Cosa vale la pena di raccontare

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Avevo aperto questa discussione molto tempo fa, poi, come spesso accade, era rimasta sepolta da altre cose.
Colgo l'occasione per riproporla così come l'avevo scritta a suo tempo.

Non so se esiste già un topic simile, ho provato a cercare ma non l'ho trovato, eppure la domanda mi sembra fondamentale per cui forse non ho cercato bene.
Comunque, quello che mi chiedo e che vi chiedo è: se lo scrivere è in primo luogo comunicare, ovvero far transitare contenuti, informazioni, emozioni e quant'altro da chi li esprime a chi può recepirli, quale vorremmo che fosse il contenuto di questa comunicazione?
Potrei ad esempio raccontare una storia qualsiasi; perché sto raccontando proprio quella storia? C'è un messaggio che voglio far passare raccontando quella storia? Le storie che racconto hanno qualcosa in comune relativamente a questo messaggio? Oppure mi guida solo la sensazione, la suggestione del momento? Magari vorrei stupire o divertire o spaventare qualcuno? Non so se ho reso l'idea.
Credo che le motivazioni per raccontare qualcosa siano le più disparate e tutte legittime, ma quello che mi interessa sapere è: per voi, cosa vale la pena di raccontare? E perché?
Ovviamente devo essere io il primo a rispondere alla mia stessa domanda.
Diciamo così: quello che mi piacerebbe essere capace di raccontare sono quelle intuizioni che a volte capitano nella vita e ti fanno vedere improvvisamente le cose da un altro punto di vista, in qualche misura quelle storie che contengono un cambiamento, un percorso che potrebbe essere allo stesso tempo di un personaggio oppure di una situazione che può indurre il lettore a modificare il proprio giudizio.
Mi rendo conto di avere delle pretese molto ambiziose, per questo dico che mi piacerebbe esserne capace; quando ho letto qualcosa che ha potuto darmi queste intuizioni ho provato un senso di profonda gratitudine nei confronti di chi le aveva scritte.
Questo è per me ciò che soprattutto vale la pena di raccontare, poi ci sono tante altre cose che posso raccontare con piacere, ma quando scrivo qualcosa è questo che cerco di fare.

E voi?

Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Poldo ha scritto:ma quello che mi interessa sapere è: per voi, cosa vale la pena di raccontare?

Questa è una cosa su cui ho cambiato idea qualche mese fa. Credo che le storie debbano avere un qualche collegamento con la realtà. In questo caso vale la pena di raccontarle.
Ti faccio un esempio.
Ieri per me è stato un giorno di lutto. Infatti si ricordava l'omicidio, avvenuto il 6 gennaio 1980, di Piersanti Mattarella, fratello dell'attuale Presidente della Repubblica, entrambi miei compaesani oltretutto. Piersanti è sepolto nel cimitero del paesello siciliano in cui vivo. Mi dispiace tantissimo non esserci potuto andare. Si è tenuta una sorta di commemorazione, ridotta a causa del Covid, ma qualcosa hanno fatto.
Ora, io ritengo che Piersanti Mattarella sia un uomo da non dimenticare e di cui vale la pena scrivere, per tanti motivi. Siccome oltre lo Stretto (quello di Messina è l'unico stretto al mondo che scrivo con la maiuscola :) ) se ne sono stra-stra-stra-strafregati tutti alla grandissima, ho deciso di scrivere un romanzo in cui c'è lui. Più lo ignorano più mi aumenta la voglia di scriverne.


Poldo ha scritto:E perché?

Questa è la classica domanda da psico-qualcosa. :asd:
Ti rispondo solo nel setting giusto, se c'è un lettino su cui distendermi e tu ti metti dietro ad ascoltare le mie folli associazioni mentali. Però non devi addormentarti: quello lo può fare solo lo zio Sigmund. :asd:
Scherzo :asd:
Sarà perché ritengo di aver subito molte discriminazioni.
Poldo ha scritto:cambiamento
Questo sempre. Lo do per scontato. Nell'esempio che facevo sopra, il cambiamento è tra la vita e la morte. Mi sembra un bel cambiamento :)
Poldo ha scritto:intuizioni
Piacerebbe anche a me esserne in grado. Comunque è una bella idea, che potrei rubarti per il prossimo romanzo.
Il Sommo Misantropo

Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Bella domanda, me la sono sempre posta anch'io.
Tra l'altro la cosa strana è che in questo periodaccio ho perso la voglia e la motivazione, ma le storie sono ancora lì a girarmi per la testa, sebbene sepolte da ansie e preoccupazioni. Ogni tanto addirittura mi ritrovo a proseguirle nella mente, prima di chiedermi: "Sì, ma cosa ci devi fare?"
Boh, sarà una "deformazione neuronale"...
Tempo fa avevo fatto una ricerchina sulle motivazioni che ci spingono a narrare, e come hai detto tu c'è la volontà di comunicare. Non solo messaggi, ma anche stati d'animo. Condividere stati d'animo ci fa stare bene, altrettanto la consapevolezza di poter aiutare qualcuno a vedere le cose da un altro punto di vista, magari addirittura di cambiare.
quelle intuizioni che a volte capitano nella vita e ti fanno vedere improvvisamente le cose da un altro punto di vista, in qualche misura quelle storie che contengono un cambiamento, un percorso che potrebbe essere allo stesso tempo di un personaggio oppure di una situazione che può indurre il lettore a modificare il proprio giudizio.
Detto ciò, non so perché a me piace inventare storie di fantasia, avventura, fantascienza ecc. Un conto è "fare un'avventura", un altro è condividerla con sconosciuti...
ho deciso di scrivere un romanzo in cui c'è lui. Più lo ignorano più mi aumenta la voglia di scriverne.
Bello questo intento!
Sarà perché ritengo di aver subito molte discriminazioni.
Nel senso che compensi con la scrittura?
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Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Antares ha scritto: Bello questo intento!

Nel senso che compensi con la scrittura?
Grazie :sss:
Questo intendevo: è un modo di compensare. Non sopporto le discriminazioni inutili e gli stereotipi, e quindi mi piace denunciarli attraverso lo scritto.

OT
L'altro giorno ho trovato sul Tubo un video in cui due ragazzi piemontesi (un lui e una lei) confrontano sé stessi con gli stereotipi all'estero sugli Italiani, e (in parte) non c'entrano niente (a parte il parcheggio "allegro", ahah :D ).
Lui è bravissimo. Ha un canale sul Tubo in cui insegna l'Italiano agli stranieri e ha un pubblico che è sempre più fatto da Italiani, che lo seguono non certo per imparare, ma per sentire le sue riflessioni sulla lingua :) che poi sono quelle che faccio io da tempo e che chiamo "riflessioni" per addolcire e diplomatizzare l'espressione "seghe mentali", ahahahahah :D
Il Sommo Misantropo

Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Ho avuto una vita abbastanza lunga e differenziata nel tipo di esperienze, tutte caratterizzate da una condizione di partenza: sono sempre stato un outsider. Come tale, ho dovuto battermi, non alla pari, con chi, per esempio nel mondo del lavoro, era pervenuto al mio stesso livello non per capacità o merito, ma perché predestinato a una carriera programmata e protetta (sono tanti, troppi). Ogni volta che vincevo la mia battaglia, qualcuno cercava il modo di farmela pagare, talvolta riuscendoci. Come tutti, di battaglie ne ho vinte e perse e di soddisfazioni, quando per me erano importanti, ne ho avute tante. Tutto questo ha lasciato traccia nei miei scritti: una trilogia di genere legal-thriller in cui racconto l'uso pilotato di un certo tipo di giustizia, e un romanzo di fantascienza distopica in cui immagino le estreme conseguenze cui potrebbe condurre l'uso sconsiderato della cosiddetta finanza globale. Secondo me, a parte la validità dei miei scritti, che può essere valutata soltanto dai (pochi) lettori, ne è valsa la pena. E siccome le esperienze sono state tante e non simili tra loro, posso scriverne ancora e - covid ed altre cause di dipartita permettendo - a lungo.
Mario Izzi
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Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Difficile est proprie communia dicere

Lo ricordo ancora, Orazio, l'Ars Poetica, e penso che il senso della scrittura non sia semplicemente trasferire informazioni o emozioni. Quello è il terreno del "dire" non del "raccontare", è più la modalità dell'informare, del formare e persino dell'irretire.

Penso che come scrittori possiamo essere testimoni, non importa di quali pochezze o delle grandi imprese che ha in serbo per noi il destino (si pensi ai soggetti di Carver).

Penso anche @Poldo che come tali dobbiamo essere capaci di condividere facendo un passo indietro, osservando, senza distorcere troppo (un po' è inevitabile) e mostrando dalla nostra prospettiva (che è in divenire e non è mai neutra) quello a cui assistiamo e cattura la nostra curiosità o offende la nostra intelligenza.

Lo possiamo fare attingendo dalla realtà o creandone una alternativa, scegliendo la via che più sentiamo in quel momento adeguata a noi e utile al lettore, magari.

Nonostante io non condivida le diffidenze di Platone, penso che la scrittura sia un supporto, una tecnologia, che ha evoluto l'arte degli aedi. Gli aedi raccontavano miti che sono storie strampalate magari, ma una sintesi dell'esperienza umana e della cultura, della sua evoluzione. Le storie sono una forma che da sempre è capace di coinvolgere i sensi, la mente, le emozioni. Concetti che - prima dell'esperienza diretta - rimarrebbero astratti, incomprensibili, soprattutto incredibili (che è anche le dinamiche dei sogni). Concetti che stanno sotto ad un'etica distorta, a una morale ipocrita, a consuetudini discutibili, sepolti in molte pratiche socialmente accettate.

Credo che lo scrittore sia un cercatore, uno capace di sollevare qualche velo. Per farlo non deve aggiungere troppo inchiostro. Può usare l'umorismo, la tragedia, le tinte rosa, l'invenzione di mondi e qualsiasi genere. Se però è inautentico di solito il lettore se ne accorge.

Altra cosa sono i testi di consumo (i thriller, ad esempio). Allora lì serve un po' più di mestiere e converrai con me che, in tal caso, la domanda "di cosa scrivere?" è fuori casa.

Il bravo narratore, spesso sottovoce, è colui che accende una piccola luce per illuminare un angolo buio.

Non è richiesto di tramandare o spiegare (i libri con "spiegoni" sono tremendi). Non è richiesto - o in molti chiederebbero di astenersi dal farlo - creare storie piene di sé, di proprie idee e concetti (in tal caso meglio studi e tesi di dottorato che saranno vagliate dalla comunità scientifica).

Lo scrittore è a servizio della storia che vuole raccontare. La deve lasciar uscire e la deve nutrire, deve accompagnare i personaggi senza sostituirsi a loro. Perciò, come dici tu, non sai da dove arrivano le storie, ma se osservi e ascolti, se silenzi il tuo ego, le sentirai ovunque intorno a te.

Re: Cosa vale la pena di raccontare

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@dyskolos , @Antares , @Cheguevara , @T.D.J. Baw

Grazie delle vostre risposte, ognuna con il suo stile che riflette, credo, l'angolazione particolare che l'esperienza di ogni persona dà sia alla rappresentazione della realtà che alla propria produzione creativa.
Da questo punto di vista lancio un'altra provocazione.
Quando scrivo, anche se scrivo cose assolutamente fantasiose, mi accorgo di attingere comunque a immagini, pensieri, riflessioni che in qualche modo hanno segnato un momento particolare nella mia vita, senza le quali la narrazione risulterebbe piatta e insignificante. Ormai ho una certa età, sono un nonno e tra qualche mese andrò in pensione, e con il mestiere che faccio ho accumulato un bel bagaglio di esperienza di "casi umani". Diciamo che questo bagaglio rappresenta per me la miniera da cui cerco di estrarre il senso di ciò che racconto.
Ho iniziato a scrivere in età già parecchio matura e mi viene da dire che, senza quel materiale dato dall'esperienza, non avrei saputo cosa scrivere.
Vedo molti giovani avvicinarsi alla scrittura, il che è una cosa che fa molto piacere; In alcuni casi si intuisce l'amore per la lettura, magari di genere, che desiderano in qualche modo riprodurre, in altri casi si nota già una ricerca più approfondita di stile e di contenuti.
Ma la domanda che desidero porre è: che relazione c'è per voi tra l'esperienza di vita e la scrittura?
Cheguevara ha scritto:E siccome le esperienze sono state tante e non simili tra loro, posso scriverne ancora
In parte questa è già una risposta.

Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Ciao @Poldo
sono abituato a scrivere di cose che conosco, anche in caso di fantascienza, e credo che in questo le vecchie cariatidi come me siano agevolate rispetto ai giovani che, anche se pieni di energia e ricchi di stimoli, hanno tante aspettative e, per forza di cose, poca esperienza. Possono supplire con l'innato talento - se c'è - e una fantasia vivace. Giorni fa ho rispolverato una raccolta di mie poesie, tra cui una dedicata a un vecchio, quale immaginavo sarei diventato e, sorprendentemente, mi sono riconosciuto. Quando l'ho scritta avevo diciotto anni.
Mario Izzi
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Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Ciao a tutti!
Un tempo (fino ad un paio d'anni fa) avrei dato una risposta molto chiara, precisa e convinta a questa domanda, e avrei difeso questa risposta con le unghie e coi denti, e tale risposta era: scrivo per svelare la verità della tragedia umana (per me legata quasi esclusivamente a temi come il passare del tempo, la vanità della vita, il nulla dopo la morte, etc.), e al contempo per illuminare, secondo la mia personale sensibilità, i piccoli pezzi di bellezza profonda, di poesia che rendono questa tragedia degna di essere vissuta (l'amore in tutte le sue forme, la giustizia, il bene, la libertà, la solidarietà).
Mentre scrivo mi rendo conto che la mia visione di oggi non è poi tanto distante da quella di un tempo, solo che si è un po' ampliata: la tragedia umana ora non riguarda più solo il passare del tempo e la morte, ma tutte le forme di dolore esistenti, diverse per ognuno, a seconda delle esperienze personali (per esempio temi a me cari negli ultimi tempi, per ragioni personali, sono il senso di colpa e il male insito dentro ognuno di noi); e ai pezzi di bellezza che illuminano tale tragedia si sono aggiunti, oltre alle cose di cui parlavo prima, anche meraviglia e divertimento, anche intrattenimento puro, cose che un tempo, stupidamente, giudicavo superficiali.
Quindi la mia ragione per scrivere è raccontare tragedia e bellezza, la tenebra e la luce che ne scaturisce, pesantezza e leggerezza, dolore e resilienza o gioia, male e bene, e così via.
Ho letto tutti i vostri contributi e li ho trovati tutti molto molto molto interessanti e per me nutritivi, ma più di tutti mi hanno colpito quelli di @dyskolos e di @Poldo , veramente illuminanti.
Grazie a tutti, non vedo l'ora di leggervi in giro.

Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Ah, scusate, volevo aggiungere che personalmente faccio molta fatica a immaginare storie che critichino e basta la nostra realtà, senza proporre una soluzione costruttiva, o mostrare un barlume di speranza, o una "bellezza collaterale" (per citare il titolo di un film). Insomma, la lamentela pessimista non fa per me, a meno che la bruttura di cui si racconta non contenga già al suo interno, implicitamente, il barlume di speranza. Non lo so, forse è perché altrimenti poi mi deprimerei troppo, ma per me la scrittura dev'essere un esercizio di ottimismo.

Re: Cosa vale la pena di raccontare

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AquilaGialla ha scritto: mar gen 26, 2021 3:41 pm Ah, scusate, volevo aggiungere che personalmente faccio molta fatica a immaginare storie che critichino e basta la nostra realtà, senza proporre una soluzione costruttiva, o mostrare un barlume di speranza, o una "bellezza collaterale" (per citare il titolo di un film). Insomma, la lamentela pessimista non fa per me, a meno che la bruttura di cui si racconta non contenga già al suo interno, implicitamente, il barlume di speranza. Non lo so, forse è perché altrimenti poi mi deprimerei troppo, ma per me la scrittura dev'essere un esercizio di ottimismo.
Capisco. Piacerebbe anche a me essere ottimista, sempre. In effetti lo sono, fondamentalmente, ottimista, ma non sempre, guardandomi intorno, riesco a cogliere in quello che accade messaggi che possano dare pretesto per una visione nel complesso positiva. Ovunque c'è gente che muore di malattia perché non ha i mezzi per curarsi, di guerra - e sono quasi sempre conflitti mossi da interessi economici - di fame, di inquinamento e per mille altre cause che potrebbero essere evitate se soltanto il senso di umanità avesse la meglio sull'avidità. E' anche vero che anche nelle situazioni peggiori c'è chi esprime, non solo a parole, ma con gli atti e correndo rischi personali, solidarietà e compassione, ma credo che chi ha la voglia e il coraggio della denuncia non possa e non debba essere ritenuto portatore di lamentele pessimiste.
Mario Izzi
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Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Ovviamente no! Di solito chi ha il coraggio di denunciare, lo fa proprio perché crede nella possibilità del miglioramento, perché non si arrende. È proprio questo il punto: denunciare sempre, ma per migliorare le cose, non per mostrare l'irreparabilità dell'infelicità umana, come fanno molti autori anche famosi, magari anche grandissimi della letteratura di tutti i tempi (alcuni dei quali anche da me amati, sia chiaro: quel che non voglio scrivere non è detto che non voglia leggerlo).
Ad ogni modo è vero che c'è morte e avidità ovunque (anche se io purtroppo dal vivo ne ho vista poca, avendola vista soprattutto in tv e sui giornali - e dico purtroppo proprio perché conoscerla dal vivo alzerebbe il mio grado di coscienza), ma è vero anche che pure bellezza dappertutto: personalmente conosco un sacco di bellissime persone, e di molte altre leggo o vedo testimonianze in tv, nei libri, sui social network, leggo appunto, come dicevi, di grandi atti di solidarietà, o di sforzi per diffondere idee nuove che migliorino le cose, o anche solo di creatività, per rendere questo mondo, se non migliore, magari un po' più bello.

Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Ciao @AquilaGialla, sono d'accordo, ovviamente. Come è sicuro che, per cercare di contribuire a migliorare il mondo, bisogna prendere coscienza del punto di partenza: la situazione attuale. E la situazione attuale, malgrado l'esistenza di tante belle persone, molto bella non è.
Mario Izzi
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Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Poldo ha scritto: lun gen 25, 2021 8:08 pm Ma la domanda che desidero porre è: che relazione c'è per voi tra l'esperienza di vita e la scrittura?
Una relazione strettissima. Nei miei scritti c'è un riflesso di quello che ho vissuto, del "materiale" (riprendendo le tue parole) che ho avuto per le mani. D'altronde non potrebbe essere diversamente, quindi in fondo ho detto una cosa scontata.
Tempo fa ho letto sul WD una discussione sul famoso consiglio di scrittura che fa (più o meno) "scrivi solo di ciò che sai". Tutti si sono dichiarati d'accordo. Per me invece è proprio quello che non si dovrebbe fare. Credo infatti che scrivere è un'ottima scusa per migliorarsi; e che razza di miglioramento c'è se uno fa sempre le cose che conosce? No! Io dico che invece bisogna sempre documentarsi su cose che non si conoscono, che significa allargare i propri orizzonti. Lo disse pure il signor Alighieri: "Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". Allora cerchiamo 'sta virtute e canoscenza, no? La cronaca fornisce sempre nuovo "materiale", basta leggere un giornale ogni tanto.
Così arrivo a quanto dicevo sopra: che, per me, le storie da raccontare devono avere «qualche collegamento con la realtà».
Il Sommo Misantropo

Re: Cosa vale la pena di raccontare

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dyskolos ha scritto: mar feb 02, 2021 2:59 pm Tempo fa ho letto sul WD una discussione sul famoso consiglio di scrittura che fa (più o meno) "scrivi solo di ciò che sai". Tutti si sono dichiarati d'accordo. Per me invece è proprio quello che non si dovrebbe fare. Credo infatti che scrivere è un'ottima scusa per migliorarsi; e che razza di miglioramento c'è se uno fa sempre le cose che conosce? No! Io dico che invece bisogna sempre documentarsi su cose che non si conoscono, che significa allargare i propri orizzonti.
Ho colto l'intento provocatorio della dichiarazione, ma comunque vorrei intervenire con una precisazione. Io ero (e sono) uno di coloro che hai letto concordare con il famoso consiglio citato. Anzi, credo sia il fondamento di qualunque opera di narrativa valida. Se si conosce già qualcosa, ad esempio per esperienza diretta, ne si padroneggiano i dettagli. Nel caso in cui invece non si conosce qualcosa, ci si documenta in modo rigoroso tanto da arrivare a conoscerla. Se si tratta di fantasia, tutta la documentazione sarà inventata e non il frutto di una ricerca, ma il procedimento dev'essere altrettanto completo e meticoloso.
Alla fine arrivi a scrivere qualcosa "che sai", quindi. Il consiglio non è un limite al miglioramento, anzi: ne è proprio un principio cardine.

Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Adriano Strinati ha scritto: mar feb 02, 2021 7:16 pm Ho colto l'intento provocatorio della dichiarazione, ma comunque vorrei intervenire con una precisazione. Io ero (e sono) uno di coloro che hai letto concordare con il famoso consiglio citato. Anzi, credo sia il fondamento di qualunque opera di narrativa valida. Se si conosce già qualcosa, ad esempio per esperienza diretta, ne si padroneggiano i dettagli. Nel caso in cui invece non si conosce qualcosa, ci si documenta in modo rigoroso tanto da arrivare a conoscerla. Se si tratta di fantasia, tutta la documentazione sarà inventata e non il frutto di una ricerca, ma il procedimento dev'essere altrettanto completo e meticoloso.
Alla fine arrivi a scrivere qualcosa "che sai", quindi. Il consiglio non è un limite al miglioramento, anzi: ne è proprio un principio cardine.

Non volevo essere tanto provocatorio da attirare l'attenzione, anche perché sono d'accordo su quanto hai scritto. Ne ho parlato più volte, e va tutto bene. So che quella è l'intenzione del WD. So anche che quello è uno dei consigli cardine per una buona opera di narrativa, che di solito tallona da vicino lo "Show, don't tell".
Il mio problema sorge quando tale raccomandazione travalica il WD e finisce per alimentare insensati stereotipi di carattere geografico. Purtroppo sulla Rete succede e mi dispiace. Pertanto io, essendo siciliano, mi sono buttato su storie di mafia perché… io cos'altro posso conoscere? Se così deve essere, che sia… ;)
Di questo tipo voleva essere il senso del mio discorso, ma non ne volevo parlare in questo contesto e dunque ho preso la curva "larga", come si suol dire.
Il Sommo Misantropo

Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Adriano Strinati ha scritto: mar feb 02, 2021 7:16 pm Se si conosce già qualcosa, ad esempio per esperienza diretta, ne si padroneggiano i dettagli. Nel caso in cui invece non si conosce qualcosa, ci si documenta in modo rigoroso tanto da arrivare a conoscerla. Se si tratta di fantasia, tutta la documentazione sarà inventata e non il frutto di una ricerca, ma il procedimento dev'essere altrettanto completo e meticoloso.
Alla fine arrivi a scrivere qualcosa "che sai", quindi. Il consiglio non è un limite al miglioramento, anzi: ne è proprio un principio cardine.
Concordo in tutto e per tutto.
Ambienta un romanzo nella via dove abiti e mettici personaggi presi dalla realtà: scoprirai che, nonostante ciò, alla fine sarai costretto a documentarti su particolari che davi per scontati. Scrivere è sempre fare nuove scoperte, secondo il mio modestissimo parere.
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Re: Cosa vale la pena di raccontare

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che relazione c'è per voi tra l'esperienza di vita e la scrittura?
Sicuramente chi ha molte esperienze di vita parte avvantaggiato, anche perché "scrive di quello che sa".
Però io vedo il cervello creativo come un enorme frullatore: il risultato dipende sia da quello che ci metti dentro, sia da come lo mischi (rielabori). Gli ingredienti sono molteplici: esperienze reali, notizie di cronaca (anche lontana da noi), sciocchezze trovate su internet, film e anime, libri, racconti di terze persone, leggende, sogni, domande esistenziali, canzoni, giochi, desideri, paure ecc.
Avere un buon bagaglio di esperienze dal vivo significa disporre di ingredienti in più; ma a mio avviso la bontà del frullato dipende più dalla maestria del formulatore che dal numero di ingredienti. Questo significa evitare i mischioni a caso e, come detto sopra da @Adriano Strinati, essere meticolosi (cioè formulare sapientemente una ricetta, informarsi sulle caratteristiche di ogni ingrediente e sulle sue compatibilità).
Credo però che una persona dotata di elevata sensibilità, empatia e immaginazione riesca a rendere anche scene a cui non ha mai assistito; non dico come chi le ha vissute davvero, ma andandoci molto vicino.
Quindi la mia ragione per scrivere è raccontare tragedia e bellezza, la tenebra e la luce che ne scaturisce, pesantezza e leggerezza, dolore e resilienza o gioia, male e bene, e così via.
Bella intenzione. Io a differenza tua sono una pessimista totale nei confronti della vita (e non parlo solo del mondo "umano"), ma non lo sono altrettanto nelle storie partorite dal mio cervello. Anche in quelle che finiscono male c'è sempre una micro-rivalsa, fosse anche la presa di coscienza dell'antagonista. Forse è una sorta di compensazione, boh. Anch'io non amo molto le tragedie che finiscono male e basta, però riconosco e apprezzo il loro proposito di denuncia.
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Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Anche se sono uno che preferisce scrivere di ciò che sa (pigrizia mentale che si sposa ad una certa massa di esperienze maturate) mi rendo conto che immaginare scenari e situazioni mai visti o vissuti neanche di striscio, dopo essersi convenientemente documentati, sia un modo per crescere ed accrescersi. Mi viene da pensare ad Emilio Salgari, che mi ha fatto sognare negli anni dell'adolescenza, trasportandomi in India, Malesia, Far West, sette mari, tutto senza essersi mai mosso dal suo Paese, dal suo scrittoio.
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Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Marcello ha scritto: mar feb 02, 2021 11:37 pm Scrivere è sempre fare nuove scoperte, secondo il mio modestissimo parere.

Anche secondo il mio :)
Marcello ha scritto: mar feb 02, 2021 11:37 pm Ambienta un romanzo nella via dove abiti e mettici personaggi presi dalla realtà
Infatti sogno di scrivere un "thriller domestico", cioè un thriller ambientato a casa mia. Mi vengono a mancare delle banconote nascoste in un cassetto e io, da investigatore, devo scoprire chi è stato. Mio fratello giura di non saperne niente, lo stesso mia sorella, mia madre, mio padre, epperò deve essere uno di loro :) A meno che un personaggio non riesca a dimostrare che è entrato un ladro… :)
Il Sommo Misantropo

Re: Cosa vale la pena di raccontare

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Scrivere di ciò che si sa (o che si crede di sapere) mi sembra un'ovvietà, chi è che si mette a scrivere qualcosa di cui professa una totale ignoranza?
Casomai la differenza è se questa conoscenza è diretta o di seconda mano, cioè acquisita attraverso i libri, il cinema, etc.
Non è detto che la conoscenza diretta dia frutti migliori di quella indiretta, ci sono grandi scrittori (Eco, Borges, ad esempio) molto metaletterari, la loro opera si è nutrita in gran parte di altri libri; altri non meno importanti (Hemingway, Bukowski) hanno scritto soprattutto di esperienze di vita vissute personalmente.
Secondo me vale sempre la massima di G.B. Shaw: "La regola d'oro è che non ci sono regole d'oro", si può scrivere bene di cose che si conoscono approssimativamente (Salgari, citato prima, faceva parecchi strafalcioni eppure ha fatto sognare generazioni di ragazzi) o scrivere malissimo di cose che si conoscono alla perfezione.
La vera differenza nella qualità della scrittura è data generalmente da altro: dalla non convenzionalità sia del linguaggio che del punto di vista da cui si osservano e si valutano le cose e aggiungerei anche da alcune caratteristiche personali dell'autore, in particolare dal suo coinvolgimento emotivo in ciò che scrive: se l'autore ama quello che scrive, se si diverte a scriverlo, allora ci sono almeno i prerequisiti perché possa valere la pena di raccontare qualcosa.
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