di Andrea Frediani (autore con parecchi libri all'attivo e conosciuto per i romanzi storici) che, tra gli altri difetti, in una manciata di occasioni cambiava il pov all'interno di uno stesso capitolo. Il narratore non era onnisciente, ma una terza persona limitata, quindi cambiare pov da una riga all'altra per inserirci quello di un altro personaggio risultava del tutto spiazzante per il lettore.
Dal momento che avevo già letto un romanzo di Frediani, che mi era piaciuto, ne ho dedotto che il nuovo romanzo fosse stato scritto molto in fretta, e senza un editing decente.
Un altro dei difetti che dicevo sono i classici "spiegoni" nei dialoghi, che risultano innaturali, pieni di informazioni destinate con tutta evidenza al lettore, perché sono cose che gli interlocutori sanno già (e che sapevo già anch'io, avendo studiato il periodo, quindi doppiamente fastidiose).
Leggendo anche le altre risposte, mi risulta chiaro che il rispetto delle norme è sì fondamentale, ma solo per gli autori sconosciuti. Quelli famosi possono permettersi di trasgredirle senza che nessuno abbia da ridire (a parte i lettori).
Se il risultato è comunque buono, come nel caso di Falcones, poco male. Ma se il risultato è pesante e fastidioso, allora forse le regole servivano.
Il pov è una cosa che va mantenuta, non può saltare in giro a piacere. Anche con un narratore onnisciente dev'essere ben chiaro che si è passati al pensiero di qualcun altro.
Gli spiegoni invece risultano sempre fastidiosi, nei dialoghi in modo particolare (perché appiattiscono la voce dei personaggi). Non è mai facile capire quali informazioni servano davvero al lettore, tantomeno come inserirle in modo discreto, ma tollero di più un errore del genere da parte di un esordiente, non da un autore famoso.
Marcello ha scritto: Concordo in buona parte per gli avverbi (a meno che tu non mi usi quattro avverbi in -mente nella stessa frase), solo in parte per lo "show, don't tell" (che ritengo utilissimo, finché non diventa una religione come accade per qualche critico e per troppi editor), quasi per nulla per il PoV (perché se con la terza persona limitata mi sposti la famosa telecamera dall'uno all'altro dei personaggi, io lettore mi perdo e non riesco più a capire da che parte devo osservare la scena).
Esatto. Le regole non devono diventare un'ossessione, ma bisogna conoscerle e "infrangerle con consapevolezza". Io sto molto attenta agli avverbi, specie, quelli in -mente, non li uso mai quando posso sostituirli con un verbo più specifico o altro, ma uno (uno solo) dei miei personaggi ha come caratteristica di usarli spesso. L'editor di turno ovviamente ( :P ) me ne ha eliminati parecchi...
Sullo show don't tell ho ricevuto critiche solo al quinto romanzo, perché aveva l'esigenza narrativa di più parti raccontate (è il racconto di una vita, in prima persona, quindi mostrare tutto sarebbe stato impossibile, oltre che inutile).
Sul Pov invece non discuto: può cambiare nella stessa scena solo se si usa un narratore onnisciente, e anche in quel caso va fatto con grande attenzione (infatti consiglio il narratore onnisciente solo a chi ha già qualche esperienza, perché è più complesso di quanto sembri).
In generale, non amo le regole. Le conosco solo perché leggo molto, ma non ci penso mai mentre scrivo. Mi preoccupo solo di essere più chiara possibile, in modo che chi legge capisca senza difficoltà
Ci capita di non avere davvero la consapevolezza di quanto potere abbiamo, di quanto possiamo essere forti (A. Navalny)
Qualunque sia il tuo nome (HarperCollins)
La salvatrice di libri orfani (Alcheringa)
Il lato sbagliato del cielo (Arkadia)
Il tredicesimo segno (Words)

Re: I punti di vista di Follet e di Falcones

17
Silverwillow ha scritto: Il narratore non era onnisciente, ma una terza persona limitata, quindi cambiare pov da una riga all'altra per inserirci quello di un altro personaggio risultava del tutto spiazzante per il lettore.
Ecco, era proprio quello che intendevo.
Silverwillow ha scritto: Un altro dei difetti che dicevo sono i classici "spiegoni" nei dialoghi, che risultano innaturali, pieni di informazioni destinate con tutta evidenza al lettore, perché sono cose che gli interlocutori sanno già
(y)
Silverwillow ha scritto: Sullo show don't tell ho ricevuto critiche solo al quinto romanzo, perché aveva l'esigenza narrativa di più parti raccontate (è il racconto di una vita, in prima persona, quindi mostrare tutto sarebbe stato impossibile, oltre che inutile).
Classico esempio di una regola di buona scrittura trasformata in dogma, fino a portare alla scomunica (cioè al rifiuto del romanzo). Se lo Show, don't tell è utilissimo per evitare descrizioni del tipo: "entrò nella stanza; c'era un armadio alto due metri, un tavolo di mogano con quattro sedie, una credenza di fine Ottocento, tanti quadri alle pareti e molte suppellettili appoggiate sui mobili", nel tuo caso non avrebbe avuto senso.
Silverwillow ha scritto: Sul Pov invece non discuto: può cambiare nella stessa scena solo se si usa un narratore onnisciente, e anche in quel caso va fatto con grande attenzione (infatti consiglio il narratore onnisciente solo a chi ha già qualche esperienza, perché è più complesso di quanto sembri).
Parole sante
https://www.facebook.com/nucciarelli.ma ... scrittore/
https://www.instagram.com/marcellonucciarelli/
https://www.linkedin.com/in/marcello-nu ... -bbb4805b/

Re: I punti di vista di Follet e di Falcones

18
Mi permetto di interloquire in questa interessantissima discussione proprio perché la mia nuova opera - che dovrebbe essere pubblicata entro gennaio -  è appunto un romanzo storico.
Conosco abbastanza bene Ken Follett, mentre non sono proprio riuscito a iniziare "La Cattedrale del mare" di Falcones. Ci ho provato ma ho desistito dopo un paio di pagine. Forse non era il momento adatto. Ci riproverò.
Di Ken Follett ho letto il capolavoro "I pilastri della terra" e l'ho trovato semplicemente eccezionale. Mi ha, invece, entusiasmato molto di meno il "sequel non sequel" "Mondo senza fine". Di quest'ultima opera, da avvocato, ho apprezzato soprattutto l'inserimento della figura del legale Sir Gregory Longfellow, poiché a lui possono rivolgersi coloro che subiscono le prepotenze della classe baronale. Durante le vicende del primo romanzo non è stata ancora promulgata la Magna Charta libertatum, mentre nel secondo essa fa ormai parte della coscienza sociale inglese. Non importa se il legale viene disprezzato dai nobili e giudicato una persona detestabile. Anzi, a mio parere tutto questo rafforza la sua importanza per la tutela dei diritti delle persone.
Questa figura è tratteggiata molto bene e ciò dimostra l'innegabile preparazione storica di Ken Follett ma secondo me il secondo romanzo è, comunque, noioso e privo della forza del primo.
Della "Century Trilogy", cui accennava un utente, ho letto i primi due romanzi, anche in questo caso con decrescente interesse, fino a riuscire a leggere solo poche pagine del terzo, prima di chiuderlo e riporlo definitivamente in libreria.
Queste considerazioni mi hanno convinto a non scrivere mai sequel. Preferisco cambiare genere per non annoiare il lettore ma, prima ancora, me stesso.
Valutazioni analoghe penso che si possano fare sul POV. Sinora ho sempre utilizzato l'io narrante, ma con importanti differenze tra il primo romanzo e il secondo. In sintesi, nel primo ho usato i verbi al passato mentre nel secondo, pur essendo un romanzo storico ambientato nel VI secolo a.C., ho utilizzato quasi solo il presente (a parte un flashback di una trentina di pagine). Ho riscontrato che i verbi al presente e l'uso della prima persona singolare danno una vivacità al racconto davvero unica.
Aggiungo un'ultima considerazione su un altro famoso autore del genere storico, Gore Vidal. Di lui apprezzai moltissimo la biografia romanzata di Giuliano l'Apostata. Del tutto casualmente, mentre scrivevo il romanzo che sta per uscire, mi sono imbattuto nel suo "Creazione". Sovrapponendosi (in minima parte) il periodo storico trattato da entrambi, posso dire che Gore Vidal è certamente un grande romanziere, ma del tutto inattendibile come storico. Ognuno scrive quello che vuole, ma secondo me se un autore decide di scrivere un romanzo storico (e non fanta-storico, che è un genere diverso) dovrebbe limitare la propria fantasia solo ai personaggi inventati, non a quelli reali. 
Nostro Signore Kemosh, di Emanuele Massuoli, ZenZero Editore
viewtopic.php?f=44&t=1166

Mileto, di Emanuele Massuoli, CSA Editrice
viewtopic.php?f=44&t=4447
Rispondi

Torna a “Parliamo di scrittura”

cron