Fraudolente wrote: Sto studiando per imparare a scrivere “meglio”. Ho acquistato qualche “manuale” e persino un corso on line. Tutto bene? Sì, a parte le differenze tra un docente e l’altro, sto cominciando a “capire” dove e perché vanno le varie mode. Mode? Definisco così per comodità, non fraintendete.
Alterno lo “studio” alla lettura e mi sparo un paio di recenti romanzi storici di un noto scrittore italiano.
Sorpresa! Il nostro se ne fotte, e con lui il suo editor, di tutte le pappardelle che ho imparato: punti di vista che saltano, tell senza ritegno e spiegoni infilati malamente nei dialoghi. E allora?
I romanzi filano e appassionano, anche se le trame non sono entusiasmanti. Quindi piacerà perché scritto bene… Ma così non sarebbe secondo i miei nuovi apprendimenti.
Quindi? Come la mettiamo?
Non so quale sia il tuo rapporto con il
fentesi, ma ultimamente, rileggendo qualche autore famoso del genere che mi garbonni più che d'altri, ho notato anche io questa incongruenza.
Mi spiego.
Ci sono due autori:
- uno polacco, molto famoso, che scrive in maniera totalmente anticonvenzionale - lasciando perdere scrivesse ciò che ha scritto nel '70, visto che i suoi libri stanno conoscendo fama or ora. Io lo adoro, ha costruito un mondo di temi e personaggi che - di nuovo - io adoro. E non ti sto a dire i pov ballerini, il mettere temi in bocca attraverso i suoi personaggi, dialoghi lunghi pagine, esposizionissime di cinque pagine. Ma, i suoi personaggi li adoro, certi dialoghi sono meravigliosi, è riuscito a fare una riflessione tematica sociale sui rapporti di potere interessantissima.
- uno americano, ancor più famoso, preso a esempio per chiunque voglia cimentarsi a scrivere nel genere, dà pure lezioni all'università su come scrivere e i suoi libri sono best-sellers ancor prima che escano. Scrive in maniera totalmente convenzionale: pov giusti giusti, dialoghi centellinati, tutto perfettamente logico nella logica editoriale. Lui è un pacioccone simpaticissimo... ma volevo volare i suoi libri dalla finestra, letteralmente. Un po' perché alle volte mi fanno arrabbiare nella loro prevedibilità, un po' per la prosa scialbissima (a me piace il bello, diavolo!) e poi perché lo trovo tremendamente noioso. Anche personaggi che ho adorato e situazioni interessantissime mi hanno stancato dopo un po'.
(che uno sia polacco e l'altro americano non c'entra, è solo per non dire i loro nomi e far partire un simpaticissimo indovina chi)
Quindi, chi ha ragione? Quanto le buone norme - nate anche da certe logiche editoriali e di consumo, oggidì - travalicano il nostro senso estetico? Quanto le prime sopravvivranno alle seconde?
Perché poi penso alla storia della letteratura, dell'arte in generale e nulla mi scuote dal pensiero che in genere la gente che segue le convenzioni tende ad essere adombrata degli artisti che le superano - vedasi Baudelaire, per dire un nome famoso. Però al contempo questa gente conosceva benissimo le convenzioni che andava a scardinare: i quadri naturalisti che Duschamps dipingeva da giovane sono tecnicamente perfetti, eppure la maggior parte della gente lo ricorda per l'orinatoio firmato. Perché possiamo pure seguire il miglior corso di scrittura creativa in questo mondo, essere apprendisti del migliore professore di essa al mondo, ma fare successo in vita o in morte, essere l'autore del secolo, ma nel secolo immediatamente dopo quello in cui hai vissuto, non credo dipenda da noi.
L'idea del genio romantico è una superna cavolata.
Purtroppo. Mannaggia. Perché ci sono cresciuto con la letteratura romantica.
Forse con l'aspettativa di vita più alta, possiamo conoscere il successo sul letto di morte e la gente farà pellegrinaggio al nostro capezzale mentre noi non capiamo nulla e annuiamo pensando al nostro pannolone firmando autografi con la X perché non possiamo più neanche scrivere il nostro nome.
Però, dai poteva andare peggio.
E ho completamente trascurato il fattore "fortuna".